Agitatore culturale, usava la penna come una spada, segretario di partito, filosofo, linguista, rivoluzionario, organizzatore politico infaticabile. A 129 anni dalla sua nascita (22 gennaio 1891, Ales, Sardegna) lo ricordiamo con le voci di chi lo ha conosciuto e amato.
Torino, via dell’Arcivescovado. Notte fonda, primissimi anni Venti del Novecento. Alla porta dell’Ordine Nuovo si presenta un signore dall’accento meridionale che chiede di parlare con Antonio Gramsci. Il signore dall’accento meridionale è insistente, pretende subito un colloquio col direttore della rivista (perché l’Ordine Nuovo non era solo il giornale degli operai torinesi, era anche il giornale di Antonio Gramsci).
Il concetto di egemonia del defunto filosofo italiano era sorprendentemente lungimirante
Nel processo di Antonio Gramsci del 1928, il pubblico ministero dichiarò: "Dobbiamo impedire a questo cervello di lavorare per 20 anni".Gramsci, ex leader del Partito Comunista Italiano e lucido teorico e giornalista marxista, fu condannato a due decenni di prigione dal governo fascista di Benito Mussolini. Tuttavia, la reclusione causò la fioritura del pensiero di Gramsci invece del suo declino. Intraprese una colossale ricerca intellettuale il cui obiettivo era quello di offrire un'eredità imperitura.I suoi Quaderni del carcere* comprendevano 33 volumi e 3.000 pagine di storia, filosofia, economia e strategia rivoluzionaria.Sebbene gli fosse stato permesso di scrivere, Gramsci non aveva accesso alle opere marxiste e fu costretto a usare un codice per aggirare i censori della prigione.
L'anno scorso, una poeta argentina che vive negli Stati uniti, scampata alla dittatura civico-militare degli anni '70, venne in vacanza in Italia e mostrò una sua bella foto scattata a Roma. Le erano piaciute parole di rivolta dipinte su un muro... sotto un simbolo nazista che lei, evidentemente, non conosceva. Fuori dal contesto storico, nel tritacarne del post-moderno e della “verità dei post”, anche le belle parole possono indurre in errore, depistare, disorientare.
A 200 anni dalla nascita di Marx, il capitale ha affinato gli strumenti per manipolare le coscienze, convincendo gli oppressi a lucidare con cura le catene imposte dai loro oppressori. L'Italia è la patria di Gramsci, morto il 27 aprile del 1937 dopo dieci anni di carcere duro nelle galere del fascismo. Nel circo post-moderno dell'Italia senza memoria, lo hanno però celebrato anche personaggi della sinistra che lo avrebbero fatto rivoltare nella tomba.
Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno. Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date.
Intervenendo al seminario "Il ritorno di Gramsci" organizzato dalla FSJEG (Facoltà di Giurisprudenza, Economia e Management) di Yenduba e la Fondazione Rosa Luxemburg per commemorare il 80° anniversario della scomparsa del pensatore italiano; seminario svoltosi a Tunisi il 29 marzo 2017. Ho mantenuto il tono della presentazione orale.
Ho scoperto Gramsci nel 1979 a Roma. A Parigi, dove vivevo prima, avevo letto alcuni testi tradotti del suo periodo torinese, che mi avevano lasciato insoddisfatto. Sapevo che il suo capolavoro era Quaderni del Carcere, ma non era stato ancora tradotto in francese. Stabilito in Italia, dopo pochi mesi di apprendimento della lingua del paese, acquistai Quaderni del carcere e iniziai a studiarli.
Non avevo mai incontrato niente di simile nella letteratura marxista che fino ad allora aveva strutturato la parte essenziale della mia formazione politica, né nella forma - l'opera è una successione di frammenti più o meno lunghi in diverse migliaia di pagine - né nella sostanza. Dopo i primi momenti di straniamento, sono stato letteralmente affascinato dall'ampiezza, la potenza e la novità radicale del pensiero che mi si presentava.
