In base al principio di primazia il diritto dell’Unione Europea ha un’applicabilità diretta e immediata in tutti i paesi dell’Unione: più in dettaglio i regolamenti dell’Unione sono atti giuridici vincolanti in tutti i loro elementi e direttamente applicabili negli Stati membri della UE, mentre le direttive dell’Unione Europea stabiliscono degli obiettivi che i paesi della UE devono obbligatoriamente conseguire, ma necessitano comunque di una legge nazionale di attuazione. La supremavia del diritto dell’Unione Europea appare tanto più grave dal momento che la UE è una istituzione di natura non democratica, perché nasce da trattati intergovernativi, è diretta da organismi intergovernativi non eletti dai cittadini europei, come il Consiglio Europeo e la Commissione Europea, e perché il Parlamento – l’unico organismo eletto, seppure su base nazionale – ha poteri limitati, e comunque può solo ratificare o meno le decisioni e le norme espresse dai primi due organi UE. Il Parlamento UE non può nemmeno nominare l’esecutivo della UE, ovvero la Commissione. L’Unione Europea non rispetta dunque neppure i principi liberali della separazione dei poteri.
Grazie alla primazia del diritto UE sulle legislazioni nazionali – e anche sulle Costituzioni nazionali (il che è un vero e proprio scellerato obbrobrio) – la UE tenta di diventare “sovrana” proprio perché le sue norme si impongono come sovrastanti quelle degli Stati nazionali. Gli Stati democratici devono dunque adeguare le loro leggi alle norme di una istituzione non democratica. Questo appare in netto contrasto con il primo articolo della Costituzione Italiana che, come noto, afferma che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Di fronte ai numerosi tentativi di procedere invece verso “una sovranità europea” la costituzionalista Fiammetta Salmoni si domanda: “Perché mai questa esortazione alla “costruzione della sovranità europea” senza pensare all’unico modo democratico per farlo, ossia eleggere un’Assemblea costituente che approvi una Costituzione e dia vita, forma e sostanza a uno Stato sovrano europeo, legittimato dalla volontà popolare? “[1]. Chi scrive dubita che potrà mai tenersi un’assemblea Costituente rappresentativa della volontà dei popoli dei 27 Stati europei. In ogni caso la risposta della Salmoni è chiara: “Costruire la sovranità a piccoli passi o istituire una Costituzione europea attraverso il metodo intergovernativo sono forzature giuridiche per consentire all’UE di gestire tutte le istanze economiche e finanziarie al livello sovranazionale, libera di indirizzare il mercato nella direzione che meglio crede, senza i vincoli necessari alla cattura dell’economico nel politico, senza Stato e senza Costituzione, senza demos e senza democrazia e senza redistribuzione, senza protezione sociale e senza eguaglianza sostanziale”.
Secondo il costituzionalista Alessandro Somma è sbagliato e mistificante il tentativo di legittimare la superiore sovranità della UE giustificandola in quanto portatrice di pace, mentre, al contrario, le sovranità nazionali sarebbero inevitabilmente causa di sciovinismo, guerre e conflitti[2]. Somma sottolinea che casomai sono i governi ultranazionalisti, i fascismi nelle loro diverse forme, e anche i mercati deregolamentati tra i maggiori responsabili delle guerre e dei conflitti. La sovranità – che comporta il potere di un popolo di prendere decisioni autonome – non può dunque essere confusa con il sovranismo populista. E tra la principale causa delle guerre, come ha ben spiegato John Maynard Keynes, ci sono gli squilibri dei mercati finanziari internazionali che producono debiti insostenibili e quindi conflitti insanabili tra le nazioni[3].
