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16 febbraio 2020
Brexit, sovranità e teoria monetaria moderna
E se la Brexit fosse un toccasana per l’Inghilterra? Finora sembra proprio così: economia più fiorente, il controllo delle frontiere, una libertà d’azione che la gabbia degli eurocrati non consente. La moneta propria era stata già conservata, la vecchia sterlina della Banca d’Inghilterra fondata dopo la “gloriosa rivoluzione” alla fine del XVII secolo. Pazienza se torna qualche convulsione scozzese: a nord del vallo di Adriano chiedono l’indipendenza per diventare dipendenti di Bruxelles. Il mondialismo odia gli Stati nazionali forti, promuove il secessionismo di piccole nazioni senza Stato. E’ così anche in Spagna, con l’indipendentismo catalano che vuole staccarsi da Madrid per attaccarsi di più all’Unione Europea.
Intanto, non se ne può più di menzogne, attacchi, ironie e sarcasmi degli europoidi installati nelle maggiori redazioni e nelle università che fanno opinione e, purtroppo, scienza creduta. La prima obiezione che muoviamo loro è l’incomprensione – meglio la tenace negazione – dei sistemi monetari postmoderni fiat.
7 febbraio 2020
12 settembre 2019
La copertura per la Brexit
Lo scorso 26 agosto è entrato in vigore il secondo pacchetto di sanzioni contro la Russia, studiato in coordinamento con gli Stati Uniti e tanto voluto da Trump. Le sanzioni hanno preso nel mirino le principali banche Russe come: Veb Bank, Sberbank, VTB, RSHB; per lo più colpendo gli investimenti esteri.
Alla base di questa nuova ondata delle sanzioni c’è il caso Skripal ex spia russa avvelenata con un agente nervino nel aprile del 2018 insieme alla sua figlia a Salisbury, che ancora oggi resta irrisolto.
Non a caso il pacchetto di sanzioni viene introdotto proprio nel momento giusto per il primo ministro Boris Johnson, impegnato nella lotta con l’opposizione per l’uscita dall’UE che cade il prossimo 31 ottobre.
Alla base di questa nuova ondata delle sanzioni c’è il caso Skripal ex spia russa avvelenata con un agente nervino nel aprile del 2018 insieme alla sua figlia a Salisbury, che ancora oggi resta irrisolto.
Non a caso il pacchetto di sanzioni viene introdotto proprio nel momento giusto per il primo ministro Boris Johnson, impegnato nella lotta con l’opposizione per l’uscita dall’UE che cade il prossimo 31 ottobre.
18 febbraio 2019
72 giorni alla No Deal Brexit
Ammuina britannica e altre questioni continentali
Il Parlamento inglese ha inflitto una sonora sconfitta a Theresa May, affossando l’accordo Regno Unito-Unione Europea faticosamente redatto sin dalla primavera del 2017. La bocciatura dell’accordo era una condizione necessaria, ma non sufficiente, per arrivare alla No Deal Brexit, che Londra persegue segretamente sin dall’esito del referendum: tocca ora ai partiti paralizzare il Parlamento inglese sino al 29 marzo. Lo choc della No Deal Brexit infliggerà un durissimo colpo alla già debilitata Unione Europea, sempre più vicina alla recessione. Altri interessanti avvenimenti suggeriscono una politica angloamericana dall’inconfondibile sapore anti-continentale.
Il Parlamento inglese ha inflitto una sonora sconfitta a Theresa May, affossando l’accordo Regno Unito-Unione Europea faticosamente redatto sin dalla primavera del 2017. La bocciatura dell’accordo era una condizione necessaria, ma non sufficiente, per arrivare alla No Deal Brexit, che Londra persegue segretamente sin dall’esito del referendum: tocca ora ai partiti paralizzare il Parlamento inglese sino al 29 marzo. Lo choc della No Deal Brexit infliggerà un durissimo colpo alla già debilitata Unione Europea, sempre più vicina alla recessione. Altri interessanti avvenimenti suggeriscono una politica angloamericana dall’inconfondibile sapore anti-continentale.
18 gennaio 2019
L'Islanda sarebbe andata in bancarotta se avesse fatto parte dell'UE
L'Islanda è sopravvissuta con successo a una bancarotta sovrana e al crollo nel 2008 grazie al fatto che era al di fuori dell'UE in quanto questo ha permesso al paese di "recuperare, nonostante l'enorme vastità delle passività delle sue banche", sosteneva nel suo libro esplosivo l'attivista e l'eurodeputato Daniel Hannan.
