“Il tempo della vita è breve e se viviamo è per calpestare la testa dei re.”
(Shakespeare)
Per la terza volta di seguito, il movimento catalano pro-indipendenza ha vinto con la maggioranza assoluta nelle elezioni catalane. Ha vinto clamorosamente con 74 seggi, più dei 68 che stabiliscono la maggioranza (nelle elezioni precedenti aveva vinto con 70). Questa volta anche con il 51,22% dei voti, rendendolo la maggioranza tra gli elettori.
Le elezioni erano previste per il prossimo anno, ma sono state anticipate perché i tribunali spagnoli hanno destituito il presidente catalano Joaquim Torra per aver disobbedito a una commissione elettorale che gli aveva ordinato di togliere uno striscione che criticava l'incarcerazione dei politici catalani.
Politici catalani imprigionati e altri esuli in Svizzera, Germania, Belgio e Scozia.Tutti eletti alle urne dalla legislazione sovrana.Senza aver praticato alcuna violenza.Di diverso pensiero politico: di destra, di sinistra e di estrema sinistra.Con una cosa in comune: il loro accordo con il diritto del popolo catalano di decidere quali relazioni vogliono mantenere con gli altri popoli e le nazioni del mondo. In vista degli eventi, coloro che hanno preferito l'esilio a causa della grande internazionalizzazione della situazione catalana, che a sua volta ha evidenziato l'attuale giustizia spagnola, ereditata dal regime di Franco ("La Procura della Repubblica, il Tribunale Nazionale e il Tribunale Supremo non si comportano come gli organi di amministrazione della giustizia di uno stato di diritto sociale e democratico, ma come quelli che erano nel Regime delle Leggi Fondamentali"), un aspetto non unico di ciò che significa il regime della restaurazione borbonica - o del 78 - ma oltre la declamazione.
E' una storia che andrà per le lunghe.Chi pensava che la crisi catalana fosse risolta con l'art. 155 e un'elezione si era sbagliato.Inoltre, il magistrato della Corte Suprema, Pablo Llarena, ritiene che la causa generale contro il movimento indipendentista sia molto complessa e ha deciso di estendere il periodo di indagine per oltre un anno.I prigionieri politici, Junqueras, Forn e i due Jordis rimarranno in ostaggio per mesi e mesi.Gli esuli dovranno rimanere tali se non vogliono essere detenuti, e la situazione politica non sarà normale finché la spada di Damocle del 155 rimarrà in vigore e minacciosa e il governo del PP e i giudici, vogliono continuare a determinare la politica in Catalogna.Ora che Puigdemont ha deciso di non essere il candidato, il governo e i giudici stanno studiando come impedire a Jordi Sánchez di esserlo, imprigionato a Soto del Real.Il professor Javier Pérez Royo ha già denunciato che questo non può che essere definito una prevaricazione contro la democrazia.
Abbiamo parlato con Antom Santos, un militante nei movimenti popolari ed ex prigioniero galiziano indipendentista.
Antom Santos
Tra novembre e dicembre del 2011, un'operazione di polizia condotta in Galizia si è conclusa con diversi attivisti indipendentisti imprigionati e accusati di appartenenza alla Resistenza Galiziana.Tra i detenuti c'era Antom Santos, con il quale abbiamo parlato dell'esistenza di prigionieri politici in Spagna, del processo di indipendenza che vive la Catalogna, dell'irruzione di Podemos nella sinistra e del progetto dell'indipendentismo galiziano.In un contesto in cui si inizia a mettere in discussione la repressione politica nello Stato spagnolo, abbiamo ritenuto necessario ascoltare la voce di un militante indipendentista, che ha trascorso cinque anni della sua vita in prigione a causa del suo progetto per la Galiza. Ci sono prigionieri politici nello Stato spagnolo? Si, ci sono prigionieri politici nello Stato spagnolo.Ci sono stati durante tutto il franchismo, ci sono stati durante la Transizione o la riforma politica e quella realtà arriva fino ai nostri giorni.
ZeroHedge pubblica un articolo su un pericoloso provvedimento, già a lungo paventato, ma ora probabilmente in via di attuazione, che rimuove ogni garanzia sui depositi bancari (anche al di sotto di 100.000 euro). La logica prevalente nella UE è che, tutto mascherato dietro la tutela dei “contribuenti”, anche i piccoli risparmiatori si possano considerare alla stessa stregua degli azionisti, e attaccabili in un eventuale bail-in. Per tutelarsi dal rischio di una corsa agli sportelli infatti, secondo la BCE, non ha senso mantenere la piena libertà di accesso ai conti, che potrebbero venire congelati a prescindere dal loro ammontare. È “opinione della Banca Centrale Europea” che il programma di protezione dei depositi non sia più necessario:
“La copertura dei depositi protetti e dei crediti soggetti al programma di compensazione degli investitori dovrebbe essere sostituita da esenzioni discrezionali limitate concesse dall’autorità competente al fine di mantenere un certo grado di flessibilità“.
La Catalogna è oggi il solo territorio dell’Unione Europea cui è stata negata la legge suprema a favore della quale hanno votato i suoi cittadini, il parlamento che i suoi cittadini hanno eletto, il presidente che tale parlamento ha eletto e il governo che tale presidente ha nominato nell’esercizio dei suoi poteri. Agendo in modo arbitrario, antidemocratico e, secondo me, illegale, lo stato spagnolo ha deciso di sciogliere il parlamento catalano nel mezzo del mandato elettorale, di rimuovere il presidente e il governo catalano, di intervenire nel nostro autogoverno e nelle istituzioni che i catalani sono andati costruendo nella nostra nazione per secoli. Ha attuato una brutale offensiva giudiziaria per determinare l’incarcerazione di massa e la criminalizzazione di candidati promotori di idee politiche che, solo due anni fa, hanno ottenuto livelli storicamente elevati di sostegno pubblico.
