Guardata in una prospettiva strategica e realista, il summit dell' UNASUR in Argentina, può considerarsi (senza dubbio) una farsa politica: I 12 paesi che si sono riuniti con una posizione critica verso la “militarizzazione USA” della Colombia, sono membri attivi del dispositivo di controllo militare statunitense della regione attraverso Il loro inserimento organico nella guerra contro “il narcoterrorismo”, spinto e coordinato dal Comando Sud degli Stati Uniti.
diManuel Freytas
Riassumendo, i paesi dell’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR) che denunciano la presenza militare degli Stati Uniti in Colombia come un fuoco di “ conflitto regionale”, hanno i loro eserciti, poliziotti e servizi dell’Intelligence integrati ( a livello operativo e strategico) all’ipotesi della “guerra controterrorista” con la quale gli Stati Uniti giustificano la loro azione militare nella regione. La strategia USA del controllo economico, politico e sociale dell’America Latina, si complementa con la struttura operativa di controllo militare nel quale si inseriscono – come dei satelliti- i governi, le forze armate e la polizia di tutta la regione che opera sotto l’azione coordinata dei piani degli Stati Uniti per l’America Latina. Tutti gli eserciti e la polizia locale, senza eccezioni (tranne Cuba), si allineano attualmente alle tre grandi ipotesi di conflitto disegnati dal Comando Sud per tutta la regione: La Guerra contro il Terrorismo, guerra contro le “droghe” e guerra contro il “crimine organizzato”. Per quanto riguarda l’aspetto politico, i governi dell’UNASUR (sia di sinistra che di destra) si reggono su due principi dottrinali basici stabiliti dal Dipartimento di Stato USA nella regione: 1) difesa serrata del “sistema democratico” come quadro di regolamentazione politica e sociale a livello regionale 2) Programmi di lotta contro il “terrorismo”, il “narcotraffico” e il “crimine organizzato”, attraverso convegni di cooperazione sottoscritti con Washington.
C’è un esempio più recente: martedì scorso, il Governo dell’Ecuador ( presidiato dall’antimperialista Rafael Correa) e gli Stati Uniti hanno sottoscritto a Quito, vari accordi di cooperazione per la lotta contro il narcotraffico, il crimine organizzato ed il delitto transnazionale, come ha informato la stessa cancelleria dell’Ecuador. Incredibilmente (e rilevando un doppio discorso politico) questi strumenti di cooperazione si sottoscrivono in un momento nel quale gli USA mettono a punto la creazione definitiva ( richiesta con esigenza dal governo di Correa) di una base militare di vigilanza antinarcotici (FOL, la sua sigla in inglese) che si manteneva da 10 anni nella città di Manta. Le nuove ipotesi di un conflitto regionale e le coordinate di controllo- militare- strategico si tracciano a partire della strategia globale della “guerra contro il terrorismo”, che sostituisce nella logica dottrinaria imperiale la “guerra al comunismo” degli anni 70 e dell’era di Reagan in LatinoAmerica.
Con questi presupposti, il Comando Sud attraverso la sua Strategia di Sicurezza e Cooperazione (Theater Security Cooperation Strategy) ha integrato (eccetto Cuba) tutti i governi e forze armate della regione nel suo disegno strategico continentale orientato a preservare la “sicurezza” e la “governamentabilità democratica” della regione. In questo modo ed a partire dell’amministrazione Bush , si è prodotto il nuovo inserimento operativo livellato delle forza armate, la polizia ed i servizi dell’Intelligence regionali nella strategia di “guerra contro il terrorismo”, combattere il “narcotraffico” ed il “crimine organizzato” in base ai piani operativi e ipotesi di conflitto elaborati dal Comando Sud (Pentagono) e la CIA ( intelligence estera degli USA), strumentati attraverso convegni militari ed economici dei governi con Washington. Sulla base di questa nuova ipotesi di conflitto regionale, tutti gli eserciti e polizia regionale partecipano ( in modo non uguale o combinati) a esercizi militari periodici con le forze del Comando Sud, ed i suoi ufficiali, sia a livello intermedio come dello stato maggiore, vengono allenati da esperti militari e dall’Intelligence USA. Anche se non partecipano di nessun esercizio militare congiunto con il Comando del Sud, le forze armate, polizia ed i servizi di Intelligence del Venezuela si integrano al quadro operativo della guerra contro il “narcoterrorismo” e il “crimine organizzato”, stabiliti come l' unica ipotesi di “nemico regionale”, a partire dalla sua elaborazione strategica della DEA, CIA, FBI e Comando Sud degli USA.