Il principio del primato del diritto dell’Unione si è sviluppato nel tempo mediante la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, CGEU, con sede in Lussemburgo. La Corte è composta da un giudice per ogni Stato membro (27), assistiti da undici avvocati generali. I giudici e gli avvocati generali sono nominati di comune accordo dai governi degli Stati membri con mandato di sei anni rinnovabile. Essi sono scelti tra i giuristi di notoria competenza o aventi i requisiti per ricoprire le più alte funzioni giurisdizionali nei paesi d’appartenenza. I giudici della Corte designano tra loro il presidente con un mandato di tre anni, rinnovabile. La Corte di Giustizia è costituita da due giurisdizioni: la Corte di Giustizia vera e propria e il Tribunale. Essa è responsabile della giurisdizione dell’Unione europea. I due organi giurisdizionali garantiscono la corretta interpretazione e applicazione del diritto primario e del diritto derivato dell’Unione all’interno del suo territorio. Essi controllano la legalità degli atti delle istituzioni dell’Unione e statuiscono in merito al rispetto da parte degli Stati membri degli obblighi derivanti dal diritto primario e dal diritto derivato. La Corte di giustizia interpreta altresì il diritto dell’Unione, su richiesta dei giudici nazionali. La CGUE interpreta il diritto dell’UE per garantire che sia applicato allo stesso modo in tutti gli Stati membri e dirime le controversie giuridiche tra governi nazionali e istituzioni dell’UE. La CGUE può essere adita, in talune circostanze, anche da singoli cittadini, imprese o organizzazioni allo scopo di intraprendere un’azione legale contro un’istituzione dell’UE qualora ritengano che abbia in qualche modo violato i loro diritti. La Corte giudica delle controversie fra Stati membri, istituzioni europee, imprese e normali cittadini. Le sentenze della Corte di Giustizia che interpretano regolamenti dell’Unione Europea hanno applicazione immediata e necessaria negli ordinamenti nazionali e hanno una efficacia immediata nel diritto degli Stati membri.
Il principio del primato del diritto dell’Unione si è sviluppato gradualmente mediante la giurisprudenza della CCEU. La CGEU ha stabilito che gli obiettivi dei trattati sarebbero stati compromessi se il diritto dell’Unione fosse stato subordinato al diritto nazionale. Secondo la CGEU con il trasferimento di alcuni poteri all’Unione, gli Stati membri hanno limitato i loro diritti sovrani; pertanto, per essere efficaci, le norme dell’Unione devono prevalere su qualsiasi disposizione del diritto nazionale, comprese – altro fatto eccezionale – le Costituzioni. Secondo la Corte, i giudici nazionali devono garantire la piena applicabilità delle norme comunitarie “disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la rimozione per via legislativa o mediante altro procedimento costituzionale”[4].
Però stranamente il principio del primato del diritto dell’Unione non è sancito dai trattati dell’Unione, sebbene al riguardo vi sia una breve dichiarazione allegata al trattato di Lisbona. In pratica la CGEU si è auto-attribuita il potere di sovrastare le legislazioni e le Costituzioni nazionali. La cosa, se non fosse accaduta nell’Europa democratica, avrebbe il sapore di un colpo di Stato. Non a caso la Corte Costituzionale tedesca, ma a suo tempo anche altre Corti Costituzionali e anche altri governi, soprattutto quelli della Polonia e dell’Ungheria, hanno obiettato e obiettano sulla primazia del diritto dell’Unione rispetto alle Costituzioni dei paesi della UE.
Gli atti comunitari prevalgono immediatamente su quelli degli Stati membri sia rispetto a quelli preesistenti all’approvazione della norma comunitaria che per quelli emanati successivamente. Si tratta quindi di una priorità ontologica, non temporale. In presenza di una legge nazionale che contrasti con una norma comunitaria, il giudice ordinario deve disapplicare la legge nazionale nel caso specifico e applicare il diritto dell’Unione, senza porre quesiti di incostituzionalità o attendere che il legislatore nazionale risolva il conflitto di giurisprudenza adeguandolo al diritto dell’Unione.
Questa primazia risulta accolta di fatto dalle giurisprudenze nazionali di tutti gli Stati membri, con l’unico limite del rapporto con le Costituzioni nazionali che resta ancora piuttosto incerto e problematico. La primazia del diritto UE è stato accolto anche dalla Corte Costituzionale italiana in base all’articolo 11 della Costituzione italiana. L’articolo 11 come noto consente che la Repubblica possa accettare limitazioni alla sua sovranità aderendo a organismi sovranazionali. “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. L’articolo 11 fu scritto in previsione della partecipazione dell’Italia all’Organizzazione delle Nazioni Unite e alla NATO. Occorre però capire se la NATO e la UE siano realmente organizzazioni per la pace o no. Molti potrebbero avere dei seri e più che legittimi dubbi. Inoltre non sembra che all’interno di queste due organizzazioni ci sia una effettiva parità di potere tra i paesi membri, come richiesto dall’articolo 11 della Costituzione Italiana. Germania e Grecia non pesano alla stessa maniera nella UE. Infine, da ultimo ma non per ultimo, l’articolo 11 pone delle “limitazioni” alla sovranità nazionale ma non permette delle “cessioni” di sovranità.
