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"LA TERRA CI NUTRE LA TECNOLOGIA CI GUIDA: COLTIVIAMO INSIEME IL FUTURO"
23 febbraio 2013
TAFTA: Una “Nato economica” contro l’Eurasia
Il TAFTA – Transatlantic Free Trade Area,
l’accordo di libero scambio tra Unione Europea e Stati Uniti d‘America i
cui negoziati dovrebbero cominciare tra qualche mese - è solitamente
definito dai suoi promotori come una “NATO economica” (1). Una tale
designazione rivela non solo l’importanza strategica che gli viene
attribuita ben oltre ad una dimensione strettamente commerciale, ma
anche come i paesi della NATO si stiano predisponendo sul campo
economico con delle logiche mentali che ricalcano quelle militari e
rimandano a quelle della “guerra fredda”, evidentemente mai abbandonate
anche dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica e oggi semplicemente
aggiornate. Infatti il nuovo spauracchio che sta sullo sfondo di questo
trattato è la Repubblica Popolare Cinese (2). StatoPotenza
L’amministrazione statunitense di Barack Obama ha rilanciato l’idea
dell’accordo con la visita del vicepresidente Joe Biden a Monaco ad
inizio mese (3). In Europa sono la Germania e l’Inghilterra a spingere
sull’acceleratore per avviare i colloqui in tempi stretti e per rendere
l’accordo il più profondo possibile. L’idea del TAFTA non è nuova, se ne
parla dagli inizi degli anni ’90, ma si è ora arrivati ad un punto di
svolta. Infatti l’ascesa dei BRICS comporta una non più rinviabile
esigenza di rinsaldamento dell’alleanza della NATO su tutti i livelli,
compreso quello economico. Tra le nuove potenze emergenti è solo la Cina ad essere in grado, nel
prossimo futuro, di portare una sfida credibile alla supremazia
nord-atlantica sotto tutti i punti di vista: economico, politico,
demografico, militare, culturale e tecno-scientifico. Le altre nazioni
dei BRICS non le sono in alcun modo paragonabili, neanche l’India, che
sconta deficit di potenza in moltissimi settori, per non parlare della
Russia che si è solo da poco ripresa dal collasso sovietico.
L’ascesa della Cina non è una novità degli ultimissimi anni. Molte delle
iniziative militari intraprese dagli USA durante l’amministrazione
repubblicana di George W. Bush in Asia e nel Vicino Oriente si potevano
già interpretare come una guerra indiretta contro la Cina. Con
l’amministrazione democratica di Barack Obama la strategia di
accerchiamento della Repubblica Popolare Cinese (“Pivot to Asia”) è
diventata diretta (4), stringendo alleanze politico-militari con i paesi
limitrofi come per esempio Filippine, Giappone, Australia, cercando di
seminare discordia nelle relazioni sino-indiane (4 bis) e
sino-vietnamite fino al tentativo di attirare la Birmania nella propria
orbita.
La strategia di contenimento della Cina non si può limitare all’Asia,
poiché il suo raggio di azione è planetario, dall’Africa (5) al
Sud-America (6) all’Europa. Per Washington è pertanto prioritario
coinvolgere in questa strategia anticinese anche le potenze europee,
soprattutto perché una solida alleanza con l’Europa rimane la conditio
sine qua non del proprio predominio planetario. Le nazioni europee
appartenenti alla NATO, se da un punto di vista politico-militare sono
già inquadrate ed “ingabbiate” all’interno dell’alleanza, da un punto di
vista economico hanno, almeno sulla carta, la libertà di approfondire
il legame con Pechino e i BRICS.
Ma i rapporti economici, quando
superano un certo volume e toccano certi settori strategici, diventano
il volano per più strette relazioni politiche con il costituirsi di
gruppi d’affari e di potere fortemente interessati al mantenimento di
buone relazioni con i paesi non allineati con cui fanno affari e
pertanto certi paesi NATO possano alla lunga diventare meno sensibili
alle necessità degli schemi strategici atlantici. Gli Stati Uniti
cercano di ostacolare l’intensificarsi di queste relazioni economiche
soprattutto quando coinvolgono settori ad alta tecnologia (7).
