9 novembre 2009

PRIMI DECESSI CAUSATI DAL VACCINO H1N1: I MEDIA TACCIONO!

Un messaggio da condividere, spedire per mail, stampare e diffondere

La tossicità del vaccino contro l’influenza suina ha già causato le prime morti

L’Unione europea ha messo fuorilegge i termometri al mercurio, perché il mercurio è una sostanza altamente tossica eppure …i governi europei hanno acquistato decine di milioni di dosi di vaccino contro l’influenza suina contenente mercurio come conservante!

Il mercurio causa gravi danni al sistema nervoso ed al sistema immunitario! Se avete un computer collegato ad internet guardate come questa giovane ragazza è stata ridotta dal vaccino http://www.youtube.com/watch?v=oGT0r-udstQ.

Inoltre il vaccino contiene lo squalene, sostanza che iniettata nel corpo umano causa gravissimi danni al sistema immunitario fino a generare complicanze mortali. Un vaccino contenente squalene ha causato circa 160.000 casi di “sindrome del Golfo” quando è stato iniettato ai soldati statunitensi partiti per la guerra in Iraq nel 1991: esso ha causato 30.000 casi gravi e migliaia di morti - vedi http://en.wikipedia.org/wiki/Gulf_War_syndrome

Non desta stupore che, appena iniziata la campagna di vaccinazione in Svezia sono morte 4 infermiere dopo avere ricevuto la vaccinazione contro l’influenza suina. Ovviamente giornali e televisioni nazionali tacciono queste inquietanti notizie mentre mettono in evidenza le morti di persone già gravemente malate che muoiono in seguito all’influenza suina, dimenticando di dire che ogni anno di casi come questi ce ne sono stati migliaia causati dalle normali influenze. La mortalità dell’influenza suina è infatti molto bassa.

Intanto in Germania le forze armate, i ministri e le altre persone appartenenti all’élite governativa riceveranno un vaccino senza quelle sostanze pericolose a differenza della popolazione; il veleno è per noi, per il popolo?

A che servono i vaccini per l’influenza se già da 10 anni i dottori Gorton e Jarvis hanno dimostrato che la vitamina C è molto più efficace dei vaccini nel prevenire l’influenza e nel mitigarne i sintomi (tre dosi da un grammo al giorno per un adulto a livello preventivo, un grammo ogni ora per sei ore per mitigare i sintomi dell'influenza)?

Vedi “The effectiveness of vitamin C in preventing and relieving the symptoms of virus-induced respiratory infections” (Manipolative Physiol Ther, ottobre 1999 vol 22 (8), pag 530-533, il cui sunto è reperibile al sito http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10543583?dopt=AbstractPlus)

A che servono se il Dott. John Cannell (medico di un manicomio criminale) è riuscito a preservare i suoi pazienti da un violento attacco d’influenza che aveva colpito tutti gli altri reparti nell'aprile 2005? Nessuno dei suoi 32 pazienti ha contratto quella forma influenzale, nonostante avessero contatti anche con gli altri reclusi. Cannell ha somministrato ai suoi pazienti nei mesi invernali un supplemento di 5.000 unità di vitamina D.

Vedi http://sottovoce360.blogspot.com/2007/09/la-verit-sullinfluenza.html

L’assunzione di integratori di vitamina C e D renderebbe di fatto inutile una qualsiasi vaccinazione anti-influenzale con la differenza che tra gli effetti collaterali del vaccino vi è lo sviluppo di malattie croniche e persino mortali.

Maggiori informazioni sono reperibili sul dossier presente su internet all’indirizzo
http://scienzamarcia.altervista.org/suina.html

Fonte: http://scienzamarcia.blogspot.com/2009/11/un-messaggio-da-condividere-spedire-per.html

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H1N1:
4 infermiere morte e centinaia di ricoveri in Svezia in seguito al vaccino

8 novembre 2009

LA FAME COLPISCE ANCHE CHI HA LA PANCIA PIENA


di Paul Virgo

Chiedete agli esperti dell’alimentazione se la lotta contro la fame è nell'interesse di chi ha la pancia piena nei paesi ricchi, e vi risponderanno di sì. Ma chiedetegli se è il caso di informarli in merito, e probabilmente vi risponderanno “forse no”.


Ci sono tanti motivi per cui anche chi non versa in situazioni di insicurezza alimentare la dovrebbe considerare un problema, perfino al netto di considerazioni morali sulla giustizia sociale.
Il motivo più evidente è che, generando disperazione, la fame diviene fonte di conflitti e una minaccia per la sicurezza di ognuno.

"Si fa leva sul terrorismo e sulla sicurezza nazionale: laddove si vive nella miseria e nella fame, il terreno è fertile per reclutare terroristi", ha osservato David Dawe, economista senior alla sede romana dell’agenzia ONU per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO).

"Il tema è forte".
Anche Josette Sheeran, capo del Programma Alimentare Mondiale (PAM/WFP), un’altra agenzia ONU con sede a Roma, ritiene che lo stomaco vuoto sia foriero di guai. "Un mondo affamato è un mondo pericoloso" aveva dichiarato la Sheeran alcuni mesi fa alla stampa. "Senza cibo, rimangono solo tre possibilità: rivolta, emigrazione o morte. Nessuna delle tre è accettabile".

Anche se si tratta di “argomentazioni forti” che dovrebbero indurre le nazioni potenti a darsi da fare, le loro implicazioni innervosiscono alcune ONG che si occupano di lotta alla fame. Alcune arrivano addirittura a rifiutarle.
"Non me la bevo questa storia, che se non facciamo ciò che è giusto quelli vengono qui da noi e ci rovinano la vita", ci ha detto John Hilary, direttore esecutivo del gruppo londinese anti-povertà War on Want. "È una posizione troppo vicina a quella dell’estrema destra e del British National Party".

Per Oxfam International, la prospettiva autoreferenziale ha sì un fondamento, ma teme si presti alle manipolazioni di alcuni gruppi dei paesi industrializzati per frenare l’immigrazione e le importazioni dai paesi in via di sviluppo.
"È pur vero che debellare la fame è negli interessi del mondo industrializzato, ma il messaggio mi sembra un po’ controverso", ha dichiarato Teresa Cavero, capo dipartimento di ricerca della sede spagnola di Oxfam.

"Alla luce della crisi economica e della tentazione di serrare le maglie del protezionismo, potrebbe risultare una lama a doppio taglio. Per esempio, si potrebbe dire che stimolando la crescita nei paesi in via di sviluppo la gente avrà più opportunità di lavoro nel proprio paese e quindi la migrazione sarà minore. In parte è vero, ma non significa che l’immigrazione in sé sia negativa".
È anche vero che nonostante decenni di tentativi di responsabilizzare il mondo industrializzato sulla necessità di sradicare la fame in quanto obiettivo di giustizia sociale, i risultati non sono eclatanti.

Potremmo addirittura affermare che il mondo industrializzato riterrà necessario impegnarsi nella lotta alla fame solo quando questo tema avrà scalato l’agenda politica internazionale. Un’impennata che potrebbe verificarsi solo se l’insicurezza alimentare diventasse per gli elettori dei paesi più ricchi un problema che è nel loro interesse risolvere.
"Preferisco la parte del messaggio legata alla giustizia, ma è vero che il mondo industrializzato ha tutto l’interesse a debellare la fame, pertanto qualsiasi motivazione riesca a smuovere i paesi industrializzati, va bene", ha detto Cavero.

"Per prima cosa, i governi e gli abitanti dei paesi industrializzati devono conoscere la portata del problema. Oggi sempre più persone soffrono la fame; le stime diffuse dal WFP parlano di
oltre un miliardo di persone che soffre la fame nel mondo. Sono cifre vergognose". Se da un lato è la paura a far saltare sulla sedia i ben pasciuti, Dawe individua il secondo motivo nel denaro: "Da un punto di vista economico, se i paesi poveri superano la fame e la povertà, divengono un enorme bacino di potenziale domanda di prodotti del primo mondo".

Cavero è d’accordo: "Alla Oxfam sappiamo bene che peso può avere il commercio sullo sviluppo economico, se condotto secondo regole eque - che al momento non ci sono - e con mercati forti e trasparenti. Una crescita sana comporterebbe un miglioramento generale del welfare, con benefici sia per il sud che per il nord del mondo.
"Il nord ha tutto l’interesse a eliminare la fame nel sud del mondo, poiché essa incide sull’economia globale.

Un sud non più ridotto alla fame può attivarsi per il proprio sviluppo. Ma per superare la povertà, prima bisogna sconfiggere la fame; solo allora si può prendere parte all’economia globale. La fame è un peso morto troppo oneroso per consentire il welfare".
Secondo Cavero, evidenziare la connessione tra la sicurezza alimentare e la minaccia del cambiamento climatico è un ulteriore incentivo per smuovere i paesi industrializzati. Infatti, se i paesi in via di sviluppo cercheranno di eliminare la povertà e la fame seguendo il modello di sfruttamento intensivo delle risorse diffuso nel nord, si avrà un ulteriore innalzamento delle temperature in tutto il pianeta.