La Corte Costituzionale Italiana ha tuttavia più volte ribadito la legittimità del rapporto di subordinazione fra l’ordinamento UE e quello italiano, pur precisando che tale principio, come si è scritto sopra, incontra il limite invalicabile dei principi supremi della Costituzione. In effetti la Corte si riserva il potere di sindacato circa l’interferenza con eventuali “controlimiti”. Si riserva in particolare il diritto di respingere le leggi della UE se eventualmente contrastassero con i diritti fondamentali sanciti dai primi 12 articoli della Costituzione.
Molto più problematico è il rapporto tra la Corte Costituzionale tedesca e la primazia del diritto dell’Unione e quindi anche la primazia della CGEU. Sin dall’inizio la Corte tedesca scelse di provvedere a adempiere al principio della primazia CGEU per via giurisprudenziale: la Corte costituzionale tedesca ha ritenuto che fintanto che il diritto dell’Unione prevede un livello di tutela dei diritti fondamentali in linea con le tutele offerte dalla sua Costituzione non avrebbe riesaminato più atti specifici dell’Unione alla luce delle norme costituzionali. Se pure non si disconosceva la possibilità che gli organi comunitari potessero stabilire norme giuridiche direttamente applicabili e valide entro l’ordinamento della Repubblica federale, comunque la Corte costituzionale tedesca ha inteso contenere l’ingerenza del diritto extra-nazionale giustificando questo contenimento con lo stato ancora limitato del processo di integrazione e democratizzazione europea. Secondo la Corte tedesca questo processo era (e è) caratterizzato da un “deficit di democrazia” e dall’assenza di un catalogo di diritti fondamentali il cui contenuto assicuri in maniera inequivocabile un livello standard di garanzia ai cittadini tedeschi per lo meno pari a quello già riconosciuto dalla Legge Fondamentale della Germania.
Il rapporto tra le istituzioni della UE, la CGEU e la Corte Costituzionale tedesca è sempre stato molto conflittuale. In più occasioni la Corte tedesca ha contestato le decisioni della BCE in merito al Quantitative Easing criticandola per avere esorbitato dai suoi poteri. Ma la Corte di Giustizia Europea ha sempre rimandato al mittente le critiche. La CGEU ha replicato che “solo la Corte di Giustizia, istituita a tal fine dagli stati membri, è competente a constatare che un atto di un’istituzione dell’Unione è contrario al diritto dell’Unione”[5]. Resta tuttavia il fatto fondamentale che le leggi dell’Unione sono emanate da organi non democratici nati da trattati intergovernativi senza avere fondamento in nessun atto costituzionale. Questo fatto resta assolutamente critico per la legittimazione delle norme europee, oggi come nel futuro.
E’ chiaro che un sistema dominato dal diritto dell’Unione genera un grave logoramento del principio di rappresentatività del Parlamento nazionale con inevitabili effetti lesivi dell’intero assetto democratico dello Stato. Il rischio consiste nel fatto che l’erosione della legalità statale a opera di un ente superiore sovranazionale costituisce la strada lungo la quale si perde il senso di rappresentatività della politica e, conseguentemente, si soffoca la democrazia.
Vale la pena di citare l’analisi critica del penalista italiano Mauro Ronco a proposito della prevalenza del diritto comunitario su quello italiano. Secondo Ronco non bisognerebbe mai dimenticare che “un sistema genericamente aperto alle fonti esterne più diverse (come quelle della UE, NdA), talora prive dello stesso peso normativo della stessa legge statale, avrebbe generato un grave logoramento del principio di rappresentatività del Parlamento nazionale con inevitabili effetti lesivi dell’intero assetto democratico dello Stato”.
