31 maggio 2009

LA GUERRA DEGLI PSICOPATICI



*
La XX Assemblea Generale dell’ONU (1965) dichiara "la legittimità della lotta da parte dei popoli sotto oppressione coloniale, per esercitare il loro diritto all' autodeterminazione e all'indipendenza". Inoltre, l'Assemblea invita "tutti gli Stati a fornire assistenza morale e materiale ai movimenti di liberazione nazionale nei territori coloniali".

* ONU - Risoluzione 1514
"L'Assemblea Generale dichiara che: la soggezione dei popoli a dominio straniero, conquista e asservimento costituisce una negazione dei diritti umani fondamentali, è contraria alla Carta delle Nazioni Unite ed è un impedimento alla promozione della pace e della cooperazione mondiali.
Tutti i popoli hanno diritto all' autodeterminazione; in virtù di tale diritto essi devono liberamente determinare il loro status politico e liberamente perseguire il loro sviluppo economico, sociale e culturale".

* Convenzione di Ginevra, Protocollo Addizionale I (1977):
La lotta armata può essere usata, come ultima risorsa, come mezzo per esercitare il diritto all' autodeterminazione.

* Tribunale penale internazionale
In base allo Statuto del Tribunale penale internazionale, sono definiti “crimini di guerra”:
  • attacchi lanciati intenzionalmente contro popolazione civili in quanto tali o contro civili che non prendano direttamente parte alle ostilità;
  • attacchi lanciati intenzionalmente nella consapevolezza che gli stessi avranno come conseguenza la perdita di vite umane tra la popolazione civile, e lesioni a civili o danni a proprietà civili ovvero danni diffusi duraturi e gravi all’ambiente naturale che siano manifestamente eccessivi rispetto all’insieme dei concreti e diretti i vantaggi militari previsti.

«I Deltas sono psicopatici ... devi essere uno psicopatico accreditato per aderire al Delta Force ...»
(un colonnello dell'esecito USA a Fort Bragg)

30 maggio 2009

ORO BLU: LA PRIVATIZZAZIONE DELL'ACQUA E LE SUE CONSEGUENZE

"L'acqua è destinata ad essere per il XXI secolo, ciò che il petrolio è stato nel XX secolo: un bene prezioso che determina la ricchezza delle nazioni "
di Anna Morella
Fortune Magazine

La Terra è chiamata il pianeta azzurro per le sue acque blu. Ma il 97,5% di essa è salata, e pertanto non potabile. Solo il 2,5% di acqua è dolce e corrispone a ciò che noi chiamiamo "le risorse idriche del nostro pianeta".
Inoltre la maggior parte delle acque dolci è sottoforma di ghiaccio nei ghiacciai ai poli, che riduce ulteriormente l'acqua disponibile.
L'acqua è essenziale per la vita di tutti gli esseri viventi. La mancanza di acqua potabile rappresenta la distruzione degli ecosistemi e significa la distruzione di parti del nostro pianeta che non sono più adatte per la vita.
A differenza dell'oro-nero (petrolio), si dice che l'acqua è una risorsa inesauribile, poiché ha un ciclo naturale che permette il suo rinnovo.
Ma questo è vero solo a metà, attualmente il consumo supera la quantità di acqua proveniente dalle precipitazioni, si stanno estraendo grandi quantità di acqua delle falde acquifere senza aspettare chi si rialimentino. Così, quando il consumo è superiore al suo rinnovo porta ad una situazione di stress idrico e non si ha accesso ad acqua dolce di qualità.

29 maggio 2009

G-192 CONTRO G-20

di Francois Houtart

Il passato 16 aprile l'Assemblea generale delle Nazioni Unite adottava le modalità di attuazione dell’iniziativa del suo Presidente Miguel d'Escoto, ex ministro degli Esteri del Nicaragua, convocando per il 2 ed il 3 giugno prossimi una Conferenza di capi di Stato dei 192 paesi delle Nazioni Unite sulla crisi globale, che nata nei paesi del Nord colpisce gravemente quelli del Sud.

Alcune nazioni del G-20, fanno pressione affinché i capi di Stato non siano presenti alla conferenza di giugno e si facciano rappresentare da un ministro o da un ambasciatore. Ciò che è in gioco è molto importante. La crisi, non è solo finanziaria, ma anche alimentare, energetica (sarà necessario fare cambiamenti entro i prossimi 50 anni e ciò richiederà ingenti impegni finanziari), climatica (molto più grave di quanto si pensava) e, infine, sociale ed umanitaria (un miliardo di persone vivono al di sotto della soglia di povertà).

La Banca mondiale stima che i 129 paesi più poveri si troveranno ad affrontare nel 2009 un disavanzo di 700 miliardi di dollari. Il mancato finanziamento del settore finanziario è attualmente l'economia reale. Secondo l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), più di 50 milioni di lavoratori perderanno il posto di lavoro in meno di un anno.

Per affrontare la grave crisi globale è necessaria la partecipazione di tutta la comunità internazionale. Il G-20 si è auto proclamato arbitro mondiale, ma gli manca la legittimazione giuridica e morale per prendere decisioni che riguardino tutti i paesi del mondo.

Infatti, questo gruppo di nazioni rappresenta oltre l’80 per cento del peso economico globale, ma il suo potere decisionale comporta che le vittime - le popolazioni cioè che subiscono le conseguenze delle loro politiche - non hanno diritto di parola. Tuttavia, è tra di loro che si trovano i maggiori esperti in materia di povertà.

Per preparare la Conferenza dei Capi di Stato (G-192), è stata creata una Commissione per le Riforme del Sistema Finanziario e Monetario internazionale presieduta da Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’Economia ed ex vice-presidente della Banca Mondiale. Questa commissione è composta di 20 membri, principalmente economisti, ex ministri delle finanze e direttori delle banche centrali sia dei paesi del nord che dei paesi del sud.

In effetti, il G-20 non si è mostrato all’altezza delle sfide di questo momento di grave crisi globale. In un editorial del New York Times, del 7 aprile scorso, riguardo all’aiuto ai paesi più periferici leggevamo: "Una parte del denaro era già stata assegnata, un’altra è il risultato di un doppio calcolo, ed un'altra parte sarà pagato in moneta di sintesi e non in contanti”.

D'altro canto, le misure riguardanti i paradisi fiscali sono incomplete e distorte. Le principali piazze anglosassoni non ne sono influenzate. L'attuazione delle misure politiche relative ai paesi del sud sono affidate al Fondo monetario internazionale (FMI), uno dei principali autori delle azioni attuate nella periferia.

Per quanto riguarda le riforme delle istituzioni finanziarie, sono ridotte a qualche voto extra per i paesi emergenti e si apre la possibilità di un loro indirizzo a rappresentanti di altri paesi e non solo a quelli provenienti dagli Stati Uniti e dall’Europa. La Commissione delle Nazioni Unite si spinge oltre. Si occupa con più fermezza dei paradisi fiscali e del segreto bancario. Fornisce norme più restrittive per il funzionamento (esigenze di più fondi e norme contabili armonizzate) per gli altri istituti finanziari e per le agenzie di servizi. Propone la fine del Monopolio del FMI sui Diritti Speciali di Prelievo (DSP) e la regionalizzazione del sistema attraverso, per esempio, la Banca del Sud in America Latina o l’iniziativa Chieng Mai in Asia. Inoltre suggerisce riforme più profonde delle istituzioni create da Bretton Woods (Banca Mondiale e FMI).

In ultima analisi raccomanda la costruzione di un Consiglio Mondiale di Coordinamento Economico, in parallelo al Consiglio di Sicurezza ed all'Assemblea Generale, che riunisca annualmente i capi di governo, al fine di valutare il contesto economico, sociale ed ecologico mondo. Per quanto riguarda l'attuazione di misure, essa ritiene necessario la messa in moto di due "autorità mondiali": una di regolamentazione finanziaria e l'altra di garanzia della concorrenza.

Regolamentare il sistema finanziario e monetario mondiale, ovviamente, è solo un passo in un processo più fondamentale. Far funzionare di nuovo il sistema economico va bene, ma con quali finalità? Se è per iniziare di nuovo come prima, con la stessa logica di saccheggio delle risorse naturali e di creazione di enormi disuguaglianze sociali, allora dovremo iniziare tutto da capo in meno di 20 anni.

Si dovrebbe riflettere quando si cambiano tanto i parametri del rapporto con la natura, come la definizione di economia, l’organizzazione politica mondiale e la concezione stessa di sviluppo e di crescita economica.

Questo vale sicuramente una riunione di capi di Stato. Ecco il motivo per cui la pressione dell'opinione pubblica, dei movimenti sociali, dei partiti politici, degli intellettuali, è fondamentale che all'interno di ciascun paese, la partecipazione alla conferenza di giugno (G-192) sia del più alto livello possibile.

Fonte: http://selvasorg.blogspot.com/

28 maggio 2009

SHOOTING SILVIO

Il Berluschicidio, una nuova forma di arte.

Il film Shooting Silvio, dove il protagonista vuole uccidere il primo ministro italiano, si scontra con la censura.

Un giovane ossessionato dall' uccidere Berlusconi. Potrebbe essere la storia di qualsiasi italiano in un paese dove perfino il divorzio del primo ministro si consuma in un rituale ossessivo davanti ai teleschermi. Ma si tratta solo di un film realizzato da un registra emergente, una storia come tante, dove una volta tanto il cattivo di turno non vuole uccidere il Presidente degli Stati Uniti ma il mandatario transalpino: un multimilionario che da 15 anni al potere, ha nelle sue mani un' enorme forza mediatica.

C’è qualcosa di sbagliato nel fare un film di “fantapolitica”?
Inizialmente no, ma se l’opera si chiama Shooting Silvio (Sparando a Silvio) bisogna tenere conto di alcuni inconvenienti.

Contro il lungometraggio hanno sparato l’artiglieria pesante i deputati della destra italiana, che senza aver visto neanche un secondo del film l’hanno definito come un “inno alla violenza”.