In altre parole, nessun esercito nè polizia dei paesi che integrano l’UNASUR contano con una ipotesi autonoma di conflitto contro un “nemico proprio” ma si mobilizzano in modo addottrinato e operativamente nel quadro della guerra controterrorista che gli Stati Uniti utilizzano come argomento per le sue strategie di controllo geopolitico e militare della regione. La strategia del controllo militare con la “guerra antiterrorista” agisce come il sostegno chiave della dominazione economica, politica e sociale degli Stati Uniti in America Latina. In questo scenario, qualsiasi ricerca obiettiva (e realista) sul processo di sviluppo dell’attività militare e degli apparati di sicurezza dell’America Latina lancia invariabilmente la seguente conferma: Gli eserciti, polizia e i servizi dell’Intelligence dei paesi regionali (tranne Cuba e parzialmente il Venezuela) mantengono ( in diversi gradi di sviluppo) relazioni di cooperazione militare, allenamento, provvigione di armi e di tecnologia con il Comando Sud degli USA. D’accordo con i propri dossier del Comando Sud, ufficiali latinoamericani (sia militari che di sicurezza e intelligence) eseguono corsi di “specializzazione” in più di 100 istituzioni militari e dell’Intelligence degli Stati Uniti. Praticamente, tutti gli ufficiali dello stato maggiore che oggi comandano gli eserciti e la polizia regionale ( tranne Cuba) hanno ricevuto una formazione militare e di indottrinamento negli Stati Uniti, come parte dei convegni stabiliti tra Washington ed i paesi che fanno parte della guerra contro il “narcoterrorismo”. L’obiettivo principale di questi corsi specializzati è orientato a “dis-nazionalizzare” ideologicamente i militari dai paesi del continente, e di formarli sotto presupposti operativi e dottrinari funzionali ai piani USA di controllo militare strategico dell’ America Latina. Perché si capisca: Tranne Cuba, le forze armate e la polizia dell’America Latina non hanno una dottrina, una strategia e un' ipotesi di conflitto proprio (come Stato Nazionale), i suoi comandi si sottopongono alle strategie operative “controterroriste” disegnate dal Comando Sud ed i suoi ufficiali si allineano in dottrine e addestramenti in funzione ai piani di controllo militare degli Stati Uniti. Cioè, nessuna forza armata regionale- meno Cuba- mantiene una posizione indipendente nè ha un' ipotesi di conflitto alternativa al decalogo militare e dottrinario di Washington in America Latina. Presa da un altro angolo, le forze armate continentali (allo stesso modo che i governi regionali) sono strutture militari, allenate, armate e controllate dalla macchina militare dell’Impero statunitense. Funzionalmente, sono satelliti operativi del Comando Sud. Nel quadro di questi convegni di “cooperazione militare” (nella lotta contro il narcoterrorismo ed il crimine organizzato), il Comando Sud, la Cia, FBI e la DEA e altre agenzie USA, mantengono delegazioni nelle forze armate, polizia e servizi dell’Intelligence di tutti i paesi- tranne Cuba e parzialmente Venezuela. Di questi programmi d’inserimento nella strategia militare degli Stati Uniti, non sono esenti- paradossalmente- gli stessi paesi dell’UNASUR che oggi (sia da sx che da dx, criticano e rifiutano in un atteggiamento farsesco l’installazione di nuove basi militari USA in Colombia. In termini di realtà concreta e verificabile, risulta assurdo, privo di senso, che un summit di governi allineati funzionalmente alla strategia militare USA nella regione, si riunisca per criticare e mettere in allerta sul “pericolo militarista” che comporta la presenza dell’esercito statunitense in Colombia.
La stampa e gli analisti del sistema, che coprono sistematicamente la struttura militare di dominio imperiale nella regione, presentano drammaticamente il summit come la ricerca di risoluzione di un conflitto tra la Colombia ed il Venezuela in base ai convegni militari Bogotà-USA Che i paesi dell’UNASUR, tra i quali si distacca il Cile ( alleato militare e privilegiato degli USA), il Brasile (socio regionale strategico degli Stati Uniti), l’Argentina (con la sua FFAA –forze armate- e polizia assimilate completamente al Comando Sud), si riuniscano per discutere del “pericolo militare”degli Stati Uniti nella regione, è un’assurdità che non resiste a nessun analisi. Si tratta soltanto di una messa in scena, di uno show mediatico per intrattenere a incauti ed ignoranti (incluso giornalisti e analisti) che non conoscono come funziona la strategia e macchinario totalizzatore di dominio imperiale in America Latina.
Altri 73 profughi africani sono annegati nel mar Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l’Italia dalla Libia via mare. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), 525 rifugiati sono morti in mare nel 2008 e diverse centinaia sono già annegati quest’anno.
