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"LA TERRA CI NUTRE LA TECNOLOGIA CI GUIDA: COLTIVIAMO INSIEME IL FUTURO"
7 novembre 2012
L'UNIONE €UROPEA GENERA GUERRE CIVILI
L’Unione europea instaura un regime di guerra permanente. Dapprima concorrenza tra imprese non mediata dagli Stati. Poi guerra di classe necessaria per l’esigenza di ricorrere alla deflazione salariale. Poi guerra ideologica contro lo Stato, accusato ingiustamente di essere il responsabile della crisi; poi guerre civili all’interno degli stati, minati nella loro unitarietà dal venir meno della coesione sociale e territoriale generato dal mercatismo unionista. E non è impossibile che alla resa dei conti, una volta implosa l’Unione europea, restino gravi conflitti politici tra nazioni, in ragione dei debiti esteri, privati e pubblici. Di Stefano D'andrea Appello Al Popolo
In Spagna, in
settembre, le vendite al dettaglio sono crollate del 10,9% annuale
destagionalizzato. Un crollo enorme. Tra le cause c’è certamente la
recessione che dura da oltre due anni ma c’è anche la “cura”
suggerita dall’Unione europea. In particolare l’aumento dell’IVA:
l’aliquota ordinaria è aumentata dal 18% al 21%; quella speciale dall’8%
al 10%;ed è stata prevista l’applicazione dell’aliquota ordinaria,
anziché di quella speciale, come in precedenza, per molti beni e
servizi.
Ma la causa principale
del crollo delle vendite al dettaglio è che la Spagna si è
auto-dissolta come Stato, aderendo all’Unione europea. La moneta
spagnola non si svaluta, anzi non esiste. Pertanto non è possibile
promuovere le esportazioni e la produzione interna – con la svalutazione
i beni strumentali spagnoli costerebbero molto meno rispetto a quelli
stranieri e sarebbero preferiti dalle industrie spagnole: la
svalutazione non promuove soltanto le esportazioni ma anche la
produzione interna. Inoltre, le chiusure che
sarebbero necessarie per politiche espansive (per chiusure intendo le
limitazioni alla circolazione dei fattori produttivi) non sono
consentite dall’Unione europea; dunque le politiche espansive non sono
possibili o efficaci.
L’ingenuo o il finto ingenuo potrebbe obiettare: la Spagna sta pagando le conseguenze della bolla immobiliare.
Ma è agevole replicare
con domande retoriche: la Spagna poteva limitare l’afflusso di capitali
negli anni in cui è cresciuta la bolla? No, non poteva. L’unione
europea non lo permetteva.
La Spagna poteva
programmare la direzione dei capitali, indirizzandoli verso settori
produttivi, anziché interamente nel settore immobiliare? No, non poteva,
perché sarebbe incorsa in violazioni dei divieti di aiuti di stato o in
limitazione della circolazione dei capitali (e non è detto che Germania
e Francia li avrebbero elargiti tanto facilmente). L’Unione europea
ostracizza ogni forma di programmazione economica e fa del territorio
europeo uno “spazio aperto senza frontiere” dove deve svolgersi la lotta
tra capitali nella forma consueta della deflazione salariale (e dei
redditi da lavoro tutti).
D’altra parte, se la
Spagna avesse avuto una moneta propria, soggetta a svalutazione nei
confronti dell’euro, i capitali sarebbero affluiti in misura molto
minore, perché il capitale prestato all’estero (nel nostro caso da
Germania e Francia) ha il terrore
della svalutazione (come quello prestato all’interno di uno stato ha il
terrore dell’inflazione). Ma la Spagna non aveva una moneta propria.
Dunque l’Unione
europea è stata la causa della crisi (ferme le responsabilità della
nullità Zapatero), sta causando il crollo della nazione (non della sola
economia nazionale spagnola) ed è ostacolo insuperabile per ogni
possibile ripresa.
La disoccupazione
ufficiale spagnola è arrivata al 25% ma tutte le politiche utili in
questa grave situazione e volte a promuovere l’occupazione – politiche
le quali tendenzialmente coincidono con quelle che sarebbero necessarie
ad evitare il crollo del mercato interno e a promuovere la ripresa –
sono impossibili e vietate dall’Unione europea. Nemmeno il ricorso
all’arma con la quale la Germania ha vinto la guerra fratricida,
combattuta nell'ultimo decennio, è possibile: una grave deflazione
salariale genererebbe il crollo della domanda interna, anche perché la
Spagna non disporrebbe, a causa dei divieti dell’Unione europea, di
mezzi per indirizzare produzione e consumo verso il mercato interno.
