Aperture domenicali e festive e conseguenze sulla vita dei lavoratori
Una volta si chiamavano feste comandate. Le domeniche, innanzitutto. E poi Natale, Pasqua. E poi quelle strappate con la lotta, il 1° Maggio, 25 Aprile… Ma il capitalismo conosce un unico comandamento: sacrifica qualunque cosa, preferibilmente i lavoratori, sull'altare del profitto. E così da qualche anno anche in Italia, a un numero sempre crescente di lavoratori viene impedito di godersi un riposo settimanale degno di questo nome, magari in compagnia delle proprie famiglie, dei propri figli.
Un po' di storia
Quella della liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali è una storia che va avanti da quasi vent'anni. Nel 1995 un referendum popolare boccia con il 62% dei voti la prima proposta di liberalizzazione. Nel 1998 ci riprova Bersani, ministro dell'allora Governo Prodi di centro-"sinistra", con il decreto che porta il suo nome, il quale prevede (in barba all'esito del referendum di soli tre anni prima) che gli esercizi commerciali possano restare aperti tutti i giorni della settimana per un massimo di tredici ore. Le domeniche sono ancora quasi escluse dalla liberalizzazione: pur conferendo poteri di deroga ai comuni, le aperture domenicali sono previste solo per le domeniche del mese di dicembre e per altre otto domeniche nei restanti mesi dell'anno. Le cose peggiorano nel 2001: con la riforma del titolo V della Costituzione la competenza in materia passa alle Regioni, che fanno largo uso dei poteri di deroga previsti dal decreto Bersani.