Come in quasi tutti i paesi del mondo, la crisi del virus è stata una copertura per inaugurare un massiccio stato di sorveglianza.
L'ultimo esempio di questo futuro distopico che si sta concretizzando molto più rapidamente di quanto chiunque abbia previsto si trova in Tunisia, ha riferito AFP. Il ministero degli Interni tunisino ha dispiegato un robot a quattro ruote che tormenta le persone che violano i severi ordini di salute pubblica di restare a casa. Il robot è noto come PGuard, utilizza infrarossi e termocamere per dare la caccia alle persone che violano l'ordine della sanità pubblica. Se qualcuno viene avvistato, il robot lo insegue e gli chiede: "Cosa stai facendo? Mostrami il tuo documento. Non sapete che c'è un blocco?"
La notizia è trapelata giovedì 19 settembre 2019: Zine El Abidine Ben Ali è morto all'età di 83 anni.
Finalmente. Non è durato così a lungo come il suo luogotenente e successore Essebsi, ma ha retto comunque bene, nonostante i ripetuti tumori che lo avevano divorato per oltre 20 anni. In giorni come questi, il miscredente che sono spera che esista davvero, questo inferno di cui tutti i credenti ci minacciano. In assenza di giustizia umana, vorremmo vedere la giustizia divina. Zaba, un altro bastardo morto nel suo letto, tra lenzuola di seta, impunemente, quando sarebbe dovuto morire nel carcere di Mornaguia o altrove in questo mini-gulag tunisino dove languono 30.000 cittadini, un terzo dei quali per aver fumato una canna. Se così non è stato, è perché ancora una volta grazie alla diligenza dei suoi scagnozzi che, sapientemente consigliati da un'ambasciata yankee ancora in allerta, hanno messo lui e il suo entourage su un aereo la mattina del 14 gennaio 2011. Questa era solo la ripetizione di uno scenario collaudato, già applicato nel febbraio 1986, quando, contemporaneamente, i coniugi Marcos e Duvalier lasciarono i paesi che tenevano sotto il loro controllo, rispettivamente le Filippine e Haiti.
"Ah-chaab yourid isqât al-nizâm": il popolo vuole/richiede/ha bisogno della caduta del regime. Questo slogan, nato durante un conflitto tra tifosi di calcio a poche settimane prima della rottura della rivoluzione tunisina del 17 dicembre 2010, è diventato negli anni, lo slogan più diffuso nel mondo arabo, utilizzato in tutti i modi - la Fratellanza musulmana giordana che sostituisce isqât con islah, la riforma, le läicard libanesi aggiungendo your'ifi (confessionale) -, compresi quelli commerciali e pubblicitari. Kaïs Saïed, invece, ha preso solo le prime due parole - il popolo vuole - come slogan della campagna elettorale che lo ha visto arrivare alla testa del primo turno, davanti a Nabil Karoui, lasciando così al popolo stesso il compito di dire nel dettaglio ciò che vuole. Una strategia intelligente e vincente.
Tlaxcala La sorpresa causata dai risultati del primo turno delle elezioni presidenziali tunisine del 15 settembre è stata tutt'altro che divina. I modernisti dei bei quartieri non hanno avuto alcun problema a denunciare Saïed come "salafita", gli islamisti non hanno avuto alcun problema a far credere di sostenere Saïed (cosa che l'interessato ha fermamente negato), avendo scelto lo sceicco Mourou come candidato ufficiale con le sole istruzioni di perdere, questo primo turno è pieno di lezioni:
Mi dispiace, signor Presidente, ma non condivido l'entusiasmo per l'introduzione del suo progetto di legge sulla parità in materia di eredità. Ho un sacco di lavoro, ma senza stipendio, nessuna previdenza sociale, nessuna assicurazione sanitaria e non contribuisco alla mia pensione. Come vanno le cose, non so neanche se ce la farò fino alla fine dell'anno in vita. In ogni caso, so che se mai raggiungerò l'età della pensione, potrei dover vendere dei mlaoui* o andare a frugare nella spazzatura. Poiché né le mie sorelle né io avremo figli, non ci sarà nessuno dopo di noi. In ogni caso, i nostri eventuali figli, qualunque possa essere il loro sesso, non avrebbero assolutamente nulla da ereditare da noi, così come noi stesse non abbiamo nulla da ereditare dai nostri genitori. Allora, una domanda: di che cosa le donne tunisine saranno le felici eredi in parti uguali?Centinaia di migliaia di noi devono porsi questa domanda.
Se sei una di quelle persone che giudicano facilmente gli altri, non leggere questo articolo. Lei ...
