Era il simbolo della difesa dell’euro, ma potrebbe essere l’uomo che farà uscire il Paese dall’Unione Monetaria
L’Italia è passata attraverso tutti gli ingranaggi. Dalla rivolta democratica contro “l’euro e le élite eurofile” fino all’estremo opposto, quello di un “governo di tecnocrati“ guidato dall’ultimo Mr. €uro, senza che ci siano state elezioni lungo la strada. La fregatura è stata mozzafiato anche per coloro che pensavano di aver già visto tutto in Italia. In un certo senso, la nomina di Mario Draghi è astuta.
Ma coloro che stanno celebrando la “riconquista”, nei circoli dell’UE e nei mercati obbligazionari, dovrebbero stare attenti a cosa desiderano...
L'aumento dei casi di Covid-19 in paesi come Francia e Spagna ha aumentato il rischio di nuovi blocchi. I governi dovrebbero ormai aver capito che la chiusura dell'economia è altamente inefficiente e devastante per l'occupazione e la solvibilità delle imprese. Tuttavia, come abbiamo visto in Spagna, molti governi decidono semplicemente di avviare nuovi blocchi per dimostrare che stanno adottando misure aggressive, pur sapendo che queste generano effetti più negativi e non hanno alcun impatto reale sulla conservazione della salute. Invece di guardare agli esempi di Corea del Sud, Taiwan, Svezia o Austria, dove misure semplici ma efficaci hanno portato a una migliore gestione della crisi sanitaria, alcuni governi europei ignorano il disastro economico e sociale a lungo termine che la chiusura dell'economia ha creato e sembrano pronti a ripetere gli errori del passato.
Ci siamo già occupati della virulenta campagna politico-mediatica a favore del Mes che imperversa ormai da settimane nel nostro Paese. Abbiamo spiegato come la volontà di attivare questo meccanismo niente abbia a che fare con le enormi necessità economiche dell’Italia. Cosa c’è allora dietro a tanta foga, a tante falsità diffuse a piene mani dalle forze sistemiche? Ecco una domanda che può portarci lontano.
Ricapitoliamo anzitutto i termini della questione. Qualora attivato il Mes può fornire all’Italia un prestito pari al 2% del Pil, in soldoni 36 miliardi di euro. La propaganda vorrebbe farci credere che, a differenza di quello “vecchio”, il “nuovo” Mes sia privo di stringenti condizioni, ma – come abbiamo spiegato qui – ciò è falso. Al “nuovo” Mes si accede sì incondizionatamente, ma le regole statutarie di questa trappola ammazza-Stati scatteranno per statuto subito dopo.
Mentre in Italia il Coronavirus produce i suoi pesanti e scontati effetti economici/finanziari, nell’ottica di una più ampia destabilizzazione dell’Europa, altri Paesi risultano essere particolarmente investiti dalla virus: in primis Corea del Sud e Iran. Il diffondersi della malattia segue dunque criteri squisitamente geopolitici e si inserisce nella più ampia strategia delle potenze marittime anglosassoni contro la massa continentale afro-euro-asiatica. Sono trascorsi poco più di sette giorni dalla nostra ultima analisi sul diffondersi del Coronavirus in Italia e gli avvenimenti intercorsi ne mostrano la validità: a fronte di un numero relativamente basso di vittime (circa 80 su 2.500 casi) ed una mortalità di poco superiore alla normale influenza, questa acuta forma di polmonite ha prodotto, produce e produrrà enormi danni economici e finanziari, vero obiettivo dell’attacco asimmetrico di cui è vittima l’Italia.