“Se, come è universalmente riconosciuto, il principio di legalità riposa sull’esigenza che la fonte delle norme penali esprima una cifra reale di rappresentatività nei confronti dei destinatari, allora è incongruo, nell’attuale momento storico, postulare l’estensione della competenza penale diretta a favore di organismi sovranazionali o internazionali, poiché questi soltanto a fatica posseggono una ridotta e parziale valenza rappresentativa e poiché, se già è difficile ai cittadini conoscere la portata reale della legge nazionale, quasi impossibile è per essi la conoscenza delle normative di carattere sovranazionale e internazionale”[6].
Se poi si pensa che il diritto europeo prodotto dalla CGEU non si fonda su una Costituzione europea – respinta a suo tempo dai cittadini francesi e olandesi – ma su una delibera della CGEU stessa, allora diventa difficile pensare che la UE, in quanto insieme di istituzioni non democratiche, possa legittimamente elaborare e garantire le leggi che tutti gli Stati europei e i loro cittadini e le loro cittadine sono chiamati a rispettare.
“Si verifica pertanto un duplice gap democratico. Il primo, all’interno dell’istituzione europea, ove è impossibile un’opposizione organizzata; il secondo, all’interno dei singoli Stati, ove non solo le decisioni sulle materie di competenza europea sono assunte dai governi, che raramente informano compiutamente il Parlamento nazionale in ordine ai problemi aperti sul tavolo europeo, ma soprattutto per la ragione che le decisioni dei governi sono frutto del compromesso formatosi segretamente nel corso delle discussioni riservate tra i rappresentanti dei governi nel Consiglio. L’assenza di un dibattito politico nell’Unione europea ha provocato due importanti conseguenze. La prima consiste nella progressiva burocratizzazione dell’istituzione, che è governata da una pletora innumerevole di funzionari e di uffici che tendono ad agire in una crescente atmosfera di autoreferenzialità, ove trova per giunta ampio spazio la lobbistica più incontrollata…La lobbistica è poi la vera dominatrice dei lavori degli uffici dell’Unione. Poiché gli obiettivi e le scelte vengono presentati come politicamente ‘neutrali’; dettati solo dalle evidenze delle varie scienze, la governance effettiva dell’istituzione passa nelle mani degli scienziati, rectius: di coloro che le lobbies agenti nei vari settori sono riusciti a presentare come gli scienziati più accreditati in ciascun campo di esperienza…Tramite la via tecnica e senza dibattito politico i tecnocrati modificano gli stessi assetti socio-economici della società. Nessuna scelta politica sembra avere sovrainteso a tale decisione, apparentemente dettata dall’interesse comune al risparmio energetico. Eppure una tale scelta, che non è soltanto tecnica, determina effetti socio-politici di portata quasi inimmaginabile, che nessuno ha calcolato preventivamente, nell’ovvio e doveroso bilanciamento politico tra costi e benefici di qualsiasi decisione. La depoliticizzazione dell’Unione provoca una corrispondente depoliticizzazione a livello nazionale. Se, infatti, le decisioni che contano sono assunte a livello sovranazionale, non è verosimile che il loro contenuto possa essere discusso e approfondito a livello nazionale: l’opposizione è in questo modo priva di efficacia e coloro che la rappresentano sono costretti ad assumere una posizione remissiva…E’ possibile, tuttavia, che – mancando la chance di una opposizione interna all’Unione – si generi tra le popolazioni di ogni Stato dell’Unione un’opposizione esterna – nel linguaggio anglofono: ‘contro la polity’ –, ovvero un rigetto dell’istituzione europea nei suoi fondamenti, nella sua struttura e nei suoi obiettivi…Il fenomeno, ormai latente da svariati anni in alcuni paesi, è esploso di recente con l’episodio della rivolta degli agricoltori. Generalmente i conati di rivolta sono stati bollati dal mainstream politico, sovranazionale e nazionale, con il sostantivo non proprio esaltante di ‘populismo’[7].