Questa ragazza di un'età difficile da definire, con un bel sorriso infantile, è una figura ben nota nel borgo Liber-tea, nel quartiere Lafayette.Sembra tranquilla, sorseggiando il suo caffè, in tranquillità. Tra le dita, una penna a sfera con cui gioca tutto il tempo.Sembra un po' confusa, il suo diario, nero, aperto davanti a lei.Stamattina non riesco a trovare un tavolo libero al café, mi guarda mentre cerco un posto.Lei mi sorride e mi invita a sedermi al suo tavolo, dicendo con voce soace: "Puoi sederti". Accetto immediatamente e mi siedo di fronte a lei.Raccoglie le sue cose sparse sul tavolo per fare spazio al mio caffè.
E' venuto, ha parlato (molto), ha sorriso (sempre): Emmanuel Macron ha trascorso 48 ore a Tunisi prima di volare a Dakar, parte di una lunga tradizione della Quinta Repubblica.La Tunisia di Bourguiba e il Senegal di Senghor sono stati le creature dilette della metropoli, ad essere presentati come esempi di "moderazione" contro i cattivi, Nasser, Ben Bella, Nkrumah e Sekou Toure.A 60 anni dalle indipendenze, questi due paesi rimangono i cocchi dell'Europa social-liberale, destra e sinistra confuse. Macron ha schierato l'artiglieria pesante, promettendo a dritta e a manca: 500 milioni qua, 100 là, 50 laggiù.La Francia raddoppierà la sua "presenza economica", emergerà un'università franco-tunisina, che formerà gli studenti dell'Africa sub-sahariana.Sei alleanze francesi fioriranno nel territorio di Ifirqyen, che ospiterà il Vertice della Francofonia nel 2020. Una parte del debito tunisino verso la Francia si trasformerà in investimenti.A breve, farà il bagno nell'olio.
Intervenendo al seminario "Il ritorno di Gramsci" organizzato dalla FSJEG (Facoltà di Giurisprudenza, Economia e Management) di Yenduba e la Fondazione Rosa Luxemburg per commemorare il 80° anniversario della scomparsa del pensatore italiano; seminario svoltosi a Tunisi il 29 marzo 2017. Ho mantenuto il tono della presentazione orale.
Ho scoperto Gramsci nel 1979 a Roma. A Parigi, dove vivevo prima, avevo letto alcuni testi tradotti del suo periodo torinese, che mi avevano lasciato insoddisfatto. Sapevo che il suo capolavoro era Quaderni del Carcere, ma non era stato ancora tradotto in francese. Stabilito in Italia, dopo pochi mesi di apprendimento della lingua del paese, acquistai Quaderni del carcere e iniziai a studiarli.
Non avevo mai incontrato niente di simile nella letteratura marxista che fino ad allora aveva strutturato la parte essenziale della mia formazione politica, né nella forma - l'opera è una successione di frammenti più o meno lunghi in diverse migliaia di pagine - né nella sostanza. Dopo i primi momenti di straniamento, sono stato letteralmente affascinato dall'ampiezza, la potenza e la novità radicale del pensiero che mi si presentava.
6 anni non sono nulla quando si hanno 90 anni. Ma quando se ne hanno tra i 20 e i 30, è molto. Sei anni fa, il popolo tunisino ha visto sfuggire un dittatore di basso rilievo che l'ambasciata degli Stati Uniti ha fatto evacuare per un esilio dorato, all'ombra delle torri di perforazione saudite. Quella che i media europei si sono affrettati a battezzare stupidamente "Rivoluzione dei gelsomini" (espressione che mai sarebbe venuta in mente ai tunisini) rapidamente ha emanato odore di putrefazione. I politicanti hanno abilmente ripreso le redini e hanno architettato una via d'uscita nel più puro spirito del Gattopardo: "Cambieremo tutto affinché nulla cambi".
Il risultato è schiacciante: la Tunisia è governata da una coalizione di furfanti che come maiali hanno condiviso le briciole di torta stantia lasciando cadere molto poco nelle mani della gente comune. I carnefici e le loro vittime di ieri hanno realizzato un compromesso storico, distribuendosi cariche e prebende. Le speranze che si erano risvegliate nei giorni di dicembre 2010-gennaio 2011 - "Pane, libertà, dignità nazionale" - si sono dimostrate folli. Si sono insediate la delusione, la depressione, e la disperazione. Ogni giorno un tunisino si suicida. Altre migliaia hanno preso la via del glorioso suicidio, tra la Libia e la Siria. I più ragionevoli e meglio attrezzati organizzano un'emigrazione legale per studio o per "affari", quelli astuti vanno alla mangiatoia dei sussidi: ci sono così tante persone ricche che vogliono il meglio per noi! Fondazioni tedesche, svedesi, svizzere, statunitensi, giapponesi, del Qatar, austriache, e così via: oggi, almeno 50.000 tunisini/e ricevono uno stipendio da una fondazione, ONG o OMG (un'organizzazione molto governativa) straniera. Per qualche milione di euro, "esse" sono venute a pacificare gran parte dell'ala giovanile che aveva fatto - o seguito su facebook - questa famosa quasi-rivoluzione. Il potere è dove ci sono le casseforti e non nei ministeri o per strada.
