Sui mercati si sta delineando un segnale preoccupante, che riflette un male più profondo
Diversi analisti finanziari hanno notato ultimamente qualcosa di strano; un fenomeno iniziato nel 2022, ma che sta aumentando e peggiorando rapidamente. Vogliamo parlare ovviamente del prezzo dell'oro, ma sebbene raggiunga record storici quasi ogni settimana, non è solo il suo valore in dollari a preoccupare: si tratta anche e soprattutto della sua sconnessione rispetto ai tassi di interesse di riferimento, ovvero i tassi delle obbligazioni statunitensi a dieci anni.
Quando i più brillanti economisti britannici si sono riuniti la scorsa settimana, si sono dati un compito semplice: decidere cosa fare per l'alto tasso di inflazione del Regno Unito. Alla fine, dopo un lungo scervellamento, hanno trovato una soluzione: far crollare l'economia.
Sembra quasi inevitabile che la recente decisione della Banca d'Inghilterra di aumentare i tassi d'interesse per la tredicesima volta consecutiva dalla fine del 2021 spingerà l'economia britannica in recessione entro la fine dell'anno.
Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea (BCE), ossia l’istituzione europea responsabile della politica monetaria dell’area euro, ha recentemente rilasciato una dichiarazione che potrebbe apparire paradossale. Le sue parole sono state:
“Potrebbe accadere, anche se non è ancora nel nostro scenario base, che tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 ci sia una leggera recessione, ma non crediamo che sarebbe sufficiente a domare l’inflazione e quindi non possiamo semplicemente lasciare che le cose si sistemino da sole. Dobbiamo trovare il tasso di interesse che ci aiuti a raggiungere il nostro target e lo faremo, usando tutti gli strumenti disponibili nella nostra cassetta degli attrezzi e abbiamo dimostrato di poter essere creativi”.
Se le condizioni economiche del 2022 non vi sono piaciute, sicuramente non sarete soddisfatti di ciò che vi aspetta nel 2023. Quest'anno abbiamo dovuto fare i conti con un'inflazione dilagante, un'attività economica molto fiacca e l'inizio di un terribile crollo immobiliare, e non è stato divertente. Ma sembra che il prossimo anno sarà ancora peggio. La maggior parte delle grandi aziende del settore tecnologico ha riportato numeri sconfortanti per il terzo trimestre, e questo è un segnale molto negativo. Anche quando quasi tutti gli altri si muovevano a fatica, potevamo sempre contare sul fatto che le grandi aziende tecnologiche producessero numeri da urlo. Ma ora le cose sono cambiate in modo sostanziale e le loro quotazioni azionarie ne sono state assolutamente danneggiate.
Per Wall Street e i suoi sostenitori, la soluzione a qualsiasi inflazione dei prezzi è la riduzione dei salari e della spesa sociale pubblica. Il modo ortodosso per farlo è spingere l'economia in recessione per ridurre le assunzioni. L'aumento della disoccupazione obbligherà la manodopera a competere per posti di lavoro che pagano sempre meno man mano che l'economia rallenta.
Questa dottrina della guerra di classe è la prima direttiva dell'economia neoliberista. È la visione a tunnel dei manager delle aziende e dell'1%. La Federal Reserve e il FMI sono i suoi lobbisti più prestigiosi. Con Janet Yellen al Tesoro, la discussione pubblica sull'inflazione odierna viene inquadrata in modo da evitare di attribuire la colpa dell'aumento dell'8,2% dei prezzi al consumo alle sanzioni della Nuova Guerra Fredda dell'amministrazione Biden contro il petrolio, il gas e l'agricoltura russi,
In 16 anni di attività come economista alternativo e scrittore politico, ho trascorso circa la metà del tempo ad avvertire che il risultato finale del modello di stimolo della Federal Reserve sarebbe stato un crollo stagflazionistico. Non un crollo deflazionistico o inflazionistico, ma un crollo stagflazionistico. Le ragioni erano molto specifiche: alla creazione di debito di massa si contrapponeva la creazione di altro debito, mentre molte banche centrali svalutavano contemporaneamente le loro valute attraverso misure di QE. Inoltre, gli Stati Uniti si trovano nella posizione unica di fare affidamento sullo status di riserva mondiale del dollaro, che si sta riducendo.
Era solo questione di tempo prima che le forze della deflazione e dell'inflazione si incontrassero nel mezzo per creare la stagflazione.
Più il debito si accumula nei bilanci delle banche centrali europee, più è probabile che rivalutino l'oro per cancellare questo debito. Quando ho chiesto alla banca centrale tedesca se considerano questa opzione mi hanno risposto: "in questa fase, preferiamo non speculare su qualsiasi decisione potenziale ... che potrebbe o non potrebbe essere presa in futuro".