Solo cinque profughi dall’Eritrea—due giovani uomini, due ragazzi e una giovane donna—sono sopravvissuti durante la loro recente odissea in una piccola barca. Il loro viaggio è durato 20 giorni, uno dei sopravvissuti ha riportato. Un portavoce della marina maltese ha detto a CNRmedia.com che un elicottero Frontex tedesco aveva individuato sette cadaveri nelle acque libiche e l’equipaggio ha ritenuto che venissero dalla barca.
Giovedì i cinque eritrei esausti e indeboliti sono sbarcati sull’isola italiana di Lampedusa. “Siamo gli unici sopravvissuti”, hanno detto. Il resto dei profughi era morto lungo il viaggio, e i loro cadaveri erano stati gettati in mare. Molte navi li avevano incrociati, ma nessuna di loro ha tentato il soccorso. Una motovedetta è arrivata a dar loro carburante e giubbotti di salvataggio, ma “poi è ripartita di nuovo e ci ha lasciato, nonostante la nostra condizione”.
Un portavoce dell’UNHCR ha riferito che un peschereccio aveva anche dato del pane e dell’acqua ai rifugiati, ma poi li aveva abbandonati al loro destino.
Tale indifferenza da parte delle navi nel Mediterraneo è un nuovo fenomeno. Contraddice completamente l’obbligo marittimo a salvare chi si trova in una situazione di emergenza. Questa indifferenza è incoraggiata dalla politica del governo italiano di Silvio Berlusconi, che non permette ai rifugiati di sbarcare in Italia. Esso ha condotto una lunga e spregevole campagna per diversi mesi contro i rifugiati africani ed è pronto ad accettare le fatali conseguenze.
In virtù di un accordo tra Italia e Libia, la costa libica e lo Stretto di Sicilia sono sistematicamente sorvegliati da motovedette. Il momento che vengono intercettati, i rifugiati sono rispediti direttamente in Africa. Non gli viene nemmeno permesso di mettere piede sul territorio italiano per fare domanda di asilo.
L’ultima tragedia nel Mediterraneo ha portato ad un acceso scontro politico. Il quotidiano cattolico Avvenire ha criticato la politica del governo in materia di immigrazione. Ha accusato l’Occidente di “chiudere gli occhi” davanti al problema, e ha paragonato il tragico destino dei traghettati nel Mediterraneo alla Shoah.
Umberto Bossi, capo della Lega Nord, partito apertamente razzista della coalizione di governo, ha reagito invitando il Vaticano a dare il buon esempio e aprire le sue porte agli immigrati.
Il ministro degli Esteri Franco Frattini (Forza Italia) è intervenuto e ha cercato di imputare la responsabilità all’Unione Europea, sostenendo che quest’ultima non ha fatto nulla per fermare l’immigrazione verso l’Italia. Frattini ha poi chiesto che altri paesi europei siano pronti ad accogliere i rifugiati.
Nel mese di maggio, Silvio Berlusconi ha cinicamente cercato di giustificare le politiche di deportazione italiane, ammettendo che le condizioni dei centri di espulsione italiani erano molto simili ai “campi di concentramento”. Pertanto, secondo lui è “più umano” impedire a priori ai rifugiati di sbarcare sul suolo italiano.
Scontri si sono verificati nei centri di identificazione e di espulsione, all’inizio di agosto, con l’entrata in vigore delle nuove norme di sicurezza. Molti detenuti si sono arrampicati sul tetto del centro di deportazione di Torino. Altri si sono armati con sbarre di metallo e hanno cercato di abbattere alcune saracinesche. La ribellione è stata alla fine sedata da un aggressivo intervento della polizia. Simili proteste e scontri hanno avuto luogo anche in altri centri di deportazione.
In concordanza con le nuove leggi, i rifugiati, senza permesso di soggiorno possono essere rinchiusi per sei mesi. L’immigrazione clandestina può essere punita con una multa fino a €10.000 e gli immigrati devono pagare €200 per una domanda di permesso di soggiorno. Inoltre la nuova legge prevede che insegnanti, funzionari e personale sanitario denuncino gli immigrati clandestini. I proprietari di immobili inoltre rischiano il carcere nel caso di affitto a clandestini. Le leggi legalizzano anche l’introduzione di milizie civili per integrare l’uso sistematico di soldati nel pattugliamento di centri urbani.
I nuovi regolamenti danno sostegno ad elementi fascisti ledendo non solo i diritti democratici fondamentali dei rifugiati, ma quelli di tutta la popolazione. Allo stesso tempo, la campagna del governo contro i lavoratori immigrati è sempre più utilizzata per fornire un capro espiatorio da biasimare per la crisi economica del paese e esentare così l’élite al potere da qualsiasi responsabilità.
