Col passare dei giorni diventa sempre più chiaro che il colpo di Stato in Honduras non è stato un evento isolato nè causato dai partecipanti alla consultazione pubblica che aveva chiamato il presidente Manuel Zelaya.
diFrida Modak
E allo stesso modo, è evidente che le sette basi militari americane installate in Colombia non sono destinate a combattere il traffico di droga o l'insurrezione. Non sono affermazioni di fantasia.
Gli Stai Uniti hanno una base militare in Honduras che ora chiamata Soto-Cano, ma era conosciuta come Palmerola, quando è stata creata per combattere il governo sandinista.
Da questa base provenivano i mercenari "contro" reclutati, addestrati e forniti dagli Stati Uniti.
L'allora presidente statunitense Ronald Reagan, battezzò questi elementi terroristi come "combattenti per la libertà" e li finanziò in modi molto diversi.
Quando il Congresso USA si rifiutò di dare più fondi ai mercenari, i finanziamenti provenivano dal traffico di stupefacenti.
Quello che fu accettato e giustificato dall' allora Segretario per gli affari latinoamericani Elliot Abrams, che ha detto che, dato l'atteggiamento del Congresso USA, i Contras hanno dovuto cercare mezzi di sussistenza.
Vale la pena ricordarlo, quando il presidente colombiano Álvaro Uribe, ha detto che con le basi americane nel suo paese mira a combatere
il traffico di droga e sradicare la guerriglia.
Torniamo ora in Honduras.Impresari e un ambasciatore nel colpo di stato.
Nella notte di sabato 27 Giugno, alla vigilia di una consultazione pubblica, un collaboratore del presidente Zelaya mi ha detto in una conversazione telefonica che sapeva di due chiamate del Dipartimento di Stato USA e l' Ambasciata statunitense in Honduras a quelli che fino ad allora avevano complottato, avvertendoli del "niente golpe".Che ha suggerito che l'azione avviata contro il governo di Zelaya il lunedi 29 quando si sarebbe prodotto quello che considera un crimine.
Ma il settore delle imprese, che faceva parte della trama, ha constatato che c' era da aspettare, perché il voto in favore del quarto scrutinio doveva essere pesante e non lo potevano ignorare.
In Honduras gli impresari hanno raggiunto un accordo con il Comando supremo delle Forze Armate, che ha consegnato 30 milioni di Lempiras equivalenti ad un milione e mezzo di dollari, secondo una lettera elaborata ufficiali di medio-rango.
Nelle aree del governo del presidente Zelaya si stimava che avrebbero votato per la consultazione tra un milione e 200 mila e un milione e 500 mila persone.
Il paese ha un elettorato di quattro milioni e 700 mila iscritti, di cui milione 300 mila risiedono negli Stati Uniti.
Si calcola che la media degli elettori effettivi potrebbero essere due milioni 100 mila, in modo che il voto della consultazione potrebbe ottenere la maggioranza assoluta.
Tali evidenze non possono essere ignorate e di conseguenza, e da qui sorge la decisione degli imprenditori, tra i quali si contano gli ex Presidenti della Repubblica, di accelerare le loro azioni.
Per quanto riguarda l'ambasciatore degli Stati Uniti Llorens Hugo, la sua partecipazione è stata attiva prima e dopo il colpo di stato.
Ha dichiarato pubblicamente circa una settimana fa il candidato presidenziale del Partito Democratico Cristiano,
Felicito Ávila, i gruppi di solito agiscono in conformità con i settori che sono stati presi dal governo.
Avila ha detto che l'ambasciatore è andato alle riunioni cospirative e la rispettica cronaca è stata pubblicata sulla stampa honduregna, che appartiene in gran parte al settore golpista, come un avvertimento a Washington su tutto ciò che poteva contare.
Se uniamo ciò che si è segnalato rispetto alla base statunitense di Soto-Cano (ex Palmerola) agli antecedenti del colpo di Stato, l'agire dell'ambasciatore Llorens e lo uniamo alle basi militari che Washington progetta installare in Colombia, avremo le linee di un progetto che a ragion veduta mette in allarme i paesi sudamericani.
Le sette basi
Il governo colombiano vuole convincere l'opinione pubblica internazionale, non solo latinoamericana, che il suo accordo con gli Stati Uniti non significano l'installazione di basi militari americane sul suo territorio.
Secondo Uribe, sarà consentito solo occupare una piccola parte di sette basi colombiane per svolgere le loro attività.
Insiste sul fatto che lo riceveranno da persone vicine perchè contribuiscano alla lotta contro il traffico di droga, ma non fa riferimento ai sette miliardi di dollari ricevuti da Washington per il governo attraverso il Plan Colombia.
A questo punto, è un fatto incontestabile che questo piano non ha diminuito affatto il traffico di droga e la corruzione.
Numerosi esponenti politici del partito del presidente Uribe sono stati arrestati e processati per i loro legami con il commercio della droga.
E 'anche chiaro che i paramilitari solo apparentemente si smobilitano, ma è noto che si raggruppano nuovamente sotto un altro nome.
L'obiettivo delle basi è un'altra molto diversa da quella dichiarata dalle autorità colombiane e statunitensi.
Quando si sono installati a Panama, la base militare USA di Howard era un centro di controllo non solo per l'America Latina, ma anche per monitorare altri continenti, perché disponeva di diversi gruppi di spionaggio internazionale.
I trattati dei canali Torrijos-Carter li costrinse fuori del territorio panamense ed hanno trovato accoglienza nella città ecuadoriana di Manta, in cui il deposto presidente Jamil Mahuad ha poi consentito loro di stabilirsi a proprio agio.
L'attuale presidente ecuadoriano Rafael Correa, ha detto fin dalla sua campagna elettorale che non avrebbe rinnovato l'autorizzazione e costretto a smantellare la base di Manta.Ora sono a sette punti dietro la Colombia con il pretesto della lotta al narcotraffico, a cui ovviamente nessuno crede, e non digeriscno che possono utilizzare solo piccolo ufficio nelle basi colombiane per sostenere il Plan Colombia.
Le autorità delle località nelle quali verranno installate non sono molto d'accordo, perché considerano che la presenza delle truppe Usa attira la prostituzione e la corruzione, come è già successo nei luoghi in cui sono da lungo tempo.
Ai paesi sudamericani non piace l'argomento, perché rappresenta una minaccia e non lo hanno nascosto.
L'Unione delle Nazioni Sudamericane, UNASUR, ha concordato nella recente riunione in Ecuador di affrontare la questione direttamente con gli Stati Uniti a settembre, quando si avvia la sessione dell' Assemblea Generale delle Nazioni Unite e, previamente, si riunirà in Argentina per discutere il problema.
Allo stesso tempo, UNASUR ha ribadito il suo sostegno a Zelaya e ha chiesto il suo ritorno come presidente dell'Honduras, con cui differiscono anche da Washington.
Il presidente statunitense Barack Obama, ha reagito duramente alle critiche per la mancata adozione di misure forti contro i golpisti honduregni.
Secondo Obama, "vi è una certa ipocrisia" da parte di quelli tenuti ad agire con chiarezza in Honduras e li accusa di essere gli stessi che chiamano a Washington interventisti.
Quelli che criticano questa posizione di Obama rispondono che l'ipocrisia non c'è, ma nel ruolo di ambasciatore Llorens nel golpe, nella formazione del Pentagono per le forze armate dell'Honduras e la "lobby" che difende il colpo di stato nel Congresso USA.
Ci sono anche informazioni dettagliate sulle transazioni di denaro del narcotraffico e delle istituzioni degli Stati Uniti, consegnate in Colombia ad oppositori dei governi democraticamente eletti nella regione.
In altre parole, l'ipocrisia consiste nel contribuire ed aiutare la cospirazione con un presunto non intervento.
L’Assemblea Nazionale Legislativa di Ecuador ha ieri rifiutato la possibilità che si istallino truppe statunitensi in basi militari colombiane, ed ha sollecitato all’Unione di Nazioni Sudamericane (UNASUR) l’emissione di manovre di fiducia da applicare nella regione.
L’Assemblea ha approvato nella notte una risoluzione, con 68 voti su 104 a favore, nella quale ha condannato “la decisione del Governo del Presidente colombiano Álvaro Uribe, di permettere un importante incremento della presenza militare statunitense sul suo territorio”.
La maggioranza parlamentare, integrata dal movimento Alianza Pañis e da vari gruppi di sinistra, ha approvato il documento con il quale ha espresso “la sua profonda preoccupazione per l’impatto nocivo che rappresenta la presenza di basi militari nordamericane sulla sicurezza e la pace della regione”.
Il Parlamento ecuadoriano ha considerato che l’eventuale ampliamento degli accordi militari tra Colombia e Stati Uniti, ostacolerebbe “seriamente gli sforzi d’integrazione e costruzione di una pace effettiva e reale in America del Sud”.
Inoltre, il documento ha “insistito sulla necessità che la Colombia rinunci all’odiosa ed illegale abitudine di attacco preventivo extraterritoriale, così come a tutta la politica che attenta alla sovranità dei suoi vicini” Fonte: http://www.granma.cu/index.html
Gli organismi d’intelligence degli Stati Uniti stanno creando una banca dati tipo Facebook che include tutti i dati dei “terroristi internazionali”, con il fine di monitorare ed identificare figure chiavi per il governo nordamericano attraverso complessi programmi informatici destinati a predire teorici attacchi terroristi prima che avvengano.
Attraverso l’analisi delle reti sociali che già esistono tra i teorici terroristi conosciuti, indagati e anche persone innocenti detenute per essere state nel luogo sbagliato al momento sbagliato, i capi dell’intelligence militare hanno la speranza di aprire un nuovo fronte nella loro “guerra contro il terrore”.
L’idea è quella di accumulare grandi quantità di dati dell’Intelligence delle persone- non importa quanto oscuri o irrilevanti- per introdurli nei computer che vengono programmati e realizzare connessioni e associazioni che, in altro modo, si perderebbero, ha detto uno scienziato al giornale britannico The Indipendent.