All'alba del 27 aprile di ottanta anni fa, dopo una lunga prigionia che aggravò la sua malattia, moriva Antonio Gramsci. Moriva un uomo «intimo, riservato, razionale, severo, nemico dei sensitivi e delle cose facili, fedele alla classe operaia nella buona come nella cattiva sorte, agonizzante in una cella, con tutto un esercito di poliziotti che cercano di sottrarlo al ricordo e all’amore di un popolo (...) Un uomo per cui conta(va) solo la coerenza e la fedeltà a un ideale, a una causa, che vive di se stessa, indipendentemente da ogni carriera e da ogni interesse personale». Così, nella cerimonia di commemorazione che si svolse a Parigi il 22 maggio del 1937, lo descrisse Carlo Rosselli, 18 giorni prima di venire ucciso a sua volta da sicari fascisti assieme al fratello Nello. Moriva un comunista, un martire degli operai e dei contadini, un italiano che non barattò la sua personale libertà sull'altare di un disonorevole compromesso col fascismo. Fosse solo per questo Gramsci merita di essere ricordato e la sua figura presa ad esempio. Ma non è solo per questo che noi onoriamo la sua memoria e lo consideriamo un maestro. Gramsci è stato un grande pensatore, un pensatore rivoluzionario.
Le gesta che maggiormente hanno ispirato i rivoluzionari italiani e latinoamericani sono di Simón Bolívar e Giuseppe Garibaldi. Ambedue intraprendono lotte d’emancipazione politica per spezzare i legami che sottomettono i loro paesi a sovranità straniere. Entrambi si sollevano per unificare popoli liberati. Entrambi promuovono idee repubblicane, democratiche e di secolarizzazione dello stato. Tentano di realizzare riforme sociali ed economiche. Entrambi subiscono un triste destino: culminata la fase militare, forze oscure fanno fallire il loro progetto politico e sociale. Voltaire disse che i profeti armati sconfiggono sempre quelli disarmati. Due profeti invincibili sembrano annichiliti da forze senza volto né armi. Invochiamo il profeta disarmato Antonio Gramsci per identificarle.
Approfondiamo innanzi tutto le relazioni tra lotte d’emancipazione e rivoluzioni. La mentalità neocoloniale squalifica il patriottismo e taccia di delitto l’aspirazione dei popoli dipendenti a non essere governati da stranieri, mentre al contempo, con poteri imperiali, si affanna a custodire intatte, indissolubili ed inviolabili, le fedeltà politiche, giuridiche ed ideologiche. Questo dopo la globalizzazione del capitale e la transnazionalizzazione della cittadinanza.
6 anni non sono nulla quando si hanno 90 anni. Ma quando se ne hanno tra i 20 e i 30, è molto. Sei anni fa, il popolo tunisino ha visto sfuggire un dittatore di basso rilievo che l'ambasciata degli Stati Uniti ha fatto evacuare per un esilio dorato, all'ombra delle torri di perforazione saudite. Quella che i media europei si sono affrettati a battezzare stupidamente "Rivoluzione dei gelsomini" (espressione che mai sarebbe venuta in mente ai tunisini) rapidamente ha emanato odore di putrefazione. I politicanti hanno abilmente ripreso le redini e hanno architettato una via d'uscita nel più puro spirito del Gattopardo: "Cambieremo tutto affinché nulla cambi".