I livelli di debito pubblico in rapporto al PIL in molti paesi sono ai record di tutti i tempi e non sono a conoscenza di nessun politico o economista che abbia delineato una chiara strategia per abbassare il peso del debito. Tecnicamente, ci sono sei modi per abbassare il debito pubblico in rapporto al PIL:
Come le masse vengono guidate e soggiogate per mezzo della propaganda anche in ambito economico
Oggi vi voglio parlare di un’altra frode mentale, che coloro che ci comandano, ci propinano per mezzo dei canali di informazione, da loro controllati. Parlo della monetizzazione del debito pubblico e della conseguente paura di una incontrollata inflazione, che questo provocherebbe nelle nostre economie.
Cominciamo con il dire cosa significa monetizzare il debito. In poche parole la monetizzazione è l’operazione con cui la Banca Centrale crea moneta per acquistare i titoli in mano ai risparmiatori privati. La paura dell’inflazione nella gente nasce, o meglio viene fatta nascere, ogni qualvolta appare nelle nostre menti la fatidica frase “stampare la moneta”. “Apriti cielo!!!!”…
Per una nazione come l'Italia cui le stime sul PIL attribuiscono un calo annuale tra il 9 ed il 13% è il tempo delle scelte anche drastiche per evitare il default. Il default programmato invocato da qualcuno è un'opzione in stile argentino che non vogliamo prendere in considerazione. Partiamo dal presupposto che un nuovo lock-down, anche parziale o a macchia di leopardo come ipotizzato a palazzo Chigi sarebbe foriero della cosiddetta "botta finale" per la nostra economia già asfittica sotto il dominio euro-teutonico. Leggi tutto...
La Svezia è stata a lungo considerata una pioniera nell'abolizione del contante.Secondo un recente studio del Consiglio commerciale svedese, i contanti non avranno più un ruolo nelle transazioni di pagamento giornaliere già dal 2023. Le banche private svedesi avranno così terminato una campagna a lungo termine che annuncia una nuova era che potrebbe di fatto sigillare la fine del monopolio monetario dello Stato e quindi apre loro prospettive di reddito finora insospettate.Tuttavia, i rischi e gli effetti collaterali di questo sviluppo sono enormi e l'unico vantaggio possibile per il cliente finale è e rimane la "comodità". Di Jens Berger Schweden und die Abschaffung des Bargelds
Quando si tratta del trionfo dei sistemi di pagamento senza contanti, la Svezia viene spesso presentata come pioniera.In Svezia, puoi già pagare un parchimetro e servizi igienici pubblici tramite l'applicazione sul tuo smartphone e persino i senzatetto, secondo i resoconti dei media, hanno lettori di carte e terminali per pagamenti senza contanti.Resta da vedere se è vero, ma è cinico in tutto.
In Francia, i progetti delle valute locali si moltiplicano.Tutti hanno in comune il desiderio di promuovere i circuiti locali.Ma uno di loro, chiamato POI, propone di basarsi sulla blockchain per sviluppare l'uso delle varie valute complementari già esistenti e premiare i comportamenti individuali che promuovono la resilienza dei territori.In un'intervista con Blocs, il media del blockchain, Allan Floury, co-fondatore di POI, dice di più su questo ambizioso progetto. Perché pensa che sia importante incoraggiare lo sviluppo dell'economia locale? Quali sono le virtù?
Le crisi bancarie e monetarie che si sono susseguite a partire dal 2008 sono state finora trattate con massicce iniezioni di liquidità, accelerando l'inflazione e creando una crescente mancanza di fiducia tra i cittadini.