"Il modo per raggiungere un accordo e avviare l’intervento sui cambiamenti climatici passa prima attraverso l’accertamento che i paesi poveri, quelli dove povertà e fame si concentrano soprattutto tra comunità agricole indigenti, gestiscono la sicurezza alimentare in maniera sostenibile. Così - ha continuato Cavero - potremo poi implementare politiche atte ad evitare una catastrofe planetaria”.
"Questo obiettivo è raggiungibile attraverso un modello di agricoltura sostenibile.

Abbiamo ancora la possibilità di ribilanciare il tutto globalmente e raggiungere una situazione tre volte vincente: una vittoria sul piano della sicurezza alimentare, una nei cambiamenti climatici e una nella sostenibilità sociale, economica e ambientale".
Dawe ritiene che il mondo industrializzato trarrebbe beneficio dal contributo alla scienza e alla cultura dato dalle persone affrancate dall’insicurezza alimentare. "Viviamo in un mondo interdipendente. La conoscenza oggi si crea grazie al contributo e alle visioni di tutti”, dice.

"Quante più persone intelligenti si dedicano alla soluzione di un problema, che sia l’AIDS piuttosto che il surriscaldamento del pianeta o altro, tanto più è probabile farcela. Lo stesso vale per la cultura, l’arte, la musica ed altri ambiti”.
"La fame e l’insicurezza alimentare stanno impedendo alle persone di sviluppare le proprie potenzialità e contribuire al potenziale dell’umanità tutta. Non siamo ricchi quanto potremmo esserlo. Non intendo in senso economico". War on Want rimane del parere che la battaglia si dovrebbe giocare sul terreno della giustizia sociale, non dell’interesse personale.

"Lo scandalo sta nel fatto che
molte persone che producono alimenti in zone rurali non possono permettersi di comprare ciò che producono. Questo meccanismo basta a condannare il modello di cui abbiamo consentito la diffusione", commenta Hilary.

"Dobbiamo dotarci di un modello agricolo di sfruttamento meno intensivo: vaste zone dei paesi in via di sviluppo vengono usate per il pascolo o la coltivazione di soia per il bestiame o i biocombustibili, necessari al mondo ricco per mangiare più carne e guidare auto ecologiche, mentre la priorità dovrebbe essere garantire il cibo a tutti.
"Sono convinto che la questione morale sia molto forte e che la fame ponga una immensa sfida al nostro concetto di progresso. Se fossimo consapevoli che le nostre vite privilegiate si reggono sullo sfruttamento, il grosso sarebbe fatto. La questione è sia morale che politica".

© IPS (FINE/2009)

7 novembre 2009

IL MIRAGGIO DI OBAMA

LA NUOVA POLITICA ESTERA NORDAMERICANA

di Higinio Polo
El viejo topo

E' trascorso un tempo sufficiente per capire che cosa c' è di verità e ciò che è improbabile nelle promesse che Obama ha fatto durante la campagna elettorale e assumendo la carica. Finora, pochi sono i fatti, e le parole sempre più ambigue. E se non ci credete, chiedete a Zelaya.

Quasi sul punto di compiere il suo primo anno alla presidenza nordamericana, Barack Obama contempla come gli Stati Uniti continuano ad essere impantanati in una grave crisi economica e sociale, nonostante l’annuncio che la recessione è finita, che mostra più i desideri che la realtà. A gennaio del 2009, Obama arrivava con l’aureola per essersi opposto alla guerra in Iraq, promettendo la ritirata del suo esercito, e, sembra, disposto a realizzare serie riforme negli USA, liquidando inoltre, l’avventurosa e aggressiva politica estera che era stata avviata da Bush. Il nuovo presidente ha ereditato due guerre e la rottura degli accordi di disarmo che erano stati sottoscritti con l’ Unione Sovietica (L’ ABM, del 1972, sui missili antiproiettili , che era il più importante compromesso di disarmo, sulle cui fondamenta posavano tutti gli altri convegni), oltre ad una aggressiva scommessa per un falso “scudo missilistico” in Europa, che era, in realtà , un pericoloso strumento contro la sicurezza strategica della Russia.

Se giudichiamo la figura di Obama in base ai criteri della stampa europea (in generale, affascinata da un presidente che hanno qualificato come progressista, che ha abbagliato anche la sinistra moderata, che ne ha fatto del suo nome una bandiera), dovremo concludere che la sua presidenza inizia una nuova era.
Questa stessa stampa europea, che si è astenuta, in modo generale, dal criticare la ferocia di Bush e la sua dottrina fascista delle “guerre preventive”, e che cominciò a dargli torto, timidamente, solo quando la sua presidenza stava per finire, ha creato il mito di un Obama riformista, dell’ inizio di una nuova era…..che è molto lontano dalla realtà. Le ridicole lodi dai giornali e dalla tv, elevando i suoi discorsi alla categoria del pensiero politico, hanno creato una confusione enorme nell’opinione pubblica, perché non bisogna aspettarsi grandi cose da parte di Obama, anche se è certo che la sua elezione, dopo il lungo periodo dell’ incompetente e spietato Bush, la sua condizione di afroamericano, o meticcio, e la sua relativa gioventù, unita alla forza e simpatia della sua famiglia, lo hanno trasformato in un’icona popolare, alla quale anche le organizzazioni più o meno provenienti dalla sinistra, emulano.

Però, Obama condivide la generalizzata convinzione nordamericana sul ruolo provvidenziale degli Stati Uniti e la sua missione come leader del pianeta, e, fino ad ora, non ha mostrato di fermezza nell' avviare riforme progressiste, anche la sua scommessa di un nuovo sistema sanitario che raggiunga tutti i nordamericani è positiva, come lo è la rinegoziazione delle ipoteche dei cittadini che hanno perso il loro lavoro e sono rovinati, ma,
fino ad oggi, ha approvato molti più aiuti alle banche e al corrotto capitalismo rappresentato da Wall Street che partite dedicate al soccorso dei più poveri, ai milioni di disoccupati che vedono il futuro senza speranza. Ci concentreremo qui nell’esame della sua azione estera. La definizione di una nuova politica estera porta tempo, senza dubbio, ma è trascorso quasi un anno dall’arrivo della nuova squadra alla Casa Bianca e si può dire che l’inerzia dell’apparato militare nordamericano trascina Obama, e che se l' insopportabile petulanza che Washington ha mostrato in tutti i fori internazionali da mezzo secolo comincia a sparire parzialmente, non è perché il nuovo presidente abbia smesso di credere in quella caricatura di “popolo scelto” con la quale tutti i dirigenti statunitensi hanno investito il loro stesso paese di fronte al resto del mondo. Perché quella infantile e ridicola convinzione di credersi il miglior paese al mondo, di mostrarsi come il culmine del progresso universale, è condivisa anche da Obama, e i suoi discorsi ne sono la prova inconfutabile. E’ certo che Obama ha vietato l'uso della tortura, tanto usata dall’esercito nordamericano all’estero, e non si è rifiutato affinchè i responsabili della sua applicazione rispondessero di fronte ai tribunali, ma, alla fine, il Dipartimento della Difesa ha bloccato la pubblicazioni di fotografie che documentavano le torture e tutto indica che non ha nessuna intenzione di chiedere chi siano i responsabili. Inoltre, il Segretario di Difesa di Bush, Robert Gates, continua a svolgere la stessa funzione con Obama, e la finanziaria per la difesa è aumentata nonostante quanto fosse già stato destinato da Bush.

Dopo quasi un anno , Guantanamo non è stato ancora chiuso, anche se è stata annunciata la chiusura a gennaio del 2010. Non ha messo fine al terrorismo di Stato, nè si ha finito con i bombardamenti su popolazioni civili, né Obama ha rinunciato all'uso di mercenari in diversi scenari. Durante la campagna elettorale, è stata fatta una sorprendente differenziazione tra Afghanistan e Iraq, come se la guerra e l’occupazione di tutti e due i paesi non formasse
parte dello stesso progetto di controllo e di dominio del Medio Oriente e, se possibile, dell’ Asia Centrale. In Iraq, è stato annunciato il ritiro dell’esercito americano ad agosto del 2010, anche se è un annuncio trappola, come vedremo. Con l’ambizione di cambiare la percezione che il resto del mondo ha degli Stati Uniti, finendo con la politica estera aggressiva di Bush, Obama ha teso la mano alla Russia, alla Cina, ed ha annunciato il suo impegno di cambiare il Medio Oriente, dedicando speciale attenzione al conflitto tra Israele e i palestinesi, e ad una nuova relazione con l’ America Latina.