E il tutto è finito con il classico finale felice berlusconiano: la censura. La storia, scabrosa in un Italia ipnotizzata dal Grande Fratello, racconta di un uomo che pensa di scrivere un libro per denunciare il potere di Berlusconi e, quando il suo progetto fallisce, sviluppa un’idea ossessiva: uccidere il primo ministro italiano.

Il film non ha trovato neanche un minimo spazio nelle televisioni italiane. Le sei principali sono in mano di Berlusconi: tre sono sue e le altre 3 è come se lo fossero, dato che sono controllate dal suo governo.

Ma chi si è reso responsabile della diffusione della pericolosa opera è stata Sky, la televisione satellitare del magnate australiano Rupert Murdoch. C’è da considerare che Murdoch, a causa degli ultimi tre “scontri” d’affari con il Cavaliere, viene mostrato dalla propaganda berlusconiana come un comunista pericoloso (qualcosa che preoccupa seriamente il proprietario del Wall Street Journal).
Ma finalmente anche Sky si è arresa alle proteste berlusconiane. La terza replica di Shooting Silvio è sparita dai teleschermi , sostituita da un buon vecchio film statunitense, dove al massimo si uccidono gli indios pellerossa. Forse per il timore che i sostenitori del Cavaliere abbiano ragione. Dall’altra parte delle Alpi sembra che l’assassinato politico sia una delle specialità locali, insieme alla pizza e il mandolino. Lasciando da parte un classico di tutti i tempi, la coltellata a Giulio Cesare, gli attentati in Italia hanno sempre colpito a destra e a sinistra. Nel 1948 un assalto contro Palmiro Togliatti, allora segretario del PC, lasciò il paese sull’orlo di una guerra civile. E nel 1981 la causa anticlericale si ripresentò a Roma con il mancato attentato al Papa. Ma bisogna tornare ancora indietro nel tempo per trovare l’attentato più importante della storia italiana, l’assassinio del Re Umberto I. Nel 1900 l’anarchico Gaetano Bresci, sparò tre volte al monarca mentre andava a Monza, città a pochi chilometri dal quartiere generale di Berlusconi ad Arcore. Forse al Cavaliere spaventa questa coincidenza geografica. Forse, cento e passa anni dopo, sulla testa del nuovo monarca si stabilisce un vecchio proverbio: “La storia si ripete”. E non è possibile cambiare canale.

Fonte: http://www.diagonalperiodico.net/spip.php?article8061

Tradotto per Voci Dalla Strada da VANESA




27 maggio 2009

VERSO LA CRISI ALIMENTARE MONDIALE?

di Germàn Gorraiz Lopez

La carestia di prodotti agricoli primari per l’alimentazione (grano, mais, sorgo e miglio) e l’aumento bestiale del prezzo di tali prodotti sui mercati mondiali avendo raggiunto la cima dell’ iceberg nel 2007, continuerà a crescere durante tutto il decennio fino a raggiungere il suo culmine all’orizzonte del 2018. Per arrivare a questa crisi, (i cui primi bozzetti sono già stati fatti ma che finiranno di disegnarsi crudamente alla fine del prossimo decennio) hanno contribuito i seguenti elementi:
  • Sviluppo economico suicida dei Paesi del Terzo Mondo con crescite smisurate di macrourbe e megacomplessi turistici e la conseguente riduzione della superficie destinata alla coltivazione agricola.
  • Cambio dei modelli di consumo nei paesi emergenti, dovuti all’aumento spettacolare della classe media, del suo potere d’acquisto, dalla debolezza del dollaro e l’affossamento dei prezzi del greggio con il conseguente svio degli investimenti speculativi ai mercati di materie prime.
A questo va unito l’incremento dell’uso da parte dei paesi del primo mondo di tecnologie depredatrici (biocombustibili) che sotto l’etichetta BIO di paesi rispettosi dell' Ambiente non hanno esitato a fagocitare enormi quantità di mais destinati inizialmente all’alimentazione della produzione del biodiesel, unito con insolite siccità e inondazioni nei principali “granai” mondiali.

Dall’altra parte, la caduta del prezzo del greggio durante il quinquennio 2008-2012 ( nonostante i successivi ritagli fatti dall’OPEP nella produzione) dovuto alla severa contrattazione della domanda mondiale e che i broker speculativi siano fuggiti, renderà impossibile per i paesi produttori di trovare dei prezzi competitivi (intorno ai 70 dollari) che permetterebbero la necessaria inversione verso infrastrutture energetiche e ricerca di nuovi sfruttamenti, e questo porta a pensare che non sarebbe da scartare una possibile Impiccagione della produzione mondiale del greggio all’orizzonte del 2016.

Questo potrebbe originare probabilmente una psicosi di mancanza di rifornimento e l’aumento spettacolare del prezzo del greggio che avrà il suo riflesso in un aumento selvaggio dei trasporti e dei fertilizzanti agricoli, che insieme all’applicazione di restrizioni all’esportazione dei principali produttori mondiali per assicurare il loro auto rifornimento, finirà per produrre la mancanza di rifornimento dei mercati mondiali, l’aumento dei prezzi a livelli stratosferici e la conseguente crisi alimentare mondiale.

La fame colpirà specialmente Antille, Messico, America Centrale, Colombia, Venezuela, Egitto, India, China, Bangladesh e il Sudest asiatico, manifestandosi con particolare forza nell’Africa Sotto il Sahara e con la popolazione intrappolata dall’inanizione dei 1 .000 milione attuali ai 2.000 milioni stimati dagli analisti.

Fonte: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=85735&titular=%BFhacia-la-crisis-alimentaria-mundial?-

Tradotto per Voci Dalla Strada da VANESA

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26 maggio 2009

LAUREA IN "RINASCITA DEMOCRATICA" (*)

Dopo le elezioni via libera alla riforma del'università che eliminerà il valore legale al titolo di studio.

di Flavia Amabile

Università commissariate se avranno gravi deficit di bilancio e abolizione del valore legale della laurea. Il disegno di legge di riforma dell’Università dopo mesi di modifiche, annunci e rinvii è entrato nella fase finale, contiene molte novità, alcune ancora destinate a essere modificate nelle prossime settimane, altre ormai certe. Il ministro dell’Istruzione Maria Stella Gelmini ha assicurato che è «pronta». «Ma la presentiamo dopo il 6 giugno per toglierla dalle dinamiche della campagna elettorale» e per poterla discutere in Parlamento con «un dibattito sereno». E questo - aggiunge - è anche un segno di disponibilità nei confronti delle opposizioni, anche perchè al suo interno recepisce alcune proposte che sono state avanzate proprio dalle opposizioni».

La data della presentazione in consiglio dei ministri dovrebbe essere il 12 giugno, sette mesi dopo la presentazione delle linee guida della riforma. Fra le novità in arrivo il commissariamento degli atenei che non si siano messi in regola con i conti, voluto dal senatore del Pdl Giuseppe Valditara, inserito nelle linee guida dello scorso novembre e poi cancellato da alcune bozze successive del ddl ma ora rientrato.

E, poi, l’abolizione del valore legale della laurea. Di quest’ultima misura si parlava già quando Letizia Moratti era ministro dell’Istruzione. Significa fare in modo che le lauree non siano più tutte uguali davanti alla legge. E quindi si pongono diversi problemi:come si garantirebbe l’esercizio delle professioni libere da quella di avvocato a quella di medico, Oppure con che criterio si ammetterebbero i giovani ai diversi esami di stato o come si dovrebbe prevedere la partecipazione ai concorsi. E, anche, come potremmo chiedere all’Europa il riconoscimento dei titoli conseguiti in Italia?

Nel governo Berlusconi i sostenitori dell’abolizione del valore legale della laurea sono molti. Il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, è a favore di un «azzeramento titoli». E ieri lo ha ribadito: «Tanto più viene meno il valore legale dei titoli di studio tanto più aumenta il valore dei contenuti degli stessi».

Anche il ministro Gelmini ci crede. «Se vogliamo una vera concorrenza tra gli Atenei si passa da lì e sono convinta che il Paese riuscirà a recuperare efficienza e qualità da questa misura».

Il 9 gennaio, la Lega Nord aveva anche presentato in Parlamento un ordine del giorno proprio sull’abolizione del valore legale della laurea sostenendo che l’attuale titolo di studio, legalmente riconosciuto, sarebbe alla base della «falsa concorrenza» agli atenei del nord da parte delle università meridionali che si sarebbero trasformate in «laureifici».

I sostenitori dell’abolizione ritengono infatti che se è soltanto il titolo di laurea il passpartout nel mondo delle professioni gli studenti cercano la sede che prospetta minori difficoltà e i professori si limitano a una preparazione asettica e manualistica e la media dei voti permetterebbe di sovrastimare le università che premiano con un minore impegno.

La proposta però non convince per nulla i sindacati. Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc-Cgil: «E’ evidente che c’è uno stretto collagamento tra l’abolizione dela valore legale della laurea e la privatizzazione delle università. Questa misura creerebbe una grave incertezza nell’accesso alle professioni. E’ il grimaldello con cui passare ad un sistema privatistico e alla nascita dei laureifici, il mercato delle lauree».

Anche l’Unione degli Universitari la ritiene «inaccettabile» perché «si incentiverebbero invece meccanismi clientelari, a danno di coloro che non hanno le giuste raccomandazioni».