[1] Fiammetta Salmoni “La sovranità, il sovranismo e la scelta della democrazia contro la bancocrazia”
[2] Alessandro Somma “La sovranità europea è un regalo ai mercati”, La Fionda, 3 Giugno 2024
[3] John Maynard Keynes (Autore) “Le conseguenze economiche della pace” Franco Salvatorelli (Traduttore), Adelphi, 2007
[4] Sentenza del 08/06/2000 – Corte di Giustizia CEE – Sezione/Collegio 4. Pubblicato in Gazzetta Ufficiale – Serie C n. 273 del 23/09/2000
[5] Eunews <La Corte UE ai magistrati tedeschi: “Solo noi siamo competenti giudicare se un atto di un’istituzione dell’Unione è contrario al diritto UE”> articolo di Ezio Baldari 8 Maggio 2020
[6] Mauro Ronco IL GAP DEMOCRATICO DELL’EUROPA” CENTRO STUDI ROSARIO LIVATINO 14 FEB 2024
[7] Idem
Grazie alla primazia del diritto UE sulle legislazioni nazionali – e anche sulle Costituzioni nazionali (il che è un vero e proprio scellerato obbrobrio) – la UE tenta di diventare “sovrana” proprio perché le sue norme si impongono come sovrastanti quelle degli Stati nazionali. Gli Stati democratici devono dunque adeguare le loro leggi alle norme di una istituzione non democratica. Questo appare in netto contrasto con il primo articolo della Costituzione Italiana che, come noto, afferma che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Di fronte ai numerosi tentativi di procedere invece verso “una sovranità europea” la costituzionalista Fiammetta Salmoni si domanda: “Perché mai questa esortazione alla “costruzione della sovranità europea” senza pensare all’unico modo democratico per farlo, ossia eleggere un’Assemblea costituente che approvi una Costituzione e dia vita, forma e sostanza a uno Stato sovrano europeo, legittimato dalla volontà popolare? “[1]. Chi scrive dubita che potrà mai tenersi un’assemblea Costituente rappresentativa della volontà dei popoli dei 27 Stati europei. In ogni caso la risposta della Salmoni è chiara: “Costruire la sovranità a piccoli passi o istituire una Costituzione europea attraverso il metodo intergovernativo sono forzature giuridiche per consentire all’UE di gestire tutte le istanze economiche e finanziarie al livello sovranazionale, libera di indirizzare il mercato nella direzione che meglio crede, senza i vincoli necessari alla cattura dell’economico nel politico, senza Stato e senza Costituzione, senza demos e senza democrazia e senza redistribuzione, senza protezione sociale e senza eguaglianza sostanziale”.
Secondo il costituzionalista Alessandro Somma è sbagliato e mistificante il tentativo di legittimare la superiore sovranità della UE giustificandola in quanto portatrice di pace, mentre, al contrario, le sovranità nazionali sarebbero inevitabilmente causa di sciovinismo, guerre e conflitti[2]. Somma sottolinea che casomai sono i governi ultranazionalisti, i fascismi nelle loro diverse forme, e anche i mercati deregolamentati tra i maggiori responsabili delle guerre e dei conflitti. La sovranità – che comporta il potere di un popolo di prendere decisioni autonome – non può dunque essere confusa con il sovranismo populista. E tra la principale causa delle guerre, come ha ben spiegato John Maynard Keynes, ci sono gli squilibri dei mercati finanziari internazionali che producono debiti insostenibili e quindi conflitti insanabili tra le nazioni[3].
Il principio del primato del diritto dell’Unione si è sviluppato nel tempo mediante la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, CGEU, con sede in Lussemburgo. La Corte è composta da un giudice per ogni Stato membro (27), assistiti da undici avvocati generali. I giudici e gli avvocati generali sono nominati di comune accordo dai governi degli Stati membri con mandato di sei anni rinnovabile. Essi sono scelti tra i giuristi di notoria competenza o aventi i requisiti per ricoprire le più alte funzioni giurisdizionali nei paesi d’appartenenza. I giudici della Corte designano tra loro il presidente con un mandato di tre anni, rinnovabile. La Corte di Giustizia è costituita da due giurisdizioni: la Corte di Giustizia vera e propria e il Tribunale. Essa è responsabile della giurisdizione dell’Unione europea. I due organi giurisdizionali garantiscono la corretta interpretazione e applicazione del diritto primario e del diritto derivato dell’Unione all’interno del suo territorio. Essi controllano la legalità degli atti delle istituzioni dell’Unione e statuiscono in merito al rispetto da parte degli Stati membri degli obblighi derivanti dal diritto primario e dal diritto derivato. La Corte di giustizia interpreta altresì il diritto dell’Unione, su richiesta dei giudici nazionali. La CGUE interpreta il diritto dell’UE per garantire che sia applicato allo stesso modo in tutti gli Stati membri e dirime le controversie giuridiche tra governi nazionali e istituzioni dell’UE. La CGUE può essere adita, in talune circostanze, anche da singoli cittadini, imprese o organizzazioni allo scopo di intraprendere un’azione legale contro un’istituzione dell’UE qualora ritengano che abbia in qualche modo violato i loro diritti. La Corte giudica delle controversie fra Stati membri, istituzioni europee, imprese e normali cittadini. Le sentenze della Corte di Giustizia che interpretano regolamenti dell’Unione Europea hanno applicazione immediata e necessaria negli ordinamenti nazionali e hanno una efficacia immediata nel diritto degli Stati membri.
