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"LA TERRA CI NUTRE LA TECNOLOGIA CI GUIDA: COLTIVIAMO INSIEME IL FUTURO"
3 agosto 2025
Quando “abbastanza morto” diventa una metrica
Come le metriche delle prestazioni stanno corrompendo la soglia più sacra della medicina
La linea sul monitor cardiaco è piatta. La famiglia piange. I medici aspettano esattamente 75 secondi e poi ricominciano la procedura. Nel mondo dei trapianti di organi, “dead enough” (“abbastanza morto”) è diventato un bersaglio mobile.
Il New York Times ha appena riportato una notizia che non piacerà alla maggior parte della gente: nella fretta di incrementare i trapianti di organi, le équipe di reperimento hanno talvolta iniziato troppo presto. Non dopo la morte, ma prima che questa fosse completamente accertata.
Questo non è più solo giornalismo d’inchiesta, è ufficiale. A luglio, il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti aveva pubblicato i risultati di un’indagine federale sul sistema dei trapianti. Parole loro, non mie: “Gli ospedali hanno permesso che il processo di prelievo degli organi iniziasse quando i pazienti mostravano ancora segni di vita, e questo è orribile", aveva dichiarato il segretario dell’HHS Robert F. Kennedy, Jr. Il rapporto federale aveva rilevato che almeno 28 pazienti avrebbero potuto non essere morti quando era iniziato il prelievo degli organi.
Questo avviene in base ad un protocollo chiamato donazione dopo morte circolatoria (Donation After Circulatory Death, DCD). Si tratta di una pratica fondamentalmente diversa da quella più consolidata della donazione dopo morte cerebrale, in cui i pazienti hanno perso irreversibilmente tutte le funzioni cerebrali e vengono tenuti attaccati alle macchine solo per mantenere in vita i loro organi. I pazienti con DCD hanno ancora una certa attività cerebrale: stanno morendo, ma non sono ancora morti. I medici stabiliscono che sono prossimi alla morte e che non si riprenderanno, ma si tratta di un giudizio medico, non di una certezza biologica.
Un tempo la DCD era rara. Ora rappresenta una quota enorme e crescente di trapianti. Ogni giorno, 13 persone muoiono in attesa di organi che non arrivano mai. Questa urgenza è reale e spiega perché il sistema sente la pressione ad espandere ogni possibile via di donazione. Ma salvare vite umane stroncandone altre potenzialmente prima del tempo non è una salvezza: è un altro tipo di condanna a morte.
Non si tratta di un dibattito sul fatto che i trapianti salvino o meno delle vite, lo fanno. Si tratta di qualcosa di ancora più fondamentale: che il confine tra la vita e la morte viene trattato come una variabile flessibile di programmazione.
La soglia sacra
La morte è sempre stata il mistero più profondo dell’umanità: la divisione definitiva tra l’essere e il non essere, tra la coscienza e il vuoto. La medicina moderna ha promesso precisione: morte neurologica, arresto cardiaco, criteri clinici in grado di segnare il momento esatto in cui una persona diventa un cadavere.
Ma quando la morte diventa un protocollo invece che una realtà ontologica, si perde qualcosa di essenziale. Come sosteneva il filosofo Ivan Illich, quando una cultura medicalizza ogni confine – la nascita, la morte, persino il loro significato – perde la capacità di navigare in quelle distinzioni senza il permesso delle istituzioni.
Stiamo parlando del momento in cui un essere umano cessa di esistere come entità cosciente e diventa, nel calcolo del sistema, un insieme di parti da raccogliere.
Il problema va oltre i protocolli. Come osserva il bioeticista Charles Camosy, la medicina contemporanea si trova in un “luogo intellettualmente imbarazzante: i medici e le persone che non hanno riflettuto a fondo su queste questioni e non hanno praticamente alcuna formazione in filosofia/teologia seria stanno inventando la loro antropologia morale man mano che raggiungono il risultato desiderato sulla raccolta degli organi“. Quando le istituzioni iniziano a ottimizzare i principi fondamentali, perdono qualsiasi quadro coerente per comprendere ciò che stanno effettivamente facendo.