Il risultato è schiacciante: la Tunisia è governata da una coalizione di furfanti che come maiali hanno condiviso le briciole di torta stantia lasciando cadere molto poco nelle mani della gente comune. I carnefici e le loro vittime di ieri hanno realizzato un compromesso storico, distribuendosi cariche e prebende. Le speranze che si erano risvegliate nei giorni di dicembre 2010-gennaio 2011 - "Pane, libertà, dignità nazionale" - si sono dimostrate folli. Si sono insediate la delusione, la depressione, e la disperazione. Ogni giorno un tunisino si suicida. Altre migliaia hanno preso la via del glorioso suicidio, tra la Libia e la Siria. I più ragionevoli e meglio attrezzati organizzano un'emigrazione legale per studio o per "affari", quelli astuti vanno alla mangiatoia dei sussidi: ci sono così tante persone ricche che vogliono il meglio per noi! Fondazioni tedesche, svedesi, svizzere, statunitensi, giapponesi, del Qatar, austriache, e così via: oggi, almeno 50.000 tunisini/e ricevono uno stipendio da una fondazione, ONG o OMG (un'organizzazione molto governativa) straniera. Per qualche milione di euro, "esse" sono venute a pacificare gran parte dell'ala giovanile che aveva fatto - o seguito su facebook - questa famosa quasi-rivoluzione. Il potere è dove ci sono le casseforti e non nei ministeri o per strada.
Aziz Krichen: Gramscinon avrebbe molto da dire, non solo ai tunisini, ma al mondo intero.
Personalmente a Gramsci devo gran parte della mia formazione intellettuale. (Molto tempo fa, in collaborazione con altri autori, ho peraltro contribuito al libro “Gramsci et le monde arabe” (Gramsci e il mondo arabo). Gramsci in Tunisia è poco noto anche nell'intellighenzia. La mancanza di una traduzione araba delle sue opere non spiega tutto. Le sue analisi delle élite e della questione agraria sono utilissime.
"nel cuore profondo del sentire socialista, comunista, egualitario, stia il rifiuto della pratica e della legalizzazione dell'utero in affitto"
di Giorgio Cremaschi Respingo il giudizio finale qui espresso da Antonio Gramsci, i figli non sono mai mostri e devono essere sempre accolti con amore, ne hanno il diritto comunque vengano alla luce. Per questo si è sempre in difficoltà quando si accoglie con gioia ed auguri una nuova vita e nello stesso tempo non si può ignorare il sistema di potere che ha organizzato la sua nascita. Questa contraddizione mi fa ancora più odiare il capitalismo che tutto riduce a merce, ricoprendo e guastando con i rapporti di mercato anche i sentimenti ed i rapporti più profondi e sacri. E mi fa disprezzare l'ipocrisia del pensiero unico liberista, che invece santifica il mercato e trasforma in libera scelta delle persone, più povere, quella che è il risultato di rapporto economici e di potere totalmente diseguali ed oppressivi.
Antonio Gramsci un secolo fa vedeva lontano e giusto, chiarendo che da temere non fosse lo sviluppo scientifico, ma il crescente dominio del profitto capitalista su di esso. Il quattrino sporca ogni cosa scriveva, e questa è la ragione per cui io credo che nel cuore profondo del sentire socialista, comunista, egualitario, stia il rifiuto della pratica e della legalizzazione dell'utero in affitto.
In questo giorno, 22 gennaio 1891, uno dei marxisti più influenti del 20° secolo, Antonio Gramsci, nasceva nella piccola città di Ales in Sardegna. L’opera di Gramsci ha trasformato il modo in cui pensiamo una politica marxista. Mentre la Rivoluzione Russa compiva il suo corso nella Russia “arretrata”, e quindi era una rivoluzione sia contro il “vecchio regime” che contro il capitale, Gramsci affrontava decisamente la questione di come si costruisce un movimento rivoluzionario nelle aree sviluppate dell’Europa occidentale. In particolare, era il suo sviluppo del concetto di “egemonia” che dimostrava tutta la sua influenza. In questo saggio del grande Stuart Hall (1932-2014), e pubblicato in “The Hard Road to Renewal – Il duro cammino verso il rinnovamento*”(1988), Hall tenta di estendere queste intuizioni di Gramsci all’analisi della “modernizzazione regressiva” della Thatcher. In un’epoca in cui molti stanno affrontando la questione di “come costruire una nuova modernità di sinistra”, Gramsci e Hall sono più che mai determinanti.