La dottrina che già viene applicata attivamente in Iraq ed in Afghanistan, dove migliaia di persone sono state detenute e interrogate per ottenere informazioni che potrebbero alimentare questa gran base di dati che saranno utilizzati per l’analisi informatica della rete di programmi sociali.
Oltre all’informazione ottenuta nelle interviste con i sospetti catturati nel settore, gli organismi dell’ Intelligence si dedicano a raccogliere un' enorme quantità di dati presi dalla posta elettronica o chiamate telefoniche con tecnologia di vigilanza delle telecomunicazioni. Solo negli USA, centinaia di milioni di dollari si spendono nello sviluppo delle tecniche di raccolta dati.
“Il Social Network Analysis è il monitoraggio di informazioni su chi sa chi o che cosa parla loro”, ha detto Katheleen Carley, professoressa dell’Università Carnegie Mellon, a Pittsburgh, Pennsylvania, uno degli scienziati civili che sperano di beneficiare dei nuovi finanziamenti militari assegnati all’investigazione nell’analisi delle reti sociali.
“Facebook e Google stanno offrendo la tecnologia per articolare le reti sociali, e questi strumenti non solo aiutano a trovare qualcuno con cui parlare, ma vogliono offrire tutte le informazioni possibili su una persona”, ha aggiunto la professoressa Carley.
Nonostante questo, questa strategia di intervenire nella dinamica delle rete sociali con obbiettivi dell’Intelligence è stata molto criticata perché viola la privacy ed i diritti umani, partendo dal fatto che centinaia e probabilmente mille di persone sono state detenute e interrogate durante più tempo del necessario per fornire informazione dalla rete sociale.
Nella sua forma più estrema, la dottrina ha dato luogo a quello che è conosciuto nei circoli militari degli USA come “filosofia del mosaico”. (mattonella, NDT)
La filosofia dietro la teoria del mosaico è che un pezzo dei dati dell’Intelligence non significano nulla per l’inquisitore, ma poi può avere importanza ed essere cruciale al momento di collocarsi come un “mosaico nel mosaico”, ha detto Carley.
I critici di questa strategia assicurano che, basato su questa strategia e per creare l' enorme base dei dati, gli Stati Uniti hanno detenuto ed interrogato migliaia di persone innocenti in Iraq ed in Afghanistan, sperando di raccogliere tutte le informazioni di intelligence che potrebbero essere inserite nel computer programmato con algoritmi di reti sociali.
“Non è una nuova filosofia ma i computer ed il processo dei dati hanno dato un nuovo impulso e nuova enfasi”, ha detto il Professore Lawrence Wilkerson, un colonnello in congedo dall’Esercito USA ed ex capo del personale del Segretario di Stato, Colin Powell, fino al 2005.
Wilkerson, che è un critico di questa dottrina, assicura che “[La filosofia del mosaico] è impenetrabile, esoterica, sconosciuta e viene utilizzata da un numero molto ridotto di persone che intendono applicarla a migliaia, chissà milioni di essere umani”, ha detto al The Indipendent.
Joseph Marguiles, professore di Diritto all’Università Northwestwern di Chicago, che ha studiato la filosofia del mosaico in rapporto ai detenuti di Guantanamo, ha detto che le scoperte tecnologiche e matematiche dell’analisi delle reti sociali vanno di pari passo con la logica della teoria del mosaico: “La prima si alimenta da quest’ultima. E’ il mito che l’ordinatore (pc) può sapere tutto, la credenza nell’onnipotenza dell’algoritmo, incoraggiati a vivere più a lungo di quanto necessario per gli errori della teoria mosaico”. Ha detto il prof. Margulies.
E la raccolta di database di grandi dimensioni ha un altro inconveniente. “Ha anche il potenziale di sotterrare dati importanti, sotto il concetto di sostituire la quantità per la qualità”, ha detto il Prof. Margulies.
Ma, un altro funzionario dell’Intelligence , così come esperti accademici nell’analisi di reti sociali credono che le cellule terroristiche si possono controllare in modo efficace con queste tecniche, specialmente nei teatri militari come Iraq e Afghanistan.
Il Dottore Ian McCulloh, un alto funzionario dell’esercito degli USA, che lavora nell’Accademia Militare di West Point, a New York, ha affermato che ha usato l’analisi delle reti sociali per stabilire relazioni tra i cento di video di morti filmati dagli insorti in Iraq.
“L’interpretazione dei dati del gruppo di video ci portano alla conclusione che probabilmente sono stati realizzati dallo stesso gruppo...Si può scoprire, studiando la strada che hanno seguito questi video nelle reti sociali, la struttura tra i gruppi terroristici e gli attacchi reali”, ha detto.
Il Dottor McCulloh sta collaborando con il Prof. Carley nell’analisi dei "Metanetwork" (temi comuni in rete), una forma più sofisticata dell’analisi delle reti sociali.
Gli investigatori credono che in un futuro non molto lontano possano essere in grado di controllare le reti terroristiche in tempo reale e individuare eventuali modifiche che indicano che un attacco sia imminente.
“Prima che un caso di terrorismo possa accadere, in linea generale, c’è un cambiamento in detta organizzazione, dato che cominciano a preparare e a pianificare le risorse e l’evento. In questo contesto è possibile monitorare una rete in tempo reale e controllare il cambiamento nel comportamento che si produce prima di un evento”, ha detto il Dr. McCulloh.
“Le statistiche sono per l’analisi delle reti sociali quello che l’intuizione è per il lavoro del detective. E’ l’applicazione del rigore matematico a quello che la gente ha fatto prima”.
“L’Analisi delle reti sociali si include già nei documenti che regolano la contro insorgenza dell’Esercito degli Stati Uniti. E’ nel linguaggio comune e dell’Intelligence militare che la gente sta utilizzando”, ha assicurato il Dr. MCCulloh.
L'impero statunitense, in queste ore, soffre di quello che potrebbe chiamarsi in modo appropriato un multi-collasso generalizzato della sua agenda del potere globale: Tutto è in crisi e in decadenza nella prima potenza capitalista, compreso il responsabile di turno, Barack Obama, che in 180 giorni di gestione (6 mesi) non è riuscito ad imporre neanche uno dei punti contenuti nelle sue promesse elettorali del "sogno americano" in democrazia.
di Manuel Freytas
Questo lunedì, la stampa internazionale ci sorprende con una notizia: Preso dai problemi ( interni ed esterni) irrisolti, con la sua immagine e popolarità in caduta, criticato dai democratici e dai repubblicani, Obama ha fatto le valigie e se n’è andato in vacanza su un’isola paradisiaca del Pacifico frequentata dai ricchi, in una villa per la quale lo stato paga 35.000 dollari settimanali di affitto.
Fedeli al loro stile di “ricchi progressisti”, gli Obama hanno preso in affitto una villa conosciuta come “Blue Heron Farm” ( Azienda della Garza Blue), che ha accesso ad una spiaggia privata, un orto con meli , piscina e un campo di basket, lo sport favorito del presidente.
Il presidente imperiale ha lasciato Washington preoccupato per la guerra interna (tra repubblicani e democratici) causato dal suo piano di riforma del sistema sanitario, che comincia a figurare nella sua lunga lista di fallimenti di fronte all’opinione pubblica statunitense.
La riforma sanitaria progettata da Obama agonizza e ravviva il conflitto interno tra i democratici ed i repubblicani che aveva avuto il suo primo detonante con il colpo di Stato in Honduras, che divise l’Impero in una linea di sostegno al presidente decentrato (Zelaya) dalla Casa Bianca e l’altra con chiaro sostegno del governo golpista da parte del Pentagono e dei repubblicani conservatori.
I fallimenti successivi per imporre i suoi programmi, sia nella politica interna che estera, hanno colpito duramente la sua immagine pubblica mentre le critiche (per diversi motivi) alla sua gestione arrivano sia dal settore repubblicano sia dal Partito Democratico, i cui leader principali lo mettono in discussione per la mancanza di risultati delle sue decisioni.
Il Centro Prew rivelava la scorsa settimana che, in base all’ultimo sondaggio, il consenso di Obama è del 51%, di fronte al 61% di cui godeva a giugno ( è sceso di 10 punti in soli due mesi). E il “ Washington Post” venerdì ha pubblicato un’altra inchiesta insieme alla catena della ABC che, anche, scendeva la fiducia e il sostegno al presidente imperiale, al 49%.
Contemporaneamente, il principale problema interno dell' agenda di Obama, l’economia reale dell’Impero collassa in tutte le sue variabili, ed i settori più indifesi soffrono degli “aggiustamenti” mentre la crisi sociale, ancora con effetti non calcolabili, si affaccia dalla mano dei licenziamenti in massa nella prima potenza capitalista.
Nonostante i deboli segnali di recupero che mostrano alcune variabili dell’economia USA, tra gli economisti, media e analisti specializzati, rimangono i dubbi e gli interrogativi fino a dove arriverà la crisi con i licenziamenti e con la caduta della prima potenza imperiale.
Inoltre, in modo brutale (e ancora senza resistenza sociale) i riscatti industriali e finanziari del governo di Obama (utilizzando fondi delle tasse per salvare il capitalismo privato) scarica il costo del collasso recessivo economico ( la crisi) sul settore stipendiato ( forza lavorativa di massa), la massa meno protetta e in maggioranza della società statunitense, attraverso i licenziamenti e la riduzione delle spese sociali (aggiustamenti) che aumentano i livelli sociali di precariato economico e dell’esclusione in massa dal mercato lavorativo.
Da quando è scoppiato il collasso bancario e della borsa a settembre 2008, la prima economia imperiale non è mai riuscita a riprendersi, finalmente la crisi dell’ ”economia di carta” ha finito con l’avere un impatto sull’ “economia reale”, con un abbassamento del consumo popolare, disoccupazione in massa e un aumento del deficit fiscale come prodotto degli esborsi statali per riscattare le banche e le aziende private.
Nonostante i “segnali ottimisti” che lanciano Obama e le autorità europee, i propri dati ufficiali prevedono che con i mercati di credito paralizzati, nei prossimi mesi altre aziende entreranno in un processo di default e annunceranno nuovi licenziamenti. (sommati a quelli già esistenti) , e i consumatori stringeranno ancora di più la cinghia , man mano che la mancanza di credito si ripercuote sulla capacità d’indebitamento.