Quest’azione che prende di mira i paesi “alleati” che dimostrano un
eccesivo e pericoloso grado di libertà economica con le nazione di volta
in volta non allineate al potere nord-atlantico non è affatto nuova ma è
anzi una costante della politica statunitense – l‘Italia l’ha
sperimentata sulla propria pelle da decenni, da Enrico Mattei a Bettino
Craxi fino all’ultimo Silvio Berlusconi - e si concretizza con le
buone e le cattive maniere, provocando pesanti ricadute negative
all’economia e al tessuto sociale dei paesi che cedono a queste
pressioni (8).
L’opera di contenimento di Washington risulta particolarmente faticosa
non solo per l’alto numero di paesi da tenere sotto controllo, ma
soprattutto per il pluridecennale spostamento della produzione
industriale dall’occidente all’Asia che ha esponenzialmente aumentato la
potenza gravitazionale della Cina. La Repubblica Popolare Cinese ha
saputo egregiamente gestire, nei decenni di impetuosa crescita
economica, il proprio ordine sociale interno e mantenere la propria
autonomia decisionale senza allinearsi alla politica internazionale
nordatlantica. Ora che a cavalcare il processo di globalizzazione sono i
BRICS, assistiamo all’emergere di misure politico-economiche
occidentali volte a tenerle a debita distanza per non permettergli di
penetrare a fondo nei tessuti socio-economi dei paesi NATO (9).
Il TAFTA è uno strumento che i circoli politici atlantisti di entrambe
le sponde dell’oceano hanno elaborato per tenere le nazioni europee
ancorate a Washington e rappresenta un ulteriore “ingabbiamento” di
questi paesi dentro i già stretti perimetri politico-militari
dell’alleanza; le relazioni economiche verranno riorientare e incanalate
verso l’indebitato e piccolo mercato americano mentre l’espansione
verso il grande e dinamico mercato eurasiatico, nostro vicino di casa,
imperniato sulla Russia e la Cina, dovrà essere contenuta.
“Rinserrare i ranghi” della NATO attraverso il TAFTA sarebbe un progetto
inconcepibile se l’Unione Europea si sgretolasse sotto la crisi
dell’euro.
Gli Stati Uniti, fin dall’inizio della crisi della moneta
unica – frutto delle decennali contraddizioni del processo di
unificazione europea e della crisi dei mutui subprime - sono stati
fortemente impegnati a garantire la sopravvivenza dell’euro e dello
status quo in Europa, una stabilità che fa da substrato indispensabile a
quella militare della NATO. Una rottura della zona euro, come in
un’esplosione, avrebbe gettato i paesi europei nelle braccia di Mosca e
Pechino, e avrebbe consentito alla stessa Germania di muoversi in modo
molto più autonomo sullo scenario internazionale, più libera dai vincoli
euroatlantici, creando una contraddizione insolubile tra l’agenda
strategica della NATO e gli interessi economici dei suoi paesi membri.
Gli Stati Uniti hanno bisogno che, in questo quadro di stabilità, gli
europei si assumano il compito di garantire la sicurezza – in senso
atlantista – del Mediterraneo e del Vicino Oriente, consentendo a
Washington di avere le spalle coperte per concentrare il proprio
potenziale in Asia.