Quando i riflessi diventano “senza senso”
Se la definizione di “abbastanza morto” diventa negoziabile, abbiamo già perso la bussola. La designazione di donatore sulla patente di guida rappresenta molto più che un consenso medico: è un contratto spirituale su ciò che accade al contenitore che ha trasportato la vostra coscienza per tutta la vita.
Un paziente aveva avvicinato le ginocchia al petto mentre veniva preparato per l’espianto degli organi, e il movimento è stato liquidato dal personale medico come “riflesso senza senso”. In Alabama, Misty Hawkins era stata portata in sala operatoria dopo essere stata dichiarata morta, ma quando i chirurghi avevano praticato la prima incisione, avevano scoperto che il suo cuore si muoveva, il suo petto si alzava e si abbassava con “respiri affannosi”. La stavano incidendo mentre era ancora in vita.
Senza senso per chi? In quel gesto, in quel rinchiudersi involontariamente su se stessi, in quel cuore pulsante scoperto troppo tardi, si nasconde la domanda fondamentale: e se qualcosa di essenziale abitasse ancora quel corpo? E se il confine tra la vita e la morte non fosse una linea netta, ma uno spazio liminare che stiamo attraversando troppo in fretta?
La macchina degli incentivi
Seguite gli incentivi, ma seguite anche la metafisica. Quando gli ospedali vengono valutati in base ai “tassi di conversione” – un termine che farebbe arrossire sia un venditore di auto usate che un teologo – stanno misurando l’efficienza con cui trasformano gli esseri umani morenti in pezzi di ricambio. Le OPO (Organ Procurement Organizations) hanno contratti federali da rispettare e le loro prestazioni sono giudicate in base alla produttività.
Sono i numeri a raccontare la storia: la donazione dopo morte circolatoria è triplicata dopo l’ordine esecutivo di Trump del 2019. Quasi il 20% degli organi ora salta completamente la lista d’attesa ufficiale, rispetto al 3% del 2020. Cinquantacinque operatori sanitari in 19 Stati hanno assistito a casi inquietanti. Solo nel Kentucky, gli investigatori federali hanno trovato 73 pazienti con “segni neurologici incompatibili con la donazione di organi” che venivano tuttavia preparati per l’espianto.
Quando si misura il sistema in questo modo, “più e più velocemente” diventa una visione del mondo che ridefinisce la soglia tra la vita e la morte sulla base dell’efficienza operativa. Gli incentivi che iniziano come salvavita si trasformano rapidamente in quote di produzione.
Il costo umano
Come ha dichiarato una tecnica di chirurgia al New York Times dopo aver visto una paziente piangente e reattiva sedata e rimossa dal supporto vitale: “Ho pensato che se le fosse stata mantenuta più a lungo sotto ventilazione avrebbe potuto farcela. Mi sono sentita come se avessi partecipato all’uccisione di qualcuno“. In seguito aveva lasciato il lavoro, traumatizzata dalla partecipazione a quello che le era sembrato un omicidio istituzionale mascherato da protocollo medico.
Il rischio non è ipotetico, ma ontologico. Prima il protocollo dice due minuti senza polso. Poi sono 75 secondi. Poi basta “sufficientemente non responsivo”. Ogni volta che riduciamo i secondi del periodo di attesa, non stiamo solo modificando i protocolli medici, ma stiamo ridefinendo il significato di morte. Stiamo trattando il mistero della coscienza come se fosse un bug in un software da ottimizzare.
Questo non è solo un problema di trapianti: è il sistema operativo delle istituzioni moderne. Lo abbiamo visto durante la COVID, quando le definizioni dei casi di ricovero variavano drasticamente in base a diversi criteri, generando conteggi di casi incredibilmente diversi a seconda delle metriche che le istituzioni sceglievano di enfatizzare. Lo vediamo nelle case di cura, dove le regole di pagamento di Medicare costringono le famiglie a scegliere tra assistenza infermieristica qualificata e servizi di hospice, spingendo le decisioni di vita o di morte verso il risultato più conveniente dal punto di vista amministrativo. Lo vediamo nelle approvazioni farmaceutiche, dove il percorso di approvazione accelerata della FDA è stato messo sotto accusa per aver permesso la registrazione di farmaci basati su endpoint surrogati piuttosto che su benefici clinici comprovati, con studi di conferma spesso ritardati e farmaci che in seguito si sono dimostrati inefficaci.