Fonte: http://www.lastampa.it/

(*) Piano di Rinascita Democratica: (Punto 1) "Riformare l'Università, abolire il titolo di studio e svuotarla di contenuti"


25 maggio 2009

LA FATTORIA DEGLI ANIMALI DI OBAMA

Grandi guerre sempre più sanguinose equivalgono a giustizia e pace?

di James Petras


Gli Stati Uniti hanno costretto il generale David D. McKiernan alla rinuncia del grado perchè considerato incapace di adempiere la sua missione e viene nominato come successore Stanley McChrystal generale dell'esercito, che poi diventa il nuovo comandante delle forze armate statunitensi, la NATO e l'Afghanistan. In questo modo, Obama nomina un militare che ha un passato oscuro: Stanley McChrystal non solo ha creato la JSOC (Joint Special Operations Command), uno speciale comando segreto impegnato in una serie di abusi e di altre atrocità, compresa la tortura nelle prigioni in Iraq, ma questo brutale militare è un fervente sostenitore della dottrina neoconservatrice dell'era di Bush. Tutto questo promette una maggiore escalation militare in Afghanistan e più guerra nell'agenda imperialista.
(NDA)

http://cache.daylife.com/imageserve/0gCKa3o1Hl1DM/610x.jpg
Nella foto il Gen. Stanley McChrystal

«I Deltas sono psicopatici ... devi essere uno psicopatico accreditato per aderire al Delta Force ...» ha detto a Fort Bragg, negli anni Ottanta, un colonnello dell'esecito USA.
Ora, il Presidente Obama ha appena promosso il più odioso degli psicopatici, il generale Stanley McChrystal, capo militare degli Stati Uniti e della NATO in Afghanistan.

La promozione di McChrystal per tale carica di leadership è stato contrassegnato dal ruolo cruciale che ha sviluppato nella conduzione di operazioni speciali con squadre incaricate per eseguire uccisioni, tortura sistematica, bombardamenti di civili e alle comunità di ricerca e distruggere le missioni. Incarna totalmente la brutalità e l'amore per il sangue che accompagna la costruzione dell' Impero guidato dall'esercito. Tra settembre 2003 e agosto 2008, McChrystal è stato al comando del Joint Special Operations Command (JSO, per la sua sigla in inglese) che utilizzano attrezzature speciali per effettuare omicidi all'estero.

Il punto da evidenziare delle squadre di «Operazioni Speciali» (SOT) è che i suoi membri non fanno distinzione tra civili e militari, tra attivisti e i loro simpatizzanti o la resistenza armata. Il SOT è specializzato nella creazione di squadroni della morte di reclutare e formare le forze paramilitari per terrorizzare le comunità, i quartieri e i movimenti sociali che si oppongono ai regime clientelist degli USA. La "lotta al terrorismo" del SOT è terrorismo all'inverso, dedicandosi a perseguire i gruppi sociopolotici esistenti tra gli StatiUniti e la resistenza armata.

I
l SOT di McCrystal selezionò come obiettivi i dirigenti degli enti locali e nazionali della resistenza in Iraq, in Afghanistan e il Pakistan, attaccando attraverso azioni di comando e bombardamenti aerei. Negli ultimi cinque anni di Bush-Cheney-Rumsfeld, il SOT è stato profondamente coinvolto nella tortura di prigionieri politici e di indagati. McChrystal era soprattutto il preferito di Rumsfeld e Cheney perchè il responsabile delle forze di "azione diretta" di "Unità di Missioni Speciali".

Le operazioni di "Azione Diretta" si compongono di torturatori e di squadroni della morte
e l'unico dovere che sentono nei confronti della popolazione locale è quello di scatenare il terrore, non di fare propaganda. Essi esercitano la "propaganda dei morti" nelle uccisioni di leader locali con l'obiettivo di "insegnare" alla popolazione locale ad obbedire e sottomettersi all'occupazione. La nomina da parte di Obama di McChrystal al comando supremo fa riflettere su una nuova e grave escalation militare della guerra in Afghanistan contro i progressi della resistenza in tutto il paese.

Il deterioramento della posizione degli Stati Uniti si riflette nel processo di indurimento del muro intorno a tutte le strade da e per la capitale afghana, Kabul, così come l'espansione del controllo e l'influenza dei talebani attraverso il confine tra Pakistan e Afghanistan. L' incapacità di Obama di reclutare nuovi rinforzi da parte della NATO significa che l'unica opportunità a disposizione della Casa Bianca per far progredire la loro avanzata militaristica imperiale, è quello di aumentare il numero di truppe degli Stati Uniti ed aumentare la percentuale di morti tra tutti i casi di civili sospetti nei territori controllati dalla resistenza armata afgana.

La Casa Bianca e il Pentagono dicono che la nomina di McCrystal è dovuto alla "complessità" della situazione sul terreno e la necessità di "un cambiamento di strategia". Il termine "complessità" è un eufemismo per cercare di nascondere il forte aumento dell' opposizione agli Stati Uniti, che complica le operazioni tradizionali di "scansione militare e bombardamenti" a tappeto. La nuova strategia perseguita da McChrystal richiede "operazioni speciali" a lungo termine e su larga scala per devastare le reti sociali locali e assassinare i loro leader, che forniscono il supporto di sistema necessari alla resistenza armata.

La decisione
di Obama di impedire la pubblicazione di decine di foto che documentano la tortura dei prigionieri catturati dalle truppe negli "interrogatori" americani (in particolare sotto il comando di "forze speciali") è direttamente collegata con la nomina di McChrystal, le cui forze "SOT" sono profondamente coinvolte nella vasta pratica della tortura eseguita in tutto l'Iraq. Di pari importanza è che sotto il comando di McChrystal, il Delta, il SEAL e le Squadre di Operazioni Speciali hanno un ruolo maggiore nella nuova "strategia di counterinsurgency" (controinsurrezione). L'affermazione di Obama che la pubblicazione di queste foto potrebbe pregiudicare le "truppe" ha un significato speciale: la presentazione grafica del modus operandi di McChrystal nel corso degli ultimi cinque anni del mandato del Presidente Bush, minerebbe la sua efficacia nella realizzazione di operazioni identiche sotto Obama.

La decisione di Obama di recuperare i "tribunali militari" segreti di prigionieri politici che furono istituiti nel campo di prigionia di Guantanamo non è una semplice ripetizione delle politiche di Bush-Cheney, che Obama ha condannato e, che durante la sua campagna presidenziale ha promesso di eliminare, ma parte della sua più ampia politica di militarizzazione e coincide con l'approvazione delle più grandi operazioni segrete di sorveglianza della polizia scatenata contro i cittadini statunitensi.

Mettere McChrystal a capo delle estese operazioni militari afghano-pakistane significa collocare un noto professionista del terrorismo militare, della tortura che uccide coloro che si oppongono alle politiche statunitensi, nel centro della politica estera degli Stati Uniti. L'espansione quantitativa e qualitativa di Obama della guerra USA in Asia del Sud significa un massiccio numero di profughi che fuggono dalla distruzione dei loro campi, case e villaggi, decine di migliaia di morti civili e l'eliminazione di intere comunità. Tutto questo è ciò che sta per eseguire l'amministrazione Obama nel tentativo di "catturare il pesce ( attivisti insurrezione armata) svuotando il lago (spostare tutta la popolazione)".

La restaurazione di Obama di tutte le disastrose politiche dell'Era Bush e la nomina del suo più brutale comandante si basa sul suo totale abbraccio dell'ideologia dell' Impero attraverso l'esercito. Una volta che uno è convinto (così come Obama) che il potere e l'espansione degli Stati Uniti si basano su counterinsurgency e conquiste militari, qualsiasi altra considerazione economica, morale, diplomatico e ideologico è subordinata al militarismo. Concentrando tutte le risorse per il raggiungimento del successo nella conquista militare, a malapena potrà prestare attenzione ai costi sostenuti dal popolo, schiacciato dalla conquista, né alle esigenze di economia interna del Tesoro Usa. Questo è diventato evidente sin dall'inizio: Nel mezzo di una grande recessione-depressione, con milioni di americani che perdono i loro posti di lavoro e le case, il Presidente Obama ha aumentato il bilancio militare del 4%, che equivale ad un aumento di oltre 800.000 milioni di dollari.

L'abbraccio del militarismo di Obama è evidente dalla sua decisione di estendere la guerra in Afghanistan, nonostante il rifiuto dei paesi della NATO ad impegnarsi per l'invio di più truppe. Ed è evidente dalla nomina del generale delle Forze Speciali più infame mai stato al comando militare dell'era Bush-Cheney, che ha la missione di rompere le zone di frontiera del Pakistan.

Questo è quello descritto da George Orwell in Animal Farm: I Suini democratici sono ora impegnati nella stessa brutale politica militarista dei loro predecessori, i porcellini repubblicani, ma adesso tutto è fatto in nome dei popoli e della pace. Orwell potrebbe parafrasare la politica del presidente Barack Obama dice: "più grandi e più sanguinose guerre equivalgono a giustizia e pace".

Fonte:
http://pulsemedia.org/2009/05/18/obama%E2%80%99s-animal-farm-james-petras/

Tradotto per Voci Dalla Strada da
Loris


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24 maggio 2009

L'ITALIA DEL DUCE

L'Italia è stata un pioniere nella creazione del fascismo: Mussolini ha preso il potere nel 1923, prima di qualsiasi altro dittatore del suo stampo. Oggi, con Berlusconi, l'Italia è ancora una volta in prima linea. Il tono istrionico, teatrale, pacchiano, sessista e irrispettoso di questo personaggio cela a malapena il suo pericolo. Potrebbe sembrare una caricatura così irripetibile in altre latitudini da non sembrare vero e far abbassare la guardia. Ma Berlusconi accentua fino al grottesco tendenze arrampicatrici in altre zone d'Europa e del mondo.

Con il discredito della politica, il segreto della sua popolarità è presentarsi come un "non politico", come un imprenditore trionfatore. Molte persone identificano la politica con l'inefficienza e la corruzione, e valorizza il privato al sopra del pubblico
Caratterizzate dall' ideologia neoliberale, queste persone sono diventate politicamente ciniche, e applaudono coloro che gestiscono gli affari pubblici, con una mentalità da capitalisti di ventura, attenti solo al profitto individuale e pronti a saccheggiare beni pubblici per il proprio beneficio personale. Imbevuti dello stereotipo che il pubblico equivale all'inefficiente, preferiscono affidare la sorte del paese a chi è stato accreditato come manager vincente- che equivale, in base alla morale dominante, a benifici molto renumerativi.
La società italiana è stata convertita in Italia S.p.a. Le persone cessano di essere cittadini e si trasformano in consumatori, i telespettatori, tifosi, individui senza senso di responsabilità collettiva e suscettibili all' essere acquistati.
Berlusconi compra tutto e tutti: accumula imprese, gruppi mediatici, club sportivi, parlamentari, senatori (compresi quelli di altri partiti), giornalisti, avvocati, giudici e tutti i tipi di professionisti. E nel mondo iper-borghese promuove il "chi paga comanda". Cittadinanza, diritti, responsabilità civili, solidarietà e dignità sono concetti estranei al berlusconismo. Dopo il terremoto di L'Aquila, il Cavaliere ha annunciato la creazione di una nuova lotteria il cui gettito servirà per aiutare le vittime ", senza che gli italiani devono pagare più tasse". La formula è succosa. Neanche in un simile caso si fa un appello alla solidarietà: l'avidità è meglio per raccogliere fondi.