Dentro l’Unione
europea la Spagna è spacciata. Nei prossimi due anni subirà il crollo
del PIL e si troverà nella situazione greca, anche se con un debito
pubblico (inizialmente) inferiore ma destinato ad aumentare
continuamente. Ma i problemi non finiscono qua. Anzi con il crollo delle
produzione i problemi cominciano. La Spagna, a differenza della Grecia,
ha da tempo territori che aspirano all’indipendenza e, come è logico,
le gravi crisi economiche allentano la coesione sociale e territoriale e
rinsaldano enormemente le aspirazioni indipendentistiche.
Infatti, uno o due
milioni di catalani hanno manifestato chiedendo l’indipendenza della
catalogna (le fonti forniscono le due cifre ma si tratta comunque di
tantissima gente: complessivamente i catalani sono sette milioni e
mezzo). L’esercito spagnolo ha reagito con dichiarazioni molto dure ma
ovvie. Il colonnello Francisco Alaman ha descritto i catalani come "avvoltoi" e ha avvertito: "L'indipendenza della Catalogna? Dovranno passare sul mio
cadavere. La Spagna non è la Yugoslavia od il Belgio. Anche se il leone
sta dormendo, non svegliatelo perché potrebbe tirar fuori una ferocia
collaudata da secoli". E “il
Tenente Generale Pedro Pitarch ha dichiarato che le parole di Alaman
riflettono "il pensiero profondamente radicato in gran parte delle forze
armate" (1).
Inutile dire che gli indipendentisti hanno precisato di voler creare un altro stato “dentro l’Unione europea”.
Ingenuo rimanere
stupiti dinanzi alle dichiarazioni dell’esercito spagnolo, che è tenuto,
in forza della costituzione, a difendere l’unità della Spagna. Chi tifa
per gli indipendentisti catalani – del tutto legittimamente: si tratta
di una opinione come le altre – tifa per la vittoria in una guerra
civile. La storia insegna che l’indipendenza si conquista o si tenta di
conquistare quasi sempre con guerre di indipendenza. E le guerre di
indipendenza e in genere le guerre civili sono tradizionalmente le più
cruente.
Ora si dà il caso che
chi scrive aveva previsto questo effetto dell’Unione europea, il quale è
nella logica delle cose. Non si può volere l’Unione europea, con gli
squilibri che essa genera, senza voler assumere il rischio (o,
addirittura, senza desiderare) che gli Stati, perduta la possibilità di
porre fine a gravi crisi economiche, vedano diminuire progressivamente
la coesione sociale e territoriale, con il conseguente stimolo di
tendenze politiche all’indipendenza e in generale di posizioni politiche
che scambino la salvezza con la fuga. Avevo scritto nella introduzione
al mio personale manifesto, con il quale mi sono presentato per accedere alle catacombe di internet: “Intanto
il tempo trascorre e la soluzione jugoslava alla crisi della Repubblica
comincia a intravedersi all'orizzonte, non certo come necessità ma
comunque come possibilità”. Ero stato pessimista, lo confesso.
Infatti, guardavo all’Italia e al venir meno, in modo evidente e
palpabile, della coesione territoriale e sociale generato dall’Unione
europea. Non avevo considerato che ben prima dell’Italia sarebbe
crollata la Grecia e soprattutto la Spagna. Dobbiamo proprio attendere
che la tragedia spagnola esploda per comprendere i rischi che corriamo? E
non vogliamo sentirci europei in senso nobile – in questo senso
certamente mi sento europeo – da voler evitare la tragedia spagnola?
L’Unione europea instaura un regime di guerra permanente. Dapprima concorrenza tra imprese non mediata dagli Stati. Poi guerra di classe necessaria per l’esigenza di ricorrere alla deflazione salariale. Poi guerra ideologica contro lo Stato, accusato ingiustamente di essere il responsabile della crisi; poi guerre civili
all’interno degli stati, minati nella loro unitarietà dal venir meno
della coesione sociale e territoriale generato dal mercatismo unionista.
E non è impossibile che alla resa dei conti, una volta implosa l’Unione
europea, restino gravi conflitti politici tra nazioni, in ragione dei debiti esteri, privati e pubblici.
Ancora una volta, il
buonismo rivela la sua indole malefica. L’europeismo buonista potrebbe
rivelarsi la fonte di una tragedia europea di proporzioni immani.
(1)
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=10912.
Si legga anche - per le informazioni, non certo per le valutazioni
buoniste e pseudo-democratiche (cosa preveda la democratica costituzione
spagnola non interessa agli pseudo democratici buonisti) –
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=10959
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