Il discorso a Il Cairo, il 4 giugno, offrendo una mano tesa ai musulmani del mondo, manteneva nell’essenza l' abituale politica nordamericana, con una nuova retorica. Animato dai precari successi in Iraq, mentre si tesse un filo spinato di un protettorato, Obama ha annunciato che
la priorità sarà la guerra in Afghanistan, inviando altre truppe e facendo pressione sui suoi alleati della NATO perché seguano la stessa strada, nonostante la reticenza della Germania e della Francia. Ignorando l’evidenza, Obama continua a mantenere la retorica bushiana che l’ intervento in Afghanistan è fondamentale per evitare altri attacchi terroristici sul territorio statunitense, anche se l’invasione del paese è stata progettata per controllare l’ Asia Centrale. Il ricorso alla “guerra contro il terrorismo” suppone di continuare ad utilizzare una bugia per camuffare gli interessi nordamericani, perché il terrorismo, degli attacchi mortali e vistosi come alcuni dei loro attentati, è il problema minore nel mondo, utile per manipolare l’emozione dei cittadini e incapace di creare il minor problema per potere globale nordamericano. Mentre il Pakistan minaccia la bancarotta, in Iran la diplomazia nordamericana apre la sua via alla negoziazione, anche senza rinunciare alla destabilizzazione. In Europa è molto difficile che Obama inizi una nuova politica, definita oggi dalla costante pressione sui suoi alleati, convertiti di fatto in ostaggi (la Francia e la Germania, ma anche la Gran Bretagna),per il rifiuto ad una maggiore autonomia europea e per l’uso dei nuovi governi dell’ Est continentale (i Baltici, Polonia, Ucraina, Georgia) come arieti degli interessi nordamericani in Europa, nazioni che agiscono come veri paesi satelliti di Washington, a volte adottando atteggiamenti più cattolici dello stesso Papa nordamericano.

La funzione della NATO, che a Washington è vista come lo strumento di una nuova politica imperiale nordamericana nell’insieme del pianeta, è un’ altra delle questioni sospese, e Obama, come Bush, si orienta a trasformarla nell’agente universale degli interessi nordamericani. Così acquista senso l’esigenza dei suoi alleati europei dell’invio di nuovi soldati in Afghanistan. In America Latina, dove gli Stati Uniti sono in evidente declino, Obama non ha cambiato nella sostanza la politica verso Cuba, Venezuela e Bolivia, accompagnata da un’azione a volte contraddittoria: in Honduras, Washington qualifica il governo di Micheletti illegale, ma la USAID lo finanzia, anche se l’agenzia giustifica le proprie azioni con il pretesto di "Aiuti umanitari". L’apparizione di nuovi attori progressisti nel continente è stata facilitata dai grossi problemi di Washington in altri scenari, e si sta consolidando, con prudenza, la nuova autonomia del Brasile e sorge all’orizzonte il pericolo di un maggiore allontanamento argentino. Il Brasile ha preso distanza dal dollaro, anche se non rompe la sua alleanza con Washington. La risposta del nuovo governo di Obama è la militarizzazione della Colombia, installando sette nuove basi militari, e un nuovo disegno nel suo tradizionale dispiegamento nel continente. Il Medio Oriente è uno dei grandi scenari della lotta internazionale per la divisione di nuove aree d’influenza e la questione palestinese contagia tutti gli attori. Obama avrebbe difeso i diritti del popolo palestinese, anche se dalla presidenza, nelle questioni fondamentali, mantiene la posizione tradizionale degli Stati Uniti, la cui diplomazia continua a sostenere che la violenza palestinese è il grande problema del conflitto: ieri la OLP, e oggi Hamas, senza riconoscere che il vero scopo dell'espropio delle terre palestinesi è la creazione di uno Stato razzista, che cerca la sua espansione territoriale e che non è disposto a riconoscere uno Stato palestinese, nonostante le tante rinunce delle organizzazioni palestinesi: Hamas aveva accettato la soluzione dei due Stati sulle frontiere prima delle guerre del 1967.

Washington esige la cessione della “violenza palestinese” ma omette questa esigenza per Israele,
nonostante l’ enorme differenza tra la sofferenza causata dagli uni e dagli altri, e senza far nessun riferimento al potere atomico israeliano (mentre si insiste sul pericolo del programma nucleare iraniano), nè ai cinque milioni di rifugiati palestinesi che in tutta la zona a malapena riescono a sopravvivere. Nonostante la nomina del burattino George Mitchell, e una retorica che insiste nel diritto alla pace e alla terra per israeliani e palestinesi, che potrebbe basarsi nella risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza della ONU, Obama non si è distanziato minimamente dal sostegno statunitense allo Stato di Israele. La finzione di presentare la diplomazia nordamericana come la mediatrice tra due nemici, israeliani e palestinesi, nasconde egoisticamente la realtà che Israele è un' efficace Stato cliente che mantiene il dominio occidentale e nordamericano soprattutto in Medio Oriente. Così, la mascherata antipatia di Netanyahu con le nuove proposte di Obama non nasce dal fatto che siano veramente equilibrate e cerchino una giusta soluzione e definitiva al dramma palestinese, ma dal fatto che a Tel Aviv sono troppo abituati ad imporre i loro punti di vista, come lo testimoniano gli anni persi sotto la direzione di Condoleezza Rice. E’ bastata una piccola petizione nordamericana perché Israele non costruisse nuovi insediamenti (illegali da ogni punto di vista, anche per la giustizia israeliana) perché Netanyahu si mostrasse provocatorio. Il primo ministro israeliano ha chiarito il suo rifiuto per l'esistenza di due Stati, e tutto indica, che nonostante l’appoggio di Obama alla creazione di uno Stato palestinese (anche Bush lo aveva detto), gli Stati Uniti non forzeranno la mano del loro alleato- cliente israeliano.

Non c’è, quindi, una svolta nella politica verso Israele
, e neanche nella pretesa di continuare emarginando la Siria, e se Abbas crede che la creazione dello Stato palestinese avverrà per mano di Obama sta commettendo un grave errore. Per l’Iraq, il nuovo presidente si riserva il ruolo della grande portaerei dell’esercito nordamericano in Medio Oriente: non bisogna dimenticare che la responsabile della diplomazia, Hillary Clinton, ha annunciato che quasi 100.000 soldati nordamericani sarebbero rimasti nel paese per altri 15 o 20 anni, cioè, fino al 2029, quando- se il mondo non lo impedisce- si compirà un quarto di secolo di occupazione militare. In modo che l’annuncio della ritirata dell’esercito fatto da Obama nasconde la realtà che l’ Iraq continuerà ad essere un paese occupato. In Afghanistan, trasformato in un “narcostato”, alla frode elettorale che ha proclamato vincitore Hamid Karzai si aggiunge una sanguinosa occupazione che non ha risolto nessuno dei problemi del paese. I signori della guerra, complici di Washington, continuano a controllare il territorio, e il fratello del dittatore, Wali Karzai, è uno dei principali trafficanti di armi e di droga afgane. La speranza che le elezioni consolidassero il processo politico si è rivelata nulla, e il rischio che il Pakistan sia coinvolto nel combattimento è reale, perché, otto anni dopo l’inizio dell’occupazione, Obama non punta sulla fine del conflitto ma per la continuazione della guerra. La nomina del generale Stanley McChristal come capo dell’esercito nordamericano in Afghanistan non è neanche una buona notizia: durante il suo soggiorno in Iraq, le torture ai prigionieri facevano parte delle tattiche giornaliere. Neanche nel Pakistan le cose con Obama sono cambiate: i bombardamenti nordamericani, con frequenza sulla popolazione civile, sono continuati come durante il periodo di Bush. Né vi è alcun approccio alle esigenze di difesa iraniane, e l'offerta di Obama di negoziazione con Teheran inoltre nasconde la pressione costante sul teocrazia iraniana.

Al di là delle considerazioni sul sanguinario regime politico degli ayatollah (che condivide con Israele il fatto di essere governati dall' estrema destra e dal fanatismo religioso), la legittima preoccupazione per la difesa dell’ Iran fa si, che anche se continuano senza riconoscerlo apertamente, la scommessa di Jatamì e Ahmadineyad per ottenere l’arma nucleare sia vista come legittima da molti paesi: si, nella zona, Israele la possiede, e il Pakistan e l’ India anche, perché l’ Iran, non dovrebbe farlo? Inoltre, conformemente agli accordi internazionali è insostenibile che le grandi potenze abbiano armi atomiche e contestare all’ Iran il voler pretendere la stessa cosa. Senza dimenticare che gli Stati Uniti hanno 29 basi militari nella regione, tra la Turchia, l’ Arabia, il golfo, Oman, Pakistan e Afghanistan, più l’insediamento in Iraq e le sedi in Asia Centrale, vicine anche all’ Iran…..da aggiungere al potere militare israeliano.
Non è ragionevole che l’ Iran pensi alla sua difesa? Nonostante tutto, l’accettazione da parte di Teheran che l' OIEA ispezioni le installazioni di Qom da un' opportunità alla diplomazia. La relazione con la Russia continua ad essere una delle questioni centrali della politica estera di Washington. A febbraio, durante la Conferenza Internazionale sulla sicurezza, a Monaco, il vicepresidente Joseph Biden, che ha parlato della “nuova era”, ha offerto il “reinizio” delle relazioni con Mosca dopo il periodo Bush, ma non ha rinunciato allo scudo antimissili nè ha chiarito la posizione nordamericana in relazione al disarmo atomico, nonostante i desideri espressi da Obama di lavorare per un mondo senza armi nucleari. Quando Obama è andato a Mosca, gli Stati Uniti e la Russia hanno firmato accordi per un nuovo trattato START, avanzando l’idea che i sistemi balistici dovrebbero collocarsi tra le 500 e 1.100 unità, con un totale tra i 1500 e 1675 testate atomiche, da completare in un periodo fino al 2017.