La massa despolitizzata degli elettori di Berlusconi ringrazia il Cavaliere di leggere ad alta voce quello che pensa e non ha il coraggio (o meglio non avrebbe il coraggio) di dire.
Come frodare il fisco, schivare la giustizia se si può, ostentare l'egoismo naturale che tutti condividiamo, dire villanerie e trattare pubblicamente le donne come oggetti decorativi senza sentire il bisogno di vergognarsi.

Nell'anima umana albergano i sentimenti più disparati: alcuni bassi, altri elevati. Il leader non solo governano. A volte trasmettono, un tono morale alla cittadinanza, inibendo una tendenza e incoraggiandone un'altra. Il transito dell'era di Bush a quella di Obama è un esempio del miglior clima morale negli Stati Uniti. Il berlusconismo esemplifica l'evoluzione opposta, un'evoluzione che ha attivato i peggiori istinti, come si è visto nella caccia agli immigrati subito attivata appena Berlusconi ha vinto le elezioni.
In un recente soggiorno a Barcellona, Paolo Flores d'Arcais, direttore della rivista MicroMega, uno dei pochi riferimenti degni della sinistra italiana, caratterizzava il berlusconismo come un "putinismo soft": la stessa concentrazione personalistica del potere politico, economico e mediatico in Russia, ma in Italia "ancora" non si uccidono o imprigionano i giornalisti concorrenti. Tuttavia, Flores d'Arcais ha spiegato che, poco dopo l'assassinio della Politkovskaja, in una conferenza stampa ospitata da Berlusconi e il presidente russo durante la sua visita in Italia, il capo del Governo italiano ha fatto il gesto con le mani di mitragliare una giornalista russa presente che aveva formulato una scomoda domanda per l'ospite russo.

Il berlusconismo, spiega Paolo Flores, è fascismo classico. Invoca valori tipicamente individualisti e borghesi: successo individuale nel mondo degli affari, supremazia del denaro, senza limiti di arricchimento. Né utilizza l' intimidazione degli squadroni delle camicie nere, marroni o blu, ma l'intimidazione del denaro, corruzione, le liste nere: comprare tutto ciò che è acquistabile. Ma dietro queste differenze non trascurabili, è in agguato lo stesso cinismo, la stessa arroganza e disprezzo per i diritti umani e per la democrazia. Neofascismo? Populismo di destra?Non importa l'etichetta, la cosa importante è che l'Europa, e le altre società ricche, sono minacciate nella loro libertà. Ci sono diversi progetti, distinti ma anche correlati, per minare la libertà o eliminarla a minare i diritti conquistati, per distruggere il concetto e la pratica di cittadinanza e per far diventare il massimo numero di persone ignoranti depoliticizzati, attenti solo a consumare e applaudire lo spettacolo nel quale si trasforma la realtà dalla mano di alcuni media manipolatori.

Flores D'Arcais non si è limitato a glossare gli svarioni di questa destra e le sue radici clericali e mafiose accentuate dalla Guerra Fredda, ma anche ha sottolineato senza alcuna pietà la disastrosa autodistruzione della sinistra italiana e la sua complicità con la corruzione e il degrado della vita pubblica.
Propongo un esercizio intellettuale: un inventario dei tratti di populismo reazionario che si sviluppa in Spagna nella destra autoctona -da Jesùs Gil (quella replica militarista diretta da Don Silvio) fino a Ragoy, passando da Aguirre, Camps e Fabra- a immagine e somiglianza del berlusconismo.

E, anche, riflettere sulle responsabilità che ha e che può avere la sinistra autoctona nell'alimentare il mostro. E come combatterlo.

Fonte: http://blogs.publico.es/dominiopublico/1289/populismo-de-nuevo-tipo/

22 maggio 2009

Il Pentagono Si Prepara Per La Guerra Al Nemico: La Russia

di Rick Rozoff

“Oggi la situazione è molto più critica che nell’agosto 2008… [A] Un possibile ritorno della guerra non sarà limitato alla zona del Caucaso.

“Il nuovo Presidente degli Stati Uniti non ha contribuito a dei reali cambiamenti nelle relazioni con la Georgia, ma avendo un ruolo predominante all’interno della NATO insiste che la Georgia si unisca presto all’Alleanza. Se questo accadrà, il mondo si troverà ad affrontare una minaccia ben peggiore di quanto fu la crisi della guerra fredda.

“Alla luce di queste nuove realtà, la guerra della Georgia contro l’Ossezia del Sud potrebbe facilmente trasformarsi nella guerra della NATO contro la Russia. Il che equivale alla terza guerra mondiale.” (Irina Kadzhaev, scienziata politica dell’Ossezia del Sud, South Ossetia Information Agency, April 2009)

Il 12 maggio James Mattis, il Comandante in Capo della Trasformazione Alleata (ACT) e Comandante del Comando Statunitense delle Forze Alleate, si è così espresso al simposio di tre giorni (Joint Warfighting 09 , Combattimento di Guerra Unito 09) tenutosi a Norfolk, Virginia, dove è situato il Comando della Trasformazione Alleata: “C’è una certa urgenza. Il nemico sta svolgendo un incontro esattamente come questo”. [1]

Un giornale locale riportò questo sunto del suo discorso:

“Mattis ha evidenziato un futuro nel quale le guerre non avranno origine o fine in maniera delineata. Ha detto che ciò di cui c’è bisogno è una formidabile strategia, una struttura politica in grado di guidare i piani militari.” [2]

Ha sbagliato, per quelle che senza dubbio passano per ragioni diplomatiche, a identificare il “nemico”, ma una serie di recenti sviluppi, o piuttosto un’intensificazione di sviluppi già in corso, indica chiaramente di che nazione si tratti.
La settimana scorsa il capo del Comando Strategico degli Stati Uniti, il Generale Kevin Chilton, ha detto ai giornalisti, nel corso di una colazione del Gruppo di Scrittori della Difesa il 7 maggio, che “la Casa Bianca mantiene l’opzione di rispondere con l’utilizzo della forza fisica – fino alle armi nucleari – se un’entità straniera dovesse condurre un attacco ai danni dei sistemi informatici della rete statunitense.”
Un resoconto del suo discorso aggiunge che “il Generale ha insistito che tutte le opzioni di risposta, comprese quelle nucleari, sono disponibili al comandante in capo che deve difendere la nazione da attacchi informatici.”
Chilton “diceva di non poter escludere la possibilità di attacchi a salve nei confronti di una nazione come la Cina, sebbene anche Pechino abbia armi nucleari,”[3] anche se il primo bersaglio ipotizzabile per quanto riguarda una presunta rappresaglia nei confronti di un altrettanto presunto attacco informatico sarebbe un’altra nazione, già identificata dagli ufficiali militari: la Russia.

Tra la fine di aprile e l’inizio di maggio 2007 il Governo dell’Estonia, insediato nel 2004 dalla NATO e il cui Presidente era e rimane Toomas Hendrik Ilves, nato in Svezia e cresciuto negli U.S.A. (dove ha lavorato per Radio Free Europe, Radio Europa Libera), ha riportato attacchi a siti web nel Paese, dei quali è stata incolpata la Russia.
Più di due anni più tardi, non è stata ancora presentata alcuna prova a sostegno della tesi che vuole hacker russi, o addirittura lo stesso Governo, dietro quegli attacchi, sebbene tale conclusione resti articolo di fede negli U.S.A. e tra altri ufficiali e media occidentali.
La risposta da parte delle autorità americane è stata inizialmente tanto dura e immediata, ancora prima che fossero condotte delle indagini, da suggerire fortemente che, se quegli attacchi non ci fossero stati, ci sarebbe stato bisogno di inventarli.
Subito dopo, il Segretario dell’Air Force, Michael W. Wynne disse, “La Russia, il nostro nemico dei tempi della guerra fredda, sembra essere stata la prima a impegnarsi in una guerra informatica.”
La fonte di informazioni dell’Air Force statunitense, da cui abbiamo riportato quanto sopra, ha aggiunto che in Estonia qualche giorno prima “era cominciata una serie di dibattiti tra la NATO e l’Unione Europea, riguardo la definizione di un’azione militare precisa, e potrebbe trattarsi del primo tentativo di applicazione dell’articolo V della Carta NATO, riguardante l’auto-difesa collettiva in ambito non cinetico.” [4]

L’articolo 5 della NATO è un provvedimento di difesa militare collettiva, di fatto una clausola di guerra, che è stata utilizzata un’unica volta, per supportare e protrarre la guerra in Afghanistan.
Tali riferimenti, pertanto, non dovrebbero essere presi alla leggera.
In una visita in Estonia lo scorso novembre, il capo del Pentagono obert Gates si è incontrato con il Primo Ministro del Paese, Andrus Ansip, e ha “discusso il comportamento della Russia e una nuova cooperazione in materia di sicurezza informatica…”
E’ stato riportato che “Ansip ha detto che la NATO agirà secondo il principio dell’Articolo 5 del trattato dell’Alleanza, che stabilisce che un attacco a uno degli alleati viene trattato come un attacco a tutti”, e “Siamo convinti che l’Estonia, in quanto membro della NATO, sarà ben difesa.”
[5]
Che il ripetuto riferimento all’Articolo 5 della NATO sia andato avanti per un anno e mezzo dopo i presunti attacchi informatici, quando non se ne è verificato alcuno nel frattempo è indicativo.
All’inizio del mese il Pentagono ha annunciato di essere in procinto di lanciare la cosiddetta “forza digitale di guerra per il futuro”, a Fort Meade, nel Maryland, sotto il controllo del Comando Strategico degli U.S.A., il cui capo, Generale Kevin Chilton, è stato citato più sopra per le sue minacce di utilizzare la forza, comprese le armi nucleari.