In questo scenario, come questo lunedì hanno detto alcuni analisti statunitensi, non sarà facile per Obama sbarazzarsi dei problemi nella paradisiaca isola Martha’s Vineyard, dato che lì sarà presente la decisa attivista antiguerra, Cindy Sheehan, per ricordargli il lungo rosario della continuità politica militare di Bush in Iraq ed in Afghanistan dove l’esercito USA continua ad essere insediato.
Anche, segnala questo lunedì la stampa nordamericana, rischia di esaurirsi la pazienza della comunità ispanica e dei gruppi difensori degli immigranti, che vedono come la battaglia per la sanità e altri fronti aperti nella Casa Bianca stanno ritardando l’avanzamento della loro sperata – e promessa- riforma integrale migratoria.
E’ anche fallito il recente tour discorsivo- pubblicitario di Obama nel M.O, che aveva uno scopo fondamentale, secondo la Casa Bianca: “Riconciliare” la relazione tra gli Stati Uniti e l’Islam, e fortificare un “processo di pace” in M.O.
Contrariamente al suo obiettivo, Obama ha convinto tutti tranne che i protagonisti del conflitto strategico di base: Israele e Iran, che, per diverse vie, hanno dato segnali che la visita di Obama è risultata così vuota e inutile come le sue parole cariche di “teoria senza pratica”.
Nonostante le sue “costose” vacanze “anti-stress”, la realtà, marcata dalle vere necessità dell’Impero USA, polverizza velocemente le promesse e il marketing discorsivo di Obama e mostra in modo crudo che la sua amministrazione- all’ora di fare- è una continuità in tutti i campi delle politiche sviluppate dalla presidenza Bush.
Sei mesi fa, ovviando la realtà strategica del dominio egemonico geopolitico-militare-nucleare degli Stati Uniti ( la cui dinamica si nutre e retro alimenta con la conquista militare permanente dei paesi el'esaurimento delle risorse globali strategiche), la stampa mondiale e i suoi analisti edificarono nella figura e nei discorsi di Obama una "nuona alternativa mondiale" con gli Usa che rinunciano al loro status di potenza imperiale dominante.
Con la nomina di Barak Obama alla presidenza degli Stati Uniti si è sviluppata una campagna mediatica destinata a far credere alla maggioranza mondiale che la prima potenza capitalista imperiale, impantanata in Iraq e in Afghanistan, con il suo sistema finanziario polverizzato dalla crisi e da una recessione economica di effetti imprevedibili, si potrebbe ricreare a se stessa generando nuove aspettative e cambi “ democratici” di politica a livello mondiale.
La decisione di continuare la guerra contro il terrorismo (impiantata come logica di dominio militare e di conquista dei mercati), la scalata militare e i massacri dei civili in Pakistan e Afghanistan, il ritorno indietro nell’investigazioni delle torture della CIA, l’applicazione delle stesse politiche di Bush in Iran, nel Caucaso e nel M.O, il ristabilire i giudizi militari ai terroristi, e la ri-militarizzazione dell’America Latina, segnalano con chiarezza la vera strada della gestione di Obama alla Casa Bianca.
D’accordo con quello che molti chiamano la “nuova dottrina Obama” (che in realtà è la vecchia dottrina Bush) Washington dà un impulso alle sue politiche di posizionamento militare orientato a controllare i mercati e le fonti d’energia e di risorse naturali in Asia, Africa e America Latina.
Durante i suoi primi 90 giorni di governo, e mentre affermava nuovamente nei suoi discorsi la “rinuncia degli Stati Uniti al suo ruolo di potenza imperiale dominante”, Barack Obama ha deciso di approfondire l’occupazione militare inviando più soldati in Afghanistan, aumentare la spesa militare statunitense a livelli da record, ad imporre (attraverso il G-20 e il FMI) un nuovo piano di indebitamento per far pagare la crisi finanziaria imperiale ai popoli di Asia, Africa e America Latina.
Le decisioni di Obama a sei mesi di governo (contraddicendo le sue promesse) sono le migliori prove che le politiche strategiche di sopravvivenza imperiale degli Stati degli USA è al di sopra della volontà personale (o del discorso elettorale) dell’eventuale responsabile che occupi la Casa Bianca.
Come è già stato dimostrato in forma storica e statisticamente: Negli Stati Uniti, la potenza locomotrice del capitalismo sionista su scala globale, non governano i presidenti o i partiti, ma l' èlite economica-finanziaria ( il potere reale) che controlla la Federal Reserve, il Tesoro, Wall Street, il Complesso Militare Industriale e Silicon Valley.
Finite le luci artificiali della campagna elettorale, democratici e repubblicani smettono di aggredirsi e si complimentano in un disegno di politica strategica di Stato a difesa degli interessi delle grandi corporazioni economiche che segnano l’azione delle politiche interne e della conquista di mercati coperti da “guerre preventive” contro il “terrorismo”.
Con Obama (così come ha fatto con Bush ed il resto dei presidenti) il Pentagono Usa, con i suoi cinque comandi strategici presenti nel pianeta, continua a svolgere il ruolo di gendarme mondiale delle banche e transnazionali imperialiste che depredano il pianeta in nome della “civiltà e democrazia”.
Con la caduta di Bush e l’avvento di Obama, l’impero USA ha cercato di ricreare la mistica “del nuovo sogno americano” e generare una nuova aspettativa di “riciclo democratico” nella figura di un “afroamericano” arrivando ai massimi livelli decisionali della Casa Bianca. “Siamo così democratici , che perfino un negro può governare”, quasi dicevano gli slogan in campagna elettorale.
La “guerra antiterrorista”, le occupazioni imperiali a volto scoperto, la crisi economica USA esportata a livello globale e la decadenza accentuata del “comandante” Bush avevano picchiato forte: Dal proprio fronte alleato europeo sono cominciate le voci sulla “perdita dell’influenza” dell’Impero nordamericano.
Bisognava ricomporre l’unità di comando e restaurare la consumata immagine degli USA come potenza imperiale. Bisognava dire ai profetici della “fine dell’impero”: Potete continuare a credere nella solidità del sistema statunitense. Continuate ad investire in dollari, benvenuti ai buoni-rifugio del Tesoro degli USA. Siamo come l’Araba Fenice: Rinasciamo dalle nostre stesse ceneri, più democratici che mai e con un negro come presidente.
Obama- nei termini in cui il nuovo marketing pubblicitario della sua campagna elettorale lo presentava- aveva come missione quella di dimostrare che l’Impero statunitense non creava guerrieri militari (del tipo di quelli che bombardano “ terroristi” con musica di Wagner da sottofondo) ma “appostoli della pace e della democrazia” contenuti nel pubblicitario “ nuovo sogno americano”.
D’accordo a con l’immagine di Obama che la stampa internazionale presentava all’insediamento del 20 gennaio, le oltre 800 basi militari nordamericane che circondano come un anello di morte le aree delle risorse strategiche del pianeta (energia, acqua, alimenti e biodiversità) non potrebbero funzionare con ordini castrensi ma con aforismi di Mathama Gandi.
Solo sei mesi di gestazione hanno dimostrato la falsità e hanno già quasi finito con il “mito Obama” fabbricato su scala globale dalla stampa sionista internazionale.
Obama è in vacanza: al suo ritorno lo aspettano l’inferno “controterrorista” e la crisi recessiva irrisolta, e tutto quello che sarà similare a Bush sarà pura casualità.
The New York Times assicura: potrebbe essere il Vietnam di Obama
Il Presidente Obama non aveva ancora assunto il potere, che già i suoi sostenitori stavano scolpendo la sua immagine nel Monte Rushmore come se fosse il nuovo Abraham Lincoln, o l’incarnazione di Franklin D. Roosevelt.
Ma se i suoi paladini si fossero confusi di precedente storico? Se il destino di Obama fosse quello di convertirsi nel nuovo Lyndon B. Johnson?
Le analogie storiche sono sempre troppo semplicistiche e fatalmente sbagliate, visto che ogni Presidente è un caso a parte. Però il modello di Johnson – un Presidente che aspirava a creare i nuovi Stati Uniti dall’interno, mentre, all’esterno, combatteva una guerra già persa – è quello che sta perseguendo la Casa Bianca di Obama, mentre cerca di salvare l’Afghanistan nel bel mezzo di un programma domestico dispendioso.
Così come il Presidente Johnson credeva di non avere altre opzioni se non lottare in Vietnam per contenere il comunismo, il Presidente Obama la scorsa settimana ha dichiarato l’Afghanistan un baluardo contro il terrorismo internazionale. “Questa non è una guerra che vogliamo – ha detto ai Veterani delle Guerre Straniere nel suo intervento a Phoenix – questa è una guerra di necessità. Quelli che hanno attaccato gli Stati Uniti l’11 settembre stanno cospirando per farlo di nuovo. Se non si controlla, l’insorgenza talebana godrà di un rifugio più grande di quello che aveva durante quel complotto di Al Qaeda”.
Tuttavia, dopo quasi 8 anni, l’appoggio del popolo statunitense per la guerra in Afghanistan è caduto drammaticamente. La settimana passata The New York Times e la CBS News hanno pubblicato un’inchiesta che mostra che l’appoggio popolare si trova adesso al di sotto del 50%.
Un simile disincanto si sta riflettendo anche a Washington, dove i liberali del Congresso si lamentano con sempre maggiore enfasi della guerra e i giornali pubblicano molte colonne che questionano la partecipazione degli Stati Uniti. L’ultimo numero di The Economist, per esempio, titola “Afghanistan: la crescente minaccia del fallimento”.
Il tenente colonnello Douglas A. Ollivant, un ufficiale ritirato dell’esercito che ha lavorato in Iraq per il Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti durante la presidenza di Geroge W. Bush e successivamente per il Presidente Obama, ha detto che l’Afghanistan può essere “in vari ordini di magnitudine” più complicato. “Non presenta nessuna delle infrastrutture, dell’istruzione e delle risorse naturali iraquene – ha segnalato – e non ha neppure una leadership politica con obiettivi affini a quella statunitense”.
