Nel sistema educativo sembra non esserci più cittadinanza per la pace. Quella vera, disarmata e giusta. Nessuna intenzione di riflettere sul ruolo della Sicilia negli scenari di guerra planetari, sull’iperdronizzazione di Sigonella o sul MUOStro di Niscemi. Da Messina a Trapani, Catania o Comiso, “militari Usa brava gente”. E l’inno dei sommergibilisti prende piede. Sembrava avessimo chiuso con la retorica colonial-fascista-razzista e subito ci si imbarca nel sommergibile, pattugliatore o nave o velivolo da guerra con istruttori del 60° Stormo. Non mancano esercitazioni e addestramenti. Si osservano i droni militari. Torna prepotente il mito del supereroe combattente. Musica e propaganda bellica, scuola e forze armate: binomi utili e perfetti da replicare ovunque con la compiacenza di generali e ammiragli, presidi e docenti. Si aspettano tempi migliori per l’educazione alla pace.
10 giugno 2017, base militare della Marina militare di Terravecchia, Augusta, sede del Comando Marittimo Sicilia. Nel salone-teatro si esibiscono, uno dopo l’altro, i cori degli istituti scolastici di una delle cittadine più militarizzate d’Italia.
Una storia dell’occupazione israeliana in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza analizza quali meccanismi militari vengono usati per controllare le vite dei palestinesi.
La guerra dei Sei Giorni del 1967 tra Israele e gli eserciti arabi ha portato all’occupazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.
Israele ha spacciato la storia di questa guerra come se fosse stata accidentale. Ma nuovi documenti storici e verbali d’archivio dimostrano che Israele l’aspettava da tempo.
Nel 1963 elementi dell’amministrazione militare, legale e civile israeliana frequentarono un corso presso l’università ebraica di Gerusalemme per stendere un piano complessivo per gestire i territori che Israele avrebbe occupato quattro anni dopo e per controllare un milione e mezzo di palestinesi che ci vivevano.
La ragione stava nella fallimentare gestione israeliana dei palestinesi a Gaza durante la breve occupazione nel periodo della crisi di Suez del 1956 [in cui l’esercito israeliano, affiancando inglesi e francesi, combatté contro l’Egitto di Nasser, che aveva nazionalizzato il canale, ndt.].
Per circa due decenni gli USA hanno tenuto una lista di nazioni nemiche da affrontare, attaccare, indebolire e rovesciare. Lo sforzo imperialista di rovesciare i paesi nemici è stata operativa a diversi livelli di intensità, in dipendenza da due considerazioni: il livello di priorità e il grado di vulnerabilità per un'operazione di "cambio di regime".I criteri per qualificare un "paese nemico" e la sua posizione nella lista degli obiettivi prioritari nell'impegno degli USA per un maggior dominio globale, così come la sua vulnerabilità ad una vittoriosa operazione di cambio di regime saranno l'argomento di questo saggio. Concluderemo discutendo le prospettive realistiche per le future opzioni imperialiste.
La priorità dei nemici degli USA
Gli strateghi dell'imperialismo considerano criteri politici, economici e militari nell'identificare i nemici ad alta priorità. I paesi che seguono sono a priorità alta nella lista dei nemici:
I governanti europei - dalla rappresentante esteri dell'Unione europea Federica Mogherini, al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, dal presidente francese Macron alla cancelliera Merkel - hanno preso formalmente le distanze dagli Stati uniti e da Israele sullo status di Gerusalemme. Si sta creando una frattura tra gli alleati? I fatti mostrano il contrario.
Poco prima della decisione di Trump su Gerusalemme capitale di Israele, quando già essa era preannunciata, si è svolta la Blue Flag 2017, la più grande esercitazione internazionale di guerra aerea nella storia di Israele. Alla quale hanno partecipato Stati uniti, Italia, Grecia e Polonia e, per la prima volta alla terza edizione, Francia, Germania e India.
In un recente articolo sul suo blog, Paul Craig Roberts torna a parlare dell’America e del progetto del Deep State, il complesso militare e della sicurezza, di riedificare una nuova, irresponsabile e pericolosissima Guerra Fredda con la Russia, che potrebbe terminare in una guerra nucleare. Tutto questo con il consapevole appoggio dei media prezzolati e col presidente Trump che, sotto scacco per la montatura del Russiagate, si è rimangiato tutte le sue promesse elettorali di normalizzare i rapporti con la Russia e si è ridotto ad un burattino, utile esempio per i futuri candidati alla presidenza, perchè capiscano chi controlla veramente Washington, ed evitino di appellarsi al popolo. L’ostilità orchestrata verso Russia, Cina, Iran e Corea del Nord protegge il budget annuale di 1.000 miliardi di dollari del complesso militare/della sicurezza, convincendo l’opinione pubblica americana che gli Stati Uniti sono minacciati da nemici. Mantiene anche vive le speranze del Partito Democratico che Trump possa essere rimosso dal suo incarico, e ha impedito al presidente Trump di normalizzare le relazioni con la Russia.