L’iniziativa è stata caratterizzata in un resoconto come segue:
“Il Luogotenente Generale Keith Alexander, comandante della dirigenza della Guerra informatica del Pentagono, ha detto che gli Stati Uniti sono determinati a dirigere lo sforzo globale diretto a utilizzare le tecnologie informatiche per dissuadere o sconfiggere I nemici…” [6]
Il Pentagono è una traslazione del Dipartimento della Difesa e ogni cosa che fa riferimento alle sue attività è mascherata con gli stessi eufemismi, pertanto gli U.S.A, se forzati, insisteranno che il loro progetto di guerra informatica si prefigge scopi esclusivamente difensivi. Qualunque nazione il cui popolo si è trovato dall’altro capo del filo rispetto al Dipartimento della Difesa degli U.S.A la penserebbe diversamente. Il nuovo comando della guerra informatica statunitense, le sue ragioni nella presunta minaccia russa emergente da un incidente non militare nella zona baltica più di due anni fa, verrà utilizzato per danneggiare i sistemi informatici di qualunque nazione divenga il bersaglio di un attacco militare diretto, in questo modo rendendo il nemico inoffensivo. Tutto ciò risulterà particolarmente efficace all’interno di un programma spaziale e nelle cosiddette Star Wars (scudi missilistici, intercettazioni di missili). Che sono programmi di attacco.

Lo stesso giorno in cui è apparsa la notizia dell’impegno, da parte del Generale Alexander, di “sconfiggere i nemici”, da un’altra parte è stato riportato che “Martedì [12 maggio] è stato mandato nello spazio un satellite semi-segreto, che servirà da esploratore ingegneristico per le missioni balistiche nell’individuare l’utilizzo di teconologie.” [7]
Era un satellite STSS-ATRR (Sistema di Tracciamento e Sorveglianza Spaziale – Tecnologia Avanzata per la Riduzione del Rischio), cioè una “parte di un sistema spaziale per l’Agenzia di Difesa Missilistica.
“Dei Sensori posti a bordo del satellite STSS-ATRR e a terra comunicheranno con altri sistemi allo scopo di difenderci da missili balistici in avvicinamento.” [8]
Pochi giorni prima la fabbrica Ducommun, situata in California, titolò un reportage, La Ducommun Inc. annuncia il rilascio dei Nano-satelliti all’Esercito Spaziale degli U.S.A. Il Comando di Difesa Missilistica annunciò che “la sua sussidiaria, la Miltec Corp., aveva consegnato nano-satelliti pronti al lancio all’Esercito degli U.S.A e al Comando di Difesa Missilistica / Comando Strategico dell’Esercito (USASMDC/ARSTRAT) a Huntsville, Alabama, il 28 aprile 2009.
La consegna è stata “il completamento del primo programma di sviluppo del satellite per l’Esercito statunitense, dai tempi del satellite per le comunicazioni Courier 18, nel 1960.” [9]
I satelliti militari utilizzati per neutralizzare il potenziale di una nazione rivale non tanto per colpire per primi ma per rispondere a un attacco, fanno sfumare la distinzione tra il cosiddetto Figlio delle Star Wars (progetto di scudi missilistici) a una militarizzazione dello spazio in piena regola.

Un articolo apparso in Russia di recente la metteva così:
Il ritiro dal Trattato ABM del 1972 ha significato un salto tra il collaudo e lo sviluppo di un sistema di difesa missilistica globale, con la prospettiva di rimuovere completamente il potenziale deterrente della Cina e in parte quello della Russia.
“Washington sta ancora cercando di eliminare le restrizioni legali internazionali sulla formazione di un sistema che teoricamente la renderebbe invulnerabile nei confronti di una rappresaglia e persino nei confronti di una reazione a un attacco.” [10]
Ad aggiungersi a tutto ciò è un ulteriore sotterfugio “semi-segreto”, relativo alla prevista ripresa dei colloqui tra gli Stati Uniti e la Russia, riguardanti il Trattato di Riduzione Strategica degli Armamenti (START).
L’Assistente al Segretario di Stato Americano, Rose Gottemoeller, ha affermato questa settimana che “gli U.S.A. non sono pronti a ridurre le testate non più destinate alla consegna e conservate in magazzino.” [11]
Pertanto, oltre ai piani degli Stati Uniti per schierare sistemi anti-missilistici di terra, mare, aria e spazio fondamentalmente attorno e contro la Russia (Polonia, Repubblica Ceca, Norvegia, Gran Bretagna, Giappone e Alaska, finora), il Pentagono terrà in riserva testate nucleari pronte per essere attivate, prive di un meccanismo di monitoraggio fornito agli ispettori russi e ai negoziatori nell’affare della riduzione degli armamenti.

Il 6 maggio, Euronews ha condotto un’intervista con il Ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, che ha ammonito: “La maniera in cui [lo scudo anti missili balistici degli Stati Uniti] è stato progettato non ha niente a che vedere con il programma nucleare dell’Iran. E’ diretto alle forze strategiche russe, schierato nel settore europeo della Federazione Russa.” [12]
Ad aggiungere ulteriore preoccupazione alla Russia e ad altre nazioni, il 30 aprile gli U.S.A. hanno stabilito una base navale e un commando di Difesa Missilistica (NAMDC) alla base di supporto navale sita a Dahlgren, Virginia.
“La NAMDC è la principale organizzazione della Marina, legata e combinata con la Difesa Integrata Aerea e Missilistica (IAMD). La NAMDC funziona come singolo centro militare di eccellenza, per sincronizzare e integrate gli sforzi della Marina attraverso l’intero spettro di difesa aerea e missilistica, includendo difesa aerea, difesa dai missili cruise e difesa dai missili balistici.” [13]
Le due ultime settimane sono state un buon periodo per storie del genere e, per richiamare l’attenzione a terra, il giornale della Difesa statunitense ha riportato, da una fonte russa, che “gli U.S.A. hanno acquistato due jet da combattimento SU-27 dall’Ucraina”, per “utilizzarli nell’addestramento di piloti militari americani, che potrebbero trovarsi a fronteggiare dei nemici” e che “L’Esercito Americano li utilizzerà per collaudare il proprio equipaggiamento militare, radar e elettronico.” [14]

Questo nel momento in cui il cliente ucraino degli Stati Uniti, il Presidente Viktor Yushchenko, con un indice di gradimento nazionale precipitato attorno all’1%, firmò una direttiva per prepararsi a un’appartenenza a pieno titolo alla NATO e pochi giorni dopo che una delegazione militare statunitense era stata nel paese per ispezionare un’unità di carri armati e per pianificare una “riforma nel sistema di addestramento al combattimento…” [15]
Per quanto riguarda l’addestramento statunitense per la guerra contro l’Air Force russa, lo sviluppo in Ucraina è solo l’ultimo di una serie di attività similari.
Immediatamente dopo che la nazione era diventata un membro a pieno titolo della NATO, l’ 81° Squadrone Combattente statunitense si è diretto a Constanta, in Romania (dove il Pentagono ha acquisito quattro nuove basi, da allora) per impegnarsi in addestramento al combattimento nei confronti dei MiG-21s russi.
Secondo uno dei piloti americani presenti, “E’ stato carino – sei seduto in un Mig-21 che sarà guidato da un pilota di MiG-21 entro pochi gironi. Si tratta di un’arma dell’ex-Unione Sovietica. Questi piloti volavano prima che l’Unione cadesse. Hanno una buona prospettiva.” [16]
Nel luglio dell’anno successivo, il 492esimo Squadrone Combattente statunitense è stato schierato alla Base Aerea di Graf Ignatievo, nella vicina Bulgaria, per garantire l’opportunità alle “Air Force di numerose nazioni l’apprendimento delle tattiche e capacità aeree l’una dell’altra.
“I piloti dello Stormo Aquile F-15E, dei MiG-29s e dei MiG-21s condividono la conoscenza dei velivoli e delle tattiche, già al termine della prima settimana di addestramento.

Un colonnello dell’Air Force statunitense fu citato mentre diceva, “Solo due, tra i 38 membri dell’equipaggio, hanno avuto l’opportunità di volare contro un MiG. Quando l’addestramento sarà concluso, ognuno di loro avrà provato a volare all’interno di un MiG, o contro uno.” [17]
Un mese dopo arrivò in Romania del 22esimo Squadrone Combattente di Spedizione statunitense per le esercitazioni sul Viper Lance, il che “fu la prima volta che dei piloti di F-16 americani si sono addestrati in Romania” e “i piloti di MiG-21 e di F-16 hanno volato in formazioni integrate conducendo manovre base di combattimento, diverse prove di combattimento aereo e missioni di attacco aria-terra…” [18]
Questa volta citiamo un pilota di F-16, dello Stormo Fighting Falcon:
“Volo nel sedile posteriore di un MiG-21: è una buona opportunità di vedere diversi velivoli e ciò costituisce un privilegio e un onore. Voglio vedere anch’io quello che si vede dal sedile di fronte, e considerare un nuovo punto di vista nello scontro con i nostri avversari.” [19]
Due settimane fa uno Squadrone Combattente dell’Air Force statunitense si è recato alla base aerea a Bezmer, in Bulgaria, dove un aviatore americano ha detto, “Questa è la prima volta che uno Squadrone Combattente USAFE (United States Air Forces in Europe) è stato schierato in questo punto… La parte più gratificante di quest’impresa è sapere che sto aiutando i piloti a prepararsi per la guerra.“ [20]
Per preparare gli Stati Uniti per il combattimento aereo nei confronti dell’intero arsenale russo, l’India è stata invitata alle esercitazioni aeree annuali, denominate Red Flag (Bandiera Rossa), in Alaska, nel 2007. I giochi di guerra “servivano ad addestrare piloti provenienti dagli Stati Uniti, dalla NATO e da altre nazioni alleate, ad affrontare situazioni di guerra reali.
“Il che include l’utilizzo di armamenti ‘nemici’ e munizioni funzionanti nelle esercitazioni di bombardamento.” [21]