“Ci troviamo in un luogo nel quale non disponiamo di buone opzioni, e tutti stiamo lottando contro questa condizione”, ha detto il colonnello Ollivant. “Reggere sembra un progetto di 10 anni e non sono sicuro che abbiamo il capitale politico e finanziario per farlo. D’altra parte, anche il costo di una ritirata sembra terribilmente alto. Perciò, siamo intrappolati.
E come Lyndon B. Johnson ha scoperto, le conseguenze possono costare care.
(Pubblicato su The New York Times, riassunto da CubaDebate – Riassunto di Granma Int).
Il mondo globalizzato ha egemonizzato l’economica estendendo il controllo sul maggior numero di individui possibile. In questa espansione, secondo un modello capitalista, l’uomo non partecipa più alla costruzione della società, ne rimane estraneo, legato a un semplice numero matematico, in un progetto schiavizzante e vessatorio in nome del più cieco consumismo. Questa società borghese, si è strutturata mantenendo per se antichi privilegi, alimentando principi di estraneazione con il mondo operaio e il mondo del lavoro dipendente. Questa atomizzazione costruita senza legami di rispetto reciproco, ha favorito il controllo e la sottomissione delle masse: i dipendenti si possono muovere meccanicamente secondo un percorso prestabilito in un’articolazione senza anima e pensiero, stabilendo fini e mete individuali di consumo e produzione, confuse spesso con la libertà. La merce umana, è al servizio del nucleo economico.
La legge del guadagno, ha potuto contare sul sacrificio della nostra frammentazione. Divide et impera. I nostri spazi, sono asserviti a progetti ignoti a noi controproducenti, incontrando forme d’egoismo mascherate da individualismo. La società cosiddetta “moderna”, è contraddittoria e paradossale. Come nel medioevo, si vive all’ interno di un sistema: ieri la Chiesa, il podestà, la comunità, oggi le istituzioni e la società. La politica non socializza più con le masse,preferisce allontanarle senza capirle,rispettando il nuovo ordine mondiale. L’analisi è inequivocabile: la società contemporanea è molto simile a quella di 700 anni fa. Questa mancata comprensione della società, ha prodotto un ostacolo alla soluzione dei problemi e la deperibilità dei rapporti solidali, innescando la frenetica picchiata della povertà. La soluzione del consumismo, per ora è un fallimento totale. Tutta l’economia mondiale è in recessione e nessuno sembra avere una soluzione a breve. Di fatto, il rilancio dei consumi non ci sarà finché ci saranno stipendi da fame. E’ una verità che tutti sembrano snobbare per interesse o per negligenza, ma prima o poi spunterà fuori con tale forza da sconfiggere anche i più renitenti.
L’unica cosa che sembra imbattibile, è il debito pubblico nel suo procedere temporale. Il prezzo che la democrazia occidentale ha dovuto pagare è alto, sia per quelli che ce l’hanno e per quelli a cui si voleva dare. Gli individui hanno pagato anche sotto il profilo personale: alienazione, libertà, esclusione, anoressia culturale e altre malattie psicotiche di cui l’uomo-macchina è vittima. La terapia che i “dottori” in denarologia chiamano carta di credito, sarebbe giusto chiamarla carta di debito. L’ubriacamento sfrenato generato dalla moneta unica, ha prodotto speculazione e utopia. La politica mondiale è fortemente assuefatta al drogato americanismo, quindi convintamente atlantica e filo-padronale. I pochi (veri) uomini rimasti a rivoluzionare, sono considerati residuati da museo, fuori rotta e fuori tempo. L’operazione di cambiamento si può concretizzare solo facendo crescere il popolo. L’Italia, non ha una storia rivoluzionaria, tale cultura è stata inculcata dal medioevo: “con la Francia o con la Spagna, purché se magna”. Tale assuefazione costituisce uno sbarramento alla lotta, il potere lobotomizza facilmente il popolo. Dopo il piano Marshall, in particolare, dalla strage di Piazza Fontana a quella della stazione di Bologna, da Ustica a Capaci, la storia nazionale, è una vergogna totale. C’è una preordinata incapacità nel far emergere le verità. L’Italia non è stata fatta dagli italiani ma dagli Stati Uniti d’America. Un popolo è orgoglioso quando costruisce la propria storia, non quando si genuflette a quella altrui.
Afghanistan, un paese invaso e occupato militarmente da 8 anni, con più di 200.000 “soldati” collaboratori afgani e 100.000 soldati stranieri dispiegati nella guerra contro i ribelli talebani, celebra le sue elezioni “libere e democratiche” (secondo quanto ha detto giovedì il Dipartimento di Stato degli USA). Questa farsa (che la stampa del sistema neanche analizza), già ripetuta in Iraq ed in altri scenari di massacro e di occupazione militare, mette allo scoperto l’impunità dell’invasore imperiale che trasforma al paese occupato in un grottesco show con i propri carnefici collaboratori divenuti in “candidati” elettorali.
“Se la guerra del 1999 contro la Jugoslavia è stata la prima operazione “fuori dall’area” della NATO, cioè , fuori dal NordAmerica e di quei paesi d’Europa che partecipano all' Alleanza, la guerra in Afghanistan ha segnato la trasformazione della NATO in una macchina bellica globale”, segnala Rick Rozoff in un articolo per Global Research.
Dall’altra parte, il segretario generale della NATO, Fogh Rasmussen, ha affermato che, nonostante si stia pagando un “alto prezzo” in vite umane, spera che si comprenda che queste perdite hanno luogo in una “causa vitale” per la sicurezza dei 42 paesi che contribuiscono all’ISAF (Forza di Assistenza Internazionale per la Sicurezza della NATO).
Rassmusen ha sottolineato che prevenire il ritorno del “terrorismo” in Afghanistan è una questione “critica” ed ha segnalato che il lavoro dei membri della forza internazionale è centrato da settimane sulle elezioni presidenziali e provinciali di giovedì prossimo.
Tanto gli USA come la NATO hanno giustificato l’aumento dei soldati invasori in Afghanistan negli ultimi giorni, argomentando che si tratta di uno sforzo per assicurare che le elezioni in questo paese si realizzino senza interruzioni o sabotaggi da parte dei ribelli talebani.
In modo tale, che i comizi di giovedì si realizzeranno con più presenza di eserciti , carri armati e altri veicoli blindati, elicotteri armati, aerei da guerra e in mezzo ad un’offensiva militare a grande scala contro i talebani che minacciano la capitale, Kabul.
Dopo gli attentati del 11 Settembre 2001, l’amministrazione Bush ha invaso l’Afghanistan contando sul sostegno della NATO , e questo, a differenza dell’Iraq dove l’organizzazione non si attuava, ha incluso a posteriori che l’organizzazione atlantica venisse coinvolta direttamente nella “guerra contro il terrorismo” di Bush nel paese occupato.
Durante i 6 anni di occupazione, l’esercito unito della NATO e degli USA ancora non è riuscito a controllare la guerriglia talebana che negli ultimi mesi ha lanciato una feroce controffensiva che ha causato numerose morti e danni alle forze occupanti e ha dato alla resistenza il controllo della maggior parte del territorio afghano.
La strategia di conquista capitalista e militare che Bush e i falchi imperiali hanno lanciato da dietro gli schermi la “guerra controterrorista” come risultato del 9-11, che comincia chiaramente a creparsi in Afghanistan, dove la resistenza talebana e i morti statunitensi ed europei crescono in proporzioni simmetriche.
La diminuzione dell’esercito internazionale, principalmente statunitense e britannico, ha raggiunto cifre da record da luglio, dopo la messa in moto di operazioni per finire con la resistenza nel sud afghano, bastione di ribelli talebani.
In base ad un dossier della Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) 1.103 civili sono morti nel conflitto armato durante i primi 6 mesi del 2009, un aumento del 24% rispetto al 2008. La cifra nello stesso periodo durante il 2008 è stato di 818 persone morte mentre che nel 2007 la repressione imperiale ha causato 684 morti.
Come è d’uso, nella stampa internazionale nessuno si domanda ciò che è ovvio : Come si possono realizzare elezioni democratiche in un paese occupato e massacrato militarmente da 8 anni?
L’impero statunitense e i suoi soci di occupazione (la NATO e le potenze centrali) arrivano al massimo dell' alienazione e della demenza: Far “votare liberamente” un popolo conquistato, principalmente povero ed ignorante, la cui unica motivazione giornaliera è la sofferenza, la guerra e la morte.
Questa farsa (che la stampa del sistema neanche analizza), già ripetuta in Iraq ed in altri scenari di massacro e di occupazione militare, mette allo scoperto l’impunità dell’invasore imperiale che trasforma al paese occupato in un grottesco show con i propri carnefici collaboratori divenuti in “candidati” elettorali.
Il grottesco elettorale è dotato di marketing e di inchieste. Il “favorito” nei sondaggi è il presidente burattino uscente, Hamid Karzai, portato al potere dalla coalizione invasiva internazionale avente come leader gli USA che a fine del 2001 hanno fatto cadere il regime talebano ed eletto nei primi “comizi” del paese occupato, nel 2004.
Ma i suoi “rivali” principali, cominciando dal ministro delle Relazioni Estere, Abdulà Abdulà, hanno realizzato grottesche campagne come se fossero in Europa o negli USA, delle quali se ne sono occupati non meno grotteschi e assurdi “analisti” che si sono incaricati di proiettare le loro performance nelle urne.
In mezzo alle bombe, gli attentati quotidiani, Abdulà ha chiuso la sua campagna lunedì mattina con un meeting spettacolare nello stadio di Kabul, di fronte a più di 10.000 persone con cappellini azzurri che innalzavano la bandiera del suo partito e a coro pronunciavano il suo nome, mentre la stampa realizzava la copertura “informativa” dell’atto come se fosse a Parigi o New York.
Per il Reuters, perfino un elicottero da combattimento (distratto dagli attacchi alla popolazione civile) ha volato sopra lo stadio lanciando mille volantini con la foto di Abdulà ed altri con il nome del candidato segnato per aiutare la maggior parte dei votanti analfabeti. “Compatriotti” Svegliatevi, è ora del grande cambio”, diceva un volantino, scritto nelle tre lingue principali del paese.