L'Islanda non è un membro dell'Unione europea, ma ha accesso al mercato unico del blocco attraverso l'adesione all'Associazione europea di libero scambio (EFTA) e allo Spazio economico europeo (SEE). Ciò significa che beni, servizi e persone possono spostarsi dall'UE all'Islanda e viceversa. Il Regno Unito è stato membro fondatore dell'EFTA nel 1960, ma ne uscì per entrare nel mercato comune della CEE nel 1973.
L'Islanda non è un membro dell'Unione europea, ma ha accesso al mercato unico del blocco attraverso l'adesione all'Associazione europea di libero scambio (EFTA) e allo Spazio economico europeo (SEE). Ciò significa che beni, servizi e persone possono spostarsi dall'UE all'Islanda e viceversa. Il Regno Unito è stato membro fondatore dell'EFTA nel 1960, ma ne uscì per entrare nel mercato comune della CEE nel 1973.
25 giugno 2018
La decomposizione dell'U€
L'Unione europea si decompone. Molto chiaramente, il problema dei "migranti" ha giocato il ruolo di detonatore. A questa questione si sommano gli errori politici, un discorso con pretesa morale che si rivela fondamentalmente moralista e un'enorme ipocrisia.
Ne è prova il caso dell'Acquarius, questa nave noleggiata dall'ONG SOS-Méditerranée. Ma, in sostanza, questo problema ha solo riflesso le contraddizioni interne che si sono sviluppate in seno all'UE. In un certo senso, è probabile che pochi leader "credano" ancora in una UE federale.
Questa scomposizione potrebbe portare a varie soluzioni, e anche se il nome "Unione europea" dovesse sopravvivere, è chiaro che non sarebbe più l'UE come era stata immaginata e messa in pratica dopo il voto del famoso "Atto unico" del 1986. Stiamo assistendo al crollo di oltre trent'anni di "costruzione europea".
Questa scomposizione potrebbe portare a varie soluzioni, e anche se il nome "Unione europea" dovesse sopravvivere, è chiaro che non sarebbe più l'UE come era stata immaginata e messa in pratica dopo il voto del famoso "Atto unico" del 1986. Stiamo assistendo al crollo di oltre trent'anni di "costruzione europea".
25 gennaio 2018
Stato di Polizia Globale
Lo stato di polizia globale fa riferimento a tre dimensioni intrinseche.
Innanzitutto, si riferisce all'esistenza di sistemi sempre più diffusi di controllo sociale di massa, di repressione e guerra promossi da gruppi dominanti per contenere la reale o potenziale ribellione della classe operaia globale e dell'umanità superflua.
Innanzitutto, si riferisce all'esistenza di sistemi sempre più diffusi di controllo sociale di massa, di repressione e guerra promossi da gruppi dominanti per contenere la reale o potenziale ribellione della classe operaia globale e dell'umanità superflua.
In secondo luogo, si riferisce alla crescente dipendenza dell'economia globale dallo sviluppo e dalla diffusione di questi sistemi di guerra, controllo sociale e repressione semplicemente come un mezzo per trarre profitto e continuare ad accumulare capitale di fronte alla stagnazione - ciò che chiamo l'accumulazione militarizzata, o l'accumulazione per repressione.
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24 novembre 2017
La BC€ propone di metter fine alla protezione dei depositi
ZeroHedge pubblica un articolo su un pericoloso provvedimento, già a lungo paventato, ma ora probabilmente in via di attuazione, che rimuove ogni garanzia sui depositi bancari (anche al di sotto di 100.000 euro). La logica prevalente nella UE è che, tutto mascherato dietro la tutela dei “contribuenti”, anche i piccoli risparmiatori si possano considerare alla stessa stregua degli azionisti, e attaccabili in un eventuale bail-in. Per tutelarsi dal rischio di una corsa agli sportelli infatti, secondo la BCE, non ha senso mantenere la piena libertà di accesso ai conti, che potrebbero venire congelati a prescindere dal loro ammontare.
È “opinione della Banca Centrale Europea” che il programma di protezione dei depositi non sia più necessario:
È “opinione della Banca Centrale Europea” che il programma di protezione dei depositi non sia più necessario:
“La copertura dei depositi protetti e dei crediti soggetti al programma di compensazione degli investitori dovrebbe essere sostituita da esenzioni discrezionali limitate concesse dall’autorità competente al fine di mantenere un certo grado di flessibilità“.