L’India ha inviato sei combattenti d Sukhoi SU-30MKI, che erano “particolarmente interessati agli esercizi made in Russia, nazione tradizionalmente considerate ostile.” [22]
Il 1° maggio, cogliendo l’occasione in cui la Repubblica Ceca ha assunto per sei mesi il ruolo (assegnato a rotazione) di pattuglia aerea pro-NATO sopra i cieli del Baltico (sopra Estonia, Lettonia e Lituania) – a cinque minuti di volo da S. Pietroburgo, la seconda città più grande della Russia – un ufficiale ceco si è vantato, “L’area che proteggiamo è all’incirca tre volte più vasta dell’intera Repubblica Ceca. Questo è un avamposto della NATO.”
Il Comandante dell’Air Force lituana, Arturas Leita, ha annunciate che, “I Paesi del Baltico chiederanno probabilmente il prolungamento delle missioni aeree all’interno della NATO fino al 2018.” [23]

Nel periodo 8-16 giugno, la Svezia ospiterà una esercitazione NATO, Loyal Arrow (Freccia Leale), descritta come “la più grande esercitazione mai tenutasi nella baia svedese/finlandese di Bothnia, “ [24], che a sua volta non è molto distante da S. Pietroburgo, con una porta-aerei britannica e più di 50 jet da combattimento.
Questa esercitazione comincerà esattamente una settimana dopo la fine dei Giochi di Guerra guidati dagli U.S.A., NATO Cooperative Lancer 09, che si terranno nella Georgia, il fianco destro della Russia.
Parlando dei pericoli di tutto quanto sopra riportato, il Ministro della Comunicazione dell’Ossezia del Sud, ha citato recentemente la scienziata Irina Kadzhaev, come avvertimento:
“Oggi la situazione è molto più critica che nell’agosto 2008. La minaccia di allora incombeva solo sull’Ossezia del Sud e sull’ Abkhazia. Dopo il riconoscimento, da parte della Russia, dell’indipendenza di questi Stati e la conclusione degli accordi ipotizzanti la presenza delle forze armate russe sul loro territorio, un possibile ritorno della guerra non sarà limitato alla zona del Caucaso.

“Il nuovo Presidente degli Stati Uniti non ha contribuito a dei reali cambiamenti nelle relazioni con la Georgia, ma avendo un ruolo predominante all’interno della NATO insiste che la Georgia si unisca all’Alleanza. Se accadrà, il mondo si troverà ad affrontare una minaccia ben peggiore di quanto fu la crisi della guerra fredda.
Alla luce dei nuovi fatti, la Guerra della Georgia contro l’Ossezia del Sud potrà facilmente diventare una Guerra NATO contro la Russia. Il che equivale alla terza guerra mondiale.” [25]
Note:
1) Virginian-Pilot, May 13, 2009
2) Ibid
3) Global Security, May 12, 2009
4) Air Force Link, June 1, 2007
5) U.S. Department of Defense, November 12, 2008
6) Associated Press, May 5, 2009
7) Space Flight Now, May 5, 2009
8) Pratt & Whitney, May 5, 2009
9) Ducommun Incorporated, April 29, 2009
10) Russian Information Agency Novosti, May 7, 2009
11) Russia Today, May 5, 2009
12) Euronews, May 6, 2009
13) Navy News, April 30, 2009
14) Moscow News, May 11, 2009
15) National Radio Company of Ukraine, April 29, 2009
16) Air Force Link, August 2, 2005
17) U.S. Air Forces in Europe, July 24, 2006
18) Stars and Stripes, August 26, 2006
19) Air Force Link, August 17, 2006
20) Air Force Link, April 28, 2009
21) Indo-Asian News Service, November 26, 2007
22) Avionews (Italy), November 28, 2007
23) Czech News Agency, May 1, 2009
24) Barents Observer, May 7, 2009
25) Ministry for Press and Mass Media of the Republic of South Ossetia, April 27, 2009

Fonte: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=13614

Tradotto per Voci Dalla Strada da Chiara De Giorgi

PERCHE' ESISTE UNA FAME GALOPPANTE NEL XXI SECOLO E COME SRADICARLA

di Éric Toussaint e Damien Millet

Mentre i paesi ricchi si preoccupano delle conseguenze della crisi finanziaria, nei paesi poveri la fame continua ad uccidere. Il programma del millennio predisposto dall’ONU doveva sconfiggerla ma, in realtà, la carestia progredisce. Le cause di questo dramma sono da cercarsi nelle politiche pubbliche dettate dal FMI e dalla Banca Mondiale, nella speculazione e nel fenomeno del debito, osservano Damien Millet e Éric Toussaint del CADTM (Comitato per l’Annullamento del Debito del Terzo Mondo).

Come spiegare che ci troviamo di fronte alla fame nel XXI secolo? Un abitante del pianeta su sette soffre di fame cronica.

Le cause sono conosciute: una profonda ingiustizia nella distribuzione delle ricchezze e una minoranza ristretta di grandi proprietari che possiede la maggior parte delle terre. Secondo la FAO (1) nel 2008 circa 963 milioni di persone soffrivano la fame. Queste persone appartengono paradossalmente alla popolazione rurale: sono per la maggior parte produttori agricoli che non possiedono proprietà o non hanno abbastanza terra, né i mezzi per valorizzarla.

Cosa ha provocato la crisi alimentare del 2007-2008?

È necessario sottolineare che nel 2007-2008, il numero di persone che soffrivano la fame è aumentato di 140 milioni. Questo drammatico aumento è dovuto all’esplosione del prezzo dei prodotti alimentari (2). In molti paesi i prezzi al dettaglio sono cresciuti all'incirca del 50%, in alcuni casi anche di più.

Perché questo aumento? È importante capire cosa è successo negli ultimi tre anni per rispondere a questa domanda e quindi formulare politiche alternative adeguate.

Da un lato, le istituzioni del Nord del mondo hanno aumentato i loro aiuti e le sovvenzioni per gli agro-carburanti (chiamati a torto «biocarburanti», dal momento che non hanno niente di bio). Improvvisamente è diventato redditizio sostituire le colture alimentari con le colture foraggiere e di semi oleosi, o deviare una parte della produzione di cereali (tra cui mais e grano) verso la produzione di agro-carburanti.

Dall’altro lato, dopo lo scoppio della bolla immobiliare negli Stati Uniti e di conseguenza nel resto del mondo, la speculazione dei grandi investitori (fondi pensione, banche di investimento, hedge fund) si è rivolta verso i mercati delle borse merci dove si negoziano i contratti sulle derrate alimentari (principalmente le tre borse degli Usa specializzate nei contratti a termine dei cereali: Chicago, Kansas City e Minneapolis). È perciò urgente per i cittadini mobilitarsi per impedire per via legale la speculazione sugli alimenti. Benché la speculazione al rialzo sia finita a metà 2008 e che i prezzi sul mercato a termine siano tornati ai livelli precedenti, i prezzi al dettaglio non hanno avuto la stessa tendenza. La stragrande maggioranza della popolazione mondiale dispone di redditi molto bassi e subisce ancora oggi le drammatiche conseguenze dell’aumento dei prezzi degli alimenti del 2007-2008. Le decine di milioni di perdite di posti di lavoro annunciate per il 2009-2010 su scala mondiale aggravano la situazione. E' quindi necessario che le autorità pubbliche esercitino un controllo sui prezzi alimentari per farli abbassare.

L’aumento della fame nel mondo non è dovuta per il momento al cambiamento climatico. Ma questo aspetto avrà conseguenze molto negative sulla produzione soprattutto in certe regioni del mondo, in particolare nelle zone tropicali e subtropicali, mentre la produzione agricola nelle zone temperate dovrebbe risentirne in misura inferiore.

È possibile eliminare la fame?

Sradicare la fame è di fatto possibile. Le misure fondamentali per raggiungere questo obiettivo vitale, passano da una politica di sovranità alimentare e dall’attuazione di una riforma agraria. Questo significa nutrire la popolazione grazie alla sforzo dei produttori locali, limitando le importazioni e le esportazioni.

È necessario che la sovranità alimentare sia al centro delle decisioni politiche dei governi. È necessario basarsi sulle aziende agricole familiari utilizzando tecniche destinate a produrre alimenti denominati «bio» (o «organici»). Ciò consentirà anche di disporre di un’alimentazione di qualità: senza OGM, senza pesticidi, senza erbicidi, senza fertilizzanti. Ma per raggiungere questo obiettivo è necessario che più di 3 miliardi di contadini possano accedere alla terra in quantità sufficiente e lavorarla essi stessi invece di arricchire i grandi proprietari, le multinazionali del settore agroalimentare e i commercianti. Bisogna inoltre che essi dispongano, grazie all’aiuto pubblico, dei mezzi per coltivare la terra (senza impoverirla).

Per fare questo, è necessario realizzare una riforma agraria, purtroppo non ancora attuata per esempio in Brasile, in Bolivia, in Paraguay come in Perù, in Asia o in alcuni paesi dell’Africa. Tale riforma agraria deve prevedere la redistribuzione delle terre, estromettendo le grandi proprietà terriere private, e fornire un appoggio pubblico al lavoro degli agricoltori.