Oggi i leader di questo progetto democratico sono accusati di ribellione e rischiano una grave punizione, possibile in base al codice penale spagnolo: la stessa dei casi di terrorismo o omicidio, cioè trent’anni di carcere.
Lo sviluppo di eventi in Catalogna sta generando molte
discussioni sulla leicità, legittimità o legalità di alcuni atti, sia da parte
del governo catalano che da quello spagnolo. Si discute, ad esempio, se il
governo agisce unilateralmente o lo fa con l'approvazione di giudici o
tribunali, si discute anche se azioni giudicate illegali da parte dei
giudici raggiungono la legittimità quando sono supportate da centinaia di
migliaia di persone in strada. Tutto questo, ovviamente, è passato
attraverso i media, che sono il filtro con il quale i cittadini vedono la
realtà da molto tempo.
Questi
elementi mi fanno percepire alcune somiglianze con il Venezuela che vale la
pena analizzare, tra le altre cose, ed evidenziare i due pesi e due
misure di molti. Tuttavia, ci sono alcuni elementi diversi che
dobbiamo anche prendere in considerazione. Vediamoli.
Un anno e mezzo fa ho scritto che il re Filippo VI promuoverebbe un referendum sulla Catalogna per "giustificare il suo regno". Era la cosa intelligente e ciò che i suoi consiglieri gli avrebbero consigliato. Un re che nessuno ha votato ha bisogno di mettere la sua leadership su qualcosa che va poco oltre l'essere un Borbone, figlio di suo padre e erede nel XXI secolo di un posto di lavoro fisso in politica grazie, vale la pena ricordarlo, al colpo di Stato del 1936. Ma proprio come Rosa Díez (1) - ogni giorno più vociferante - si sparò nel piede nel giorno in cui lei stessa rinunciò all'alleanza con Rivera (2), Felipe VI ha deciso di gettarsi nelle braccia del partito più corrotto in Europa e responsabile del disordine in cui siamo. Durante i giorni dell'assalto al Palazzo della Bastiglia, Luigi XVI, annoiato, scrisse nel suo diario: "niente, niente, niente". Un problema non piccolo per i re è che finiscono per credere di essere re. E dimenticano che la gente può accettare un regno solo se capisce che serve a qualcosa.
L’eurocrisi sta entrato nell’ultima fase e, guardando indietro, si può finalmente afferrare il grande disegno nel suo complesso: tutte le tappe salienti dell’Unione Europea, dal Trattato di Maastricht all’imposizione dell’austerità, passando per la demolizione della Prima Repubblica ed il sostegno alle forze secessionistiche, sono riconducibili ad un solo, coerente, obiettivo. La fondazione degli Stati Uniti d’Europa, allargati all’intero continente, è stata scartata da anni, sempre che sia stata mai presa seriamente in considerazione. Dal 2011 in avanti, si persegue la nascita di un nocciolo federale circoscritto a Germania, Francia e realtà minori. Il destino dell’Europa meridionale è il default e lo smembramento, così da annettere alcuni territori agli USE: l’uscita dall’Unione Europea è l’unica salvezza per Italia e Spagna.
Tutto è finalmente chiaro: Macron, Monti e Bossi giocano nella stessa squadra
“Il tempo della vita è breve e se viviamo è per calpestare la testa dei re.”
(Shakespeare)
Non sono cittadino di Bologna come c’è scritto sulla mia carta di identità (l’identità mente, l’identità non c’è, come può una carta certificare l’inesistente dell’identità?).
In questi anni sono cittadino di Barcellona, una città dove ho molti amici, dove insegno periodicamente, dove ho visto le mostre d’arte più interessanti degli ultimi anni e dove le librerie espongono i miei libri in bella vista (mentre alla Feltrinelli di Bologna li nascondono).
Le mie condizioni fisiche non mi permettono di essere a Barcellona domenica primo ottobre. Debbo curarmi un’asma soffocante e il mio medico sta a Bologna, per cui ho dovuto rientrare nella città dei morti che mangiano al fico.
Negli ultimi mesi mi sono chiesto cosa farei il primo ottobre, se fossi iscritto nelle liste elettorali della città di Barcellona (il mio nome figura nelle liste elettorali della città dei morti che mangiano).
Ci ho pensato e ripensato e avevo deciso che il primo ottobre mi sarei astenuto. Né sì né no. Certo non voterei per il centralismo monarchico di Rajoy e di Urdungarin. Ma tutte le bandiere mi fanno vomitare come dice Lopez Petit, quindi non mi entusiasma l’indipendentismo catalano. L’unità del popolo non fa per me.
Il portavoce della Commissione Europea, Margaritis Schinas, ha affermato ieri 27 settembre che la chiusura di circa 200 pagine web in Catalogna da parte del governo di Madrid, rientra all’interno della “legalità”. Il portavoce dell’Ue ha giustificato le misure adottate visto che “sono state ordinate da magistrati in un contesto specifico e ha ricordato che la Commissione non ha competenze specifiche sulla questione riaffermando di fatto, indirettamente, che giudica quanto sta accadendo a Barcellona una questione interna allo Stato Spagnolo. Schinas ha risposto così alle domande di alcuni giornalisti che gli domandavano se, a suo avviso, la censura, la chiusura di numerosi siti web e la persecuzione nei confronti di numerosi mezzi di informazione, indipendentemente dal referendum, non costituiscano “un attacco alla libertà di espressione”, comparando la repressione spagnola in Catalogna con quella realizzata dal governo turco contro giornalisti e libertà di stampa. Il portavoce della Commissione Europea non ha voluto rispondere nel merito.