18 ottobre 2017
“L’Europa a due velocità” passa per il sacco di Roma
L’eurocrisi sta entrato nell’ultima fase e, guardando indietro, si può finalmente afferrare il grande disegno nel suo complesso: tutte le tappe salienti dell’Unione Europea, dal Trattato di Maastricht all’imposizione dell’austerità, passando per la demolizione della Prima Repubblica ed il sostegno alle forze secessionistiche, sono riconducibili ad un solo, coerente, obiettivo. La fondazione degli Stati Uniti d’Europa, allargati all’intero continente, è stata scartata da anni, sempre che sia stata mai presa seriamente in considerazione. Dal 2011 in avanti, si persegue la nascita di un nocciolo federale circoscritto a Germania, Francia e realtà minori. Il destino dell’Europa meridionale è il default e lo smembramento, così da annettere alcuni territori agli USE: l’uscita dall’Unione Europea è l’unica salvezza per Italia e Spagna.
Tutto è finalmente chiaro: Macron, Monti e Bossi giocano nella stessa squadra
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6 settembre 2017
Perché l’Irlanda dovrebbe seriamente pensare alla "Irexit"
Bisogna che parliamo di Irexit. Sul serio. A infilare la testa nella porta di una delle innumerevoli riunioni in cui si discutono tutte le questioni legate alla Brexit, l’unica parola che non si osa pronunciare è Irexit. La follia dei Britannici? Certo. Quanto sono male organizzati e divisi? Naturale. Quanto le loro aspettative sono irrealistiche? Certamente.
Con poche, notevoli eccezioni, l’ Irlanda “ufficiale” si è bevuta lo spin. Ha reso l’Unione Europea custode dei nostri interessi nazionali. Ha ceduto la responsabilità dei negoziati sulla nostra futura relazione con il Paese che ci è più vicino e con lo Stato che è il nostro più grande partner commerciale. Tutto questo non ha senso. I rischi del negoziare l’approvazione dell’ “Europa” sugli interessi a lungo termine del Paese sono enormi.
3 giugno 2017
Attentato di Manchester: quello che non sappiamo
Il 22 maggio alle 22:30 circa una bomba è stata fatta detonare al concerto di Ariana Grande alla Manchester Arena, a Manchester, Regno Unito. Molto è emerso sulla stampa nazionale e sulla TV in merito all'attentato. Ma ci sono alcune cose che non sappiamo.
Nelle prime ore della mattina del 23 maggio - circa alle 2:35 ora locale - la NDTV attraverso il Washington Post ha dichiarato in modo abbastanza categorico che: "funzionari USA, parlando in modo anonimo, hanno identificato l'assaltatore come Salman Abedi. Non hanno fornito informazioni sulla sua età o nazionalità, e i funzionari britannici hanno rifiutato di fornire commenti sull'identità del sospettato".
Ciò è stato reso pubblico in un momento in cui la Polizia britannica e i servizi di sicurezza stavano rifiutando di rilasciare qualsiasi dichiarazione su chi fossero secondo loro gli attentatori, perché al momento stavano affrontando le conseguenze del disastro.
Ci si domanda come dei "funzionari USA" che richiedevano di restare anonimi potessero correttamente identificare l'individuo quattro ore dopo il disastro da una distanza di 3500 miglia, in particolare quando la Polizia britannica e i servizi di sicurezza continuavano a non fornire alcuna dichiarazione.
Nelle prime ore della mattina del 23 maggio - circa alle 2:35 ora locale - la NDTV attraverso il Washington Post ha dichiarato in modo abbastanza categorico che: "funzionari USA, parlando in modo anonimo, hanno identificato l'assaltatore come Salman Abedi. Non hanno fornito informazioni sulla sua età o nazionalità, e i funzionari britannici hanno rifiutato di fornire commenti sull'identità del sospettato".
Ciò è stato reso pubblico in un momento in cui la Polizia britannica e i servizi di sicurezza stavano rifiutando di rilasciare qualsiasi dichiarazione su chi fossero secondo loro gli attentatori, perché al momento stavano affrontando le conseguenze del disastro.
Ci si domanda come dei "funzionari USA" che richiedevano di restare anonimi potessero correttamente identificare l'individuo quattro ore dopo il disastro da una distanza di 3500 miglia, in particolare quando la Polizia britannica e i servizi di sicurezza continuavano a non fornire alcuna dichiarazione.