È importante sottolineare che il FMI e soprattutto la Banca Mondiale hanno enormi responsabilità nella crisi alimentare poiché essi hanno consigliato ai governi del Sud del mondo di eliminare i silos di cereali che servivano ad alimentare il mercato interno in caso di carenza di offerta e/o di forte aumento dei prezzi. La Banca Mondiale e il FMI hanno spinto i governi del Sud a sopprimere gli istituti di credito pubblico per i contadini e hanno spinto questi ultimi nelle grinfie di creditori privati (spesso grandi commercianti) o di banche private che praticano tassi da usura. Questo ha provocato l’indebitamento massiccio dei piccoli contadini in India, in Nicaragua, in Messico come in Egitto o in numerosi paesi dell’Africa sub-sahariana. Secondo le indagini ufficiali, il sovraindebitamento che colpisce i contadini indiani è la causa principale di suicidio dei 150.000 contadini nel corso degli ultimi anni. È l’India, appunto, un paese dove la Banca Mondiale si è adoperata con successo per convincere le autorità a eliminare le agenzie di credito pubbliche per gli agricoltori. E non è tutto: durante gli ultimi quarant’anni, la Banca Mondiale e il FMI hanno anche spinto i paesi tropicali a ridurre la loro produzione di grano, riso o mais per rimpiazzarli con colture da esportazione (cacao, caffè, tè, arachidi, fiori). Infine, per accresce l'appoggio alle grandi società dell’agrobusiness e dei grandi paesi esportatori di cereali (cominciando dagli Stati Uniti, Canada e Europa occidentale), hanno spinto i governi del Sud ad aprire le loro frontiere alle importazioni di cibo che beneficiano di sovvenzioni massicce da parte dei governi del Nord, fenomeno che ha provocato il fallimento di numerosi produttori del Sud e una forte riduzione della produzione alimentare locale.

In sintesi, è indispensabile realizzare la sovranità alimentare e la riforma agraria. È necessario abbandonare la produzione di agro-carburanti industriali e bandire le sovvenzioni pubbliche a coloro che li producono. Bisogna ricreare nel Sud degli stock di riserve alimentari pubbliche (in particolare di cereali: riso, grano, mais), (ri)creare degli organismi pubblici di credito agli agricoltori e ristabilire una regolazione dei prezzi degli alimenti. È importante garantire che le popolazioni con un basso reddito possano beneficiare di prezzi bassi per alimenti di qualità. Lo Stato deve garantire ai piccoli produttori agricoli prezzi di vendita sufficientemente elevati per permettere loro di migliorare nettamente le condizioni di vita. Lo Stato deve anche sviluppare i servizi pubblici nelle zone rurali (salute, istruzione, comunicazioni, cultura, «banche» di sementi). I poteri pubblici sono perfettamente in grado di garantire allo stesso tempo prezzi sovvenzionati ai consumatori e prezzi di vendita sufficientemente alti per i piccoli produttori agricoli per far sì che essi dispongano di redditi adeguati.

La lotta contro la fame non è parte di una lotta ben più vasta?

Non si può pretendere seriamente di lottare contro la fame senza indagare le cause fondamentali che hanno portato alla situazione attuale. Il debito è una tra queste, e le parole spese su questo tema, anche nel corso dei G8 e G20 degli ultimi anni, nascondono male il fatto che il problema rimane intatto. La crisi globale che colpisce oggi il mondo aggrava la situazione dei paesi in via di sviluppo di fronte all’indebitamento e nuove crisi del debito nel Sud stanno preparandosi. Il debito ha portato i popoli del Sud, spesso dotati di risorse umane e ricchezze naturali considerevoli, a un generale impoverimento. Il debito è un saccheggio organizzato al quale è urgente porre fine.
Infatti, il meccanismo infernale del debito pubblico è un ostacolo fondamentale alla soddisfazione dei bisogni umani primari, che comprendono l’accesso ad una nutrizione sufficiente. Senza alcun dubbio, la soddisfazione dei bisogni primari deve prevalere su qualsiasi altra considerazione, geopolitica o finanziaria. Sul piano morale, i diritti dei creditori, rentier o speculatori non possono competere con i diritti fondamentali di sei miliardi di cittadini, calpestati dal meccanismo implacabile che rappresenta il debito.

È immorale chiedere ai paesi impoveriti da una crisi globale, di cui essi non sono per niente responsabili, di destinare una grande parte delle loro risorse per rimborsare creditori agiati (che essi siano del Nord o del Sud) piuttosto che per soddisfare i loro bisogni fondamentali. L’immoralità del debito deriva anche dal fatto che è spesso contrattato da regimi non democratici che non hanno utilizzato le somme ricevute nell’interesse delle loro popolazioni e hanno organizzato appropriazione indebita di denaro, con il tacito o attivo accordo degli Stati del Nord, della Banca Mondiale e del FMI. I creditori dei paesi più industrializzati hanno prestato con cognizione di causa a dei regimi spesso corrotti. Essi non hanno il diritto di esigere che i popoli rimborsino questi debiti immorali e illegittimi.

In breve, il debito è uno dei principali meccanismi per i quali nasce una nuova forma di colonizzazione a scapito dei popoli. Si aggiunge ai danni storici procurati dai paesi ricchi: schiavitù; sterminio delle popolazioni indigene; dominazione coloniale; saccheggio di materie prime, della biodiversità, del know-how dei contadini (per creare brevetti in favore del profitto delle multinazionali del Nord di prodotti agricoli del Sud, come per il riso basmati indiano) e dei beni culturali; fuga di cervelli. È arrivato il momento di sostituire la logica di dominazione con una logica di redistribuzione delle ricchezze secondo un criterio di giustizia.

Il G8, il FMI, la Banca Mondiale e il Club di Parigi impongono la loro verità, la loro giustizia di cui essi sono allo stesso tempo giudici e parte in causa. Di fronte alla crisi, il G20 ora cerca di porre nuovamente il FMI, oramai screditato e delegittimato, al centro del gioco politico e economico. È necessario porre fine a questa ingiustizia che avvantaggia gli oppressori del Nord e del Sud del mondo.

Éric Toussaint è presidente del CADTM Belgio (Comitato per l’Annullamento del Debito del Terzo Mondo). La sua ultima pubblicazione è: Banque du Sud et nouvelle crise internationale, CADTM/Syllepse, 2008.

Damien Millet è segretario generale del CADTM Francia. La sua ultima pubblicazione è: Dette odieuse (con Frédédric Chauvreau), CADTM/Syllepse, 2006. .

Note:
(1)- Organismo dell'ONU per l'alimentazione e l'agricoltura.
(2)- «Retour sur le causes de la crise alimentarie mondiale» di Damien Millet e Eric Touissant 07.09.2008

Fonte: www.voltairenet.org/article159911.html

Tradotto per Voci Dalla Strada da Vittorio Balducci

21 maggio 2009

CHI CONTROLLA IL QUARTO POTERE?

Forse più che altra ogni cosa,
è necessario democratizzare le comunicazioni,
e questo suppone prima di tutto renderle accessibili.

C’è bisogno da parte di tutti sia di informarsi,
e questo suppone l'accesso
ad una moltitudine di fonti diverse e plurali,
come parlare e informare.

Vincenzo Ferrari.


Uno dei principali annunci del liberalismo, è la separazione e l’autonomia dei poteri (esecutivo, legislativo e giuridico) cercare una limitazione del potere da parte di un'altro, fondamenta di tutta la democrazia rappresentativa o liberale. Ma, già nel XVIII secolo , ai tempi della Rivoluzione Francese, quando cominciava a formarsi la dottrina della politica liberale, Edmund Burke, aveva sentito l’esigenza di un Quarto Potere, prevedendo che sarebbe stato molto più importante di qualsiasi altro potere e che si sarebbe unito alla crociata per la libertà. Burke si riferiva ai mass media, e più precisamente alla stampa scritta. (Mercado,s.f). Poco più tardi, nel 1848, Carl Marx nel Manifesto del partito comunista, dà ai media la forza di unione e di organizzazione per la lotta politica operaia. E non per nulla, nel 1902 un giornale, Iskra, viene dichiarato come il principale organo di organizzazione della lotta marxista dei russi “da tutte le parti”, che aveva come obiettivo la formazione politica “in tutte le parti” di quadri militari del partito (Lenin, 1902). In altre parole, all’inizio della nascita della democrazia moderna già esisteva un potere che si mostrava come un mezzo altamente efficace per l’unificazione, organizzazione e l’azione politica. Ma in quegli anni era difficile prevedere la grandezza di quel potere e del controllo pubblico, sociale, economico e culturale che avrebbe esercitato questo Quarto Potere, il potere dei mass media con la proliferazione e penetrazione nelle società democratiche.
Agli inizi i mezzi di comunicazione furono percepiti: come istanze fiscalizzanti della gestione pubblica, come mediatori tra i poteri e i cittadini, nel senso di articolare la domanda, lo scontento e le aspirazioni di questi ultimi di fronte alle autorità scelte. Allo stesso tempo a loro veniva assegnato il dovere di offrire un’informazione opportuna e imparziale, come una mediazione indispensabile per dare ai recettori le conoscenze che permettessero la loro formazione democratica e cittadina. (Dragnic, 2005)


Ogni democrazia libera rivendica l’importanza dell’informazione per rendere pubblico il potere di Stato (intendendo pubblico nel senso di aperto, alla vista di tutti, non occulto) e così compiere una delle premesse basiche del liberalismo, proteggere l’individuo di fronte allo Stato. E i mezzi di comunicazione sono stati chiamati a compiere questo ruolo di controllore che lo hanno messo, in fin dei conti, sopra il resto dei poteri dello Stato.


Dall’altra parte, la redistribuzione della conoscenza e della formazione dell’individuo per esercitare a pieno i suoi diritti politici, economici, sociali e culturali, era un’altra missione da compiere dai mezzi di comunicazione. E dopo la Seconda guerra mondiale, si è assunto il compito di promuovere e di difendere i Diritti Umani. Ma uno in particolare è stato innalzato al di sopra di tutti gli altri diritti: la libertà d’espressione.


E più complessa diventava la società e più dipendente diventava l’informazione per il suo sviluppo, più ruoli venivano assunti e con più forza i mezzi di comunicazione esercitavano il loro potere in essi.