La situazione economica in Italia è drammaticamente peggiorata nel 2009. Secondo la Confcommercio, il prodotto interno lordo del paese è diminuito di quasi il 5 per cento (-4,8 per cento), e il consumo di circa l’1,9 per cento. L’industria automobilistica ha venduto il 15 per cento di auto in meno rispetto all’anno precedente. Di conseguenza, il governo è ben consapevole del pericolo di controversie sul lavoro nelle grandi aziende come Fiat e di possibili disordini nelle grandi città.
Il governo Berlusconi è stato in grado di mantenere il potere e attuare le sue politiche di destra, perché non ha una una seria opposizione politica. I cosiddetti partiti di opposizione rappresentano punti di vista, che differiscono solo in misura irrilevante dalle politiche del governo. Inoltre, un certo numero di ministri, che sono responsabili delle disumane direttive xenofobe del governo, hanno iniziato la loro carriera nel campo della sinistra parlamentare o come radicali piccolo-borghesi.
Il Ministro degli Interni Roberto Maroni, che oggi è un membro della Lega Nord, ha iniziato in politica come membro del gruppo di cosiddetti marxisti-leninisti di Varese. È poi passato per un periodo all’organizzazione Democrazia Proletaria, una unione di diverse sinistre, di tendenze piccolo-borghesi, i cui membri in seguito si sono dissociati per unirsi principalmente a Rifondazione comunista o ai Verdi.
Come Berlusconi e Bossi, Maroni ha sbarcato il lunario per un po’ come musicista. Ha incontrato Bossi alla fine degli anni ‘80 e nel 1990 si è iscritto alla Lega Lombarda, in seguito divenuta Lega Nord. Oggi Maroni difende l’introduzione delle milizie di quartiere ed è intento a espellere mezzo milione di immigrati quest’anno.
In qualità di artefice dell’”accordo italo-libico per la lotta contro l’immigrazione clandestina”, Maroni è uno dei principali responsabili della tragedia dei rifugiati. A maggio negoziava il presente accordo a Tripoli. Secondo il quotidiano libico Akhbar Libya, il contratto “obbliga la Libia a combattere l’immigrazione clandestina, mentre Roma ha promesso in cambio di pagare alla Libia cinque miliardi di dollari nei prossimi 25 anni come risarcimento per il periodo coloniale”. Inoltre, il governo italiano ha donato tre navi per effettuare pattugliamenti lungo la costa libica.
Altri membri del governo Berlusconi provengono dal Partito Socialista (PSI), crollato sotto il peso degli scandali di corruzione negli anni ‘90. Poco dopo una sezione del partito formava il nuovo Partito socialista (Nuovo PSI), che successivamente si è integrato nel “Popolo della Libertà” di Berlusconi. Il segretario del PSI, Bettino Craxi, giocò un ruolo cruciale nel promuovere la carriera di Berlusconi dandogli carta bianca nel centro socialista di Milano per sviluppare i suoi interessi immobiliari e televisivi. Nel 1994 Craxi fu costretto a lasciare il Paese per evitare una pena detentiva per corruzione. Morì da uomo ricco in Tunisia nel 2000. Oggi la figlia Stefania Craxi è Sottosegretaria al Ministero degli Esteri.
Altri disertori del partito socialista sono Franco Frattini e Giulio Tremonti. L’attuale ministro degli esteri Frattini era editore del quotidiano di sinistra Il Manifesto fino al suo inserimento nel partito di Berlusconi nella metà degli anni ‘90. È un sostenitore accanito delle guerre in Medio Oriente e della “guerra contro il terrorismo”. Di recente Frattini ha protestato alle Nazioni Unite contro una conferenza che ha condannato il carattere criminale degli attacchi israeliani contro i palestinesi.
Il Ministro dell’Economia e delle Finanze Tremonti è noto per le sue politiche economiche di destra. Professa apertamente punti di vista nazionalisti e protezionisti e ha un buon rapporto di lavoro con i post-fascisti guidati da Gianfranco Fini. Ha attirato molta attenzione con il suo commento ad Annozero: “Questo è il momento di chiudere I libri di economia e di aprire la Bibbia”
Un disertore del partito socialista particolarmente prezioso per Berlusconi è Renato Brunetta, il Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, laureato in diritto del lavoro. È responsabile per rendere il mercato del lavoro flessibile e per introdurre contratti “precari”, cioè a breve termine e lavori a bassi salari. È famoso per la sua feroce campagna contro i “fannulloni”, ossia dei presunti “buoni a nulla” che lavorano nella pubblica amministrazione.