Aziz Krichen: Gramscinon avrebbe molto da dire, non solo ai tunisini, ma al mondo intero.
Personalmente a Gramsci devo gran parte della mia formazione intellettuale. (Molto tempo fa, in collaborazione con altri autori, ho peraltro contribuito al libro “Gramsci et le monde arabe” (Gramsci e il mondo arabo). Gramsci in Tunisia è poco noto anche nell'intellighenzia. La mancanza di una traduzione araba delle sue opere non spiega tutto. Le sue analisi delle élite e della questione agraria sono utilissime.
Sono abbastanza adulta per avere un'idea di repressione contro i dissidenti durante la dittatura di Ben Ali e dopo. Finora ho creduto di essere ben informata. Ma quello che sto scoprendo è al di là di qualsiasi cosa potessi immaginare. La realtà in cui i giovani uomini gay cercano di sopravvivere è semplicemente spaventosa. Mentre i giovani dissidenti sottoposti a repressione potevano e possono contare sul sostegno della società civile, delle loro famiglie, e del loro ambiente, i giovani miboun o karyouka(due dei tanti termini dispregiativi per designare i "froci" in arabo tunisino) sono quasi interamente da soli nel cercare di difendersi (*).
Innanzitutto rischiano pesanti pene detentive per quello che il codice penale chiama "sodomia". Il sinistro articolo 230, uno dei più brevi e concisi del codice penale recita: "la sodomia (tra adulti consenzienti) è punibile con 3 anni di carcere".
Rym Ben Fraj, 31 anni, è tunisina, blogger, traduttrice, editrice, diplomata precaria, membro della rete di traduttori Tlaxcala. Lavora come giornalista freelance. La ringrazio per aver risposto alle nostre domande. Milena Rampoldi: Quali sono i problemi principali della nuova generazione in Tunisia? Rym Ben Fraj:La marginalizzazione economica, sociale e dunque politica e culturale. La gioventù che ha fatto la rivoluzione non ha alcuna rappresentanza in parlamento o al governo. Ci sono almeno 250.000 diplomati disoccupati. In certe regioni la disoccupazione raggiunge l’80% dei giovani. La sola alternativa possibile – l’immigrazione clandestina – viene resa impossibile dal muro elettronico di Frontex nel Mediterraneo. I giovani che si rifiutano di farsi reclutare dallo Stato Islamico non hanno più altro obiettivo che la rivolta. Ma anche se organizzano una rivolta, lo stato non è in grado di soddisfare le loro rivendicazioni: una delle condizioni poste dalla Banca mondiale per i crediti concessi alla Tunisia consiste nel blocco delle nuove assunzioni nel settore pubblico.
In questi giorni tutti i media condannano unanimemente il massacro di Pariri, esortano all’unità dell’Occidente e ad intensificare l’azione militare contro l’ISIS. Ma … non bisognava risolvere il problema del terrorismo? Non sarà magari il momento di riflettere sulle responsabilità dell’Occidente nell’aumento del terrorismo?
E’ chiaro, il massacro di Parigi può solo causare orrore e lutto. Ma… perché delle persone così giovani possono agire in modo così atroce? Il municipio di Courcouronne, il ghetto da cui viene il kamikaze identificato Ismail Mostafa, è anche il luogo di origine di Assata Diakité, una delle vittime.
Tre riflessioni…
La primaè che le relazioni fra mondo arabo e Occidente hanno una storia pesante. Iniziano quando, nel 1916, durante la 1° Guerra Mondiale, Francia, Gran Bretagna, Russia e Italia fecero un accordo per dividere tutto l’Impero Ottomano.
Dal ritorno da Shousha Camp, il nostro punto fisso è la casa di Fausto Giudice a Tunisi. Un intellettuale eclettico, un giornalista, membro di una rete internazionale di traduttori e che sta creando una casa editrice a Tunisi. Viviamo a casa sua. Sembra abbia avuto mille vite. Laura lo aveva conosciuto in uno dei suoi recenti viaggi in Tunisia. La sua storia, quella della sua famiglia è una storia di emigrazione. I suoi nonni arrivarono dalla Sicilia in Tunisia in barcone.
Con lui registriamo una lunga intervista nel suo soggiorno e che monteremo presto in un trailer, che farà da apri pista al progetto-documentario.
L’incontro con Fausto apre a tante visioni sull’immigrazione e sulla vita.