La Colombia è uno dei paesi più violenti e agitati della regione e sta vivendo una delle peggiori crisi politiche, economiche e sociali.Combina una crisi dello stato e delle sue istituzioni con una crisi politica di tale portata che, se ci fosse un vero scenario di cambiamento, lo sforzo per invertire ciò che è in atto non dovrebbe nemmeno essere eccezionale.Basterebbe un ampio movimento cittadino consapevole delle gravi crisi e dei problemi e pronto a lottare per cambiare.
Ma non dobbiamo dimenticare che non siamo più ai tempi della rivoluzione bolscevica, cubana o bolivariana.Potrebbero essere tempi peggiori, ma dove manca lo spirito rivoluzionario, e questa realtà facilita la strategia della paura, il nuovo genocidio in atto contro i leader sociali e l'opposizione e la conservazione del potere.Ciò sicuramente prefigura l'imminente fallimento degli accordi di pace.
"Non ho nulla da nascondere", "Non ho fatto nulla di male o di illegale, quindi non importa se sono spiato".Questo è l'argomento sul quale si scontrano sistematicamente i difensori delle nostre libertà digitali.Ma avere "nulla da nascondere", e accettare di fornire tutti i propri dati a Facebook, Google e una moltitudine di servizi "gratuiti" pur sapendo, più precisamente dopo le rivelazioni di Edward Snowden, che questi dati alimentano direttamente la sorveglianza di massa: questo è davvero un ragionamento sostenibile nel lungo periodo?È questa la società che vogliamo?Uscito nelle sale per alcuni mesi, prima del lancio sotto una licenza Creative Commons programmata per il 30 settembre, il documentario "Nothing to Hide" (Nulla da Nascondere) di Marc Meillassoux è una risposta entusiasmante a questa cruciale domanda per il nostro futuro.
Introdotto da Apple nel suo iPhone X, il riconoscimento facciale sta per invadere la nostra vita quotidiana. Che si tratti di identificare le persone sui social network o di pagare con un sorriso piuttosto che con una carta di credito, l'aumento di questa tecnologia sembra avvincente, a causa del suo ovvio potenziale commerciale. Ma dobbiamo davvero rassegnarci a vivere in un mondo di sorveglianza totale e di pubblicità sempre più mirata? In questo forum, il giornalista Fabien Benoit, collaboratore regolare di Usbek & Rica, invoca la "santuarizzazione del diritto all'anonimato" e chiede l'apertura di "Stati generali di biometria e privacy", sul modello del grande dibattito nazionale sulla bioetica che si è appena aperto.
Per anni, molti – prontamente bollati come complottisti – hanno ipotizzato che quando si tratta di raggiungere obiettivi illegali, come, ma non solo, creare false flag ed omicidi politici, pochi sono abili ed operosi come CIA e Mossad. Soprattutto il secondo.
Solo che, come spesso accade, la maggior parte (se non tutte) tali “teorie della cospirazione” risultano veritiere. In questo caso sono venute a galla grazie al lavoro di Ronen Bergman, giornalista investigativo israeliano. Il suo libro appena pubblicato, “Rise and Kill First: la storia segreta delle uccisioni mirate di Israele”, riporta in dettaglio alcuni di questi piani israeliani, come l’assassinio del leader palestinese Yasser Arafat, che includeva un complotto per far esplodere aerei passeggeri e stadi di calcio.
I contadini producono il 70% del cibo mondiale nel 25% della terra, mentre il settore agroalimentare, per produrre il 25% del cibo, usa il 75% della terra.
I contadini, gli indigeni e agricoltori familiari producono il 70% del cibo mondiale, nonostante abbiano solo il 25% della terra.Al contrario, le aziende agroalimentari rappresentano il 75% della terra ma producono solo il 25% del cibo.Lo rivela un'indagine dell'ONG internazionale Grupo ETC, che disarma i miti dell'agricoltura industriale e transgenica.Assicura che se i governi vogliono porre fine alla fame e frenare il cambiamento climatico, devono attuare politiche pubbliche per promuovere l'agricoltura contadina.
"Chi ci nutrirà?La rete dell'industria alimentare o la filiera agroindustriale?" È il nome della ricerca del Gruppo ETC (Gruppo d'azione sull'erosione, la tecnologia e la concentrazione) che, sulla base di 24 domande, fornisce la prova delle conseguenze dell'agricoltura industriale e della necessità di un altro modello.
Dopo esseri distinta per la clamorosa bufala dei 300 morti di morbillo in Inghilterra, la ministra Lorenzin è tornata alla carica sull'argomento vaccini, totalmente incurante della verità. In un suo recente video di propaganda elettorale infatti, la Lorenzin ha citato un articolo del New York Times dicendo: "Il New York Times fa il confronto fra il caso della California, in cui è strata introdotta l'obbligatorietà vaccinale, e il caso dell'Oregon, dove invece ai genitori è lasciata la totale libera scelta, in cui la copertura dell'immunità di gregge è scesa dal 95 al 30%". Detto così, sembra che la copertura vaccinale in Oregon sia improvvisamente crollata al 30% per colpa della libertà di scelta.