Maurizio Sacconi, Ministro della Salute e anche ex membro del PSI, ha difeso la campagna della Chiesa contro l’eutanasia nel recente caso di Eluana Englaro.
Un’altra sezione del governo Berlusconi deriva dal Partito Radicale di Marco Pannella e Emma Bonino. Negli anni ‘60 e ‘70 i Radicali sono stati considerati facenti parte dello spettro di sinistra della politica. Il partito includeva intellettuali come lo scrittore Elio Vittorini, l’attore Arnoldo Foà e per un periodo perfino il regista Pier Paolo Pasolini. Sostenevano i Radicali sulla base della difesa del diritto di aborto e di divorzio e della separazione tra Chiesa e Stato.
Anche un ex membro del Partito Comunista Italiano (PCI) occupa una posizione chiave nel governo Berlusconi. Sandro Bondi è Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e coordinatore del Popolo della Libertà. Da giovane Bondi aveva aderito alla Federazione Giovanile Comunista Italiana. Un fervente cattolico, ha scritto la sua tesi di filosofia su frate Leonardo Valazzana da Fivizzano, un predicatore agostiniano avversario del Savonarola (quest’ultimo fu bruciato al rogo per eresia nel Medioevo).
Bondi si iscrisse al PCI e divenne sindaco di Fivizzano in Toscana. Negli anni ‘90 cominciò a diventare un fanatico difensore di Berlusconi. Nel 2001 ha diretto la campagna elettorale di Berlusconi ed è stato l’autore di un “elegante” opuscolo pubblicitario, distribuito ad ogni famiglia italiana. Come Ministro dei Beni e delle Attività Culturali, Bondi recentemente si è opposto alle richieste di artisti che scioperavano contro i tagli di 100 milioni di euro dal bilancio per la cultura. Al fine di coprire il disavanzo dello Stato, Bondi ha inoltre nominato Mario Resca, ex amministratore delegato della catena di fast food McDonald’s, come direttore del progetto di gestione e sviluppo dei musei italiani con l’incarico di commercializzare il patrimonio culturale dell’Italia. 29.08.2009
LA VACCINAZIONE DI MASSA E' UNA RICETTA PER IL DISASTROdella Dr.ssa Mae-Wan Ho e Prof. Joe Cummins
La presente relazione è stata sottoposta a Sir Liam Donaldson, Chief Medical Officer del Regno Unito, e della Food and Drugs Administration (FDA Usa)
Il focolaio di influenza suina si è verificato in Messico e negli Stati Uniti nel mese di aprile 2009, e si è propagato velocemente nel mondo trasmettendosi da uomo a uomo. A giudicare dai primi dati pubblicati a maggio, il nuovo tipo A H1N1 del virus dell’influenza è differente a qualsiasi altro di quelli isolati fino a quella data (1 - 2)
Si tratta di un' eteroclita combinazione di sequenze di ceppi di virus dell’influenza aviaria, umana e suina del Nordamerica e dell' Eurasia.
Col passare dei giorni diventa sempre più chiaro che il colpo di Stato in Honduras non è stato un evento isolato nè causato dai partecipanti alla consultazione pubblica che aveva chiamato il presidente Manuel Zelaya.
diFrida Modak
E allo stesso modo, è evidente che le sette basi militari americane installate in Colombia non sono destinate a combattere il traffico di droga o l'insurrezione. Non sono affermazioni di fantasia.
Gli Stai Uniti hanno una base militare in Honduras che ora chiamata Soto-Cano, ma era conosciuta come Palmerola, quando è stata creata per combattere il governo sandinista.
Da questa base provenivano i mercenari "contro" reclutati, addestrati e forniti dagli Stati Uniti.
L'allora presidente statunitense Ronald Reagan, battezzò questi elementi terroristi come "combattenti per la libertà" e li finanziò in modi molto diversi.
Quando il Congresso USA si rifiutò di dare più fondi ai mercenari, i finanziamenti provenivano dal traffico di stupefacenti.
Quello che fu accettato e giustificato dall' allora Segretario per gli affari latinoamericani Elliot Abrams, che ha detto che, dato l'atteggiamento del Congresso USA, i Contras hanno dovuto cercare mezzi di sussistenza.
Vale la pena ricordarlo, quando il presidente colombiano Álvaro Uribe, ha detto che con le basi americane nel suo paese mira a combatere
il traffico di droga e sradicare la guerriglia.
Torniamo ora in Honduras.Impresari e un ambasciatore nel colpo di stato.