5 aprile 2017
Lo studio di Bank of America sul "Day After" dell'€uro
Il giornale tedesco die Welt dà spazio a uno studio appena pubblicato da Bank of America sulle conseguenze di un’eventuale rottura dell’unione monetaria sui cambi delle valute europee. Le previsioni sono ben lontane dagli scenari paventati dalla stampa mainstream: per i Paesi del Sud si tratterebbe di svalutazioni inferiori al 10%, mentre il vero sconfitto sarebbe la Germania, che si troverebbe a far fronte ad un enorme apprezzamento della valuta. Al di là dei risultati dell’analisi in sé, che non sorprenderanno i lettori di Goofynomics, o del sito Asimmetrie, questa ricerca segna un’importante presa di posizione degli Stati Uniti rispetto al tema Euro.
Fino a pochi anni fa la rottura della zona euro sembrava essere un’opzione più che realistica.
La Grexit, ovvero l’uscita della Grecia, era stata ampiamente prevista, e in particolare gli investitori anglosassoni avevano iniziato a scommetterci sopra, sicuri che dopo un tale evento l’euro stesso sarebbe scomparso nei meandri della storia. Una scommessa rivelatasi vana, fino a questo momento.
La Grexit, ovvero l’uscita della Grecia, era stata ampiamente prevista, e in particolare gli investitori anglosassoni avevano iniziato a scommetterci sopra, sicuri che dopo un tale evento l’euro stesso sarebbe scomparso nei meandri della storia. Una scommessa rivelatasi vana, fino a questo momento.
11 febbraio 2017
Il re €uro è nudo
Le recenti dichiarazioni di Draghi e della Merkel in merito all'assetto economico europeo aprono a cambiamenti giudicati impensabili fino a poco fa. L'impressione è che il vento stia veramente cambiando e che anche l'euro non sia più così irreversibile.
Euro: finalmente comincia a smuoversi qualcosa. Sono degne di nota le parole di Mario Draghi in risposta all’interrogazione di due europarlamentari M5S per quanto riguarda la questione uscita dell’Italia dalla moneta unica. Ma ancora di più le recenti parole di Angela Merkel che di fatto aprono ad un’Europa a due velocità, ovvero un’Europa in cui alcuni paesi potrebbero non essere tenuti ad un’integrazione completa. Queste dichiarazioni si innestano sulla recente uscita di Peter Navarro, numero uno del Consiglio Nazionale per gli Scambi Commerciali della Casa Bianca, che ha palesato quel che era evidente da tempo, cioè che la Germania sta sfruttando un euro esageratamente sottovalutato per sfruttare i suoi partner commerciali, compresi gli States.
Euro: finalmente comincia a smuoversi qualcosa. Sono degne di nota le parole di Mario Draghi in risposta all’interrogazione di due europarlamentari M5S per quanto riguarda la questione uscita dell’Italia dalla moneta unica. Ma ancora di più le recenti parole di Angela Merkel che di fatto aprono ad un’Europa a due velocità, ovvero un’Europa in cui alcuni paesi potrebbero non essere tenuti ad un’integrazione completa. Queste dichiarazioni si innestano sulla recente uscita di Peter Navarro, numero uno del Consiglio Nazionale per gli Scambi Commerciali della Casa Bianca, che ha palesato quel che era evidente da tempo, cioè che la Germania sta sfruttando un euro esageratamente sottovalutato per sfruttare i suoi partner commerciali, compresi gli States.
1 febbraio 2017
Non la Nato, ma la sinistra è «obsoleta»
Autorevoli voci della sinistra europea si sono unite alla protesta anti-Trump «No Ban No Wall», in corso negli Stati uniti, dimenticando il muro franco-britannico di Calais in funzione anti-migranti, tacendo sul fatto che all’origine dell’esodo di rifugiati ci sono le guerre a cui hanno partecipato i paesi europei della Nato. Si ignora il fatto che negli Usa il bando blocca l’ingresso di persone provenienti da quei paesi – Iraq, Libia, Siria, Somalia, Sudan, Yemen, Iran – contro cui gli Stati uniti hanno condotto per oltre 25 anni guerre aperte e coperte: persone alle quali sono stati finora concessi i visti d’ingresso fondamentalmente non per ragioni umanitarie, ma per formare negli Stati uniti comunità di immigrati (sul modello di quella dei fuoriusciti cubani anti-castristi) funzionali alle strategie Usa di destabilizzazione nei loro paesi di origine.