Il principale stratega azionario di Goldman, David Kostin, aveva recentemente previsto tre anni di mercato in rialzo da “esuberanza razionale“, alzando il target di riferimento per il 2018 dell’indice S&P da 2.500 a 2.850 fino a raggiungere 3.100 nel 2020, e aveva affermato che, qualora l’esuberanza fosse diventata “irrazionale”, il prezzo base S&P sarebbe potuto arrivare fino a 5.300 entro la fine del 2020. Una settimana dopo Christian Mueller-Glissmann, un altro stratega Goldman, ha deciso che fosse invece meglio vestire i panni del poliziotto cattivo e prepararsi ad ogni evenienza. Così, in un rapporto pubblicato martedì scorso e intitolato “The Balanced Bear – Part 1: Low(er) returns and latent drawdown risk” [L’orso equilibrato – Parte 1: Rendimenti (più) bassi e potenziali rischi di declino, ndt] questo tipico rappresentante della Goldman, ora improvvisamente divenuto ribassista, avverte che, nel medio periodo, si profilano due possibili scenari:
A dimostrazione che nel dibattito accademico, per quanto ingessato dal conformismo, circolano tesi ben più critiche di quelle riportate sui media mainstream, un recente bollettino di ricerca della stessa BCE avalla dichiarazioni che si potrebbero definire “no euro”: in esso si sostiene che il sistema di regole esistente rende i paesi dell’area euro vulnerabili agli umori dei mercati (e dunque agli speculatori); si afferma che le politiche condotte dopo la crisi del 2009, sebbene nel contesto delle regole che le imponevano, erano sbagliate perché focalizzate sul contenimento del debito (obiettivo comunque fallito) anziché sullo stimolo fiscale – con effetti deflattivi che si sarebbero di conseguenza potuti evitare. Nella conclusione afferma a chiare lettere che con la propria moneta sovrana non si fa default. (Ovviamente la responsabilità dell’euro in tutto questo non viene troppo evidenziata, ma stiamo pur sempre parlando di un bollettino della BCE). Interazioni monetarie-fiscali e vulnerabilità dell’area €uro le politiche monetarie e fiscali vengono condotte come nell’area euro, le profezie che si auto-avverano degli agenti economici possono portare a fluttuazioni indesiderate nella produzione, nell’inflazione e negli spread.
L’Italia, ha certificato l’Istat, torna in deflazione per la prima volta dal 1959. Non è un incidente di percorso ma un obiettivo che è stato perseguito con lucidità e coerenza. L’ISTAT ha recentemente certificato che il 2016 è stato per l’Italia il primo anno di deflazione dal 1959. Nell’anno appena terminato, i prezzi hanno registrato una variazione negativa dello 0,1 per cento rispetto al 2015. Era dal 1959, quando la flessione fu dello 0,4 per cento, che non accadeva. Ciò che a prima vista potrebbe apparire come una manna dal cielo in tempo di crisi – beni e servizi a prezzi più accessibili, ottimo no? – è invece la cartina di tornasole della crisi profondissima in cui versa il nostro paese, quella che il governatore della Banca d’Italia ha recentemente definito
«la recessione più profonda e duratura nella storia d’Italia».
La deflazione – con la quale s’intende una caduta generalizzata dei prezzi – è causata dal crollo della domanda aggregata e in particolar modo dei consumi, che infatti in Italia sono tornati ai livelli di trent’anni fa. A questo le imprese reagiscono riducendo il personale e tagliando i salari nonché, appunto, i prezzi. Il che, ovviamente, non fa che deprimere ulteriormente la domanda. E così via, in una spirale distruttiva da cui, una volta entrati, è molto difficile uscire.
In Messico inizia un 2017 che molti vogliono già alla fine.Con lo scoccare della mezzanotte del nuovo anno, o forse vecchio, è entrato in vigore il maggior incremento dei prezzi del carburante in quasi due decenni.
Il nuovo 'gasolinazo' che fu in precedenza annunciato un paio di giorni dopo Natale, ha generato un'ondata di indignazione popolare che nella prima settimana di proteste, mobilitazioni, presa di stazioni di servizio, sciopero dei trasporti e saccheggi, lasciando un saldo di almeno sei morti, 15 feriti e più di 1.500 detenuti. Crismar Lujano CELAG
Molti economisti concordano sul fatto che questo è un duro colpo per le tasche dei messicani.E l'effetto moltiplicatore della benzina si rifletterà in un aumento previsto dell'inflazione del 3% e che inevitabilmente aumenterà il costo della vita di tutti, che utilizzino i veicoli o meno.
«Negli anni Ottanta, gli anni in cui l’Italia navigava nell’oro, quando eravamo il quarto paese più ricco del mondo, il tasso d’inflazione si aggirava mediamente attorno al 15% e raggiungeva picchi di oltre il 21%». Le famiglie spendevano e il risparmio medio dei nuclei familiare durante il periodo d’inflazione più alta superava il 25%: «Eravamo il primo paese al mondo per risparmio privato e le famiglie avevano ampia libertà di spesa», ricorda Vincenzo Bellisario. Oggi l’inflazione si aggira attorno allo 0%, e l’economia è alla canna del gas: «Le famiglie devono risparmiare su tutto, hanno scarsa libertà economica, abbiamo raggiunto e superato i livelli di consumo da fame del periodo della “grande depressione” e, nonostante ciò, la media attuale di risparmio privato è del 4% circa. E tutto va male». Secondo Bellisario, esponente del Movimento Roosevelt fondato da Gioele Magaldi per contribuire alla democratizzazione della politica italiana contro lo strapotere dell’élite economica, «lo spettro dell’inflazione è una grande truffa, così come lo è stata e lo è purtroppo ancora oggi quella del debito pubblico, che altro non è se non l’indicatore che misura la ricchezza finanziaria del cittadini».