Nella notte di sabato 27 Giugno, alla vigilia di una consultazione pubblica, un collaboratore del presidente Zelaya mi ha detto in una conversazione telefonica che sapeva di due chiamate del Dipartimento di Stato USA e l' Ambasciata statunitense in Honduras a quelli che fino ad allora avevano complottato, avvertendoli del "niente golpe".Che ha suggerito che l'azione avviata contro il governo di Zelaya il lunedi 29 quando si sarebbe prodotto quello che considera un crimine.
Ma il settore delle imprese, che faceva parte della trama, ha constatato che c' era da aspettare, perché il voto in favore del quarto scrutinio doveva essere pesante e non lo potevano ignorare.
In Honduras gli impresari hanno raggiunto un accordo con il Comando supremo delle Forze Armate, che ha consegnato 30 milioni di Lempiras equivalenti ad un milione e mezzo di dollari, secondo una lettera elaborata ufficiali di medio-rango.
Nelle aree del governo del presidente Zelaya si stimava che avrebbero votato per la consultazione tra un milione e 200 mila e un milione e 500 mila persone.
Il paese ha un elettorato di quattro milioni e 700 mila iscritti, di cui milione 300 mila risiedono negli Stati Uniti.
Si calcola che la media degli elettori effettivi potrebbero essere due milioni 100 mila, in modo che il voto della consultazione potrebbe ottenere la maggioranza assoluta.
Tali evidenze non possono essere ignorate e di conseguenza, e da qui sorge la decisione degli imprenditori, tra i quali si contano gli ex Presidenti della Repubblica, di accelerare le loro azioni.
Per quanto riguarda l'ambasciatore degli Stati Uniti Llorens Hugo, la sua partecipazione è stata attiva prima e dopo il colpo di stato.
Ha dichiarato pubblicamente circa una settimana fa il candidato presidenziale del Partito Democratico Cristiano,
Felicito Ávila, i gruppi di solito agiscono in conformità con i settori che sono stati presi dal governo.
Avila ha detto che l'ambasciatore è andato alle riunioni cospirative e la rispettica cronaca è stata pubblicata sulla stampa honduregna, che appartiene in gran parte al settore golpista, come un avvertimento a Washington su tutto ciò che poteva contare.
Se uniamo ciò che si è segnalato rispetto alla base statunitense di Soto-Cano (ex Palmerola) agli antecedenti del colpo di Stato, l'agire dell'ambasciatore Llorens e lo uniamo alle basi militari che Washington progetta installare in Colombia, avremo le linee di un progetto che a ragion veduta mette in allarme i paesi sudamericani.
Le sette basi
Il governo colombiano vuole convincere l'opinione pubblica internazionale, non solo latinoamericana, che il suo accordo con gli Stati Uniti non significano l'installazione di basi militari americane sul suo territorio.
Secondo Uribe, sarà consentito solo occupare una piccola parte di sette basi colombiane per svolgere le loro attività.
Insiste sul fatto che lo riceveranno da persone vicine perchè contribuiscano alla lotta contro il traffico di droga, ma non fa riferimento ai sette miliardi di dollari ricevuti da Washington per il governo attraverso il Plan Colombia.
A questo punto, è un fatto incontestabile che questo piano non ha diminuito affatto il traffico di droga e la corruzione.
Numerosi esponenti politici del partito del presidente Uribe sono stati arrestati e processati per i loro legami con il commercio della droga.
E 'anche chiaro che i paramilitari solo apparentemente si smobilitano, ma è noto che si raggruppano nuovamente sotto un altro nome.
L'obiettivo delle basi è un'altra molto diversa da quella dichiarata dalle autorità colombiane e statunitensi.
Quando si sono installati a Panama, la base militare USA di Howard era un centro di controllo non solo per l'America Latina, ma anche per monitorare altri continenti, perché disponeva di diversi gruppi di spionaggio internazionale.
I trattati dei canali Torrijos-Carter li costrinse fuori del territorio panamense ed hanno trovato accoglienza nella città ecuadoriana di Manta, in cui il deposto presidente Jamil Mahuad ha poi consentito loro di stabilirsi a proprio agio.
L'attuale presidente ecuadoriano Rafael Correa, ha detto fin dalla sua campagna elettorale che non avrebbe rinnovato l'autorizzazione e costretto a smantellare la base di Manta.Ora sono a sette punti dietro la Colombia con il pretesto della lotta al narcotraffico, a cui ovviamente nessuno crede, e non digeriscno che possono utilizzare solo piccolo ufficio nelle basi colombiane per sostenere il Plan Colombia.
Le autorità delle località nelle quali verranno installate non sono molto d'accordo, perché considerano che la presenza delle truppe Usa attira la prostituzione e la corruzione, come è già successo nei luoghi in cui sono da lungo tempo.