Finalmente Mario Draghi è costretto ad ammettere che “la politica monetaria da sola è insufficiente per far ripartire l’inflazione e la crescita dell’Eurozona” e per la prima volta dichiara che “la politica fiscale dovrebbe diventare lo strumento principale per aumentare domanda” e avere “un ruolo molto più attivo”. In pratica Draghi ammette che le politiche monetarie adottate negli ultimi anni dalla BCE sono state fallimentari perchè non hanno prodotto gli effetti sperati nell’economia reale. Ma ammette anche che solo gli Stati possono raggiungere l’obiettivo di stimolare la domande interna attraverso le loro politiche fiscali. Infatti il Quantitative Easing QE e i prestiti al sistema bancario TLTRO non hanno prodotto effetti positivi nell’economia reale, ma sono solo serviti “per far fronte a tutte le nostre emergenze”, nel senso di salvare le banche e sostenere l’economia finanziaria.
I cittadini dell'Unione europea sono chiamati a votare questa settimana per il Parlamento europeo. Questo non è un vero parlamento, e non ha alcuna possibilità di diventarlo, poiché tutte le decisioni importanti sono prese dai capi non eletti della Commissione Europea e della Banca Centrale Europea, alias "la banca centrale peggio gestita del mondo". Tuttavia, queste elezioni riflettono un sentimento generale di frustrazione nei confronti delle politiche attuali. I partiti conservatori e di estrema destra progrediranno, riflettendo un diffuso scetticismo nei confronti dello sviluppo economico dell'UE e della mancanza di benefici per la gente comune. Purtroppo, la sinistra dominante trascura questi problemi e ne pagherà il prezzo.
La sovranità, a seguito di centocinquant’anni di lotte, coincide con la democrazia, e la democrazia è la libertà di un popolo che possa decidere di sé. Quindi io ritengo che l’imperativo morale cui dovremmo attenerci è considerarci solidali come popolo nella ricerca della nostra sovranità, intesa come dignità sociale degli italiani in quanto tali.
Dal 1918, ben 67 Paesi sono usciti da unioni monetarie - E la vita continua... Le unioni monetarie non sono state mai eterne, durano quel che durano. La storia conferma che non esiste segno monetario immutabile o che ci abbia accompagnato dai tempi di Adamo ed Eva. Neppure dall'epoca dell'antica Roma o -piú modestamente- da Napoleone. Neppure quelli in cui la potenza marittima britannica consolidó la sterlina e un breve ma redditizio impero. L'Europa sopravviverá alla UE perché il millenario crogiolo di civiltá-popoli-nazioni é cosa altra dal neototalitarismo liberista di fine millenio. No, il potere economico non deve assolutamente annettersi il potere politico: unica arma rimasto alla portata della glebe. L'UE é l'impotente spettatrice del crollo dell'utopia della fede nei "macroindicatori" di Maastricht, come cemento per edificare un blocco continentale con un elevato livello di consumi. Oggi passano i diritti sociali sotto la mannaia della ghigliottina.
Intervista de l'AntiDiplomatico al direttore scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali del sindacato USB in vista della manifestazione del 20 ottobre a Roma per le nazionalizzazioni
Finalmente in Italia si torna a discutere di nazionalizzazioni. A determinare il ritorno d’attualità di questo argomento cruciale per l’economia di una nazione hanno sicuramente contribuito le polemiche suscitate dal tragico crollo del Ponte Morandi a Genova. Evento che ha palesato il fallimento totale della privatizzazione delle autostrade italiane. Assurte a simbolo del fallimento di una strategia politica ultra-ventennale.
È datato 1993 infatti, all’epoca c’era il governo Amato, l’avvio della strategia che ha portato lo Stato a ritirarsi dall’economia. In ossequio ai dettami del neoliberismo. Dove tutto deve essere lasciato alla gestione della cosiddetta mano invisibile del mercato. Il fallimento di una siffatta teoria economica è sotto gli occhi di tutti. Con un’Italia in piena devastazione economica e sociale.