L'intreccio tra razza e classe
Convinti che l'elezione di un presidente nero avesse finalmente inaugurato una società post-razziale, opinionisti e leader politici statunitensi avevano messo in pensione l'accusa di razzismo dal discorso pubblico.
Con la maggior parte delle porte aperte di club privati e quartieri bene alle élite afro-americane, con celebrità, eroi dello sport e dello spettacolo di colore ampiamente accettate dai bianchi, le barriere razziali - ci avevano detto - erano cosa del passato.
Barack Obama fece molto durante la sua presidenza per evidenziare questa immagine, evitando sistematicamente qualsiasi allusione a modelli di ingiustizia o intolleranza razziale.
E quando la violenza razzista della polizia, inizialmente ignorata, è stata portata alla ribalta dalla denuncia inequivocabile delle onnipresenti videocamere e telefoni cellulari, i media e i leader politici l'hanno respinta come aberrante o legalmente ambigua.
Il presidente Obama ad aprile di quest'anno, tenendo una lezione ai giovani sul valore della pazienza e dell'incrementalismo a Londra [a proposito dell'allora eventuale Brexit, ndt], ha cercato di minimizzare la questione: "Non si può solo continuare a urlare", osservazione indirizzata al portavoce di Black Lives Matter, organizzazione statunitense contro la violenza della polizia.
Barack Obama fece molto durante la sua presidenza per evidenziare questa immagine, evitando sistematicamente qualsiasi allusione a modelli di ingiustizia o intolleranza razziale.
E quando la violenza razzista della polizia, inizialmente ignorata, è stata portata alla ribalta dalla denuncia inequivocabile delle onnipresenti videocamere e telefoni cellulari, i media e i leader politici l'hanno respinta come aberrante o legalmente ambigua.
Il presidente Obama ad aprile di quest'anno, tenendo una lezione ai giovani sul valore della pazienza e dell'incrementalismo a Londra [a proposito dell'allora eventuale Brexit, ndt], ha cercato di minimizzare la questione: "Non si può solo continuare a urlare", osservazione indirizzata al portavoce di Black Lives Matter, organizzazione statunitense contro la violenza della polizia.
18 novembre 2016
A chi e a cosa serve il Si al referendum?
Consentitemi di essere tranchant, e quindi di perdere per strada le necessarie sfumature. Non esiste una ragione obiettiva per sostenere la riforma della Costituzione. Non raggiunge nemmeno gli obiettivi che essa stessa si propone (ammesso che siano obiettivi realment utili, cosa che nego). Non velocizza il processo legislativo, perché crea una congerie di procedure diverse, con grossi rischi di ricorsi e incertezze, non consente di risparmiare, perché il risparmio è una micro-goccia nell’oceano del bilancio pubblico, non razionalizza il rapporto Stato-Regioni, perché di fatto elimina il secondo elemento della dialettica, in nome di un neo-centralismo assolutamente inadeguato a gestire la complessità territoriale e sociale del Paese.
16 novembre 2016
Disintegrazione dell’€uropa o processo costituente?
Crisi, governo dell’emergenza e prospettive di nuova invenzione democratica
Il testo che qui proponiamo in versione italiana nasce da una comune ricerca, intrapresa nel corso della prima metà del 2016 intorno alle “crisi multiple” del processo d’integrazione europea. È in corso di pubblicazione in tedesco nel volume curato da Mario Candeias e Alex Demirović, Europe – What’s Left? Die Europäische Union zwischen Zerfall, Autoritarismus, und demokratische Erneuerung, Münster, Westfälisches Dampfboot, 2017. Integrato con alcune considerazioni successive all’esito del referendum sulla Brexit, l’articolo è stato scritto ovviamente prima dei risultati delle elezioni presidenziali americane. Ancora non è dato sapere quale impatto possa avere Trump alla Casa Bianca sulle relazioni tra le due sponde dell’Atlantico, all’interno del più generale sommovimento che su scala planetaria la sua vittoria andrà a produrre. Nondimeno riteniamo che già alcune delle tesi contenute in questo contributo – dal ruolo dell’Europa nel contesto capitalistico globale alla reale natura dei “sovranismi” di cui lo stesso Trump è certamente espressione, fino alla necessità di articolare molteplici e convergenti livelli d’iniziativa, sociale e politica, alternativa – possano contribuire al dibattito in corso. E a un suo ulteriore avanzamento, a partire dai nodi politici che il testo, e prima ancora la realtà contemporanea, lasciano irrisolti e aperti alla discussione collettiva.