Nino Galloni, economista, per molti anni direttore generale del Ministero del Lavoro, torna nuovamente su Byoblu.com, nel servizio di Eugenio Miccoli.
Nino, secondo Roberto Napoletano, ex direttore del Messaggero e del Sole 24 Ore: “La Francia ha un disegno di conquista strategico e militare sull’Italia: indebolirne le banche, prenderne i gioielli, conquistare il Nord e ridurre il sud a una grande tendopoli“. (Corriere della Sera, 4.12.2017 p.10). Cosa ne pensi?
Dovete ricordarvi che establishment è soltanto un nome che definisce il male. Al mostro non importa se uccide tutti gli studenti o se c’è una rivoluzione. Non pensa inseguendo una logica, è fuori controllo. – John Lennon (1969) La resistenza militante non violenta funziona. Le proteste pacifiche, prolungate funzionano. I movimenti di massa con un enorme numero di partecipanti funzionano. Sì, America, è possibile usare le occupazioni e la disobbedienza civile per opporsi alle politiche governative e causare un cambiamento al di fuori dei confini dell’urna elettorale. E’ stato fatto prima. Può essere fatto di nuovo. Per esempio, nel maggio del 1932, più di 43.000 persone, dette Bonus Army, cioè i reduci della I Guerra mondiale e le loro famiglie, dimostrarono a Washington. Disoccupati, indigenti e con famiglie a cui dar da mangiare, più di 10.000 reduci hanno preparato delle tendopoli nella capitale della nazione, rifiutandosi di andarsene fino a quando il governo non accettava di pagare loro i titoli di stato gratuiti come ricompensa per i loro servizi.
L’eliminazione definitiva dell’Isis in Iraq ed in Siria è vicina, ma, benché possa essere la sconfitta di questi mostruosi movimenti, è stata raggiunta solo a costo di grandi distruzioni e perdite di vite umane. Questa è la nuova faccia della guerra che i governi cercano di nascondere: un numero limitato di truppe da combattimento a terra chiama devastanti attacchi aerei compiuti dagli aeroplani, dai missili e dai droni, siano essi americani o russi, per spianare la strada alla loro avanzata. Di Patrick Cockburn I governi fingono che le guerre aeree oggi siano molto diverse dal Vietnam mezzo secolo fa quando le città erano notoriamente “distrutte per poter essere salvate”. In questi giorni le forze aeree – siano gli americani in Iraq, i russi in Siria od i sauditi in Yemen – affermano che queste distruzioni di massa non avvengono più grazie alla maggiore precisione delle loro armi: usando un singolo cecchino, una stanza in una casa può presumibilmente essere colpita senza danneggiare una famiglia che si accovaccia terrorizzata nella stanza accanto.
La vendita di armi di alta precisione molto costose a paesi come l’Arabia Saudita è persino giustificata come misura umanitaria volta a ridurre le vittime civili.
Abbiamo parlato con Antom Santos, un militante nei movimenti popolari ed ex prigioniero galiziano indipendentista.
Antom Santos
Tra novembre e dicembre del 2011, un'operazione di polizia condotta in Galizia si è conclusa con diversi attivisti indipendentisti imprigionati e accusati di appartenenza alla Resistenza Galiziana.Tra i detenuti c'era Antom Santos, con il quale abbiamo parlato dell'esistenza di prigionieri politici in Spagna, del processo di indipendenza che vive la Catalogna, dell'irruzione di Podemos nella sinistra e del progetto dell'indipendentismo galiziano.In un contesto in cui si inizia a mettere in discussione la repressione politica nello Stato spagnolo, abbiamo ritenuto necessario ascoltare la voce di un militante indipendentista, che ha trascorso cinque anni della sua vita in prigione a causa del suo progetto per la Galiza. Ci sono prigionieri politici nello Stato spagnolo? Si, ci sono prigionieri politici nello Stato spagnolo.Ci sono stati durante tutto il franchismo, ci sono stati durante la Transizione o la riforma politica e quella realtà arriva fino ai nostri giorni.
Matteuccio nostro lo ha impostato come slogan della nuova Leopolda. «Termineremo la giornata lottando contro le fake news. Il New York Times ha pubblicato un pezzo su quello che sta avvenendo in Italia: sono state oscurate pagine con sette milioni di like che spargono veleno e falsità contro di noi».
In realtà un’accozzaglia elettoralmente utile di siti e profili che avrebbero sparso notizie e immagini false sul Pd. L’articolo, naturalmente non è solo farina del sacco del NYT, ma è stato suggerito da un fantomatico «Rapporto», redatto indovinate da chi? Ma da Andrea Stroppa, fondatore di Ghost Data e consigliere di Renzi per la Cybersicurezza.