L’Italia di Mario Monti e Giorgio Napolitano – in particolare
quest’ultimo per il suo ruolo decisivo nella guerra contro la Jamahiriya
di Gheddafi e nel defenestramento di Berlusconi – sono stati e sono
tuttora gli strumenti indispensabili per la stabilità euroatlantica in
Europa durante la crisi dell’euro, contribuendo in modo determinante ad
evitare spaccature dell’area monetaria e quindi pericolose fughe
incontrollate dei paesi europei verso Russia e Cina, tenendovi
ancorata la Germania senza fornirgli pretesti per uscirne,
accontentando le sue richieste di austerità – contropartita per la
propria permanenza nell’eurozona – e per traghettare infine la UE verso
il TAFTA. La recente visita di Giorgio Napolitano negli Stati Uniti ne
ha suggellato il ruolo di garante della stabilità euroatlantica in
Italia e il ruolo di collante nello scenario europeo (10).
Il pericolo sulla stabilità della zona euro – e alla lunga di una sua
possibile disintegrazione – rappresentato dagli squilibri economici
europei e dalle politiche di austerità imposte dalla Germania sono ben
presenti all’interno dei circoli atlantici, che attraverso le politiche
monetarie di Mario Draghi hanno cercato di alleviare le spinte
centrifughe della periferia insite in una simile politica economica. Ma
la Germania alla fine ha dovuto momentaneamente cedere.
Anche la reprimenda dell’amministrazione Obama nei confronti
dell’iniziativa referendaria di David Cameron (10 bis) frutto del
plurisecolare orgoglio del proprio tradizionale alleato, si leggono non
solo come la volontà di mantenere il “cavallo di Troia” inglese
all’interno dei processi decisionali europei e di bilanciamento alla
Germania, ma soprattutto come la volontà di non creare scossoni in
Europa, di non favorire tendenze disgregatrice nel momento in cui gli
USA vogliono recuperare forze, “rinserrare i ranghi” con i propri
alleati.
Sarà fondamentale il ruolo che assumerà la Germania in merito al TAFTA,
dato il peso schiacciante che questa nazione è andata assumendo
all’interno degli equilibri europei dalla sua riunificazione negli anni
‘90. Purtroppo i segnali che arrivano non sono incoraggianti. Anzi la
Germania guidata da Angela Merkel, almeno dal 2007 pubblicamente
fautrice di un accordo di libero scambio tra le due sponde
dell’Atlantico (11), insieme alla Gran Bretagna, sono le nazioni che più
spingono per il TAFTA e parlano apertamente di una NATO economica in
funzione anticinese e per rinsaldare l’alleanza militare della NATO.
Anche se alcuni segnali che sono arrivati dalla Germania negli ultimi
tempi sono contraddittori e lasciano trasparire una differenza di vedute
nella classe dirigente tedesca -come per esempio il rifiuto alla
fusione di EADS con BAE (12), il neutralismo sull’aggressione libica, la
decisione di rimpatriare parte dell’oro depositato all’estero e alla
FED, il lunghissimo braccio di ferro con Mario Draghi (Mr. Euro) e le
sue politiche monetarie e gli incrementi nei volumi d’affari con Cina e
Russia – dall’altra parte i segnali di accettazione da parte tedesca
delle richieste statunitensi di una maggiore aderenza alle esigenze
euroatlantiche non sono mancate. I rapporti con la Russia, dopo il
ritorno di V. Putin, stanno attraversando un momento critico con segnali
da parte della dirigenza tedesca di voler ridurre la dipendenza
energetica con Mosca (13), in Asia la Germania si sta accodando agli
Stati Uniti nella strategia politico-militare di accerchiamento alla
Cina (14), la resa di fronte alle politiche monetarie di Mario Draghi e
in ultimo il forte sostegno, almeno a parole, all’accordo del TAFTA.
La Germania sta forse cercando di rassicurare i propri interlocutori
statunitensi sulla propria affidabilità e su come il proprio ruolo
egemone in Europa sia compatibile con le esigenze della stabilità della
comunità euroatlantica. Il compromesso raggiunto è però solo momentaneo.
Alla lunga una situazione così sbilanciata in Europa non fornisce
sufficienti garanzie a Washington per lo più di fronte alla riluttanza
con la quale si è mossa e si sta muovendo la Germania di fronte alle
proprie richieste.