I contatti diplomatici e gli incontri tra Medveded e Obama sono serviti per raggiungere alcuni accordi parziali: tutti e due erano d’accordo che avrebbero fatto uso solo di armi nucleari strategiche offensive nel loro proprio territorio. La Russia ha accettato che gli Stati Uniti potessero realizzare 4500 voli, all’anno, senza bisogno di pagare nulla, per facilitare il trasporto di esercito e di armi attraverso il territorio russo in direzione dell'Afghanistan. Ancora c'erano divergenze sullo scudo antimissile e la Georgia; di fatto, Medvedev aveva firmato nella riunione del G-8 che la Russia avrebbe dispiegato sistemi di missili Iskander nella regione di Kaliningrado se gli Stati Uniti continuavano con i loro piani sullo scudo, falsamente difensivo, e anticipò che l’accordo su START sarebbe dipeso dalla rinuncia di Washington di installarlo in Polonia e Repubblica ceca. Il clamore con cui l’annuncio di Obama, che rinunciava allo scudo e dei missili intercettori in Polonia, è stato colto dai mass media europei era infondato, perché gli Stati Uniti non hanno mai sostenuto che lo “scudo antimissili” non si sarebbe mai creato in Europa, ed è molto probabile che prenda un’altra forma: può essere dispiegato in navi nei mari freddi del nord dell’ Europa.
Non c’è una “rinuncia” allo scudo, ma una rielaborazione, con lo sguardo verso Mosca per riuscire ad avere una collaborazione sulla questione iraniana.

Ci sono molti altri problemi che avvelenano la relazione tra i due paesi: le frontiere della Georgia, e l’ipotetica incorporazione alla NATO, forzata dagli Stati Uniti, di questo paese e dell’ Ucraina (la cui popolazione rifiuta l’entrata), inoltre le questioni legate con lo sfruttamento degli idrocarburi nella zona del Caspio e dell’ Asia Centrale. C’è anche la questione del Kosovo, la cui indipendenza è rifiutata da Mosca e augurata da Washington. Mosca rifiuta duramente la possibilità che la piccola Georgia e la gigantesca Ucraina si incorporino alla NATO, e cerca di limitare la penetrazione nordamericana nel Caucaso e nel nord del Mar Nero. La crisi economica, e la debolezza del dollaro sono altri dei motivi di frizione: il governo russo ha ammesso, in occasione del summit del BRIC a giugno, che pensava di collocare una parte delle sue riserve monetarie in strumenti finanziari (buoni) di paesi come la Cina, India e Brasile, qualcosa che Washington interpreta come un’azione aggressiva da parte di Mosca. Il New York Times e il resto della stampa nordamericana speculavano, allarmando la popolazione sul desiderio di Mosca di “colpire gli Stati Uniti”.

Bisogna ricordare che, violando i compromessi sottoscritti con Gorbaciov, l’espansione militare nordamericana è continuata: la NATO degli anni sovietici contava 16 paesi membri, mentre che attualmente ha 28 paesi integrati, e si continua a speculare sul suo allargamento. Senza dimenticare che, nonostante le buone parole, gli Stati Uniti hanno impulsato una strategia di vero accerchiamento verso la Russia e di intromissione nella sua periferia: Washington dispone di basi militari in 7 delle 15 vecchie repubbliche sovietiche, e inoltre, con Obama, la tentazione di continuare ad organizzare e finanziare “rivoluzioni arancioni” continua ad essere presente a Washington. Questa politica combatte Mosca con l’intento di articolare uno spazio economico e difensivo che integri il maggior numero possibile di vecchie repubbliche sovietiche, e nella crescente collaborazione con la Cina, sia nell' Organizzazione di Cooperazione di Shanghai, che si è consolidata negli ultimi cinque anni, così come nella coordinazione di fronte a potenziali conflitti diplomatici come l’ Iran o Corea del Nord. Inoltre, Mosca affronta la riforma delle forze armate russe e delle sue truppe di missili strategici, e con la sua fulminante risposta alla provocazione georgiana dell’estate 2008 (equipaggiata con armi fornite da Washington, che ha dato il suo consenso all’aggressione e alla guerra) tracciò una chiara linea rossa agli Stati Uniti. D’altra parte, con Obama, i nordamericani non hanno annullato i piani elaborati sotto la presidenza di Bush sull’ampliamento della NATO ed il suo intervento in aree non coperte dal Trattato fondante (come in Afghanistan, per esempio), sulla creazione di nuove basi militari nei suoi paesi satelliti dell’ est europeo (trasportando le installazioni dalla Germania e altri paesi della parte occidentale del continente), sulla militarizzazione dello spazio e, anche, sull’introduzione di dispositivi militari aggressivi nella regione gelida dell’ Artico. La negoziazione sul nuovo trattato che sostituisca lo START-1 è una delle prove di fuoco per Obama, ma, perché sia credibile il proposito annunciato di costruire un mondo senza armi nucleari, gli Stati Uniti dovrebbero accettare nuovamente l’ ABM o accettare di aprire negoziazioni incamminate ad elaborare un nuovo accordo che raccolga il suo spirito.

La Cina è la grande priorità della politica estera nordamericana: Hillary Clinton ha riconosciuto che le relazioni bilaterali decisive nel XXI secolo saranno quelle della Cina e degli Stati Uniti. A metà febbraio, il primo viaggio all’estero della nuova segretaria di Stato è stata in Cina. Il tour è stato decorato con visite parallele in Giappone e Corea del Sud, tradizionali alleati, e in Indonesia, ma la meta chiave era Pechino. Non c' è da meravigliarsi:
gli Stati Uniti sono il paese più indebitato del pianeta: la congiunzione del debito dello Stato, più quello delle sue aziende e delle famiglie, sale a 70 miliardi di dollari, con i costi per il pagamento degli interessi che, in pratica, hanno fatto fallire il sistema nordamericano, che è sostenuto dalla continua stampa di moneta, di dollari- spazzatura che consegnano al mondo in cambio di beni e di prodotti e per il ricorso al finanziamento estero. E l'acquisto da parte della Cina di buoni del tesoro è stata una premessa fondamentale per l’attività governativa degli USA. Il doppio deficit, commerciale e fiscale, crea una situazione che non si può sostenere per molto tempo. Questo era il punto del viaggio della segretaria di Stato. A marzo di quest’anno, il primo ministro cinese, Wen Jiabao, ha reso pubblica la sua preoccupazione per la sicurezza delle riserve cinesi in dollari, in vista della crisi nordamericana. Di fatto, è un’evidenza che l’attuale sistema permette a Washington di mantenere dei grandi deficit e un enorme spesa militare che, in altro modo, sarebbero al di fuori delle possibilità reali dell’economia nordamericana.

Inoltre, il sempre più precario
e discusso ruolo del dollaro come valuta di riserva internazionale, ha indotto il governatore della Banca Popolare Cinese, Zhou Xiaochuan, a proporre di sostituire la moneta nordamericana con i diritti speciali di prelievo del FMI. La Russia ha anche proposto idee, simili, proponendo d’includere lo yuan cinese e del rublo, inoltre dell’oro, nel paniere di divise (dollaro, euro, libra e yen giapponese) che definisce questi diritti speciali di prelievo. La Cina possiede più di due milioni di miliardi di dollari in divise, buona parte di essi in buoni del tesoro nordamericano (che ha deciso di continuare a comprare), ed è preoccupata per il futuro di questi attivi, e ritiene, inoltre, che l' attuale ruolo insostenibile del dollaro offre indebitivantaggi agli Stati Uniti. La proposta di creare una moneta internazionale di riserva che sostituisca il dollaro è stata rifiutata da Obama, cosciente che questo implicherebbe l’inizio della fine del predominio nordamericano- Nonostante tutto, la Cina sa che non le interessa una crisi non controllata del dollaro che causerebbe severe perdite alle sue riserve. In pratica è un curioso paradosso: Pechino ha la capacità per danneggiare seriamente la divisa nordamericana, ma al prezzo di causare un simile danno irreparabile alla sua propria economia. Oggi come oggi, ancora non esiste una divisa alternativa al dollaro: da qui, l’inesistenza nella creazione di una nuova moneta internazionale di riserva. Le differenza tra i due paesi sul modo di affrontare la crisi sono note e la tentazione protezionistica, molto presente nel circolo Obama, ha portato a Washington a riscuotere tariffe abusive pneumatici cinesi, per esempio, violando le disposizioni della OMC, pur affermando che gli Uniti non vogliono una guerra commerciale con la Cina, facendo pressione su Pecchino, tramite un'intermediario di Gordon Brown, ed esigendo che la Cina "compri di più in altri paesi”, come se questa circostanza fosse una delle cause della crisi economica degli Stati Uniti, e il summit di giugno a Ekaterinburg tra i principali capi della Russia, Cina, India e Brasile, dove si è discussa la convenienza di una nuova moneta di riserva internazionale, indicava anche la nascita di un nuovo polo mondiale.