Ai paesi sudamericani non piace l'argomento, perché rappresenta una minaccia e non lo hanno nascosto.
L'Unione delle Nazioni Sudamericane, UNASUR, ha concordato nella recente riunione in Ecuador di affrontare la questione direttamente con gli Stati Uniti a settembre, quando si avvia la sessione dell' Assemblea Generale delle Nazioni Unite e, previamente, si riunirà in Argentina per discutere il problema.
Allo stesso tempo, UNASUR ha ribadito il suo sostegno a Zelaya e ha chiesto il suo ritorno come presidente dell'Honduras, con cui differiscono anche da Washington.
Il presidente statunitense Barack Obama, ha reagito duramente alle critiche per la mancata adozione di misure forti contro i golpisti honduregni.
Secondo Obama, "vi è una certa ipocrisia" da parte di quelli tenuti ad agire con chiarezza in Honduras e li accusa di essere gli stessi che chiamano a Washington interventisti.
Quelli che criticano questa posizione di Obama rispondono che l'ipocrisia non c'è, ma nel ruolo di ambasciatore Llorens nel golpe, nella formazione del Pentagono per le forze armate dell'Honduras e la "lobby" che difende il colpo di stato nel Congresso USA.
Ci sono anche informazioni dettagliate sulle transazioni di denaro del narcotraffico e delle istituzioni degli Stati Uniti, consegnate in Colombia ad oppositori dei governi democraticamente eletti nella regione.
In altre parole, l'ipocrisia consiste nel contribuire ed aiutare la cospirazione con un presunto non intervento.
L’Assemblea Nazionale Legislativa di Ecuador ha ieri rifiutato la possibilità che si istallino truppe statunitensi in basi militari colombiane, ed ha sollecitato all’Unione di Nazioni Sudamericane (UNASUR) l’emissione di manovre di fiducia da applicare nella regione.
L’Assemblea ha approvato nella notte una risoluzione, con 68 voti su 104 a favore, nella quale ha condannato “la decisione del Governo del Presidente colombiano Álvaro Uribe, di permettere un importante incremento della presenza militare statunitense sul suo territorio”.
La maggioranza parlamentare, integrata dal movimento Alianza Pañis e da vari gruppi di sinistra, ha approvato il documento con il quale ha espresso “la sua profonda preoccupazione per l’impatto nocivo che rappresenta la presenza di basi militari nordamericane sulla sicurezza e la pace della regione”.
Il Parlamento ecuadoriano ha considerato che l’eventuale ampliamento degli accordi militari tra Colombia e Stati Uniti, ostacolerebbe “seriamente gli sforzi d’integrazione e costruzione di una pace effettiva e reale in America del Sud”.
Inoltre, il documento ha “insistito sulla necessità che la Colombia rinunci all’odiosa ed illegale abitudine di attacco preventivo extraterritoriale, così come a tutta la politica che attenta alla sovranità dei suoi vicini” Fonte: http://www.granma.cu/index.html
Gli organismi d’intelligence degli Stati Uniti stanno creando una banca dati tipo Facebook che include tutti i dati dei “terroristi internazionali”, con il fine di monitorare ed identificare figure chiavi per il governo nordamericano attraverso complessi programmi informatici destinati a predire teorici attacchi terroristi prima che avvengano.
Attraverso l’analisi delle reti sociali che già esistono tra i teorici terroristi conosciuti, indagati e anche persone innocenti detenute per essere state nel luogo sbagliato al momento sbagliato, i capi dell’intelligence militare hanno la speranza di aprire un nuovo fronte nella loro “guerra contro il terrore”.
L’idea è quella di accumulare grandi quantità di dati dell’Intelligence delle persone- non importa quanto oscuri o irrilevanti- per introdurli nei computer che vengono programmati e realizzare connessioni e associazioni che, in altro modo, si perderebbero, ha detto uno scienziato al giornale britannico The Indipendent.
La dottrina che già viene applicata attivamente in Iraq ed in Afghanistan, dove migliaia di persone sono state detenute e interrogate per ottenere informazioni che potrebbero alimentare questa gran base di dati che saranno utilizzati per l’analisi informatica della rete di programmi sociali.
Oltre all’informazione ottenuta nelle interviste con i sospetti catturati nel settore, gli organismi dell’ Intelligence si dedicano a raccogliere un' enorme quantità di dati presi dalla posta elettronica o chiamate telefoniche con tecnologia di vigilanza delle telecomunicazioni. Solo negli USA, centinaia di milioni di dollari si spendono nello sviluppo delle tecniche di raccolta dati.