Il dibattito critico sull’euro è mainstream in Italia. L’attuale governo è una coalizione che comprende le tradizioni politiche sovraniste di sinistra e di destra. L’economia è l’epicentro della discussione. Fino all’inizio di questa settimana, il governo italiano ha tenuto fermi i suoi fondamentali impegni su una maggior redistribuzione e un minor carico fiscale. Tutto ciò ha spaventato i mercati, e da maggio 2018 i rendimenti dei titoli pubblici è raddoppiato. Le agenzie internazionali di rating e i mercati stanno esercitando ulteriori pressioni. La Commissione europea richiede, ancora una volta, disciplina fiscale. Il professor Cesaratto ha contribuito in maniera importante al dibattito post-keynesiano, concentrando l’attenzione sulla teoria della crescita e dell’innovazione, sulle riforme delle pensioni, sull’economia monetaria e la crisi europea. Per questa ragione, è anche una fonte spesso citata in quello che adesso è il dibattito euro-critico, ormai divenuto mainstream in Italia.
Le ricorrenti crisi debitorie della Grecia costituiscono una nuova forma emergente di imperialismo finanziario. Che cosa, allora, è l’imperialismo e specialmente che cos’è quando è descritto come imperialismo finanziario? Come costituisce una nuova forma di imperialismo ciò che è andato emergendo in Grecia sotto l’eurozona? Com’è l’imperialismo finanziario emergente in Grecia sia simile sia diverso da altre forme di imperialismo? E come rappresenta uno sviluppo più vasto, oltre la Grecia, di una nuova forma di imperialismo in sviluppo nel ventunesimo secolo? I molti significati dell’imperialismo Imperialismo è un termine che ha sia un significato politico-militare, sia economico. In generale si riferisce a un insieme di istituzioni politiche e a una società statale o pre-statale che conquista o sottomette un altro stato.
La decisione del presidente italiano di respingere un governo eletto non ha senso né dal punto di vista economico né da quello politico. Nel 20° secolo, quando i risultati elettorali non risultarono graditi all’élite dominante e ai suoi alleati internazionali, scesero in strada i carri armati. Nel 21° secolo la reazione è meno cruenta, ma non per questo meno aggressiva. Invece dei carri armati, viene usato il mercato delle obbligazioni. È quello che è successo in Italia domenica scorsa, quando un governo appoggiato da una maggioranza parlamentare è stato bloccato dal presidente della Repubblica, per il timore di come il mercato obbligazionario avrebbe potuto reagire alla nomina dell’ex dirigente della Banca d’Italia, Paolo Savona, di ottantuno anni, designato come ministro dell’Economia. (Per fare totale chiarezza: si è sparsa la voce che fossi anche io in corsa per quel ruolo, ma non mi è mai stato offerto).
L’Italia non è l’unica potenziale fonte di instabilità economica nel futuro dell’eurozona, ma è certamente la più prevedibile. Altre fonti di instabilità derivano dalla guerra commerciale o da una crisi economica globale – o più probabilmente da entrambe le cose insieme. Una guerra commerciale rimane un pericolo evidente e attuale. Per ora l’Unione europea si è garantita una sospensione dei dazi statunitensi su acciaio e alluminio. Ma il blocco dei paesi europei è pericolosamente dipendente dall’esportazione di beni manufatturieri. E dovremmo fare attenzione a non interpretare l’annuncio di una breve dilazione come un segno di condiscendenza da parte di Donald Trump. Il presidente USA ha preso la decisione tattica di non muovere guerra a Unione europea e Cina nello stesso momento. Per cui la minaccia verso la UE non è scomparsa, e le concessioni che Trump riuscirà a ottenere in cambio di una futura esenzione permanente dai dazi saranno formidabili.
Il futuro dell’Italia si fa sempre più minaccioso man mano che il 2018 si avvicina: all’incertezza derivante dalle elezioni politiche si somma un quadro europeo ostile, dove la Germania, disposta forse a sobbarcarsi la Francia per ragioni geopolitiche, non ha alcuna intenzione di concedere sconti al nostro Paese. Un commissariamento esplicito o subdolo, sulla falsariga del governo Monti, è tra le ipotesi sul tavolo e, se a Berlino dovesse prevalere una linea ancora più rigorista, non si potrebbe neanche escludere l’imposizione di un “default ordinato”. Di fronte a questo scenario, l’Italia sarà costretta a scegliere: capitolazione o un’uscita dall’euro. Un soccorso può venire soltanto dalle potenze emergenti.