La “questione tedesca” non è ancora pertanto definitivamente chiara e
rimane aperta a scenari difficilmente prevedibili; il TAFTA sarà in
questo senso un ottimo test per “stanare” le reali intenzioni della
classe dirigente tedesca e scoprirne le già emergenti divergenze.
Più in generale, da come evolveranno i negoziati sul TAFTA sarà
possibile comprendere meglio gli intenti politici e la distribuzione
delle forze nei diversi paesi europei e in seno all’Unione Europea.
Quest’ultima ha davanti a sé la possibilità di diventare definitivamente
il docile cane da guardia americano ai confini dell’Eurasia – un po’
come il Giappone dall’altra parte del continente eurasiatico- guidato da
una Germania rassegnata al proprio destino euroatlantico e sorvegliata
dagli altri staterelli clienti come Gran Bretagna, Italia e Francia, in
funzione antirussa ma soprattutto anticinese, oppure un soggetto
geopolitico che – libero dai condizionamenti della Gran Bretagna e degli
Stati Uniti d’America – si affranchi dalla NATO.
Un “europeismo
rivoluzionario” – per riprendere il titolo di un recente articolo
apparso sul Corriere della Sera sull’ultimo libro di Sergio Romano in
cui l’ex ambasciatore si auspica “come compito primario dell’Europa
unita una svolta radicale in politica estera, cioè la proclamazione di
una neutralità di tipo svizzero, la cui immediata conseguenza sarebbe la
scelta di «congedare le basi americane» e sciogliere la Nato o
tramutarla in qualcosa di profondamente diverso dall’alleanza che
abbiamo conosciuto fino ad adesso” – un “europeismo rivoluzionario” con
il quale l’Europa possa finalmente svincolarsi da Washington e guardare
alle nazioni dei BRICS e dell’Eurasia, alla Repubblica Popolare Cinese,
come a partner amici con cui edificare un futuro armonioso e pacifico, e
non come nazioni nemiche da combattere.
NOTE:
1. Si veda per esempio: ACUS, Washington Post 2. Si veda per esempio: Spiegel
3. Eurasia 4. Si veda per esempio: FAS; RUVR; Reuters
4 bis. Eurasia 5. Si veda per esempio: Guardian; Aurora
6 Si veda per esempio: ADN 7. Per esempio si veda: Spiegel.de
8. StatoePotenza 9. Si confronti la politica anti Gazprom dell’Unione Europea o le manovre italiane tese a contenere gli investimenti cinesi
10. “L’ospitalità nella Blair House, la forte simpatia personale di
Barack e un’agenda di incontri che ha incluso gli altri due maggiori
attori della politica estera – Joe Biden e John Kerry – sono la cornice
che la Casa Bianca ha voluto per trasformare la visita di Giorgio
Napolitano in un momento di riflessione su argomenti di rilievo
nell’agenda del secondo mandato di Obama. Anzitutto c’è la volontà di
sfruttare il negoziato Usa-Ue sulla «Transatlantic Trade and Investment
Partnership» (Tafta) per arrivare ad un patto euroatlantico sulla
crescita, spingendo anche la Germania su tale strada. Per riuscirci
Obama ha bisogno di una forte convergenza con i leader dell’Unione
europea e Napolitano è considerato, per le posizioni che esprime, un
interlocutore prezioso a tale riguardo. La maggiore minaccia che incombe
sulla “Tafta” è però un aggravamento della crisi dell’Eurozona dovuto
all’indebolimento dei Paesi più a rischio: Spagna e Italia. Da qui
l’interesse, espresso da Obama a Napolitano, per la transizione dal
governo Monti al suo successore.”LaStampa
10 bis. Guardian
11. TAFTA
12. William Pfaff
13. German-foreign-policy.com
14. German-foreign-policy.com 15. Ariannaeditrice.it
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