La proposta (lanciata da circuiti vicini al potere nordamericano: Brzezinski, per esempio, che consiglia Obama, è stato visto con massima preoccupazione dall' UE e dal Giappone) per stabilire un G-2, che fosse, di fatto, un direttorio mondiale per affrontare la crisi economica e i problemi globali, è stata rifiutata da Pechino, che insiste nel multilateralismo come strumento di collaborazione internazionale. Wen Jiabao ha considerato che l’ idea di un G-2 era una strada senza uscita. Gli Stati Uniti stanno cercando di stabilire un direttorio simile, ma la rilevanza politica che ha questa proposta è che significa un'implicita ammissione che il programma di unilateralismo americano lanciato da Bush e la sua posizione dominante solitaria a livello mondiale (XXI secolo Americano) non è riuscito. Così gli USA si muovono ancora tra la forzata rinuncia ai piani di Bush, sconfitti dalla realtà, il bisogno di collaborare con la Cina e un’inerzia imperiale che Obama non ha rotto. Poco dopo di essere stato confermato dal presidente, il segretario della Difesa; Robert Gates, ha detto di fronte al Senato che il suo paese era preparato per affrontare “qualsiasi minaccia militare che potesse provenire dalla Cina”, come ha raccolto il New York Times il 27 gennaio. A marzo, il Dipartimento della Difesa nordamericana presentava un documento sul potere militare cinese dove criticava la riforma e lo sviluppo del suo esercito e suggeriva che Pechino stava cambiando la sua concezione tradizionale strategica (guerra esclusivamente per difendere il proprio territorio) con la possibilità di guerre limitate alla sua sfera di influenza prossima.

L’evidente travisamento della politica estera cinese è stata tale che Pecchino presentò una protesta diplomatica. In relazione all’arsenale nucleare, la Cina, in occasione della solenne celebrazione del 60° anniversario della rivoluzione, ha affermato, allo stesso modo della Russia, la sua decisione di non essere mai “il primo paese ad usare armi nucleari”. Gli Stati Uniti si rifiutano a contrarre un simile impegno.
Da parte sua, Timothy Geithner, segretario dell’ Economia, ha accusato Pechino di manipolare la sua moneta, rendendo responsabile la Cina di una parte delle difficoltà nordamericane. E’ una costante: a febbraio, il responsabile dell’ Intelligence nordamericana, Dennis Blair, ha presentato al Senato l’analisi dei suoi servizi, identificando la crisi economica come la minaccia principale e la Cina e l’ India come i paesi che avrebbero concentrato il potere mondiale, a lungo termine, e anche se ha riconosciuto che la Cina lavora per mantenere buoni rapporti con il resto delle grandi potenze e che la sua politica estera è pacifica, ha comunque sorpreso il crescente potere economico cinese e il rafforzamento della sua Armata e dell’ esercito popolare, e sottolineò il desiderio cinese di aumentare la sua influenza nel mondo. In questo senso, il cambiamento politico del Giappone e la proposta del nuovo primo ministro, Yukio Hatavama, di creare una Comunità dell’ Asia orientale, dotata di una moneta comune (che ha già avuto l’ OK da parte di Pechino) è vista con molta preoccupazione da parte di Washington. Obama è disposto a fare maggiore affidamento sul Giappone, il cui governo era sospettoso delle misure prese da Bush nel trattamento della denuclearizzazione della penisola coreana. Le negoziazioni con Pygongyang sono un altro punto di frizione tra Pechino e Washington. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti mantengono la pressione su altri scenari: gioca la carta di Taiwan, e dispone di portaerei di propulsione nucleare per controllare la zona, dotati di decine di aerei da combattimento, con basi permanenti in Giappone.

In una riunione con Clinton a Washington, il ministro degli esteri cinese, Yang Jiechi, ha sottolineato l'impegno cinese per la collaborazione, ma non ha dimenticato di menzionare che gli Stati Uniti deve agire con cautela nella questione di Taiwan (e nell’affrontare le questioni riguardanti il Tibet), ricordando
l' impegno degli Stati Uniti per l'idea di "una sola Cina". La vittoria di Koumintang nelle elezioni di Taiwan ha fortificato la cooperazione tra i due lati dello Stretto, indebolendo le posizioni indipendentiste che per molto tempo sono state stimolate dagli USA. L’incontro tra Obama e Hu Jintao è servito anche per rilanciare la cooperazione e la discussione sulle questioni militari: Pechino aveva ben presente che, con il governo di Bush, una delle ultime decisioni di Washington era stata la vendita di un nuovo armamento a Taiwan per un valore di quasi sette mila milioni di dollari. Allo stesso tempo, Washington assiste impotente alla consolidazione dell’ Organizzazione di Cooperazione di Shangai, OCS, anche se sembra che il suo ruolo continuerà ad aumentare sia in Asia che nel mondo. In altre riunioni, Obama ha riattivato la sua politica estera: a fine luglio, Hillary Clinton, annunciava il “ritorno“ degli Usa sulla scena del sudest asiatico, attraverso l’impulso di una nuova relazione con la ASEAN ( formata da dieci paesi dell’ Asia, tra cui l’ Indonesia, la Malesia , le Filippine, la Birmania, la Tailandia e Vietnam), decisione che era un riconoscimento implicito del declino nordamericano nella zona e la proclamazione di una volontà di contenere la Cina, i cui legami ed influenza sono aumentati considerevolmente nel sudest asiatico. Le esagerate e teatrali lodi della stampa europea al nuovo presidente nordamericano, occultano la realtà del vero miraggio Obama. Perché non vi è, in sostanza, una nuova politica estera americana, a prescindere dalle correzioni forzate dall'evoluzione dei conflitti. Possiamo concludere che, con la nuova presidenza, la politica estera nordamericana è la continuazione della precedente epoca, anche se con espressioni più moderate, e che il multilateralismo di Obama è, più che una decisione del suo governo, una revisione obbligata e Washington non ha altra scelta che adottarla, di fronte all’evidenza che gli Stati Uniti, durante gli otto anni di Bush, hanno fallito nel loro intento di imporre la loro visione messianica del ruolo nordamericano nel mondo, e, che il disastro dell' unilateralismo e la continuazione delle guerre in Iraq e in Afghanistan (otto anni dopo!) hanno precipitato la crisi, rendendo visibile al mondo che l’ inizio della decadenza nordamericana non è un’ipotesi del futuro, ma la precisa fotografia del momento storico.

Fonte: http://www.elviejotopo.com/web/archivo_revista.php?arch=1336.pdf

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
VANESA

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6 novembre 2009

LA "TUTELA DEL CONSUMATORE" NELL'ERA DELLA SPOLIAZIONE DEI DIRITTI


di Stefano D’Andrea

Consumatore è termine polisemico. Esprime, almeno, tre concetti: giuridico economico sociologico. Il meno noto dei tre è forse il concetto giuridico. Eppure esso ha una rilevanza notevole, che tuttavia sfugge ai più, i quali sono ingannati dalla propaganda e dalla mitificazione mediatica.

Muoviamo dall’interrogativo di fondo, che è il seguente: se le normative di tutela del consumatore ci difendono, nella nostra qualità di uomini, cittadini e lavoratori, come mai quelle normative sono state in gran parte introdotte nell’ordinamento italiano negli anni novanta del secolo scorso e nei primi anni del secolo nuovo, ossia proprio nel periodo in cui il legislatore – indifferentemente di centrodestra o di centrosinistra – si accaniva contro di noi, ci spogliava di diritti che avevamo acquisito come cittadini e lavoratori e ci lanciava in pasto alla televisione commerciale lasciandoci annichilire come uomini?