Ricorderete che questa estate non passava giorno che i giornali non ci informassero della devastante situazione in Venezuela – crisi economica, proteste violente, atti terroristici, centinaia di morti - sicura anticamera del rovesciamento del governo bolivariano di Nicolàs Maduro, il peggior “dittatore” al mondo (Eduardo Galeano, il grande scrittore uruguaiano, ricordava la stranezza di questa “dittatura”: elezioni ogni anno, questa è la 22°, e riconoscimento delle sconfitte quando sono avvenute).
Sono stati 120 giorni (da aprile a giugno) di brutale offensiva, una guerra fatta di terroristi perfettamente addestrati ed equipaggiati – stile truppe speciali statunitensi - paramilitari, uso di tecnologie di ultima generazione ed impiego di propaganda che ha visto la stampa globalizzata trasformata anch’essa in un esercito mediatico che combatteva la guerra psicologica. Questa è andata ad aggiungersi alla guerra economico-finanziaria – fatta di accaparramento e scarsità di generi alimentari e medicine organizzata da 20 multinazionali dei settori.
Mentre nel nostro paese qualche sciocco se la prende con gli scioperi dei dipendenti di Amazon in Italia, gli Stati Uniti ci mostrano qual è il destino di questi lavoratori: una vita da nomadi sottopagati alla mercé delle esigenze delle multinazionali. Mentre una ristrettissima classe privilegiata diventa sempre più ricca, i componenti di quella che una volta era la classe media sono costretti a rinunciare, un pezzo alla volta, alla possibilità di vivere dignitosamente. Milioni di americani lottano con l’impossibilità di sostenere un normale stile di vita da classe media. In tante case nel Paese il tavolo di cucina è sommerso dalle bollette da pagare. Nella notte le luci restano accese fino a tardi. I conti vengono fatti e rifatti, sempre gli stessi, fino all’esaurimento e alcune volte alle lacrime.
Papa Francesco ha perduto l’occasione storica di stabilire la sua eredità separata da quella degli altri papi. Ahimè, anche per lui la convenienza politica ha superato tutto il resto. Nella sua visita in Birmania (Myanmar) il 27 novembre 2017, ha evitato di usare la parola ‘Rohingya.’
Ma che cosa c’è in un nome?
Nei nostri frenetici tentativi di comprendere ed esprimere la brutta situazione della minoranza musulmana dei Rohingya in Birmania, spesso, forse senza accorgercene, ignoriamo il nocciolo della questione: la lotta dei Rohingya è, essenzialmente una lotta per l’identità.
Lo sbruffone che occupa la Casa Bianca colpisce ancora: ha appena annunciato che riconoscerà Gerusalemme come capitale di Israele. Le reazioni non si sono fatte attendere, da Ramallah a Gaza, da Amman a Jendouba (Tunisia). Come per magia, gli “Arabi” si sono risvegliati. Gli Arabi, da un secolo non smettono di svegliarsi, per poi riaddormentarsi, nell’attesa della prossima occasione per risvegliarsi. Immaginate: la Lega araba forse terrà una “riunione straordinaria” sabato o domenica. Staremo a vedere.
Capitale mondiale dei droni da guerra, base avanzata per le forze speciali e di pronto intervento USA e NATO e, da oggi, anche centro strategico per i programmi di supremazia nucleare planetaria delle forze armate degli Stati Uniti d’America. Segretamente, senza che mai il governo italiano abbia ritenuto doveroso informare il Parlamento e l’opinione pubblica, sta per entrare in funzione nella grande stazione siciliana di Sigonella la Joint Tactical Ground Station (JTAGS), la stazione di ricezione e trasmissione satellitare del sistema di “pronto allarme” USA per l’identificazione dei lanci di missili balistici con testate nucleari, chimiche, biologiche o convenzionali. Una specie di “scudo protettivo” tutt’altro che difensivo: i moderni dottor Stranamore del Pentagono puntano infatti al controllo “preventivo” di ogni eventuale operazione missilistica nemica per poter scatenare il “primo colpo” nucleare evitando qualsiasi ritorsione da parte dell’avversario e dunque i limiti-pericoli della cosiddetta “Mutua distruzione assicurata” che sino ad ora ha impedito l’olocausto nucleare.