Anzi, al miglior modo di una democrazia “del primo mondo”, non è mancato lo spettacolo del “dibattito” televisivo durante il quale Karzai è stato criticato dai suoi rivali che hanno puntato le loro frecce sulla “corruzione” imperante durante il suo governo condannato a guidare l’occupazione militare e a legittimare la presenza dell’esercito straniero.
“La logistica delle elezioni presidenziali e provinciali di giovedì è un incubo per le autorità afghane, che in piena guerra coi talebani devono trasportare il materiale per votare in elicotteri e asini a regioni montagnose lontane”, segnala questo martedì (senza nessun commento) l' agenzia AFP.
In base all’agenzia, le seconde elezioni presidenziali attraverso il suffragio universale nella sanguinosa storia di questo paese costeranno 223 milioni di dollari, finanziati dai paesi implicati nell’occupazione dell’Afghanistan.
Una parte dei fondi sarà destinata al trasporto del materiale elettorale alle quasi 7.000 uffici di voto, alcuni dei quali situati in profonde valli, in brusche montagne o in zone infestate da ribelli talebani che cercano di boicottare la farsa.
L' Afghanistan soffre di una povertà estrema e nel 1995 ha occupato 192° posto tra i 192 posti nel ranking dei paesi in base al consumo calorico della sua popolazione. Milioni di persone sono senza alimenti, case, assistenza sanitaria ed educazione e oltre due terzi vive con meno di due dollari al giorno.
In linea generale, l’economia afgana ha un basso sviluppo dovuto alla situazione di dominio militare e della guerra costante, all’esistenza di un governo che collabora con l’invasore e alla frammentazione della società in gruppi tribali impoveriti.
Con un tasso alto di malattie causate dalla denutrizione, la popolazione del paese è composta da 26.000.000 persone, la cui aspettativa di vita è di 47,3 anni.
Tra il 1979 e il 2000 un terzo della sua popolazione ha abbandonato il territorio, scappando dalla guerra, e si stima che sono circa 6 milioni i rifugiati afgani che si sono stabiliti nel Pakistan o in Iraq.
Mostrato lo “scenario elettorale” di giovedì prossimo, tre elicotteri, circa 3000 veicoli e 3000 asini, cavalli o muli daranno milioni di volantini, tonnellate di penne e il materiale necessario per lo sviluppo delle votazioni, a quanto dicono le autorità elettorali.
Che le stesse forze collaboratrici o l’esercito invasore (che massacra giornalmente la popolazione civile, includendo donne, bambini e anziani) trasportino le urne a spalla per far “votare liberamente” persone sprovviste che neanche sanno leggere e scrivere, dimostra che “il sistema democratico” imperiale è uscito dal quadro di una strategia di “dominio senza le armi” per trasformarsi in una malattia mentale trasmessa da chi sottomette il sottomesso.
“Afghanistan è un paese (….) che cerca di ricostituirsi dopo quasi tre decenni di guerre” giustifica Aleem Siddique, portavoce della Missione delle Nazioni Unite per l’Afghanistan (UNAMA) che aiuta il paese occupato ad organizzare le elezioni e “legittimare” internazionalmente la farsa.
“Distribuire il materiale elettorale confidenziale è una vera sfida in questo ambiente”, assicura come se l’Afghanistan fosse un paese in più del cortile latinoamericano.
Un’altra “sfida” è di “far prendere coscienza alla numerosa popolazione analfabeta dell’importanza delle elezioni e spiegare come funziona il processo elettorale”, aggiunge con totale impunità il demente Siddique.
Aldilà di qualsiasi considerazione politica o strategica dello scenario dell’occupazione militare, il solo fatto che gli afgani “eleggano democraticamente” in un’urna, chi li governerà, è un grande schiaffo alla logica e alla intelligenza umana.
Che l’impero capitalista (Con gli USA e l’UE in testa) esporti il “sistema democratico” con “elezioni libere” in un paese impoverito e oppresso militarmente è un segnale, o almeno un sintomo, che la salute mentale degli invasori ha toccato livelli estremi di decadenza e di deterioramento.
Ed in mezzo a questo caos, tra la demenza “democratica” e la criminalità degli invasori “globali”, i talebani stanno progettando la loro ombra combattente e fondamentalista su Kabul.
Con la scusa di contribuire allo sviluppo del pianeta, un piccolo gruppo di aziende controllano a livello mondiale i semi necessari per la semina. Con i transgenici e i loro brevetti, hanno la chiave della catena alimentare.
Mario R. Fernandez di Alternativa Latinoamericana, ha indagato sull’argomento.
In cosa consiste l’industria degli agroalimentari e cosa si nasconde dietro questo lavoro teorico di “contribuire allo sviluppo nel mondo”?
In primo luogo, l’industria degli agroalimentari è un' infrastruttura produttiva mondiale di alimenti, controllata da poche corporazioni private. Si basa su qualcosa di molto antico come l' agricoltura e la produzione di alimenti, qualcosa che forma parte del processo di sviluppo dell' umanità che si trasforma in raccoglitrice e produttrice di alimenti primari per tutti. Per questo si parla della “privatizzazione” di un bene comune (common in inglese); è un modo che pochi hanno di appropriarsi di qualcosa che appartiene storicamente a tutta l’umanità. E’ trasformare l' agricoltura in industria.
Questo grande affare inizia negli Stati Uniti con i fratelli Rockfeller, la loro idea era quella di mettere in moto un progetto di espansione mondiale, di diversificazione degli affari, di dominio, di potere e ovviamente di denaro. Sono loro quelli che iniziano la denominata “Rivoluzione Verde” che comincia negli anni 50 in Messico e che dopo si completa con l’altro loro progetto, quello chiamato “Rivoluzione Genetica”.
Per aiutare tutta questa espansione, si iniziano a diffondere due argomenti che poco a poco cominciano a prendere forza. Uno, problematizzare la crescita della popolazione mondiale, una prospettiva che già era iniziata con Malthus, e dall’altra parte, l’idea che solo un sistema di “libero mercato” poteva assicurare l’alimentazione a questa crescente popolazione. Altre alternative, come ad esempio il comunismo, sono state direttamente rifiutare dallo stesso Rockfeller, per la loro inefficacia nel riuscire ad “alimentare il mondo”.
“La Rivoluzione Verde è stata una rivoluzione chimica portata avanti da corporazioni petrolchimiche che hanno imposto l’uso di pesticidi e erbicidi a molti paesi poveri che non avevano la possibilità di comprarli senza i crediti agevolati della Banca Mondiale”.
Chi controlla oggi gli alimenti e in quale modo?
Al di fuori delle corporazioni che commercializzano gli alimenti, come la Cargyll che si dedica al grano e gli speculatori che operano in Borsa, il controllo degli alimenti è veramente in mano a 4 corporazioni.F. William Engdahl le chiama “i quattro cavalieri dell’apocalisse dei transgenici” e sono i seguenti: Monsanto Corporation, Du Pont Corporation e il suo Pioniere Hi-Brend International e Daw Agro Sciences, tutte americane e Syngenta, che è svizzera. Queste corporazioni utilizzano come la loro più grande arma i transgenici o semi geneticamente modificate.
Il Congresso degli Stati Uniti ha concesso a queste corporazioni un diritto esclusivo sul brevetto di questi semi e lo ha fatto, teoricamente, per proteggere questi semi ed evitare che fossero contaminati da ADN ( materiale genetico) estraneo al genoma della pianta, evitando che venissero trasformate i sostanzialmente alterate-.
Che ruolo gioca in tutto questo il “boom” dei semi geneticamente modificati?
Questi “semi modificati”, adesso brevettati, sono un prodotto che finisce sul mercato. Le corporazioni proprietarie di questi brevetti usano strategie per collocare il loro prodotto sul mercato globale. Engdahl, nel suo libro “Semi di distruzione”, spiega tre fasi strategiche nel collocare i semi modificati geneticamente da parte delle grandi corporazioni. La prima è quella di unirsi a ..., comprare compagnie locali di una certa importanza. La seconda è quella di assicurarsi di ottenere brevetti locali di tecniche di ingegneria genetica sulla varietà, o banche di semi rilevanti. Finalmente, devono vendere i loro semi agli agricoltori o contadini e facendolo fanno firmare loro un compromesso con il quale non possono tenersi i semi della seconda generazione ma dovranno comprare i loro semi per la prossima semina dalla corporazione, qualcosa che dovranno fare ogni anno a prezzi molto alti. Queste strategie sono legali, ma usano anche tattiche illegali per imporre i loro semi geneticamente modificati agli agricoltori, contadini o paesi. La coazione diretta o indiretta per forzare l’acquisto, o il contrabbando, sono alcune di esse.
“L' industria degli agroalimentari è un' infrastruttura produttiva mondiale di alimenti, controllata da poche corporazioni private”.
Esistono paesi che non sono caduti sotto l’” invasione” dei transgenici?
Può darsi, perché il meccanismo che queste corporazioni usano per introdurre i loro semi transgenici dipende, in qualche modo, dall' Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Quindi è possibile che non tutti si siano arresi ai transgenici. Ma è difficile saperlo con certezza. Ad esempio nel 2004, il 56% del fagiolo-germogli- di soia e il 28% del cotone nel mondo, erano transgenici. Nel Terzo Mondo questi semi si sono imposti fondamentalmente per il livello di vulnerabilità che questi paesi avevano e per la complicità dei loro governi ed elite, come nel caso dell’Argentina. Ma in altri luoghi sono stati imposti con la forza, come in Iraq dopo che era stata invasa, come parte della terapia di “shock economico”.
Durante un certo periodo l’UE non aveva permesso i transgenici per questioni scientifiche e di salute, si questionavano gli effetti di questi alimenti sulla popolazione, ma nel 2006 cambia idea. Non è facile sapere quanti transgenici esistono nè in quali paesi. Attualmente gli Stati Uniti, Canada e Argentina sono quelli che hanno il maggior indice di contaminazione di grano geneticamente modificato.
