Lo Stato nella palude: il controllo politico-giudiziario, il folle decentramento e il protagonismo del Presidente della Repubblica.
Tra il centro-sinistra e il centro-destra è stato quasi impossibile appianare le differenze per costruire una casa comune della Repubblica e, allo stesso tempo, elaborare uno spazio di esercizio democratico non solo nuovo, ma anche estraneo al bizantinismo del passato. Ha rovinato il progetto di passare da un tipo di Stato all'altro, preservando e correggendo il parlamentarismo e, comunque, rafforzando il ruolo dell'esecutivo, in un momento in cui la frenesia del mondo economico e finanziario richiede decisioni e risposte più rapide e commisurate alla sua complessità e ai suoi ostacoli. La trasformazione quantitativo-qualitativa su scala mondiale non è stata percepita dalla classe dirigente italiana, che ha portato a un'alterazione meramente formale, cioè con una evoluzione quasi nulla e secondo una linea ininterrotta dalla partitocrazia ai partiti personalisti.
Se qualcuno ancora pensava che Giorgio Napolitano fosse stato arbitro e garante imparziale della vita democratica del paese, la smentita - persino brutale nella sua chiarezza - arriva da una raffica di intercettazioni della Guardia di finanza. La voce di Napolitano è nei file audio, le sue parole trascritte nei brogliacci. E questa volta non potranno venire distrutte o cancellate, come Napolitano pretese e ottenne quando a intercettarlo furono i pm palermitani dell'inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia. Nessuna immunità, stavolta: uno scoop di Panorama rende di pubblico dominio quanto senza clamori era stato depositato agli atti di una inchiesta. E che inchiesta: l'indagine della Procura di Bergamo sui trucchi e le bugie che Giovanni Bazoli, il più importante banchiere italiano, presidente emerito di Banca Intesa, avrebbe messo in atto per indirizzare a suo piacimento la vita di Ubi Banca, il gruppo bancario nato dagli accordi tra finanza bresciana e bergamasca. Di queste manovre si è parlato ampiamente nel novembre scorso, quando i pm bergamaschi hanno comunicato a Bazoli e altri 38 indagati la chiusura delle indagini per ostacolo alla vigilanza della Banca d'Italia e illecita influenza sull'assemblea.
Facciamo così. I 5Stelle prendono atto della loro manifesta incapacità di governare Roma, sfiduciano Virginia Raggi e rimandano i romani alle urne. Siccome però c’è il rischio che i cittadini romani – inspiegabilmente scettici sulla capacità di governare di quelli capaci, cioè dei partiti di ogni colore che hanno così bene amministrato la Capitale negli ultimi vent’anni – rivotino M5S, annunciano anche la rinuncia a ripresentarsi alle Comunali, per avere la matematica certezza che il prossimo sindaco non sia un grillino, ma uno capace. Siccome, poi, chi non riesce ad amministrare Roma difficilmente riesce ad amministrare l’Italia, i 5Stelle rinunciano fin da subito anche alle elezioni politiche: i sondaggi infatti li danno in calo per il disastro capitolino, ma ancora favoriti alle urne. Così salteranno almeno un turno e si prenderanno una o più legislature sabbatiche per studiare, imparare come si fa e tentare di formare una classe dirigente all’altezza delle ambizioni. Quando saranno pronti, torneranno a candidarsi alle Politiche e Amministrative, e si vedrà se qualcuno ancora si ricorderà e avrà bisogno di loro: circostanza tutt’altro che scontata, visto che nel frattempo l’Italia e Roma, liberatesi finalmente dall’incubo dei populisti incapaci, saranno saldamente tornate nelle mani dei democratici capaci. Cioè ridiventate il regno di Saturno e la città di Bengodi, com’erano rispettivamente fino a quattro anni e a sei mesi fa, prima della calata degli Unni.
«La decisione di far uccidere Moro non venne presa alla leggera. Ne discutemmo a lungo, perché a nessuno piace sacrificare delle vite. Ma Cossiga mantenne ferma la rotta e così arrivammo a una soluzione molto difficile, soprattutto per lui. Con la sua morte impedimmo a Berlinguer di arrivare al potere e di evitare così la destabilizzazione dell’Italia e dell’Europa».