L’interrogativo va riformulato con maggiore analiticità. Possibile, intendo dire, che negli stessi anni in cui il legislatore eliminava la stabilità del posto di lavoro; perseguiva la moderazione salariale, abbandonava il principio del carattere personale della prestazione professionale, abrogava le norme che prevedevano l’equo canone, svendeva il patrimonio immobiliare pubblico e cessava il finanziamento della edilizia popolare e cooperativa, così incidendo sul costo del diritto alla casa; abbassava i rendimenti delle pensioni; toglieva ai creditori titolari di modesti crediti il potere di far fallire la impresa debitrice, così diminuendo l’effettivo “valore” dei crediti; prevedeva espressamente che il know-how è un bene dell’impresa (e non una conoscenza collettiva); aumentava l’ambito dei beni brevettabili e tutelabili con la proprietà intellettuale e creava i “diritti sportivi”, che sono anche essi privative, così sottraendo beni alla collettività; rendeva generale l’anatocismo bancario (ossia la produzione degli interessi sugli interessi prima della domanda); trasformava in senso classista e chiuso il sistema politico con il passaggio dal proporzionale al maggioritario e con la introduzione dello sbarramento del 4%; ammetteva definitivamente la totale diffusione della televisione commerciale; e distruggeva la scuola e le università pubbliche ponendole al servizio dell’impresa, possibile, dicevamo, che in quegli stessi anni il legislatore abbia introdotto numerose leggi di “tutela del consumatore”, le quali, a differenza delle altre alle quali abbiamo accennato e di molte altre che avremmo potuto indicare (per un elenco più completo vedi qui), avrebbero riconosciuto diritti a quell’uomo-cittadino-lavoratore che invece era colpito, in tutti i modi possibili e immaginabili, nelle tasche, nella dignità, nella stabilità di vita, nelle prospettive di crescita e di mobilità sociale, dalle altre leggi, che chiamerei di spoliazione? Come si colloca la disciplina di tutela del consumatore all’interno di un’epoca di spoliazione?

Tre sono le ipotesi che è dato formulare e ovviamente è possibile che l’esame delle diverse discipline di tutela del consumatore riveli che ciascuna di esse trovi conferma in una o altra norma di legge.

La prima è che il legislatore abbia voluto indennizzare il cittadino della spoliazione che perseguiva. Il legislatore toglieva da un lato – in realtà da molti innumerevoli lati – e dava dall’altro, quello della tutela del consumatore, per compensare l’uomo, il cittadino e il lavoratore dei mille diritti, possibilità e prospettive perduti. La tutela del consumatore come indennizzo per la spoliazione, insomma.

La seconda è che si sia trattato di valium. La tutela del consumatore è soltanto un palliativo, un narcotico, che serve a dare un certo “benessere” al singolo mentre è spogliato di diritti e isolato dagli altri singoli individui, per effetto della immersione nell’immenso presente mediatico e della sollecitazione spasmodica dell’infantile e primordiale io desiderante, e così reso dimentico che il singolo individuo è o potrebbe essere parte di un popolo, con una storia tutta da costruire dinanzi a sé.

La terza ipotesi è la più dura da digerire e potrebbe davvero farci arrabbiare se, al momento della verifica, ci rendessimo conto che essa trova anche soltanto un parziale fondamento. La formulo con una domanda. E se si fosse trattato di un lubrificante, per non utilizzare un termine più specifico il cui uso è sconsigliabile perché allude inesorabilmente ad un tabù? Se fosse stato necessario questo lubrificante per penetrare nell’anima e nella mente dei cittadini e operare la definitiva manipolazione? Se la tutela del consumatore era un passaggio necessario o comunque utile per realizzare gli obiettivi ai quali miravano le leggi di spoliazione? Se vi fosse complementarità, e non compensazione, tra “tutela del consumatore” e “leggi di spoliazione”? Se soltanto l’uomo che si vede e si pensa come consumatore, che desidera essere tale e che non sa più nemmeno vedersi e pensarsi diversamente, poteva accettare la spoliazione di diritti, individuali e collettivi, di prospettive e tradizioni, nonché di essere sradicato da un popolo e da una storia e, quindi, sprovvisto di progetto?

In altri brevi articoli che seguiranno indagheremo se e in che misura le tre ipotesi trovino conferma nella variegata “disciplina di tutela del consumatore”.

Fonte: http://www.appelloalpopolo.it/

LA NUOVA UE E IL POVERO D'ALEMA

di Decio Siluro

Massimo D’Alema, e con lui tutta la dirigenza dell’ex Pci, ha fatto una fatica incredibile per diventare liberista e filo atlantico. Ha dovuto dimenticare tutti gli insegnamenti ricevuti alla scuola quadri delle Frattocchie; è andato in pellegrinaggio più volte negli Usa; da presidente del consiglio ha persino fatto bombardare la Serbia per dimostrarsi affidabile per la Nato; pare addirittura che quando guarda i vecchi film di Peppone e Don Camillo faccia ormai il tifo per il personaggio interpretato da Fernandel.

Tutto inutile. L’ambasciatore polacco presso l’Unione europea, Jan Tombinski, incontrando alcuni giornalisti ieri mattina a Bruxelles, riferendosi ai candidati per il posto di Alto rappresentante per la politica estera Ue, che, in base al Trattato di Lisbona, sarà anche vicepresidente della Commissione Europea e avrà un suo servizio diplomatico, ha espresso il “non gradimento” del blocco ex sovietico verso il povero D’Alema. Il motivo? Il suo passato comunista. In seguito è arrivata una più conciliante precisazione da parte della rappresentanza permanente della Polonia a Bruxelles, ma Tombinski era stato fin troppo chiaro: “sarebbe meglio avere una persona la cui autorità non potrebbe esser contestata a causa del suo passato".

In difesa di D’Alema è così dovuto intervenire Berlusconi che avrebbe chiamato le cancellerie europee per spiegare che quella dell’esponente del Pd “è una candidatura forte”. Il Cavaliere avrebbe sentito Nicolas Sarkozy e Angela Merkel, e avrebbe sondato anche altre cancellerie, come quella inglese e quella portoghese.
Ma come, si sarà chiesto D’Alema, Gianfranco Fini viene ormai ricevuto con tutti gli onori a Tel Aviv, dimenticando tutti il suo passato “fascista”, ed io devo ancora pagare i miei trascorsi nel Pci?
Una differenza però c’è e vogliamo rammentarla al povero D’Alema. Lui, comunista lo è stato veramente, Fini, fascista, non lo è stato mai, al massimo possiamo concedergli di aver in buona fede per un po’ creduto di esserlo, nulla di più.

Se fallisse il progetto di trasloco di D’Alema in Europa, lo ammettiamo, ci dispiacerebbe. Certo, le probabilità che l’esponente del Pd ricordi ancora gli insegnamenti ricevuti in gioventù sul senso dello Stato sono deboli, ma c’è sempre la speranza che possa ritrovare una traccia di quel suo passato che lo dovrebbe rendere avversario del capitalismo selvaggio, di quel modello che la cricca mondialista vorrebbe imporre all’Europa per annientarne ogni sua identità. Certo, non bisogna dimenticare che già a metà del secolo scorso il Pci divenne collaborazionista degli americani nell’invasione dell’Italia, ma comunque allora erano in corso altre strategie e lo scenario attuale è completamente differente. Ci preoccupa invece un D’Alema nominato ma bisognoso di dimostrare continuamente la sua atlanticità, sarebbe una iattura, per tuta l’Europa.

Fonte: Rinascita.info

5 novembre 2009

LA COMMISSIONE TRILATERALE DOMINA IL GOVERNO DI OBAMA


di Patrick Wood
TheAugustReview.com

Nei suoi primi dieci giorni, Barack Obama ha designato nella Commissione Trilaterale undici importanti membri chiave della sua amministrazione. Così introdusse una potente forza esterna nella leadership del suo governo, ma con un’agenda di base che piuttosto danneggia i cittadini USA.

Oltre a queste nomine, Obama ha portato alla Casa Bianca rilevanti membri della Commissione Trilaterale, come il suo consigliere principale in politica estera Zbigniew Brzezinski, co-fondatore della Commissione insieme a David Rockefeller.

La Commissione Trilaterale ha una grande responsabilità sullo stato attuale del mondo. Si è costituita nel 1973 come un centro mondiale di presunti pensatori che hanno progettato il giro multinazionale del capitalismo verso il cosiddetto neoliberismo, che è stato solo una radicalizzazione della destra neo-conservatrice, della concezione keynesiana più classica dell’economia, del ruolo dello Stato, l’intensificazione dello sfruttamento mondiale del lavoro e dell’egemonia militare mondiale dei paesi più ricchi del pianeta e delle loro corporazioni transnazionali.

La Trilaterale è una specie di grande partito politico mondiale di destra. Secondo il loro sito web, è stato formato da privati cittadini del Giappone, Europa (paesi dell’ UE) e Nord America (USA e Canada) per promuovere una collaborazione più stretta tra le aree industrializzate democratiche rilevanti del mondo [in opposizione al campo socialista di allora] e condividere responsabilità di gestione in un sistema internazionale più ampio.