"Ci vorrebbe un genio per chiudere Guantanamo" (Allusione ironica al tweet di Trump nel quale si definiva “un genio”)
L’11 gennaio 2018 ci ricorda che sono trascorsi sedici anni durante i quali la prigione di Guantánamo continua a tenere prigionieri esclusivamente uomini musulmani, avendo sottoposto molti di loro a torture e detenzioni arbitrarie.
Convocate da Witness Against Torture (WAT, Testimoni contro la tortura), una trentina persone si sono riunite a Washington D.C. con l’intento di digiunare una settimana intera per cercare di far chiudere Guantánamo e abolire per sempre le torture.
Sei giorni fa, Matt Daloisio è arrivato da New York con un furgone accuratamente carico di cartelloni e striscioni creati nel corso di dodici anni, oltre a sacchi a pelo, vestiti invernali e altri oggetti essenziali per quella settimana.
Nel tentativo di affrontare le fake news prima delle elezioni di quest’anno, il governo italiano ha creato un portale online in cui le persone possono segnalare bufale.
Il portale, annunciato giovedì dal Ministro dell’Interno Marco Minniti, invita gli utenti a fornire il loro indirizzo email, un link alla disinformazione che stanno segnalando e qualsiasi social network su cui abbiano trovato la notizia. Quindi le segnalazioni vengono trasferite alla Polizia Postale, un’unità della polizia di stato che indaga sul crimine informatico, che le controllerà e – se le leggi sono state infrante – procederà per via legale. Nei casi in cui nessuna legge fosse infranta, il servizio si avvarrà comunque di fonti ufficiali per negare le informazioni false o fuorvianti.
Uno stato di polizia globale sta emergendo mentre il capitalismo mondiale sprofonda in una crisi senza precedenti, data la sua magnitudine, la sua portata globale, il grado di degrado ecologico e il deterioramento sociale e l'enorme portata dei mezzi di violenza che si dispiegano in tutto il mondo.
Lo stato di polizia globale fa riferimento a tre dimensioni intrinseche. Innanzitutto, si riferisce all'esistenza di sistemi sempre più diffusi di controllo sociale di massa, di repressione e guerra promossi da gruppi dominanti per contenere la reale o potenziale ribellione della classe operaia globale e dell'umanità superflua.
In secondo luogo, si riferisce alla crescente dipendenza dell'economia globale dallo sviluppo e dalla diffusione di questi sistemi di guerra, controllo sociale e repressione semplicemente come un mezzo per trarre profitto e continuare ad accumulare capitale di fronte alla stagnazione - ciò che chiamo l'accumulazione militarizzata, o l'accumulazione per repressione.
In un’intervista shock, Macron ammette che la Francia voterebbe per l’uscita dalla UE, se si tenesse un referendum
In un’intervista alla BBC commentata da Zero Hedge, Macron afferma a sorpresa che un equivalente francese della Brexit avrebbe “probabilmente” condotto allo stesso esito: l’uscita dalla UE. La dichiarazione del leader francese suona particolarmente insolita in un momento in cui gli alfieri dell’establishment cercano di rassicurare che c’è “ripresa” e che i “populisti” sono in ritirata. Ma suona insolita anche per la spiegazione esatta e puntuale del problema: l’ipotetico voto per l’uscita dalla UE sarebbe l’espressione delle classi medie e delle classi lavoratrici che si oppongono a una globalizzazione fatta contro di loro. Quando lo scorso anno Marine Le Pen perse le elezioni presidenziali francesi, ed Emmanuel Macron vinse con ciò che sembrò una valanga di voti, l’establishment tirò un sospiro di sollievo, non solo perché la celebre euroscettica populista era stata battuta, ma anche perché sembrò che il vento fosse cambiato.
Ho assistito alla prima televisiva del documentario "La Palestina Brasiliana", scritto e diretto dal regista e giornalista Omar L. di Barros Filho.Un lavoro tenero, pertinente, informativo e attuale, pieno di storie e ricordi commoventi di personaggi che si alternano con la stessa agilità e abilità, dando ritmo al film. Focalizzato sulla vita delle famiglie palestinesi residenti nello stato di Rio Grande do Sul, con radici ancora molto forti nella Palestina occupata, il documentario rivela la differenza abissale tra le vite degli immigrati della diaspora e quelle dei genitori e amici che continuano a vivere nella loro terra natale.Si afferma come un grido di libertà contro l'apartheid scioccante che colpisce il popolo palestinese, sottoposto per decenni all'indifferenza e ai pregiudizi di buona parte del mondo.