Il principio del primato del diritto dell’Unione si è sviluppato gradualmente mediante la giurisprudenza della CCEU. La CGEU ha stabilito che gli obiettivi dei trattati sarebbero stati compromessi se il diritto dell’Unione fosse stato subordinato al diritto nazionale. Secondo la CGEU con il trasferimento di alcuni poteri all’Unione, gli Stati membri hanno limitato i loro diritti sovrani; pertanto, per essere efficaci, le norme dell’Unione devono prevalere su qualsiasi disposizione del diritto nazionale, comprese – altro fatto eccezionale – le Costituzioni. Secondo la Corte, i giudici nazionali devono garantire la piena applicabilità delle norme comunitarie “disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la rimozione per via legislativa o mediante altro procedimento costituzionale”[4].
Però stranamente il principio del primato del diritto dell’Unione non è sancito dai trattati dell’Unione, sebbene al riguardo vi sia una breve dichiarazione allegata al trattato di Lisbona. In pratica la CGEU si è auto-attribuita il potere di sovrastare le legislazioni e le Costituzioni nazionali. La cosa, se non fosse accaduta nell’Europa democratica, avrebbe il sapore di un colpo di Stato. Non a caso la Corte Costituzionale tedesca, ma a suo tempo anche altre Corti Costituzionali e anche altri governi, soprattutto quelli della Polonia e dell’Ungheria, hanno obiettato e obiettano sulla primazia del diritto dell’Unione rispetto alle Costituzioni dei paesi della UE.
Gli atti comunitari prevalgono immediatamente su quelli degli Stati membri sia rispetto a quelli preesistenti all’approvazione della norma comunitaria che per quelli emanati successivamente. Si tratta quindi di una priorità ontologica, non temporale. In presenza di una legge nazionale che contrasti con una norma comunitaria, il giudice ordinario deve disapplicare la legge nazionale nel caso specifico e applicare il diritto dell’Unione, senza porre quesiti di incostituzionalità o attendere che il legislatore nazionale risolva il conflitto di giurisprudenza adeguandolo al diritto dell’Unione.
Questa primazia risulta accolta di fatto dalle giurisprudenze nazionali di tutti gli Stati membri, con l’unico limite del rapporto con le Costituzioni nazionali che resta ancora piuttosto incerto e problematico. La primazia del diritto UE è stato accolto anche dalla Corte Costituzionale italiana in base all’articolo 11 della Costituzione italiana. L’articolo 11 come noto consente che la Repubblica possa accettare limitazioni alla sua sovranità aderendo a organismi sovranazionali. “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. L’articolo 11 fu scritto in previsione della partecipazione dell’Italia all’Organizzazione delle Nazioni Unite e alla NATO. Occorre però capire se la NATO e la UE siano realmente organizzazioni per la pace o no. Molti potrebbero avere dei seri e più che legittimi dubbi. Inoltre non sembra che all’interno di queste due organizzazioni ci sia una effettiva parità di potere tra i paesi membri, come richiesto dall’articolo 11 della Costituzione Italiana. Germania e Grecia non pesano alla stessa maniera nella UE. Infine, da ultimo ma non per ultimo, l’articolo 11 pone delle “limitazioni” alla sovranità nazionale ma non permette delle “cessioni” di sovranità.