Quale ruolo ha svolto e svolge in tutto questo, l’Organizzazione Mondiale del Commercio e la Banca Mondiale?
L' OMC ha aiutato ad imporre il quadro legale nel modo in cui si brevettano i semi transgenici. Il quadro legale lo costituiscono i “Diritti di Proprietà Intellettuale Relazionati con il Commercio” ( Trade Related Intellectual Propriety Rights), delle norme che tutti i paesi membri della OMC dovevano accettare per proteggere i brevetti delle piante. E’ così i semi si sono trasformati in prodotti brevettati. Nel 2003, ascoltando una richiesta di Stati Uniti, Canada e Argentina ( i paesi più contaminati dai transgenici), un pannello preseduto dal giudice svizzero Christian Haberli emette una sentenza contro l’UE per “non adempiere ai suoi obblighi” come membri dell' OMC, e questo potrebbe supporre multe annuali di cento di milioni di dollari.
D’altra parte la Banca Mondiale è stata fin dalla sua creazione, uno strumento di dominio dell’occidente, principalmente degli Stati Uniti. Le connessioni dell' elite nordamericana con la Direzione della Banca Mondiale, ha aiutato a finanziare progetti per sistemi di irrigazione, prese, ecc….elementi necessari per l’inizio della Rivoluzione Verde. La Rivoluzione Verde è stata una rivoluzione chimica portata avanti da corporazioni petrolchimiche che hanno imposto l’uso di erbicidi e di pesticidi a molti paesi poveri (o in via di sviluppo, come vengono chiamati) che non avevano la possibilità di comprarli senza i crediti dati dalla Banca Mondiale.
“Esistono strategie legali ma anche illegali per imporre i semi geneticamente modificati agli agricoltori, contadini o ai paesi”
Come possono reagire i popoli di fronte a tanto affronto? Cosa fare?
L’esempio della UE mostra che è legittimo resistere e che è possibile farlo anche se solo per frenare il processo e di creare una coscienza su questa imposizione dei transgenici, specialmente, quando non si conoscono le conseguenze che hanno sulla salute e sulla sovranità nazionale.
Vandana Shiva, premio Nobel Alternativa, ha organizzato la resistenza contadina in India ed ha contribuito alla conoscenza sui transgenici. Shiva ha scritto numerosi libri tra i quali “Monocultures of the NìMind” ( Monoculture della Mente), “Earth Democracy, _Sustainability and Peace (Democrazia della Terra. Giustizia, Sustentabilità e Pace) “India Dividia. Assedio alla diversità e alla Democrazia”. Shiva ha creato il movimento Nardanaya.
In America Latina, il movimento dei Lavoratori Rurali senza Terra del Brasile, che è uno dei movimenti più attivi e conosciuti a livello internazionale, ha lottato contro i transgenici per più di 25 anni.
A livello personale è importante che la gente sia informata. Scrittori come F. William Engdahl, con il suo libro “Semi di Distruzione. L' Agenda Nascosta della Manipolazione Genetica” hanno contribuito affinchè possiamo capire quale agenda ci vogliono imporre. Michel Chossudovsky ha mostrato ciò che si nasconde dietro la globalizzazione nel suo libro “Globalizzazione della Povertà e il Nuovo Ordine Mondiale”. Il professore Chossudosky ha anche un sito web, recentemente premiato con il Premio Internazionale di Giornalismo per la miglior homepage di investigazione internazionale www.globalresearch.ca
Per le nuove centrali nucleari Italiane lo Stato non darà alcun sussidio perché la loro costruzione sarà interamente finanziata dagli operatori privati. Lo ha dichiarato qualche giorno fa il ministro Scajola a margine dell'inaugurazione del cantiere di Mochovce, in Slovacchia, dove Enel sta costruendo due unità nucleari. Peccato che sia una menzogna. Il “nuovo” nucleare costerà molto alle indebitate casse dello stato ed Enel avrà tutti gli aiuti che servono. Anzi qualcuno l’ha già avuto. Per esempio, l’aver fatto pagare alle famiglie italiane un contratto che riguarda la messa in sicurezza di materiale radioattivo di sua proprietà. Negli anni 80 la Francia, la Germania e l’Italia si accordarono per sviluppare un progetto di reattori veloci che si sarebbero alimentati con le scorie prodotte da loro stessi. Fu usato il termine di centrali autofertilizzanti.
Di quel fallimentare progetto è rimasta una vecchia centrale a Cres Melville, in Francia, dove sono anche stoccate le barre di plutonio usate durante la breve vita dell’impianto. Un terzo di quel combustibile nucleare è di Enel che nel 1998 stipula un contratto per tenerle presso la centrale. Quel contratto aveva una clausola: entro il 2007 l’Enel doveva riprendersi le barre oppure pagare perché fossero ritrattate in Francia, trasformate in rifiuti radioattivi e quindi riconsegnate. Il 30 aprile dell’anno scorso il governo Berlusconi, usando l’azienda pubblica Sogin, perfeziona quell’accordo pattuendo il ritrattamento in 170 milioni di Euro. Il contratto prevede anche un ulteriore spesa di 133 milioni per la cessione a terzi del plutonio recuperato. Le scorie rienteranno entro il 2025.
Il problema è che nel definire il perimetro degli oneri nucleari il legislatore non aveva menzionato le scorie francesi. Quelle erano parte di un accordo di Enel con Edf che non rientrava nello smantellamento del sistema nucleare italiano. Eppure a maggio del 2008 la Sogin - per conto del governo - chiede all’Autorità per l’Energia ed il Gas, che ha il compito di erogarle i fondi per lo smantellamento, i soldi per onorare quel contratto. L’Autorità eroga quei soldi (del Arg/elt 57/09) “in via provvisoria” solo perché il governo le promette di sanare la situazione a posteriori modificando il decreto ministeriale del26 gennaio 2000, cioè la legge che definisce quali sono gli oneri nucleri
Nella sostanza: visto che il governo, maggior azionista di Enel, non vuol far pagare alla sua azienda quei soldi, li fa pagare alle famiglie italiane usando impropriamente fondi per lo smantellamento dei vecchi impianti nucleari. La legge non lo permette? Il governo sanerà la situazione a posteriori modificando a suo pro una vecchia legge. Funziona cosi la democrazia in Italia. Ma non è finita. Un’altro aiuto è arrivato solo qualche settimana fa grazie alla legge “Sviluppo” approvata dal Parlamento il 9 luglio. Con questa legge si ordina al Gestore della Rete Elettrica di immettere in rete “tassativamente” una determinata quota di energia prodotta dagli impianti nucleari “costruiti sul territorio italiano”.
Questo è possibile modificando retroattiva un legge del marzo 1999 - una consetudine ormai - che voleva favorire la produzione di energia da fonte rinnovabile. E’ infatti bastato aggiungere alla frase “fonti energetiche rinnovabili” le parole “energia nucleare prodotta sul territorio nazionale” ed il gioco è stato fatto. Inoltre con quella stessa legge le fonti rinnovabili vengono tassate indirettamente perché si costringe il produttore a pagare l’onere per la trasmissione e la distribuzione anche se la produzione e l’utilizzazione di quell’energia elettrica è sul posto. Una tassa occulta? Dire che il nucleare serve al paese è una bugia. Ed infatti nella sua ultima uscita il ministro Scaiola ha corretto il tiro. Ha detto che “sarà un’affare”. Siamo daccordo con lui. Sarà un affare. Per questo governo.
In una conferenza stampa nazionale il 22 luglio il Presidente americano Obama ha lanciato ripetuti appelli affinché si dia vita ad una "commissione indipendente di medici ed esperti sanitari" che prenda decisioni sui tagli alla spesa che il Congresso non è pronto a decidere. Ha parlato allarmato di "spese alle stelle" per Medicaid e Medicare (ovvero l'assistenza sanitaria fornita dallo stato agli indigenti ed agli anziani) dando a loro la colpa dei problemi di bilancio dell'America, ma evitando di menzionare i profitti e gli sprechi delle compagnie private di assicurazione sanitaria (HMO). Ha continuato ad inveire contro le procedure mediche "non necessarie", in particolare per gli anziani.
In una dichiarazione rilasciata subito dopo la conferenza stampa, l'economista e leader democratico Lyndon LaRouche, che dall'11 aprile aveva messo in guardia contro il "complesso neroniano" di Obama, ha dichiarato: "Il Presidente Obama a questo punto è suscettibile di impeachment perché ha proposto, di fatto, un disegno di legge che è l'esatta copia della legge per cui il regime di Hitler fu condannato al processo di Norimberga (quella sull'eutanasia). Si tratta di un reato soggetto a impeachment; proporre qualcosa del genere ai nostri tempi è un reato soggetto a impeachment".
In effetti, il Presidente Obama ha dichiarato espressamente la propria intenzione di violare la clausola della Costituzione americana che sancisce il General Welfare (il bene comune). Il suo direttore di Bilancio, Peter Orszag, ha già stilato un disegno di legge in questo senso per dar vita a quello che chiama IMAC (Independent Medicare Advisory Council), un Consiglio Indipendente sull'Assistenza Medica, che avrebbe il compito di stabilire (leggi: ridurre) i costi dei trattamenti medici. In un editoriale del 23 luglio sul Washington Post Barack Obama stesso ha chiamato la proposta "MedPAC a regime di steroidi", un riferimento al fatto che lui e i suoi consiglieri non pensano che l'attuale commissione di Medicare addetta ai costi abbia sufficiente mordente. Il nuovo Consiglio Indipendente sarà modellato sul sistema britannico NICE, che si è già dimostrato micidiale nel Regno Unito, e che viene proposto anche in altri paesi europei.