C'è una riflessione sulla distanza incommensurabile tra guerra e pace, dominio e libertà, odio ed empatia, tra essere e morire, infine sull'eterno conflitto tra violenza e natura nella condizione umana.
“Svegliamoci, svegliamoci umanità già non c’è più tempo. Le nostre coscienze saranno scosse dal fatto di stare solo contemplando l’autodistruzione basata nella depredazione capitalista, razzista e patriarcale”. Berta Caceres
Moira Millán
Ho avuto nella mia vita la fortuna di conoscere donne molto coraggiose, guerriere, impegnate, lottatrici fino al midollo: a Barcellona, poco tempo fa, nel mezzo delle proteste indipendentiste, ho avuto l’orgoglio di condividere con la weychafe (che significa guerriera in mapuche) Moira Millan, coordinatrice del movimento Marcia delle Donne Originarie per il Buen Vivir. Lei stessa rivela che “sono nata un giorno di agosto in un inverno innevato, in un paesino chiamato El Maiten, nel nordovest della provincia di Chubut, il Lof Pillañ Mahuiza è la mia comunità mapuche”.
Non passa giorno senza che un preminente politico o intellettuale israeliano faccia una dichiarazione oltraggiosa contro i Palestinesi. Molte di queste dichiarazioni tendono ad attirare scarsa attenzione o a suscitare sdegno giustamente meritato.
Proprio di recente, il Ministro dell’Agricoltura di Israele, Uri Ariel, ha chiesto ancora morte e ferite contro i Palestinesi di Gaza.
“Che cosa è questa arma speciale che abbiamo e che quando spariamo vediamo colonne di fuoco e fumo, ma nessuno si fa del male? E’ ora che ci sia anche ferite e morte,” ha detto.
L’invito di Ariel a uccidere più Palestinesi è seguito a ruota di altre affermazioni ripugnanti riguardanti una ragazza di 16 anni, Ahed Tamini che è stata arrestata in una violenta incursione dell’esercito israeliano a casa sua nel villaggio di Nabi Saleh, in Cisgiordania.
Dovunque si guardi l’alta tecnologia è nell’oblò di qualcuno. Si prenda la Apple. All’interno grandi investitori sono preoccupati degli effetti dei suoi prodotti sui bambini. All’esterno attivisti liberali mugugnano per i miliardi all’estero che può ora rimpatriare grazie alla riforma fiscale del Partito Repubblicano. Persino conservatore solitamente contrari alla regolamentazione presso la National Review stanno chiedendo perché la Grande Tecnologia non sia disciplinata come la Grande Industria Petrolifera o la Grande Industria del Tabacco. Questi esempi, che tutti recentemente fanno notizia, confermano la tendenza ma si limitano a sfiorare la superficie. Un nuovo sondaggio nazionale ha rilevato che l’opinione pubblica sta passando da un caldo abbraccio a uno scetticismo crescente. Non è soltanto il modo in cui le cosiddette notizie false sui media sociali hanno avuto un ruolo nelle recenti elezioni negli USA e hanno condotto a inchieste del Congresso. E non sono solo appelli a iniziative federali antimonopolio mirate ai più popolari curatori di informazioni, Facebook e Google.
La questione dell'intelligenza artificiale suscita grandi preoccupazioni. Alcune sono legate a reali complicazioni, come la perdita di posti di lavoro. Altre sono collegate al problema se le macchine potrebbero diventare consapevoli di se stesse nella misura in cui raggiungono livelli più alti di intelligenza. Quel giorno non è così vicino come credono alcuni affezionati del tema. Ma questo non significa che non ci siano motivi per preoccuparsi. Come definire l'intelligenza artificiale (AI)? In termini molto semplici, può essere definita come una tecnologia basata sulla raccolta di grandi quantità di dati da utilizzare in un processo decisionale con uno scopo specifico. I dati devono essere correlati a un argomento specifico e i parametri che circondano le decisioni devono essere più o meno determinati per raggiungere l'obiettivo desiderato. Le applicazioni dell'IA sono già presenti in tutti i settori dell'economia. Ma la sua penetrazione nei mercati finanziari è particolarmente allarmante.