La Corte Costituzionale Italiana ha tuttavia più volte ribadito la legittimità del rapporto di subordinazione fra l’ordinamento UE e quello italiano, pur precisando che tale principio, come si è scritto sopra, incontra il limite invalicabile dei principi supremi della Costituzione. In effetti la Corte si riserva il potere di sindacato circa l’interferenza con eventuali “controlimiti”. Si riserva in particolare il diritto di respingere le leggi della UE se eventualmente contrastassero con i diritti fondamentali sanciti dai primi 12 articoli della Costituzione.
Molto più problematico è il rapporto tra la Corte Costituzionale tedesca e la primazia del diritto dell’Unione e quindi anche la primazia della CGEU. Sin dall’inizio la Corte tedesca scelse di provvedere a adempiere al principio della primazia CGEU per via giurisprudenziale: la Corte costituzionale tedesca ha ritenuto che fintanto che il diritto dell’Unione prevede un livello di tutela dei diritti fondamentali in linea con le tutele offerte dalla sua Costituzione non avrebbe riesaminato più atti specifici dell’Unione alla luce delle norme costituzionali. Se pure non si disconosceva la possibilità che gli organi comunitari potessero stabilire norme giuridiche direttamente applicabili e valide entro l’ordinamento della Repubblica federale, comunque la Corte costituzionale tedesca ha inteso contenere l’ingerenza del diritto extra-nazionale giustificando questo contenimento con lo stato ancora limitato del processo di integrazione e democratizzazione europea. Secondo la Corte tedesca questo processo era (e è) caratterizzato da un “deficit di democrazia” e dall’assenza di un catalogo di diritti fondamentali il cui contenuto assicuri in maniera inequivocabile un livello standard di garanzia ai cittadini tedeschi per lo meno pari a quello già riconosciuto dalla Legge Fondamentale della Germania.
Il rapporto tra le istituzioni della UE, la CGEU e la Corte Costituzionale tedesca è sempre stato molto conflittuale. In più occasioni la Corte tedesca ha contestato le decisioni della BCE in merito al Quantitative Easing criticandola per avere esorbitato dai suoi poteri. Ma la Corte di Giustizia Europea ha sempre rimandato al mittente le critiche. La CGEU ha replicato che “solo la Corte di Giustizia, istituita a tal fine dagli stati membri, è competente a constatare che un atto di un’istituzione dell’Unione è contrario al diritto dell’Unione”[5]. Resta tuttavia il fatto fondamentale che le leggi dell’Unione sono emanate da organi non democratici nati da trattati intergovernativi senza avere fondamento in nessun atto costituzionale. Questo fatto resta assolutamente critico per la legittimazione delle norme europee, oggi come nel futuro.
E’ chiaro che un sistema dominato dal diritto dell’Unione genera un grave logoramento del principio di rappresentatività del Parlamento nazionale con inevitabili effetti lesivi dell’intero assetto democratico dello Stato. Il rischio consiste nel fatto che l’erosione della legalità statale a opera di un ente superiore sovranazionale costituisce la strada lungo la quale si perde il senso di rappresentatività della politica e, conseguentemente, si soffoca la democrazia.
Vale la pena di citare l’analisi critica del penalista italiano Mauro Ronco a proposito della prevalenza del diritto comunitario su quello italiano. Secondo Ronco non bisognerebbe mai dimenticare che “un sistema genericamente aperto alle fonti esterne più diverse (come quelle della UE, NdA), talora prive dello stesso peso normativo della stessa legge statale, avrebbe generato un grave logoramento del principio di rappresentatività del Parlamento nazionale con inevitabili effetti lesivi dell’intero assetto democratico dello Stato”.
“Se, come è universalmente riconosciuto, il principio di legalità riposa sull’esigenza che la fonte delle norme penali esprima una cifra reale di rappresentatività nei confronti dei destinatari, allora è incongruo, nell’attuale momento storico, postulare l’estensione della competenza penale diretta a favore di organismi sovranazionali o internazionali, poiché questi soltanto a fatica posseggono una ridotta e parziale valenza rappresentativa e poiché, se già è difficile ai cittadini conoscere la portata reale della legge nazionale, quasi impossibile è per essi la conoscenza delle normative di carattere sovranazionale e internazionale”[6].