Così parlò nel 2006 Steve Pieczenik, il consigliere di Stato USA, chiamato al fianco di Francesco Cossiga per risolvere la condizione di crisi, in un’intervista pubblicata in Francia dal giornalista Emmanuel Amara, nel libro Nous avons tué Aldo Moro. Ancora prima il 16 marzo del 2001 in una precedente dichiarazione rilasciata a Italy Daily, lo stesso Pieczenik disse che il suo compito per conto del governo di Washington era stato quello
«di stabilizzare l’Italia in modo che la Dc non cedesse. La paura degli americani era che un cedimento della Dc avrebbe portato consenso al Pci, già vicino a ottenere la maggioranza. In situazioni normali, nonostante le tante crisi di governo, l’Italia era sempre stata saldamente in mano alla Dc. Ma adesso, con Moro che dava segni di cedimento, la situazione era a rischio. Venne pertanto presa la decisione di non trattare. Politicamente non c’era altra scelta. Questo però significa che Moro sarebbe stato giustiziato.
Ha vinto la Costituzione. Ha perso il plebiscito. Ha vinto il popolo. Ha perso il populismo cinico. Ha vinto la sovranità del popolo. Ha perso il dogma per cui non ci sarebbe alternativa. Ha vinto la voglia di continuare a contare. Di continuare a votare. Ha perso chi voleva prendersi una delega in bianco. Ha vinto la partecipazione, il bisogno di una buona politica. Ha perso la retorica dell’antipolitica brandita dal governo. Ha vinto un’idea di comunità. Ha perso il narcisismo del capo. Ha vinto la mobilitazione dal basso, senza mezzi e senza padrini. Ha perso chi ha messo le mani sull’informazione, chi ha abusato delle istituzioni senza alcun ritegno.
Vediamo: 25 marzo 1957, nasce la CEE (Comunità Economica Europea). L'Inghilterra, meglio dire la Gran Bretagna, non c'era. In prospettiva non ci sarà più. Ma vista la china cui sta scivolando la UE (Unione Europea) di adesso, arriveremo ancora a qualcosa di simile alla forma del 1957? Non ci possiamo giurare ma potrebbe essere ancora così.
È chiaro che in questi primi giorni dal delirio annunciato è difficile mettere ordine definitivo in quello che sta accadendo e in quello che le parti in causa, a favore o contro la disgregazione dell'Europa Unita, in un tempo più o meno ravvicinato, vorrebbero fosse.
I segnali della disgregazione si sono fatti però inquietanti, per chi vorrebbe tenere assieme questo nonsense di 28, ora 27, Paesi saldamente uniti. Ebbene è proprio questa saldezza politica che non è mai esistita. Forse in altri tempi, quando erano pochi gli Stati appartenenti all'Unione. Ma forse a guardare bene le cose, neppure allora. Insomma il capitalismo europeo dei centri forti e trainanti si è inventato molte forme amministrative, allargando in continuazione i membri partecipanti, pur di funzionare al meglio, per loro. Basti dire che nell'UE c'è pure Cipro!?!
Lo ha sempre detto e lo ribadisce anche nel giorno in cui la Corte Suprema indiana dà il via libera al rientro in Italia di Salvatore Girone: i due marò italiani sono colpevoli e dovrebbero essere giudicati da New Delhi. Ma Massimo Fini, giornalista e scrittore, oggi aggiunge una postilla: quattro anni di custodia cautelare senza processo sono intollerabili.
Massimo Fini
Fini, lei ha sempre sostenuto che era giusto lasciare che a giudicare i nostri marò fosse la magistratura indiana. È ancora di questo avviso?
«Sì, tranne per il fatto che un’attesa di più di quattro anni, durante i quali Girone e Latorre sono rimasti in carcere preventivo, sia pur morbido, e senza aver avuto neanche il processo, è inaccettabile. Il problema vero è che la giustizia indiana è peggio di quella italiana».
Non pensa che l’arbitrato internazionale sia più adeguato per una vicenda simile?
«Io penso che se la morte dei due pescatori fosse avvenuta al largo delle coste siciliane, i due marò sarebbero stati giudicati da un tribunale italiano».