Secondo la lista ufficiale, la Commissione Trilaterale è composta da 424 membri, ma solo 87 appartengono agli Stati Uniti e altri 337 provengono da altri paesi. Così, nelle sue prime due settimane, Obama ha nominato la quota di rappresentati governativi, che costituiscono il 12% della Trilateral, per esempio la nomina permanente di William Jefferson Clinton, il marito della segretaria di Stato Hillary Clinton. Le undici nomine di Obama sono ricadute sui seguenti personaggi:

Tim Geithner, Segretario del Tesoro
Susan Rice, Ambasciatrice nelle Nazioni Unite
General James L. Jones, Consigliere della Sicurezza Nazionale
Thomas Donilon, Consigliere Commissionato della Sicurezza Nazionale
Paul Volker, Presidente del Comitato di Recupero Economico
Almirante Dennis C. Blair, Direttore dell’ Intelligence Nazionale
Kurt M. Campbell, Segretario di Stato Ausiliare- Asia e Pacifico
James Steinberg, Commissionato della Segretaria di Stato
Richard Haass, Inviato Speciale del Dipartimento di Stato
Dennis Ross, Inviato Speciale del Dipartimento di Stato
Richard Holbrooke, Inviato Speciale del Dipartimento di Stato.

L’amministrazione di Obama e la Commissione Trilaterale hanno molti altri vincoli. Per fare un esempio, il gruppo informale dei consiglieri del Segretario del Tesoro Tim Geithner comprende i membri della Commissione E. Gerald Corrigan, banchiere, ex presidente della Federal Reserve; Paul Volker, ora a capo della ripresa economica di Obama; Alna Greenspan, l'ex capo della Federal Reserve e Peter G. Peterson, un importante banchiere e investitore.

Il primo lavoro di Geithner, dopo essere uscito dall’università, è stato al servizio di Henry Kissinger nell’ufficio di Kissinger Associates. Il trilateralist Brent Scowcroft, che da commerciante è diventato banchiere, è stato consigliere informale di Obama e mentore dell’attuale segretario della Difesa Robert Gates. Ed è anche membro della Commissione, Robert Zoelick, ex segretario del Commercio e attuale presidente della Banca Mondiale designato dall’ amministrazione George W. Bush.

Il sito web afferma “Il corpo dei mebri della Commissione Trilaterale è composto di circa 400 capi distinti nel mondo degli affari, mass media, accademia, servizio pubblico (escludendo ministri di gabinetto nazionali attuali), sindacati e altre organizzazioni non governative delle tre regioni. I presidenti regionali, vicepresidenti e direttori costituiscono la direzione della Commissione Trilaterale, insieme ad un comitato Esecutivo che include circa altri 40 membri”.

Dal 1973, la Commissione Trilaterale si riunisce regolarmente in sessioni plenarie per discutere manifesti politici sviluppati dai loro membri. Le politiche si dibattono fino a raggiungere i consensi. I rispettivi membri ritornano ai loro paesi per l'attuazione delle politiche concordate con coerenza in questi consensi. Lo scopo originale della Commissione Trilaterale è stato la creazione di un “Nuovo Ordine Economico Internazionale” (cioè, la conosciuta globalizzazione). La sua dichiarazione attuale fortifica l’incentivo di una “collaborazione più stretta tra queste aree industrializzate democratiche dominanti del mondo con responsabilità condivise nella direzione di un sistema internazionale più ampio”.

Dal periodo dell’ amministrazione di Carter, i menbri della Commissione Trilaterale hanno portato a termine queste posizioni influenti da postazioni chiave controllati dal governo degli USA: sei degli ultimi otto presidenti della Banca Mondiale; i presidenti ed i vicepresidenti degli Stati Uniti (ad eccezione di Obama e Biden); più la metà di tutti i segretari di Stato degli Stati Uniti, e tre quarti dei segretari della Difesa.

Durante il triennio 2009-2012, l’agenda della Commissione sarà guidata da due grandi convinzioni. Primo, la Commissione Trilaterale continuerà ad essere più importante che mai per preservare la direzione condivisa dei paesi ricchi in un sistema internazionale più ampio. Secondo, la Commissione “amplierà il suo raggio d'azione per riflettere i cambiamenti più ampi nel mondo”. In questo modo, il Gruppo Giapponese è diventato il Gruppo Asia Pacifico, che include a membri della Cina e dell’ India, ed ha aggiunto membri messicani al Gruppo Nordamerica (Canada e USA). Il Gruppo Europeo continua ad allargarsi conforme all’ampliamento dell’ UE.

Aggiornamento di Patrick Word (di August Review.Com)

Il concetto di "indebito condizionamento" si presenta considerando il numero di membri della Commissione Trilaterale in alte cariche dell’amministrazione di Obama. Hanno il controllo delle nostre più urgenti esigenze nazionali: crisi finanziaria ed economica, sicurezza nazionale e politica estera.
Il conflitto d’ interessi risulta palese. Con il 75 % dei membri non statunitensi nella Trilaterale, quale influenza ha questa stragrande maggioranza sul 25 % restante?

Ad esempio, quando la Chrysler ha messo il suo fallimento sotto la protezione e il controllo dell’amministrazione di Obama, rapidamente si è deciso che il costruttore italiano delle macchine FIAT, avrebbe preso il controllo di quella compagnia. La persona nominata per l'accordo è stato il segretario al Tesoro e il ministro delle Finanze Timothy Geithner, membro della Commissione Trilaterale. Vi sorprenderebbe sapere che il presidente della Fiat, Luca di Montezemolo è anche lui un membro? Il Congresso avrebbe dovuto fermare questo accordo nel momento in cui fu suggerito.

Molti membri europei della Commissione Trilaterale sono anche massimi dirigenti dell' Unione Europea. Quale oscillazione politica ed economica hanno attraverso la loro contropartita statunitense?

Se in qualche sondaggio venisse chiesto, la maggioranza degli statunitensi direbbero che le aziende degli Stati Uniti sono le loro e che devono rimanere chiuse all’interferenza di stranieri che non abbiano agende statunitensi. Ma la maggior parte degli statunitensi non hanno la minima idea di cosa sia la Commissione Trilaterale, meno ancora dell’enorme potere che ha usurpato da quando nel 1976, Jim Carter, che fu il primo membro della Trilaterale e che poi venne eletto presidente.

Alla luce dell’attuale crisi finanziaria senza precedenti i trilaterali sarebbero inorriditi se avessero letto la dichiarazione di Zbigniew Brzezinski (co-fondatore della Commissione con David Rockefeller) impressa nel suo libro del 1971 “Tra due età: il ruolo degli Stati Uniti nell’era tecnotronica” che dice così:

“La Nazione-Stato come unità fondamentale della vita dell'uomo organizzata ha cessato di essere la principale forza creativa: Le banche internazionali e le corporazioni transnazionali sono 'ora' attori e pianificatori nei termini in cui un tempo erano attribuiti i concetti politici di stato-nazione” . (Cioè, ha inviato alla alla sala giochi in disuso i concetti basici di stato-nazione, sovranità delle nazioni e ruolo dello Stato nella società, per promuovere un mondo governato dalle banche e dalle corporazioni transnazionali).

Questo è quello che veramente sta succedendo. Le banche e le corporazioni globali sono circoli che stringono intorno alla nazione–stato, includendo gli Stati Uniti. Non hanno nessun rispetto per il giusto processo, il Congresso o la volontà popolare.

Perché hanno mantenuto gli statunitensi all’oscuro di un argomento così grande che scuote il nostro paese alla sua stessa base? La Trilaterale controlla i grandi media.

La risposta è semplice: La principale leadership dei grandi mass media d’informazione sono saturi di membri della Commissione Trilaterale, che sopprimono selettivamente le notizie che devono essere coperte, per esempio:

David Bradley, presidente dell’ Atlantic Media Company
Karen Elliot House, ex vicepresidente senior di Dow Jones & Company, ed editrice di “The Wall Street Jorunal”, proprietà di Rupert Murdoch
Richard Pleper, copresidente dell’ HBO
Charlie Rose, di PBS, Servizio Pubblico di Radio e TV degli USA
Fareed Zakaria, redattore di “Newsweek”
Mortimer Zuckerman, presidente di “U.S. News & World Reports”.

Esistono molte altre connessioni con il livello superiore dei mass-media originate dai membri o partecipanti nelle direzioni corporative e la proprietà azionaria comune. Per maggiori informazioni, consultare il libro pubblicato originalmente nel 1978 da questo scrittore, “Trilaterals Over Washngton”, che è disponibile in lingua inglese in pdf e senza nessun costo su www.AugustReview.com. In questo sito ci sono molti lavori che analizzano diversi aspetti dell’egemonia della Commissione Trilaterale negli Stati Uniti e in altre parti del mondo, dato che fu fondata nel 1973.

Fonte: http://www.argenpress.info/2009/10/proyecto-censurado-la-comision.html

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di Vanesa

VACCINI & MICROCHIP, IL PIANO ERA GIA' STATO RIVELATO 20 ANNI FA...


Notizia tratta dal sito http://ronpaul.blog.de attraverso la traduzione del sito theflucase.com.