Nessuno sconto da parte della Germania (cui interessa solo il Veneto)
Come riporta Reuters, pare che nel mondo sia possibile essere un’economia più piccola di quella italiana, permettersi una propria moneta, crescere a ritmi del 3,9 per cento, fare politiche demografiche attive e addirittura abbassare l’età della pensione. Fortunatamente ci pensano gli austeri banchieri a ricordare a tutti il più grande pericolo per l’umanità, ossia che gli stipendi dei lavoratori crescano troppo velocemente. E che è proprio un peccato che certi governi tengano addirittura fede alle proprie promesse elettorali. Varsavia. Lunedì la Polonia abbasserà l’età pensionabile, onorando una costosa promessa elettorale che il partito conservatore al governo aveva fatto, e andando controcorrente rispetto alle tendenze europee a incrementare gradualmente l’età della pensione, mentre le persone vivono più a lungo e rimangono più in salute. L’abbassamento dell’età pensionabile a 60 anni per le donne e a 65 per gli uomini è un provvedimento caro soprattutto ai sostenitori del governo di centro-destra (sì, avete letto bene, anche in Polonia è il centro-destra a preoccuparsi degli interessi dei lavoratori NdVdE) del Partito della Legge e della Giustizia (PiS), e inverte un provvedimento che l’aveva portata a 67 anni, approvato nel 2012 dal governo centrista allora in carica.
Il CETA, trattato di libero scambio con il Canada, è
infine entrato in vigore giovedì 21 settembre, ad eclatante dimostrazione di
come gli Stati abbiano rinunciato alla loro sovranità, lasciando spazio ad un
nuovo diritto, indipendente dal diritto degli stessi Stati e non soggetto ad
alcun controllo democratico. Il CETA sarebbe, sulla
carta, un “trattato di libero scambio”. In realtà però prende di
mira le normative non-tariffarie che alcuni Stati potrebbero adottare, in
particolare in materia di protezione ambientale. A questo riguardo, c’è da
temere che il CETA possa dare l’avvio a una corsa a smantellare le norme di
protezione. A ciò si aggiungono i pericoli che scaturiscono dal meccanismo di
protezione degli investimenti contenuto nel trattato. Il CETA crea infatti un
sistema di protezione per gli investitori tra l’Unione Europea e il Canada che,
grazie all’istituzione di un tribunale arbitrale, permetterà loro di citare in
giudizio uno Stato (o a una decisione dell’Unione Europea) nel caso in cui un provvedimento
pubblico adottato da tale Stato possa compromettere“le legittime
aspettative di guadagno dall’investimento”.
La ripresa nell’Eurozona è finalmente arrivata, dicono gli indicatori occupazionali di Eurostat. Peccato che più che di ripresa dell’occupazione si dovrebbe parlare di sotto-occupazione e lavoro precario, evidenzia il Financial Times, osservando come ciò sia particolarmente vero per i paesi mediterranei. A fronte di una moderata vivacità economica, che la BCE monitora nella speranza di poter avviare la riduzione del quantitative easing (cioè dell’acquisto di titoli di Stato), rimangono forti timori che il mercato del lavoro abbia subito cicatrici indelebili, con perdita di competenze e molte persone ritirate definitivamente dalla forza lavoro, e che la domanda sia ancora troppo debole perché le imprese asdumano il rischio di assumere personale a tempo pieno con contratti a tempo indeterminato Alexandru è uno dei più fortunati. 24-enne, emigrato in Italia dalla Romania all’età di 12 anni, recentemente si è garantito un lavoro con contratto a tempo indeterminato come stampatore in una tipografia in una piccola città vicino a Milano.