Non c'è alcun dubbio che una politica sanitaria che nega cure vitali a certe categorie della popolazione sia una politica di eutanasia, come quella di Hitler, destinata ad eliminare le cosiddette "bocche inutili da sfamare". Eppure essa viene ampiamente pubblicizzata dagli economisti comportamentali all'interno della Casa Bianca. Per dare un esempio, uno dei principali consiglieri di Peter Orszag, il Dott. Ezekiel Emanuel, ha scritto nel 1996 che i servizi sanitari non dovrebbero essere garantiti a persone "che sono irriversibilmente impediti dall'essere o diventare cittadini partecipanti. Un esempio ovvio è non fornire servizi sanitari ai pazienti affetti da demenza senile". Inoltre, nascosta nel piano di stimolo della Casa Bianca c'è una disposizione che obbliga le persone a cui è stata diagnostica una malattia terminale, come il cancro, ad incontrare il loro consulente sanitario, un dipendente dell'IMAC, per ricevere consigli su come rifiutare trattamenti che prolungherebbero la loro vita, sugli ospizi, il suicidio assistito e via dicendo.
Un numero crescente di americani, grazie al lavoro di informazione svolto da LPAC, il comitato politico che fa capo a LaRouche, si stanno rendendo conto del pericolo, inclusi molti congressisti che si vedono zittiti da tecnocrati "indipendenti" (e non eletti) e molti medici le cui decisioni mediche verranno dettate loro dalla stessa Commissione Indipendente (vedi nota seguente sulla rivolta al Congresso). LaRouche ha sottolineato che la priorità per la popolazione a questo punto è sconfiggere questo disegno di legge stile Hitler, che aprirebbe le porte al fascismo.
Benché Obama parli in termini populistici dell'esigenza di garantire l'assistenza sanitaria a tutti gli americani, è impossibile ridurre la spesa sanitaria del 30%, come pretende, estendendo al contempo l'assistenza medica a milioni di americani e continuando a fornire cure mediche di qualità. Soprattutto in tempi di grave crisi, quando la disoccupazione arriva alle stelle e l'economia reale continua a disintegrarsi.
Obama cerca di istituzionalizzare la detenzione a tempo indeterminato
di Tom Eley
Alcuni servizi stampa hanno rivelato che il governo Obama sta prendendo in esame la creazione su suolo americano di una prigione e di un complesso giudiziario destinati a sottoporre a processo e incarcerare sospetti di terrorismo presenti e futuri. Esso comprenderebbe una installazione per detenervi a tempo indeterminato persone incarcerate senza un giudizio e private del diritto a un processo come la costituzione impone.
I servizi mettono in evidenza i programmi profondamente antidemocratici dell’amministrazione Obama, la quale non solo sta continuando gli indirizzi indiscriminati e le imposizioni quasi dittatoriali dell’amministrazione Bush, ma sta addirittura cercando di istituzionalizzarli.
Dei funzionari governativi hanno parlato del progetto come di "un’aula di tribunale situata entro le installazioni carcerarie" da usarsi congiuntamente dai Dipartimenti della Difesa, della Patria Sicurezza, e della Giustizia. Essa abbinerebbe tribunali civili e commissioni militari,erodendo cosi’ ulteriormente il principio di un sistema giudiziario civile costituzionalmente indipendente. Cio’ segnerebbe un ennesimo attacco al granitico diritto democratico dell’habeas corpus, ossia al diritto di un cittadino a contestare in un tribunale la propria detenzione.
Il progetto e’ in corso di esame da parte di un gruppo presidenziale speciale che sta contemporaneamente occupandosi di altre possibili misure da applicarsi alle persone tuttora incarcerate a Guantánamo, in tutto 229 detenuti, come pure ad altri prigionieri catturati durante la cosiddetta "guerra al terrorismo". Tale unita’ speciale potrebbe rendere note alcune delle sue proposte entro questo mese.
Data l’insistenza con cui l’amministrazione Obama sottolinea che il presidente ha la prerogativa, quale comandante in capo, di ordinare l’arresto e l’incarcerazione di "sospetti di terrorismo" (cittadini americani compresi) il progetto di un carcere di massima sicurezza e di un complesso giudiziario e’ di un particolare cattivo augurio.
Mentre Obama ha lasciato cadere l’uso formale del termine "combattente nemico", il suo governo ha continuato in tutti i suoi particolari essenziali la politica dell’amministrazione Bush, come ha fatto notare un giudice federale in un recente giudizio riguardante il processo di Abdul Rahim al Janko. (Vedi:"Un semplice cambio di nome: l’amministrazione Obama abbandona l’uso della denominazione 'combattente nemico’ ").
In modo analogo il governo Obama difende la pratica [illegale] della cosiddetta "extraordinary rendition", mediante la quale supposti terroristi vengono rapiti da agenti del servizio segreto americano e trasportati in altri paesi per esservi interrogati e torturati [fuori dal territorio e dalle leggi degli Stati Uniti]. Si oppone inoltre a qualsiasi investigazione o azione legale nei confronti dei funzionari dell’amministrazione Bush che hanno approvato e soprainteso all’impiego della tortura a Guantánamo, nelle carceri americane in Irak e in Afghanistan, e nei "luoghi neri" segreti che la CIA mantiene in tutto il mondo.
Le fonti informative governative affermano che entro il progettato complesso carcere-tribunale i detenuti potranno essere sottoposti a processi penali federali, a commissioni militari, o a detenzione a tempo indeterminato senza processo. Questa terza categoria riguarderebbe prigionieri dichiarati pericolosi dall’amministrazione ma per i quali le prove di colpevolezza sono insufficienti o vennero raccolte con la tortura.
Inoltre potranno essere incarcerati nelle nuove installazioni anche i prigionieri prosciolti da tutte le imputazioni relative al terrorismo, ma che non trovino una nazione che li accetti.
L’indifferenza manifestata dalla classe politica americana e dai mezzi di informazione circa i diritti democratici e’ tale che un progetto destinato a tenere in carcere a tempo indeterminato anche coloro che vengono dichiarati innocenti dal governo solleva appena un borbottio di critiche, mentre il Washington Post osserva in modo sbrigativo che "una nuova installazione potrebbe comprendere un’unita’ di piu’ bassa sicurezza… per detenuti prosciolti da rilasciare."
Le fonti informative governative segnalano inoltre che se l’amministrazione Obama vorra’ portare avanti il progetto suddetto dovra’ procurarsi in qualche modo l’approvazione del Congresso, con lo scopo trasparente di dare una vernice democratica a delle politiche profondamente antidemocratiche che getterebbero le basi della soppressione in America di ogni dissenso politico e di una repressione su scala massiccia.
Il progetto rivela la natura emblematica e cinica dell’ordine esecutivo di Obama di chiudere Guantánamo emesso nella settimana della sua entrata in carica con grande clamore dei mezzi di informazione. Tale iniziativa era dettata dal desiderio di eliminare cio’ che era divenuto un simbolo internazionale della illegalita’ e della brutalita’ americane, con conseguenze negative per le mire imperialiste degli Stati Uniti nel mondo. Ma dietro gli sforzi miranti a migliorare l’immagine di Washington, la sostanza antidemocratica rimane. Il progetto del complesso tribunale-carcere e’ in linea con una generale affermazione da parte della amministrazione Obama di poteri esecutivi indiscriminati e virtualmente incontrollati. Il Dipartimento della Giustizia di Obama ha espresso chiaramente la sua determinazione di ampliare l’interpretazione giudiziaria del privilegio del "segreto di stato", sulla base del quale il governo e’ intervenuto per sospendere, in nome della sicurezza nazionale, procedimenti legali promossi da vittime delle politiche della amministrazione Bush riguardanti la famigerata "extraordinary rendition", la tortura, e lo spionaggio domestico.
Il mese scorso alcuni avvocati del Dipartimento della Giustizia hanno presentato una memoria – un cosiddetto "amicus curiae" - nel corso di un giudizio innanzi alla Corte Suprema riguardante il privilegio avvocato-cliente. Le ultime cinque pagine della memoria erano dedicate alla dottrina della difesa del segreto di stato, pur non avendo cio’ alcuna attinenza con il caso in esame.
Tale memoria mira a indurre la Corte Suprema ad emettere direttive in merito al segreto di stato sulla base del fatto che il privilegio trovasi radicato nella Costituzione (e’ il discutibile punto di vista che Obama continua a sostenere dopo Bush) e che percio’ va consentito che i ricorsi presso il governo da parte di tribunali di grado inferiore che rigettano richieste riguardanti il segreto di stato pervengano subito a tribunali di piu’ alto grado anziche’ attendere che il caso venga risolto in prima istanza.
La memoria degli avvocati del Dipartimento della Giustizia cita una decisione della Corte d’Appello degli Stati Uniti per il Fourth Circuit in cui si approva che venga rigettata l’azione legale promossa da un cittadino tedesco, certo Khaled el-Masri, che denunciava di essere stato rapito e torturato dalla CIA. Un rapporto del Consiglio d’Europa aveva confermato le rivendicazioni di el-Masri, ma la sua istanza venne respinta sulla base della questione del segreto di stato sostenuta dal Dipartimento della Giustizia di Bush.
L’avvocato Jon B. Eisenberg ha definito il documento della amministrazione Obama una ricapitolazione "della buona e congenita vecchia teoria Bush-Cheney circa il potere presidenziale". L’avvocato Eisenberg rappresenta un istituto di beneficenza, la Fondazione Islamica Al-Haramain dell’Oregon, che denuncia di essere stata oggetto durante il governo Bush di sorveglianza elettronica sprovvista di mandato. I legali dell’amministrazione Obama hanno invocato il privilegio del segreto di stato nel tentativo di impedire ai legali della Fondazione dei prendere visione delle prove a carico dei loro clienti in possesso del governo.
Le implicazioni del segreto di stato sono chiarissime. Come scrive Adam Liptak, corrispondente legale del New York Times, "Concedendo al ramo esecutivo vicino al potere unilaterale la facolta’ di fare rigettare le pratiche per motivi di sicurezza nazionale, il privilegio puo’ diventare un mezzo per nascondere un comportamento doloso da parte del governo".
E qui viene di nuovo alla luce la retorica di Obama sul "cambiamento". Come fa ancora notare Liptak, "durante la campagna elettorale e nel corso di dichiarazioni piu’ recenti il Presidente Obama ha affermato che vuole limitare l’uso del privilegio del segreto di stato. Tuttavia nelle aule di tribunale ben poche prove si sono avute di nuovi atteggiamenti in tal senso". Comunque, Obama ha intensificato l’attacco del suo predecessore ai diritti democratici, e cio’ perche’, nel senso piu’ fondamentale, i principii democratici basilari sono incompatibili con le politiche centrali della classe americana al potere: all’estero l’espansione del militarismo e della guerra, e in patria una ulteriore redistribuzione di ricchezza dalla classe lavoratrice alla élite finanziaria.