Il quotidiano britannico "The Sun" nella sua edizione del 1 agosto 1989 (vedi foto qui in alto, cliccare su di essa per vederla ingrandita) recava una profetica notizia. Sotto il titolo "Il Grande Fratello sta arrivando - Rivelato piano segreto per etichettare ogni uomo, donna e bambino" venivano rivelati i piani segreti del governo per impiantare microchip in ogni persona allo scopo di ottenere il controllo totale della popolazione, anche con il pretesto di una pandemia di influenza suina.

L'articolo potrebbe essere stato scritto oggi, dal momento che i governi si preparano a realizzare una campagna di vaccinazione di massa per l'influenza suina con dei vaccini non testati e tossici, mentre molte fonti riferiscono che ci saranno dei nanochip nelle siringhe che verranno utilizzate per le iniezioni di tali vaccini.

Ovviamente molti medici che parteciperanno volontariamente a tale operazione criminale saranno probabilmente convinti dai loro mandanti che i nanochip (versione ancora più miniaturizzata dei pericolosi microchip già attualmente in uso) servono per monitorare il diffondersi dell'epidemia onde combatterla meglio. Come infatti già segnalato nel mio "profetico" articolo su microchip e vaccini l'azienda VeryChip ha realizzato un cosiddetto chip "anti-pandemia" che potrebbe essere utilizzato come foglia di fico per coprire la vergognosa operazione.

Fonte:
http://scienzamarcia.blogspot.com/

4 novembre 2009

Il "GOVERNO MONDIALE" di George Soros


di Alfredo Jalife

Dal suo letto di Procuste mentali, Soros desidera imporre un nuovo ordine globale di taglio finanziario quando il mondo vola verso l’economia politica e/o finanziaria regolate e addomesticate dall’alta politica.

Antecedenti: due mesi dopo il fallimento della banca Lehman Brothers, che ha fatto precipitare la crisi finanziaria globale, Gideon Rachman- molto vicino ad Israele e ai circoli finanziari della City, e colonnista del Financial Times- pontificò i supposti benefici per l'installazione di un "governo mondiale" (9-12-2008), inquietante idea che i suoi apologisti critici negavano in modo fariseo come una paranoica “teoria della cospirazione”.

"IL PEGGIO DELLA CRISI STA PER ARRIVARE"


di Raùl Dellatorre

“Credete che arriva il crollo del sistema capitalista? Non vi dimenticate che ci sono esperti in demolizioni”. La frase è lapidaria. La sua intenzione? Mettere in guardia circa i rischi di illudersi su quello che la crisi del capitalismo soffre, quando è questo il centro del potere, gli Stati Uniti, che continuano a gestire i tempi e le risposte globali alla crisi. Una crisi autogestita? Non tanto, ma neanche così lontano. Il suo autore? Pedro Paez Perez, l’economista che il presidente ecuadoriano, Rafael Correa, ha messo al fronte della costruzione della proposta di una Nuova Architettura per l’ America Latina, il cui primo pilastro sarà la Banca del Sud.

Paez Perez è passato da Buenos Aires per partecipare ad un colloquio organizzato dal Cefid.Ar (il centro di studi formato dalla banca pubblica e cooperativa). Questo giornalista ha avuto l' opportunità di partecipare ad un profondo scambio di idee con economisti locali nella sede di Clacso di questa capitale, un giorno dopo in un’intervista per Visiòn Siete (la televisione pubblica) e, nel mezzo, parla “mano a mano” con questo specialista. Dalla sua personalità si sottolinea l’audacia delle sue proposte e la ferma convinzione “militante” con la quale si assume la ristrutturazione del sistema finanziario e il reinserimento strategico dell'America Latina nel mondo. Quello che segue è una parte dei suoi questionamenti.

Perché crede che la crisi internazionale non ha ancora attraversato il suo momento peggiore?

La storia che “il peggio della crisi è passata” sembra essere prodotto di un ipnotismo sincronizzato dei politici, mass media e alcuni governi. E’ molto pericoloso illudersi che sia già superata, perché quello che è stato fatto fin qui, come misure correttive, non ha fatto altro che aggravare le condizioni che hanno prodotto la crisi. I miliardi di miliardi di dollari che i governi centrali hanno trasferito al settore privato non sono stati la creazione di nuovi posti di lavoro, ma di speculazione. Vediamo salire la Borsa senza nessun senso, il petrolio soffre salti spettacolari per poi crollare. I fondi d’investimento si sono rafforzati. Non c’è relazione tra quello che succede in quei mercati e l’economia reale. Nè i cambiamenti dei costi, nè la scarsità o l’eccesso della domanda o dell’offerta, nè le prospettive di crescita giustificano tali movimenti. Si stanno formando nuove bolle e adesso possono colpire principalmente l’ America Latina.

Perché l’avvertimento in modo particolare per questa regione?

Per la sua dipendenza dalle risorse primarie e del prezzo internazionale. Per la sua vulnerabilità ai movimenti speculativi di capitali. Seguite con attenzione quello che sta succedendo in alcune borse della regione. Inoltre, per la sua dipendenza monetaria. Di fronte all’indebolimento del dollaro, chi esce a sostenerlo? Le banche centrali dei paesi della regione. Gli Stati Uniti raccolgono i benefici di emissione illimitata e non hanno nemmeno bisogno di fare lo sforzo di difendere il valore della loro moneta. Ci sono pochi studi fatti sull’utilizzo della moneta come strumento di dominio. E, nonostante questo, lo svolgimento di questa crisi potrebbe essere il fattore fondamentale. Chi ha maggiore capacità di emissione è in vantaggio.

Tuttavia, spesso s' interpreta l’egemonia del dollaro mettendola in discussione perchè potrebbe essere il tallone d’ Achille degli USA come economia dominante.

C’è anche chi dice che “la crisi dell’impero è terminale” ( ride). Quando mi chiedono se arriva il cataclisma, la caduta del sistema, dico di non dimenticare che ci sono anche esperti in demolizione, capaci di controllare i detonanti, dove e quando causare il danno e, la cosa più importante, sanno cosa fare sulle macerie. Gli Stati Uniti stanno transitando la crisi amministrandola. Decidono di salvare alcuni invece di altri. Perché sono crollate le banche di investimento Lehman Brothers e Bear Stearns prima che apparissero i piani di salvataggio? Erano i nomi più emblematici del sistema finanziario statunitense, e nonostante questo li lasciano cadere perché sono quelli che avrebbero colpito la Germania e la Francia, per coinvolgerli nei costi della crisi. Quale reazione hanno avuto questi due paesi? Si sono indignati con gli USA e li hanno incolpati di tutti i loro mali. Però, a dicembre (2008), alla riunione dei 20 negli Stati Uniti sono arrivati “mansueti”. Cosa è sorto da quella riunione? Più regolazioni al sistema finanziario, ma nelle mani degli Stati Uniti e gli organismi che controlla, la Banca Mondiale e l’ FMI. Cioè hanno concentrato ancora di più la capacità di regolamentare l'economia globale. Fanno la politica e trasferiscono i costi al resto del mondo. E questo è quello che sta per arrivare. Il peggio deve ancora accadere. E’ una storiella che la crisi l’hanno loro, per il Terzo Mondo i rischi sono molto superiori.

Lei dice che il tema monetario è la chiave. Cosa significa questo per l’America Latina?

Che ora è più urgente che mai avere una struttura finanziaria completa, che costruisce le basi per un nuovo tipo di sovranità. Un' organizzazione sovranazionale che pensi alla Grande Patria latino-americana, inserendo temi che non c’erano, fino ad adesso, nè nell’agenda dell’accademia nè dei movimenti sociali, nè dei politici, come la sovranità monetaria e finanziaria. Continuare ad essere legati al FMI e agli organismi tradizionali vuol dire continuare ad essere contaminati dal Consenso di Washington, il “dogma” del neoliberismo. La prossima tappa della crisi sarà molto aggressiva con America Latina. Le condizioni che si stanno generando ci conducono alla barbarie. Dobbiamo creare le condizioni per blindare le nostre economie, e difendere la produzione ed il lavoro. Non sto neanche parlando del socialismo del XXI secolo. Dico che è imprescindibile trovare gli strumenti per affrontare le condizioni di questo capitalismo del XXI secolo.

La Banca del Sud è questo strumento?

Non solo la Banca del Sud, che sarà una Banca di sviluppo con altri tipi di priorità: la sovranità alimentare ed energetica, il finanziamento dell’economia popolare, dell’ infrastruttura che integri i popoli. Che promuove una base critica di ricerca in scienze e tecnologia, da cui partire per rinegoziare il ruolo della regione nella divisione internazionale del lavoro. Siamo ottimisti sul fatto che alla fine del 2010 possa funzionare. Ma è anche necessario avere un fondo di stabilizzazione sovrana, un Fondo del Sud, ed una moneta regionale. Sono i tre pilastri della nuova architettura finanziaria. Una proposta modulare, ma con la sovranità monetaria come elemento chiave.

Fonte: http://www.pagina12.com.ar/diario/economia/2-134488-2009-11-01.html

Tradotto pr Voci Dalla Strada da Vanesa
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