A dimostrazione che nel dibattito accademico, per quanto ingessato dal conformismo, circolano tesi ben più critiche di quelle riportate sui media mainstream, un recente bollettino di ricerca della stessa BCE avalla dichiarazioni che si potrebbero definire “no euro”: in esso si sostiene che il sistema di regole esistente rende i paesi dell’area euro vulnerabili agli umori dei mercati (e dunque agli speculatori); si afferma che le politiche condotte dopo la crisi del 2009, sebbene nel contesto delle regole che le imponevano, erano sbagliate perché focalizzate sul contenimento del debito (obiettivo comunque fallito) anziché sullo stimolo fiscale – con effetti deflattivi che si sarebbero di conseguenza potuti evitare. Nella conclusione afferma a chiare lettere che con la propria moneta sovrana non si fa default. (Ovviamente la responsabilità dell’euro in tutto questo non viene troppo evidenziata, ma stiamo pur sempre parlando di un bollettino della BCE). Interazioni monetarie-fiscali e vulnerabilità dell’area €uro le politiche monetarie e fiscali vengono condotte come nell’area euro, le profezie che si auto-avverano degli agenti economici possono portare a fluttuazioni indesiderate nella produzione, nell’inflazione e negli spread.
In occasione della morte di Helmut Kohl, riportiamo dal Telegraph una delle sue ultime interviste, in cui il padre della riunificazione tedesca e, assieme a Mitterand, dell’unione monetaria europea, non fa mistero della visione paternalistica e del metodo autoritario con cui ha introdotto l’euro in Germania, consapevole che il popolo tedesco lo avrebbe respinto a grande maggioranza se sottoposto a referendum. In questo, Kohl, come molti altri statisti europei, ha seguito la strategia dei “piccoli passi” del fondatore del progetto europeo, l’elitista Jean Monnet, secondo il quale “le nazioni europee dovrebbero essere guidate verso un superstato senza che le loro popolazioni si accorgano di quanto sta accadendo”, evitando di chiedere il loro consenso (e di perdere, come ogni qualvolta è stato fatto, vedi i referendum in Francia, Olanda e Irlanda). In un’intervista condotta per una tesi di dottorato in giornalismo, Helmut Kohl, il cancelliere tedesco che è stato più a lungo in carica nel secondo dopoguerra, ha dichiarato che in qualsiasi votazione popolare sull’euro avrebbe perso a schiacciante maggioranza:
“Sapevo che non avrei mai potuto vincere un referendum in Germania. In un referendum sull’introduzione dell’euro saremmo usciti sconfitti. È abbastanza chiaro. Avrei perso, e per sette a tre”.
Sfumato lo scenario di una conflagrazione “politica” dell’Unione Europea sull’onda di una vittoria elettorale di Marine Le Pen, tornano alla ribalta le forze centrifughe di natura economica: l’Italia si trova adesso in prima linea. Gli allarmanti dati su debito pubblico, disoccupazione, crescita e sofferenze bancarie, suggeriscono che la situazione, complice la prossima instabilità politica, possa precipitare anche prima del rialzo dei tassi da parte della BCE: è quasi certo che, come nel bollente autunno del 2011, Mario Draghi ed Angela Merkel, spalleggiati dal neo-presidente francese Emmanuel Macron, tenteranno di commissariare l’Italia, spingendola verso un “salvataggio” del FMI/ESM. Rimane da capire se la nostra classe dirigente, incalzata da una società sempre più insofferente, cederà al ricatto.
Un nuovo 2011 alle porte
Le presidenziali francesi rappresentavano la principale, e forse unica, occasione del 2017 per una conflagrazione “politica” dell’Unione Europea: se il Front National, sospinto dalla disoccupazione record e dalle montanti tensioni sociali, avesse conquistato l’Eliseo, l’intera architettura europea sarebbe crollata nel volgere di pochi mesi, travolta dall’esplosione del motore franco-tedesco.