Il 17 giugno l'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricevuto dalle mani grondanti sangue di Henri Kissinger il premio a lui intitolato, quale riconoscimento diplomatico per le sue alte doti di europeo convinto. La carriera politica di Napolitano è andata dipanandosi dall'appartenenza al PCI, ala destra, migliorista, sino all'invenzione di teoremi governativi perniciosissimi per l'Italia. Gli ultimi governi Monti, Letta (questo andrebbe messo tra parentesi, stando la sua mitezza personale di decisa lontananza dal precedente, appunto Monti e dal successivo) e Renzi sono opera usa. E specialmente quest'ultimo, in carica, il Renzi primo, si sta rivelando come un governo di destra decisa. Peggio di Berlusconi, ancora più a destra del suo ultimo governo - basti osservare la controriforma della scuola pubblica, neppure il Cavaliere aveva osato tanto - Renzi si configura come messa in pratica della visione di indecenza del suo mentore Napolitano.
La rivelazione al processo Trattativa dell'ambasciatore, ai vertici del Cesis tra il 1991 e il 1993 sulla sigla oscura che rivendicava omicidi e stragi nei primi anni '90. "Un analista del Sisde mi portò la mappa dei luoghi da dove partivano le chiamate e quella delle sedi periferiche del Sismi: coincidevano perfettamente". Poi aggiunge: ""All’interno dei servizi c’è una cellula che si chiama Ossi, esperta nel piazzare polveri, fare attentati" Quindici agenti segreti super addestrati sospettati di essere collegati con le bombe del 1993, e le telefonate della Falange Armata che partivano dalle sedi coperte del Sismi. È un racconto che arriva dal passato l’ultimo tassello inedito sulla Falange Armata, l’oscura sigla criminale che nei primi anni Novanta rivendicava ogni singolo fatto di sangue andato in onda nel Paese: dai delitti della banda della Uno bianca alle stragi mafiose del 1992 e 1993. Un mistero mai risolto quello dei telefonisti del terrore che chiamavano i centralini dell’agenzia Ansa per firmare eccidi e stragi con cui nulla avevano probabilmente a che fare. Adesso però, a più di vent’anni di distanza, emerge un particolare nuovo: quelle chiamate sarebbero state fatte dalle stessa zone in cui all’epoca il Sismi aveva localizzato le sue basi periferiche. A raccontarlo è l’ambasciatore Francesco Paolo Fulci, punta di diamante della diplomazia italiana negli anni ’80, al vertice del Cesis (Comitato esecutivo per i servizi di informazione e sicurezza) tra il 1991 e il 1993, oggi presidente della Ferrero.
Il “Patto Mattarella” svela il piatto forte del Patto del Nazareno: Berlusconi
non ha voluto votare l’uomo del Colle per poter poi rivendicare il
diritto di nomina dei due giudici costituzionali mancanti. Obiettivo:
utilizzare la Consulta per neutralizzare la retroattività della legge
Severino che esclude i condannati, e quindi ridiventare eleggibile e
tornare in Parlamento.
Lo sostiene Olinda Moro, rileggendo le tappe fondamentali della
“resistenza” del Cavaliere contro la magistratura e il recente accordo
sotterraneo con Renzi, fino alla scelta di «un nome secco, quello di
Mattarella, votato da tutti e non concordato con nessuno, neanche con il
proprio partito». Salendo al Quirinale, Mattarella lascia libera la
poltrona di giudice costituzionale. Se fino a ieri alla Corte mancava un
magistrato, ora i nuovi giudici da eleggere sono dunque due, entrambi
di nomina parlamentare. Già così, la Consulta potrebbe non essere
anti-Cavaliere, grazie ai giudici nominati da Napolitano. Se poi fosse
proprio Berlusconi a proporre i due nomi mancanti, per la legge Severino i giorni potrebbero essere contati. Ecco dunque il “Patto Mattarella”?
Una caricatura
di Enzo Apicella per ricordare le dimissioni da Presidente della
Repubblica di Giorgio Napolitano. Apicella lo definisce il peggior
presidente italiano. Non sappiamo chi sia veramente il peggiore (è un
compito arduo perchè in fondo quasi tutti i presidenti italiani meritano
tale onorevole titolo), ma indubbiamente Napolitano è tra i favoriti.