Se poi si pensa che il diritto europeo prodotto dalla CGEU non si fonda su una Costituzione europea – respinta a suo tempo dai cittadini francesi e olandesi – ma su una delibera della CGEU stessa, allora diventa difficile pensare che la UE, in quanto insieme di istituzioni non democratiche, possa legittimamente elaborare e garantire le leggi che tutti gli Stati europei e i loro cittadini e le loro cittadine sono chiamati a rispettare.
“Si verifica pertanto un duplice gap democratico. Il primo, all’interno dell’istituzione europea, ove è impossibile un’opposizione organizzata; il secondo, all’interno dei singoli Stati, ove non solo le decisioni sulle materie di competenza europea sono assunte dai governi, che raramente informano compiutamente il Parlamento nazionale in ordine ai problemi aperti sul tavolo europeo, ma soprattutto per la ragione che le decisioni dei governi sono frutto del compromesso formatosi segretamente nel corso delle discussioni riservate tra i rappresentanti dei governi nel Consiglio. L’assenza di un dibattito politico nell’Unione europea ha provocato due importanti conseguenze. La prima consiste nella progressiva burocratizzazione dell’istituzione, che è governata da una pletora innumerevole di funzionari e di uffici che tendono ad agire in una crescente atmosfera di autoreferenzialità, ove trova per giunta ampio spazio la lobbistica più incontrollata…La lobbistica è poi la vera dominatrice dei lavori degli uffici dell’Unione. Poiché gli obiettivi e le scelte vengono presentati come politicamente ‘neutrali’; dettati solo dalle evidenze delle varie scienze, la governance effettiva dell’istituzione passa nelle mani degli scienziati, rectius: di coloro che le lobbies agenti nei vari settori sono riusciti a presentare come gli scienziati più accreditati in ciascun campo di esperienza…Tramite la via tecnica e senza dibattito politico i tecnocrati modificano gli stessi assetti socio-economici della società. Nessuna scelta politica sembra avere sovrainteso a tale decisione, apparentemente dettata dall’interesse comune al risparmio energetico. Eppure una tale scelta, che non è soltanto tecnica, determina effetti socio-politici di portata quasi inimmaginabile, che nessuno ha calcolato preventivamente, nell’ovvio e doveroso bilanciamento politico tra costi e benefici di qualsiasi decisione. La depoliticizzazione dell’Unione provoca una corrispondente depoliticizzazione a livello nazionale. Se, infatti, le decisioni che contano sono assunte a livello sovranazionale, non è verosimile che il loro contenuto possa essere discusso e approfondito a livello nazionale: l’opposizione è in questo modo priva di efficacia e coloro che la rappresentano sono costretti ad assumere una posizione remissiva…E’ possibile, tuttavia, che – mancando la chance di una opposizione interna all’Unione – si generi tra le popolazioni di ogni Stato dell’Unione un’opposizione esterna – nel linguaggio anglofono: ‘contro la polity’ –, ovvero un rigetto dell’istituzione europea nei suoi fondamenti, nella sua struttura e nei suoi obiettivi…Il fenomeno, ormai latente da svariati anni in alcuni paesi, è esploso di recente con l’episodio della rivolta degli agricoltori. Generalmente i conati di rivolta sono stati bollati dal mainstream politico, sovranazionale e nazionale, con il sostantivo non proprio esaltante di ‘populismo’[7].
[1] Fiammetta Salmoni “La sovranità, il sovranismo e la scelta della democrazia contro la bancocrazia”
[2] Alessandro Somma “La sovranità europea è un regalo ai mercati”, La Fionda, 3 Giugno 2024
[3] John Maynard Keynes (Autore) “Le conseguenze economiche della pace” Franco Salvatorelli (Traduttore), Adelphi, 2007
[4] Sentenza del 08/06/2000 – Corte di Giustizia CEE – Sezione/Collegio 4. Pubblicato in Gazzetta Ufficiale – Serie C n. 273 del 23/09/2000
[5] Eunews <La Corte UE ai magistrati tedeschi: “Solo noi siamo competenti giudicare se un atto di un’istituzione dell’Unione è contrario al diritto UE”> articolo di Ezio Baldari 8 Maggio 2020
[6] Mauro Ronco IL GAP DEMOCRATICO DELL’EUROPA” CENTRO STUDI ROSARIO LIVATINO 14 FEB 2024
[7] Idem
giugno
Enrico Grazzini 8 giugno 2024
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