L’erosione della fiducia
La fiducia non si costruisce con i comunicati stampa. Si realizza onorando le vere difficoltà che chiediamo alle famiglie di affrontare. Quando il pubblico crederà che questo divario, questo confine tra metrica e significato, è gestito con leggerezza, smetterà di iscriversi come donatore. In Arkansas, i sostenitori della donazione di organi stanno già facendo causa per bloccare una nuova legge che richiede l’autorizzazione della famiglia anche quando qualcuno è un donatore registrato, segno che la fiducia del pubblico si sta già incrinando.
Senza fiducia nella sacralità del processo, il sistema progettato per salvare vite umane crolla sotto il peso delle sue stesse scorciatoie utilitaristiche. Questo fa sì che tutti stiano peggio: le persone che avrebbero potuto ricevere quegli organi, i medici che seguono le regole, le famiglie che avrebbero potuto scegliere la donazione in circostanze che rispettavano sia la dimensione clinica che quella metafisica della morte.
Cosa rivela tutto questo
Questi non sono problemi che possono essere risolti all’interno del sistema attuale, perché il sistema attuale è il problema. Una volta create istituzioni che misurano i “tassi di conversione” della morte umana, si è già oltrepassata una linea che non può essere superata attraverso la regolamentazione.
Una tale riverenza non può essere burocratizzata e riportata all’esistenza. Non si possono scrivere protocolli che restituiscano il mistero della coscienza o creare metriche che onorino il peso metafisico della mortalità. La corruzione non sta nell’attuazione, ma nell’idea stessa che questa divisione possa essere standardizzata, ottimizzata e amministrata da istituzioni con obiettivi di performance.
Quello a cui stiamo assistendo non è una serie di errori medici da correggere, ma la prova di un cambiamento di civiltà già avvenuto. Siamo passati da una cultura che affrontava la mortalità con timore e incertezza a una che la considera una sfida operativa da gestire in modo efficiente. Il conto alla rovescia non è appena iniziato, è già in corso.
La sovranità del corpo come sovranità spirituale
In fondo, non si tratta di scienza dei trapianti. Si tratta della sovranità sul corpo e sull’anima nel momento più vulnerabile di tutti. La legittimità dell’apparato dei trapianti poggia interamente sulla convinzione del pubblico che le determinazioni di mortalità onorino sia la realtà biologica sia il mistero metafisico – che il momento della transizione sia caratterizzato da precisione, coerenza e zero interessi istituzionali.
Ogni firma sul registro dei donatori rappresenta un ultimo atto di fiducia: che la medicina onorerà sia la vita che la morte con uguale riverenza, che la frontiera tra l’esistenza e la non esistenza sarà trattata come inviolabile piuttosto che come conveniente. Se si rompe questa fiducia, nessuna riforma del sistema di approvvigionamento risolverà la carenza di organi. Si risolverà con registri vuoti e bare chiuse.
Questa legittimità è fragile perché tocca qualcosa di più profondo dell’assistenza sanitaria: le nostre convinzioni fondamentali sulla coscienza, sull’identità e su ciò che significa essere umani. Non può essere comprata con le pubbliche relazioni. Può essere guadagnata solo attraverso la trasparenza, la responsabilità e un impegno incondizionato a onorare il mistero che stiamo attraversando.
Se “abbastanza morto” diventa una metrica, il conto alla rovescia è già iniziato, non solo per il paziente, ma anche per la nostra fede collettiva nella capacità della medicina di servire qualcosa di più alto della sua stessa efficienza. Perché una volta che accettiamo la morte come una decisione manageriale piuttosto che come una realtà spirituale, non stiamo più solo ottimizzando una struttura, ma stiamo riprogrammando il codice morale della civiltà stessa.
Le civiltà non sopravvivono a lungo quando dimenticano ciò che conta di più – e quando lo fanno, arriva sempre il tempo del raccolto. Prima per il corpo, poi per l’anima.
Quando il sacro è subordinato all’agenda, non sono solo i corpi a essere raccolti.
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