Forse nell'ultimo ventennio vi sarà capitato di sentire parlare dell'Agenda 21 dell'ONU, o forse no, ma a prescindere dal fatto che conosciate più o meno a fondo l'argomento, l'Agenda 21 ha già iniziato in questi anni ad occuparsi di voi ed intende farlo in maniera se possibile ancora più invasiva nei decenni a venire, senza che nessuno si sia premurato di domandarvi se siete felici di ricevere tante attenzioni.
A grandi linee il progetto Agenda 21 è una sorta di "programma di azione" attraverso il quale l'ONU si impegna a ridisegnare radicalmente tanto il rapporto dell'uomo con l'ambiente in cui vive, quanto il rapporto dell'uomo con la sua propria esistenza, attraverso una complessa operazione d'ingegneria sociale ad ampio respiro che trovi la propria realizzazione nel corso del nuovo secolo.
L'ultimo documento presentato a fine novembre a Parigi per i negoziati delle Nazioni Unite sul clima è molto loquace: esattamente 32.731 parole. Eppure, un termine non compare: quello di"Spese militari".Ed è inquietante se si considera che l'esercito degli Stati Uniti da solo è il più grande consumatore di petrolio al mondo ed esercita da decenni un controllo primario sull'economia globale di petrolio.
Come sono scomparse le spese militari dal calcolo dalle emissioni di CO2?E 'una storia che risale al COP11 di Kyoto (1997).Sotto la pressione dei generali e dei falchi dell'amministrazione statunitense che si opponevano ad un'eventuale riduzione della potenza militare degli Stati Uniti, il team di negoziazione degli Stati Uniti ha ottenuto di esentare gli eserciti dall'obbligo di ridurre le emissioni di gas a effetto serra nocivo per il clima.
Poi, naturalmente, gli Stati Uniti non hanno ratificato il Protocollo di Kyoto, ma le esenzioni di cui godono le forze armate restarono in vigore per gli Stati firmatari.Ancora oggi, le quantità di combustibile acquistato ed utilizzato all'estero dagli eserciti non sono inclusi nei dati relativi alle emissioni che ciascun paese deve presentare alle Nazioni Unite.
In concomitanza con gli incontri regolari tra i rappresentanti delle multinazionali per lo sfruttamento dei combustibili fossili e del settore finanziario, che fingono di affrontare il cambiamento climatico, e qualche gruppo delle loro vittime, attualmente Cop21, Oxfam ha pubblicato un'analisi che sostiene che "la disuguaglianza" è una causa centrale della crisi climatica. Di fronte al valore in senso ampio di quest'affermazione, la replica tecnocratica occidentale è che se emettono tutti circa la stessa quantità di anidride carbonica, a risolvere la questione sarà un "democratico" suicidio di massa. Il contingente "sviluppato" in Cop21 fa di questa formulazione il principio motivante: diffondere il consumismo occidentale nel mondo vista l'impossibilità di un consumo "pulito".
L'intuizione di base del rapporto di Oxfam, che profila la catastrofe ambientale quale prodotto del consumismo occidentale, colpisce quasi il bersaglio. La questione della genesi del consumismo punta agli ampi sforzi di considerare l'acquisto capitalista come fatto naturale, mentre l'atto medesimo di vendere crea una contraddizione: perché consumare energia vendendo ciò che è naturale? Prima del XIX secolo la storia era colma di disuguaglianza nella ricchezza, cosa che però ha contribuito molto poco in termini di emissioni di gas serra. La disuguaglianza nella distribuzione economica è l'impianto del capitalismo. Il colpevole della crisi ambientale è la disuguaglianza associata alla produzione economica capitalistica.
Uno dei temi più importanti della riunione globale della Convenzione delle Nazioni Unite sul cambio climatico che è terminata a Parigi il 12 dicembre (COP21) è stato la definizione di una nuova meta del riscaldamento globale che non si potrebbe oltrepassare. Paesi insulari ed altri del Terzo Mondo da anni affermano di non poter sopravvivere ad un riscaldamento globale superiore ad 1,5 gradi centigradi, visto che il loro territorio sparirebbe per l’aumento del livello del mare e per altri disastri. Ragioni più che attendibili, che si aggiungono al fatto che quei paesi non sono responsabili di aver causato il cambio climatico.
La temperatura media globale è aumentata di 0,85 gradi centigradi nell’ultimo secolo, la maggior parte dei quali durante gli ultimi 40 anni, a causa delle emissioni di gas serra di diossido di carbonio (CO2) e di altri gas causati dall’uso di combustibili fossili (petrolio, gas, carbone), in maggior parte per la produzione di energia, per il sistema agro-industriale, le urbanizzazioni e i trasporti. Se continua il corso attuale, la temperatura aumeterà fino a 6 gradi centigradi a fine secolo XXI, con impatti tanto catastrofici che non è possibile prevederli.