Gli ultimi atti di Obama dimostrano ancora una volta l’impossibilita’ di difendere le liberta’ basilari entro il contesto dell’organizzazione politica ed economica esistente, e la necessita’ di un movimento politico della classe lavoratrice che difenda i diritti democratici.
La gente di sinistra deride The Wall Street Journal. In effetti le pagine editoriali contengono alcuni tra i più brutti e volgari commenti immaginabili. Le posizioni espresse negli editoriali potrebbero vincere il premio Benito Mussolini, se non Josef Goebbels.
Eppure i dati economici, le analisi e gli approfondimenti restano ineguagliati dagli altri principali quotidiani di informazione in lingua inglese, inclusi The Financial Times e The New York Times. Un amico una volta mi offrì questa spiegazione: "la classe dominante ha bisogno di fatti nudi e crudi per prendere decisioni informate, mentre la propaganda è lasciata a The New York Times e agli altri più importanti fogli di informazione". Forse è così, ma posso testimoniare che non ho ancora trovato migliore e puntuale fonte di informazione economica, anche sotto la proprietà di Rupert Murdoch. La motivazione risiede almeno in parte nella folta schiera di personale, costituita da 700 ricercatori, ridotta da Murdoch ma sorprendentemente libera da esigenze editoriali. Naturalmente un lettore deve scavare attraverso o dietro molti articoli per afferrare il significato delle analisi offerte, ma questo è compito del marxista diligente.
Un caso tipico è fornito da un recente articolo di Ellen E. Schultz, titolato Top Earners’ Pay Is Seen Eroding Social Security, pubblicato il 21 luglio 2009 (http://online.wsj.com/article/SB124813343694466841.html). Questo articolo pregevole si basa su un esame intelligente dei dati delle imposte per la previdenza sociale. In generale, i dati dei salari e degli stipendi non sono distinti per classi di reddito, quando presentati dagli esattori del nostro governo, amico dei capitalisti. Di conseguenza, separare il reddito per classi è controversa speculazione dei commentatori. Ma l'Istituto della Previdenza Sociale, nella sua saggezza, abbuona ai ricchi il pagamento delle imposte previdenziali per i redditi al di sopra di un certo livello (sostenendo che ciò costituirebbe un onere eccessivo per la classe agiata). I ricercatori del WSJ [The Wall Street Journal] usano tale livello come plausibile spartiacque tra "dirigenti e gli altri dipendenti con compensi elevati" e il resto di noi; illustrano quindi i dati sui redditi usando questo limite non ufficiale, ma capace di rappresentare in maniera quanto mai suggestiva la spaccatura tra classe operaia e classe proprietaria. Ecco le loro conclusioni:
* Più di un terzo di tutti i salari e stipendi va alla classe dei "dirigenti e degli altri dipendenti con compensi elevati", che costituisce il 6% dei lavoratori. Al restante 94% dei dipendenti salariati restano i due terzi.
* La quota per il 6% dei dirigenti è cresciuta dal 28% del 2002 al 33% del 2007, con una variazione di quasi il 18% in soli 5 anni!
* Gli stipendi del 6% dei dirigenti sono aumentati del 78% negli ultimi dieci anni, mentre il resto di noi ha ottenuto mediamente un aumento salariale del 61%.
- Nei 5 anni tra il 2002 e il 2007 – anni di forte "ripresa" economica – la classe dei "dirigenti e degli altri dipendenti con compensi elevati" ha goduto di un guadagno del 48%, mentre i salari della classe operaia sono cresciuti solo del 24%, la metà dell'aumento ottenuto dai ricchi.
* La crescita dell'aumento salariale del 6% dei dirigenti è di gran lunga sottostimata, essendo esclusi un insieme di interessi, partecipazioni, benefit e molte altre categorie reddituali nascoste.
* L'eliminazione del tetto al versamento dei contributi potrebbe garantire, secondo le proiezioni attuariali, la solvibilità dei Fondi della Previdenza per i prossimi 75 anni.
Dopo aver digerito lo shock dell'estrema disparità tra salari, occorre osservare in particolare la tendenza in crescita della sperequazione tra redditi, attestata dai dati dell'Istituto della Previdenza Sociale. Le disuguaglianze hanno ricevuto un'accelerazione negli ultimi dieci anni, in coincidenza con la "ripresa" dalla recessione della new economy e generando una ancor maggiore disparità tra salari. Si osservi che i dati illustrati non tengono conto della crisi economica del 2008/2009, ma la tendenza passata suggerisce chiaramente che è in serbo, per il 94% dei dipendenti salariati, una maggior disparità connessa a qualsiasi piano di recupero.
La traiettoria dei redditi monitorati nello studio di The Wall Street Journal attesta come una quota dei frutti del lavoro vada in misura decisa e crescente a favore della proprietà e dei suoi servi. In termini marxisti, questo fatto incontestabile è indice di un parallelo aumento del tasso di sfruttamento. Per i lavoratori, l'unico rimedio si trova nella risoluta e consapevole militanza di classe. Constatata la crescita del saggio di sfruttamento, non si può non concludere che la dirigenza sindacale e politica organizzata della classe lavoratrice non è riuscita a ridurre questa offensiva di classe contro il lavoro: l'approccio del passato è quindi fortemente inadeguato rispetto a quello necessario per conquistare la giustizia sociale per i lavoratori.
Occorre prestare attenzione all'ultimo punto esposto nell'articolo del giornale, che suggerisce una soluzione semplice e indolore all'inevitabile e spaventosa crisi della previdenza sociale: eliminare il limite al versamento delle imposte. Ogni giorno – guardando una spilla di un vecchio e stimato militante, Fred Gaboury – mi viene in mente la rivendicazione per la cancellazione del tetto sulle imposte per la previdenza. Sulla spilletta di Fred si legge: Taglia il Tetto. Quando la spilla è stata prodotta erano esenti dall'imposta i redditi superiori a 72.600 dollari annui. Oggi il limite è di 106.800 dollari. Sono passati anni e non siamo ancora riusciti a generare la volontà politica per intraprendere questo piccolo passo verso la giustizia e l'equità. Una vergogna per nostri politici dagli interessi corporativi...
Nella lunga conferenza stampa del presidente del Consiglio c’è stata una sorta di apoteosi per quanto fatto in questo scorcio di legislatura. Partendo dalla solita filippica contro chi ha tentato e sta tentando, senza riuscirvi, di fermare la sua marcia, il leader del Pdl si dice convinto di restare a Palazzo Chigi per altri 4 anni. E’ ovvio che la sua irritazione e rabbia è legata alla questione delle feste a luci rosse che gran parte dei media di centrosinistra gli rimproverano. Ma a noi questo aspetto interessa poco. Quello che maggiormente ci preoccupa è il programma politico e strategico di questo governo di centrodestra, a cominciare dalla questione prioritaria del lavoro sempre più afflitto dalla precarizzazione. Il Cavaliere in un eccesso di entusiasmo e di megalomania si vanta di aver messo a segno una serie infinita di successi, dall’accordo con Gheddafi per fermare i clandestini alla questione sicurezza con i militari al controllo delle strade. Senza dimenticare il ruolo avuto nel terremoto abruzzese, dove il suo attivismo sarebbe alla base della ripresa e della ricostruzione dell’Aquila e dei paesi circostanti. Ha parlato di consegna delle prime case, costruite con sistemi antisismici, a breve che saranno impreziosite “da giardini, prati, fiori e alberi ad alto fusto e arricchiti con delle sculture. Le case saranno già arredate, segno della cura e dell’amore cui si procede”. Non vorremmo essere irrispettosi ma ci sembra che il progetto del Cavaliere non sia quello di ridare l’Aquila agli aquilani ma sia quello di costruire tante piccole villa Certosa. E questo vorrebbe dire cancellare le radici storiche e culturali di tanta gente, legata alla città delle 99 fontane, delle 99 piazze, delle 99 chiese.
Indubbiamente il G8 all’Aquila è stata una mossa azzeccata e soprattutto è stata indovinata la mossa di rendere ogni presidente che via ha partecipato responsabile di qualche progetto, come quello della ricostruzione dei monumenti o delle chiese o delle piazze. Ma la via della realizzazione di una nuova città su modello di piccoli centri commerciali ci sembra fuori luogo, perché segnerebbe la fine di una identità storica come quella rappresentata dall’Aquila. Nella sua mega conferenza stampa il presidente del Consiglio si è vantato della cosiddetta politica del cucu che avrebbe permesso di istaurare con gli altri leader europei e mondiali rapporti di amicizia, stima e simpatia. “La fiducia in Silvio Berlusconi -dice- era al 72% dopo il terremoto, forse gli italiani avevano apprezzato quelle 44 ore di non dormire che mi erano costate 21 caffè. Oggi è al 68,2%. E’ un record assoluto”. Indubbiamente la simpatia del Cavaliere è alla base di questo consenso ma non per le cose fatte bensì per la nullità degli esponenti della sponda opposta.
Se gli italiani debbono decidere tra Prodi, D’Alema, Veltroni, da una parte, e Berlusconi, dall’altra, è chiaro che scelgono l’uomo di Arcore. I loro governi non hanno lasciato traccia anzi purtroppo l’hanno lasciata nel lavoro con il pacchetto Treu, in politica estera con il bombardamento di Belgrado e con le missioni di guerra in altri paesi. Ma con Berlusconi a Palazzo Chigi la politica non si è poi tanto distaccata da quelle linee tracciate da Prodi e company, con la legge Biagi e con la partecipazione alla guerra in Iraq e in Afghanistan. Tra le tante cose dette dal presidente del Consiglio nella sua lunga e ridicola conferenza stampa c’è da annotare la sua promessa di non avere scheletri nell’armadio, tali da essere ricattabile. Purtroppo lo scheletro della sovranità svenduta è presente in tutti gli armadi, anche in quello di Berlusconi.