O diventiamo cittadini liberi in un paese indipendente, o martiri con il resto dei martiri che hanno dato la loro vita".Brahim Gali, presidente Saharawi Mi chiamo Mohamed Moulud Yeslem, sono un rifugiato saharawi che è nato in piena guerra nel Sahara, ho 40 anni, e faccio parte di un popolo che lotta per ottenere la sua indipendenza. Sono un artista, un pittore che crede che un pennello, è un arma di lotta, di libertà e di espressione; ed arriva più lontano dei missili, perché arriva ai cuori della gente, seminando vita.” Ho conosciuto Moulud a Barcellona, in ottobre del 2017, mentre cercavo di partecipare ad un evento culturale negli accampamenti dei rifugiati saharawi a Tindouf (Algeria). Dopo alcuni giorni di un’attesa estenuante, purtroppo, l’incontro non si è svolto, non sono potuta mai arrivare agli accampamenti, questa volta. Ma ho avuto l’onore ed il piacere di potere godere dell’affetto e della compagnia di Moulud, di sua moglie Olga e della sua meravigliosa bambina, Nura.
Il capo Mossad, Yossi Cohen, ha praticamente ammesso, ieri, la partecipazione del regime di Tel Aviv alle proteste in alcune città iraniane che si sono tenute le scorse settimane sulla situazione economica. Parlando in una sessione di lavori del Ministero dell'Economia del regime israeliano, il direttore del Mossad ha espresso il suo sostegno per gli atti di violenza che si sono verificati durante le manifestazioni di protesta in Iran. "Israele ha occhi, orecchie e anche di più" in Iran, ha affermato Cohen, aggiungendo che Israele "vorrebbe vedere una rivoluzione" nel paese persiano. Tali dichiarazioni sono state riportate dal quotidiano israeliano 'Hareetz'.
Pur indicando che i problemi economici "hanno portato le persone in piazza", ha ammesso che non è stato ottenuto il risultato preferito del regime israeliano, ovvero "vedere una rivoluzione" nel paese persiano. "Devono abbassare le aspettative", ha spiegato.
Il 12 dicembre, in coincidenza con il 500° anniversario delle tesi di Lutero, un gruppo di economisti e studenti ha "affisso" alla London School of Economics un elenco di raccomandazioni per procedere a una riforma economica.
Queste 33 tesi,
preparate da studenti, economisti e accademici, riunite da Rethinking
Economics e New Weather Institute, sostenute da eminenti economisti e
leader politici, come la parlamentare britannica Caroline Lucas,
riassumono una critica dettagliata della corrente principale della
disciplina economica. Famosi
economisti come Mariana Mazzucato, Kate Raworth, Steve Keen, insieme
a Sally Svenlen, studentessa di Rethinking Economics, hanno preso
parte a un atto presieduto da Larry Elliott, capo della sezione
Economia di The
Guardian ,
in cui hanno discusso le 33 tesi, insieme alla richiesta di riforme.
L'evento
si è svolto martedì 12 dicembre presso l'University College di
Londra e, una volta terminato, i partecipanti, il pubblico e gli
studenti sono andati alle porte della London School of Economics dove
hanno affisso le loro tesi e richiesto quella riforma.
Israele rischia una possibile inchiesta da parte della Corte Penale Internazionale per crimini di guerra per il suo attacco del 2014 contro Gaza che uccise più 2.100 palestinesi, tra cui 500 bambini. Per saperne di più parliamo con Norman Finkelstein, autore del nuovo libro ‘Gaza: An Inquest into its Martyrdom’ [Gaza: un’indagine sul suo martirio]. E’ autore di molti altri libri, tra cui “L’industria dell’Olocausto: lo sfruttamento della sofferenza degli ebrei” e ‘Knowing Too Much: Why the American Jewish Romance with Israel Is Coming to an End’ [Sapere troppo: perché l’innamoramento degli ebrei statunitensi nei confronti di Israele sta arrivando alla fine].
Prima di cominciare a parlare più estesamente di Gaza volevo chiederti velocemente quali hai pensato siano state le motivazioni del presidente Trump nel riconoscere Gerusalemme come la capitale, dicendo che avrebbe trasferito l’ambasciata statunitense da Tel Aviv, la massica reazione presso le Nazioni Unite dopo il suo annuncio di tale riconoscimento, il prevalente voto contro gli Stati Uniti e gli Stati Uniti che hanno minacciato chi votava contro di loro.
Gli
americani proprio non riescono a rinunciare al loro sogno
imperialistico. Evidentemente ce l'hanno nel DNA. E'
ancora fresca la sconfitta della loro adorata ISIS da parte dei
russi, che già gli omini verdi del Pentagono si stanno ingegnando
per creare un'altra forza militare che possa destabilizzare la Siria. La
nuova genialata di Washington si chiama BSF, che significa Border
Security Force (forza di sicurezza di confine), che sta venendo
impiantata nel nord della Siria, vicino al confine con la Turchia. Questa
forza è composta in buona parte dagli ex-combattenti della Syrian
Democratic Forces (SDF), i militanti curdi già sostenuti apertamente
da Washington, ai quali andranno ad aggiungersi altre unità di non
chiara origine (probabilmente guerriglieri riciclati dall'ISIS e
mercenari della peggior risma, come al solito).