In questi giorni molti media hanno riferito e denunciato che, domenica 29 novembre, parecchi dei manifestanti riunitisi nel centro di Parigi per contestare la conferenza dei capi di Stato sul cambiamento climatico (COP 21) in corso nella capitale francese avrebbero "saccheggiato" e "oltraggiato" il memoriale dedicato alle vittime del 13 novembre creato intorno al monumento alla Marianne in Place de la Republique. Ma quello che si può chiaramente vedere dalle foto e dai video è che sono stati proprio i manifestanti che finché hanno potuto hanno protetto i fiori, le candele e i biglietti apposti dai passanti e dai parenti in memoria delle vittime delle stragi di due settimane fa, finché sono stati costretti alla fuga precipitosa dai gas lacrimogeni sparati dalla polizia in assetto antisommossa. Se è vero che alcuni manifestanti hanno scagliato contro gli agenti ciò che avevano a portata di mano, è altrettanto vero che i poliziotti hanno calpestato e distrutto il memoriale nella loro foga repressiva. Eppure praticamente nessun importante media mainstream tra quelli che hanno esecrato "l'oltraggio dei manifestanti" al memoriale si è degnato di raccontare come sono andate veramente le cose.
Chi sono quelli la cui sicurezza va protetta con qualsiasi mezzo? E chi sono quelli la cui sicurezza casualmente si sacrifica, nonostante ci siano modi di agire molto migliori? Queste sono le domande al centro della crisi climatica e le risposte sono la ragione per cui i vertici sul cambio climatico spesso finiscono tra lacrime e recriminazioni.
La decisione del governo francese di proibire le proteste, le manifestazioni e altre “attività all’aria aperta” durante il vertice di Parigi sul cambio climatico è preoccupante su molti piani.
Quello che mi preoccupa di più ha a che vedere con la forma in cui riflette la disuguaglianza fondamentale della stessa crisi climatica e la questione chiave di quale è la sicurezza e di chi è quella a cui si da valore in questo mondo disuguale.
Ci sono quelli che dicono che tutto va bene contro il telone di fondo del terrorismo. Ma un vertice sul cambio climatico non è come una riunione del G8 o dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, in cui si trovano i potenti e dove quelli senza potere cercano di guastargli la festa. Gli atti della “società civile” parallela non sono qualcosa di aggiunto né distrazioni dal fatto principale. Sono parte integrante del processo, ragion per cui il governo francese non avrebbe mai dovuto permettersi di decidere qual parte del vertice avrebbe cancellato e quale mantenuto.
(foto:Parigi 2015 - Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico COP21 CMP1 - (Quasi) Tutti insieme per il clima) Il governo francese si accinge a ristabilire i controlli alle frontiere per un mese, durata della Conferenza internazionale sul clima a Parigi. Questa misura d’eccezione viene presa « in caso di grave minaccia per l’ordine pubblico o per la sicurezza interna ». La società civile, che conta di mobilitarsi in massa, sembra presa di mira in modo particolare. Numerose delegazioni provenienti da paesi del Sud incontrano difficoltà nell’ottenere i visti d’ingresso.
A partire dal 13 novembre, i cittadini impegnati e la società civile che si mobiliteranno per il clima non saranno più i benvenuti in Francia. La conferenza internazionale sul clima di fine novembre a Parigi s’accompagnerà alla reintroduzione dei controlli alle frontiere nazionali. Per un mese, la libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea sarà dunque sospesa. Basta ! s’è procurato una nota delle autorità francesi – pubblicata dal Consiglio dell’Unione Europea - riguardante « la reintroduzione temporanea dei controlli alle frontiere interne con il Belgio, il Lussemburgo, la Germania, la Svizzera, l’Italia e la Spagna in occasione della COP21». Tali misure eccezionali avranno inizio il 13 novembre, ovvero due settimane antecedenti l’apertura della conferenza. E termineranno il 13 dicembre, due giorni dopo la chiusura dell’avvenimento, come testimonia l’estratto del documento qui sotto [1] :
Settemila ambientalisti, contadini e attivisti indigeni da 40 paesi si sono riuniti a Tiquipaya in Bolivia nella World People's Conference on Climate Change, per definire le richieste dei movimenti e dei paesi in via di sviluppo che dovranno essere portate al summit sul clima dell’Onu previsto a Parigi in dicembre.
“Il capitalismo è il cancro di Madre Terra” ha detto Evo Morales, presidente della Bolivia, rivolgendosi alle tantissimi persone presenti.La conferenza ha prodotto una dichiarazione in dodici punti che sarà presentata durante i negoziati COP21 nel tentativo di esigere un accordo vero e concreto per fermare i cambiamenti climatici. L’agenda di COP21 è stata fortemente criticata dai movimenti per la foritissima presenza delle lobby capitaliste e per il ruolo che si sottintende mantenuto e conservato per il capitalismo, che diviene una sorta di convitato di pietra.
La Declaración de Tiquipaya pone alcuni punti importanti.