«Non è un caso, è un metodo. Con un pretesto, le “fake news”, e uno scopo finale: mettere a tacere le voci davvero libere». Marcello Foa avverte: stanno ingabbiando la libertà sul web. Negli Usa, dopo la vittoria di Trump, è partita una massiccia campagna «ispirata dagli ambienti legati al partito democratico con l’entusiastico consenso di quello repubblicano», consapevoli che la prima, grande e inaspettata sconfitta dell’establishment «non sarebbe avvenuta senza la spinta decisiva dell’informazione non mainstream». A seguire, un coro: la Germania in primis, ma anche la Gran Bretagna del post-Brexit e, ovviamente, l’Italia del post-referendum. «Sia chiaro: il problema delle “fake news” esiste, soprattutto quando a diffonderle sono società o singoli a fini di lucro», o quando le false notizie vengono usate dagli “haters”, gli odiatori, «ovviamente senza mai esporsi in prima persona». E’ un fatto: «Bisogna avere il coraggio di mettere la faccia», l’anonimato non è democrazia. Ma le proposte finora avanzate, tutte su iniziativa del Pd, tendono invece a delegare il giudizio a organismi extragiudiziali, talvolta anche extraterritoriali, con «l’intenzione di colpire arbitrariamente le parole e dunque, facilmente, anche le idee».
Un divieto israeliano contro le greggi di capre nere – con il pretesto che causano danni all’ambiente – sta per essere revocato dopo quasi sette decenni di vigore che hanno decimato le tradizioni pastorizie delle comunità palestinesi.
Il governo israeliano pare aver finalmente ammesso che, in un’era di cambiamento climatico, la minaccia di incendi dei boschi alle comunità israeliane sta rapidamente crescendo in assenza delle capre. Le capre tradizionalmente ripulivano il sottobosco, diventato una polveriera mentre gli israeliani sperimentano siccità estive sempre più lunghe e più calde. Esattamente un anno fa Israele è stato colpito da più di 1.500 incendi che hanno causato vasti danni.
La storia della docile capra nera, che è stata quasi eliminata da Israele, non è semplicemente una storia di conseguenze involontarie. Serve da parabola delle illusioni e dell’autodistruttività di un sionismo piegato a cancellare i palestinesi e a creare una fetta d’Europa nel Medio Oriente.
Un tavolo era apparecchiato per due, era un tavolo per fare pubblicità, un tavolo una foto di un tacchino enorme, due piatti eleganti e una bandierina americana che spuntava fuori.
“Festa del Ringraziamento al Café Royal di Angkor”, si leggeva su un volantino. E: “23 novembre, unitevi a noi per il tradizionale banchetto del Ringraziamento”.
Questo era in uno degli alberghi internazionali a Siem Reap, una città cambogiana vicino ai tesori architettonici di Angkor Wat e all’antica capitale Khmer, Angkor Thom.
Lo stesso giorno ho letto una mail inviatami dagli Stati Uniti dai miei amici Americani Nativi, dove c’era un link a un saggio pubblicato da MPN News, che si chiama: “Guida al Giorno del Ringraziamento: come festeggiare una storia indecente”. Cominciava con una sintesi:
Il principale stratega azionario di Goldman, David Kostin, aveva recentemente previsto tre anni di mercato in rialzo da “esuberanza razionale“, alzando il target di riferimento per il 2018 dell’indice S&P da 2.500 a 2.850 fino a raggiungere 3.100 nel 2020, e aveva affermato che, qualora l’esuberanza fosse diventata “irrazionale”, il prezzo base S&P sarebbe potuto arrivare fino a 5.300 entro la fine del 2020. Una settimana dopo Christian Mueller-Glissmann, un altro stratega Goldman, ha deciso che fosse invece meglio vestire i panni del poliziotto cattivo e prepararsi ad ogni evenienza. Così, in un rapporto pubblicato martedì scorso e intitolato “The Balanced Bear – Part 1: Low(er) returns and latent drawdown risk” [L’orso equilibrato – Parte 1: Rendimenti (più) bassi e potenziali rischi di declino, ndt] questo tipico rappresentante della Goldman, ora improvvisamente divenuto ribassista, avverte che, nel medio periodo, si profilano due possibili scenari:
La presunta superiorità tedesca cade anche su un altro tema: le politiche per il clima. Nonostante la Merkel tenti di ergersi a paladina delle politiche ambientali, le sue azioni di governo contraddittorie e ballerine su nucleare e carbone, unite allo sproporzionato peso dell’industria manifatturiera tedesca, condannano la Germania ad essere una delle nazioni più inquinanti del pianeta, con tendenza al peggioramento. Non esiste differenza tra le sue politiche e quelle di Trump, salvo il fatto che l’americano è più sincero a riguardo. Chi ha fatto peggio in tema di ambiente, il Presidente Trump o la Cancelliera tedesca Angela Merkel? Cerchiamo di chiarirlo. Le dichiarazioni di Trump e i suoi risultati Lo scorso 19 settembre, mentre si diceva che Trump avrebbe potuto invertire la rotta riguardo i cambiamenti climatici, la CNBC ha riferito che Trump intende sempre ritirarsi dagli Accordi di Parigi.