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15 novembre 2016
Trump è per il neo-liberalismo quel che la caduta del Muro fu per il socialismo reale
La vittoria travolgente di Donald Trump nelle elezioni per la presidenza degli Stati Uniti, ancora più straordinaria data l'ostilità attiva della stragrande maggioranza dell'establishment finanziario, economico, culturale, mediatico, inclusi i maggiorenti del Partito Repubblicano, chiude la lunga fase storica iniziata a cavallo degli anni '80 al di là e al di qua dell'Atlantico.
Dopo la Brexit del 23 giugno scorso, una "Brexit plus, plus" è arrivata l'8 Novembre. Sono scosse politiche di magnitudo massima, successive a una sequenza di scosse minori: le elezioni regionali in Francia, le presidenziali in Austria, le amministrative in Italia, il crollo del consenso alle grandi-coalizioni nelle elezioni regionali in Germania, per ricordare soltanto le più recenti. Il messaggio di fondo è chiaro: l'insostenibilità economica, sociale e democratica del capitalismo neo-liberista, della globalizzazione dei capitali e di merci e servizi giocata sulla svalutazione del lavoro.
Dopo la Brexit del 23 giugno scorso, una "Brexit plus, plus" è arrivata l'8 Novembre. Sono scosse politiche di magnitudo massima, successive a una sequenza di scosse minori: le elezioni regionali in Francia, le presidenziali in Austria, le amministrative in Italia, il crollo del consenso alle grandi-coalizioni nelle elezioni regionali in Germania, per ricordare soltanto le più recenti. Il messaggio di fondo è chiaro: l'insostenibilità economica, sociale e democratica del capitalismo neo-liberista, della globalizzazione dei capitali e di merci e servizi giocata sulla svalutazione del lavoro.
3 settembre 2016
Salvare l'Unione Europea dall'€uro
«Si è recentemente tenuto il vertice di Ventotene tra il Primo Ministro Renzi, la Cancelliera Merkel e il Presidente Hollande. C’erano sul tavolo le questioni cruciali: i conflitti geopolitici ai confini dell’Unione Europea, la sicurezza interna, i flussi migratori e la crescita economica. L’incontro è stato animato da una grande ventata di retorica sul rilancio degli ideali dei padri fondatori dell’Europa unita. Ma alla fine non si è fatto nessun passo avanti per affrontare, nemmeno da un punto di vista analitico, i motivi fondamentali per i quali l’UE si sta disintegrando.
Come alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, le élite europee “sonnambule” tirano dritto senza rendersi conto della realtà, nonostante gli siano stati mandati dei messaggi molto chiari. In modo analogo agli sviluppi politici a cui stiamo assistendo sull’altro lato dell’Atlantico, il voto per la Brexit ha dimostrato l’insostenibilità economica, sociale e democratica dell’ordine neoliberista per un numero sempre crescente di famiglie della classe lavoratrice e della classe media.
16 agosto 2016
Theresa May e il cambiamento di paradigma
Un avvenimento di notevole importanza ha appena avuto luogo in Gran Bretagna, un avvenimento che potrebbe annunciare una svolta importante tanto per la politica interna britannica quanto, con le sue ripercussioni, per la Francia e numerosi altri paesi europei.
Theresa May, il primo ministro britannico succeduto a David Cameron dopo il referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea (il famoso Brexit), ha fatto un passo logico, eppure, nel contesto del suo Paese, quasi rivoluzionario. Presiedendo la prima riunione della commissione interministeriale sulla « strategia economica e industriale », martedì 2 Agosto, la May si è impegnata a mettere in piedi una vera politica industriale. Nella Gran Bretagna devastata da più di 35 anni di « neo-liberalismo » ciò equivale ad una piccola rivoluzione.
Il fatto che questa politica sia intrapresa da un primo ministro conservatore, il partito di Margaret Thatcher, sottolinea ancor più il carattere rivoluzionario della svolta operata da Theresa May.
Questa svolta annuncia un cambiamento di paradigma. Gli ultimi studi di organizzazioni come il FMI dipingono oggi la globalizzazione e il suo bilancio in maniera molto più negativa di quanto facessero una quindicina di anni or sono.
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