Dentro questo scenario, si potrebbe affermare che dentro una democrazia liberale i mass media sono orientati alla formazione delle coscienze cittadine per esercitare la democrazia stessa.


Sono finiti i giorni in cui i media erano indipendenti, cioè senza rappresentare gli interessi dei diversi gruppi sociali, ed erano semplici mezzi per la trasmissione dell’informazione oggettiva ed imparziale. Di fatto, Manuel Vazques de Montalbàn (1997, p. 185, 1987, 192,193) in "Storia e Comunicazione sociale", si chiede se i mass media sono mai stati veramente indipendenti, sia dal potere dello Stato, politico o economico, dal XVII e XVIII secolo erano strumenti per la manipolazione e , in sintesi, la corruzione della coscienza dell’individuo. Ma è da qualche decennio che i media hanno apertamente cominciato a rappresentare un qualche tipo di interesse, un fatto che dovrebbe essere totalmente normale in una democrazia, se non si trattasse di una entità con l’enorme potere di condizionamento che potrebbe esercitare sulla società. Il suo potere potrebbe arrivare ad essere tale che facilmente potrebbe produrre panico in una società (basta far ricordare il famoso programma di Orson Welles con l’invasione degli extraterrestri), far fallire banche, stimolare truffe, fingere fatti, convincere che qualcosa è buono quando in realtà è la cosa peggiore, etc. E questo potere aumenta ogni giorno con le nuove tecnologie, con le fusioni aziendali, associazioni transnazionali che trasformano i media in monopoli o oligopoli su scala mondiale. E questi interessi possono essere di diversa natura, economici, politici o legali è inevitabile che vengano alterati i 3 pilastri fondamentali della democrazia liberale: la delibera, il mercato libero e lo Stato di Diritto.


Tutta democrazia si basa nella libera scelta dei rappresentati per incarichi di elezione popolare, che a loro volta godono degli stessi diritti per essere scelti. La domanda che si dovrebbe fare dentro di questo scenario : quanto libera è l' elezione e quanto sono uguali i diritti degli eletti? Senza entrare in questioni commerciali che di solito accompagnano gli avvenimenti elettorali come per la campagna dei candidati così come per comprare i voti, ci si deve fermare nel rapporto tra l’esposizione dei candidati aspiranti sui media e le loro possibilità di accedere al posto aspirato. Un esempio possono essere le primarie avvenute nel Partito Socialista Unito del Venezuela per la scelta dei candidati per i comuni. La maggior parte eletta furono i pre-candidati con una forte presenza mediatica nazionale, ma scarsa presa nelle località in cui volevano governare. Nel Venezuela, forse come in nessuna altra parte del mondo, in tutta la sua grandezza si presenta il fenomeno dell’esercizio della leadership attraverso gli schermi televisivi, dove sparisce la delibera come tale e appare l’imposizione di una figura concreta, togliendo qualsiasi possibilità di affrontarla da un altro senza lo spazio mediatico a sua disposizione. Questa situazione rappresenta la rottura di una delle regole principali del liberalismo: l’uguaglianza dei diritti per scegliere ed essere scelti. Dall’altra parte, tanto libera può risultare d’essere l’elezione quanto i media “creano” l’opinione pubblica “vendendo” una determinata tendenza politica? La stessa “opinione pubblica” che dopo è sottoposta a sondaggi che servono ai politici per articolare i loro discorsi e proposte, così come lo rivela James Fishkin in Democracy and deliberation (1993,p. 3). Il circolo vizioso è stato creato e gli interessi di gruppo, che i media monopolisti o oligopolisti rappresentano , sono stati assicurati. In poche parole, la possibilità di deliberare è ridotta al minimo e l’elezione non è così libera come si potrebbe pensare, e quindi, la legittimità del potere è altamente questionabile.


Lapidaria risulta per la democrazia liberale la riflessione di Vincenzo Ferrari sui media e lo stato di diritto, un altro postulato essenziale della democrazia liberale:


La lotta politica attraverso i mezzi di comunicazione di massa produce epifenomeni e apparenze al posto di fatti e di decisioni reali, forse perfino leggi apparenti al posto di leggi reali. E’ attraverso i mezzi di comunicazione di massa che si diffonde quella idea di “norma” che Micheal Foucault non faceva corrispondere al Diritto, ma che al contrario, si opponeva ad esso, come strumento tipico del controllo sociale del nostro tempo. Quindi è dai media che sorge la sfida più insinuante per lo Stato di Diritto:….(2007, p.19-20)


Anche scartando la possibilità che la lotta politica mediatizzata abbia una influenza determinante nella legislazione e creazione delle “leggi apparenti” o “interessate”, l’effetto della “norma” imposta e accettata tacitamente dalla società, colpisce direttamente lo Stato di Diritto. Ogni Stato di Diritto si caratterizza per due premesse: la non arbitrarietà e l’interpretazione delle leggi. Le leggi sono in genere un compendio generale di criteri che applicati a casi particolari spesso richiedono una interpretazione giuridica. Anche le Costituzioni non scappano alle interpretazioni. E ogni interpretazione potrebbe essere condizionata dalla “norma” imposta dall’immaginario collettivo dai mezzi di comunicazione. Ed è lì dove lo Stato di Diritto diventa vulnerabile che casomai potrebbe sorgere la possibilità del controllo sociale in una società. Di conseguenza, un altro postulato del liberalismo: l’espulsione del potere arbitrario, potrebbe essere oggettivamente questionato.


Lo sviluppo del mondo attuale è completamente dipendente dall’informazione che possiede. Non inutilmente c’è il detto che “l’informazione è potere”, ma con sicurezza si potrebbe affermare che la anche la disinformazione è potere. E i mezzi di comunicazione sono i principali detentori di questo potere. Il mondo ha visto il fallimento delle aziende, fuori la Borsa dei Valori, la non capitalizzazione delle banche, fuori ritiri nervosi dei depositi, anche il fallimento di interi paesi, fuori restrizioni di interscambio. E per questo basta solo iniziare una campagna mediatica di “opinioni specializzate” più o meno ben articolate. Nonostante questo, i mezzi di comunicazione privati sono anche aziende con fini di lucro e negli ultimi decenni hanno cominciato a sorgere conglomerati industriali di comunicazione e affini, come , per esempio la General Eletric che controlla tra le altre cose “lavatrici, lampadine, ceramica, componenti per sistemi di armamento e attraverso la RCA, informatica, telecomunicazioni, televisione ( Vasquez Montalban. P 226-227). In queste condizioni quanto libero risulta essere il Mercato Libero, un altro postulato fondamentale della democrazia liberale? Dov'è la concorrenza sulla base dell' efficienza?


A tutto questo può essere aggiunta la questione dell' “educazione dei buoni consumatori” non solo di prodotti ma anche di idee, generi di vita, forme di vedere il mondo che lontano dal formare visioni critiche, rimbambisce; lontano dallo svegliare coscienze, le addormenta; lontano dal rendere liberi, incatena.
Tornando a Burke, Marx e Lenin. Certamente, i mezzi di comunicazione sono un potere ed è un potere così grande che è capace di imporsi al di sopra dei poteri e modellare a suo piacimento le società. Senza dubbio, la sua capacità di unificare è enorme. E non si può negare la sua efficacia nell’azione politica che è formidabile. Tutto dipende dal fine per cui è usato un tale potere e qual è il limite del suo esercizio. Gli scenari sopra descritti sono estremi e difficilmente si presentano nella loro totalità e insieme in qualche parte del mondo, ma, in diversi gradi sono presenti in molti paesi di democrazie liberali e lo dimostra la sempre più grande preoccupazione sul ruolo che assumono i mezzi di comunicazione nelle società attuali, preoccupazioni che sboccano in lavori di investigazione, formazione di osservatori dei mass media, saggi critici, articoli d’opinione. Qualsiasi intento di regolare o regolamentare le attività dei mass media immediatamente si trova la resistenza e le accuse di violazione della libertà d’espressione che non si fanno attendere, diritto fondamentale raccolto nella Dichiarazione dei Diritti Umani. Paradossalmente, i mass media, prodotto della libertà del pensiero chiamato a creare una coscienza cittadina ed una visione critica verso il potere, si sono convertiti in creatori di false coscienze, realtà fittizie che diventano un potere incontrollabile, dove il limite è solo l’etica di chi lo controlla.


Di fronte a questo panorama è legittimo chiedersi: cosa fare? La risposta è nella democrazia stessa, intesa questa come il governo della maggioranza. Urge la democratizzazione dei mass media. Urge la diversità e la molteplicità delle fonti d’informazione. Urge la libertà di espressione per la maggior parte e non solo per alcune elite oligopoliche. Le nuove tecnologie hanno permesso il sorgere di mezzi di comunicazione alternativi. Internet ha reso possibile lo scambio d’ informazione in modo quasi istantaneo. I blog, le web informative, pagine dove si possono caricare audio e video tra i tanti altri strumenti che sono a disposizione di una comunicazione veramente indipendente. E questi piccoli fuochi di informazione indipendenti cominciarono a far la differenza. Nonostante questo si rende indispensabile democratizzare le grandi aziende dell’informazione. Nel Venezuela si è fatto un tentativo in questo senso con la legge di Responsabilità Sociale in Radio e Televisione (Ley Resorte*, 2005), dove il 40% dello spazio deve essere prodotto dai Produttori Nazionali Indipendenti (PNI) finanziati dalla tassa del 5% applicata ai mezzi di comunicazione. Un' iniziativa senza eguali per democratizzare i mass media che spiacevolmente è beffeggiata o ignorata completamente dalle frequenze private e dallo Stato.


E’ difficile fidarsi solo della etica di chi controlla i mezzi di comunicazione, soprattutto quando in gioco c’è l’esercizio di potere quasi illimitato e cifre di milionarie in guadagni. Anche se il Quarto Potere nasce per rendere fiscale gli altri poteri, tali poteri devono anche avere la saggezza e la volontà di controllare i media attraverso l'unico strumento disponibile in questo caso, la democratizzazione di mass media.
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