“Il Social Network Analysis è il monitoraggio di informazioni su chi sa chi o che cosa parla loro”, ha detto Katheleen Carley, professoressa dell’Università Carnegie Mellon, a Pittsburgh, Pennsylvania, uno degli scienziati civili che sperano di beneficiare dei nuovi finanziamenti militari assegnati all’investigazione nell’analisi delle reti sociali.
“Facebook e Google stanno offrendo la tecnologia per articolare le reti sociali, e questi strumenti non solo aiutano a trovare qualcuno con cui parlare, ma vogliono offrire tutte le informazioni possibili su una persona”, ha aggiunto la professoressa Carley.
Nonostante questo, questa strategia di intervenire nella dinamica delle rete sociali con obbiettivi dell’Intelligence è stata molto criticata perché viola la privacy ed i diritti umani, partendo dal fatto che centinaia e probabilmente mille di persone sono state detenute e interrogate durante più tempo del necessario per fornire informazione dalla rete sociale.
Nella sua forma più estrema, la dottrina ha dato luogo a quello che è conosciuto nei circoli militari degli USA come “filosofia del mosaico”. (mattonella, NDT)
La filosofia dietro la teoria del mosaico è che un pezzo dei dati dell’Intelligence non significano nulla per l’inquisitore, ma poi può avere importanza ed essere cruciale al momento di collocarsi come un “mosaico nel mosaico”, ha detto Carley.
I critici di questa strategia assicurano che, basato su questa strategia e per creare l' enorme base dei dati, gli Stati Uniti hanno detenuto ed interrogato migliaia di persone innocenti in Iraq ed in Afghanistan, sperando di raccogliere tutte le informazioni di intelligence che potrebbero essere inserite nel computer programmato con algoritmi di reti sociali.
“Non è una nuova filosofia ma i computer ed il processo dei dati hanno dato un nuovo impulso e nuova enfasi”, ha detto il Professore Lawrence Wilkerson, un colonnello in congedo dall’Esercito USA ed ex capo del personale del Segretario di Stato, Colin Powell, fino al 2005.
Wilkerson, che è un critico di questa dottrina, assicura che “[La filosofia del mosaico] è impenetrabile, esoterica, sconosciuta e viene utilizzata da un numero molto ridotto di persone che intendono applicarla a migliaia, chissà milioni di essere umani”, ha detto al The Indipendent.
Joseph Marguiles, professore di Diritto all’Università Northwestwern di Chicago, che ha studiato la filosofia del mosaico in rapporto ai detenuti di Guantanamo, ha detto che le scoperte tecnologiche e matematiche dell’analisi delle reti sociali vanno di pari passo con la logica della teoria del mosaico: “La prima si alimenta da quest’ultima. E’ il mito che l’ordinatore (pc) può sapere tutto, la credenza nell’onnipotenza dell’algoritmo, incoraggiati a vivere più a lungo di quanto necessario per gli errori della teoria mosaico”. Ha detto il prof. Margulies.
E la raccolta di database di grandi dimensioni ha un altro inconveniente. “Ha anche il potenziale di sotterrare dati importanti, sotto il concetto di sostituire la quantità per la qualità”, ha detto il Prof. Margulies.
Ma, un altro funzionario dell’Intelligence , così come esperti accademici nell’analisi di reti sociali credono che le cellule terroristiche si possono controllare in modo efficace con queste tecniche, specialmente nei teatri militari come Iraq e Afghanistan.
Il Dottore Ian McCulloh, un alto funzionario dell’esercito degli USA, che lavora nell’Accademia Militare di West Point, a New York, ha affermato che ha usato l’analisi delle reti sociali per stabilire relazioni tra i cento di video di morti filmati dagli insorti in Iraq.
“L’interpretazione dei dati del gruppo di video ci portano alla conclusione che probabilmente sono stati realizzati dallo stesso gruppo...Si può scoprire, studiando la strada che hanno seguito questi video nelle reti sociali, la struttura tra i gruppi terroristici e gli attacchi reali”, ha detto.
Il Dottor McCulloh sta collaborando con il Prof. Carley nell’analisi dei "Metanetwork" (temi comuni in rete), una forma più sofisticata dell’analisi delle reti sociali.
Gli investigatori credono che in un futuro non molto lontano possano essere in grado di controllare le reti terroristiche in tempo reale e individuare eventuali modifiche che indicano che un attacco sia imminente.
“Prima che un caso di terrorismo possa accadere, in linea generale, c’è un cambiamento in detta organizzazione, dato che cominciano a preparare e a pianificare le risorse e l’evento. In questo contesto è possibile monitorare una rete in tempo reale e controllare il cambiamento nel comportamento che si produce prima di un evento”, ha detto il Dr. McCulloh.
“Le statistiche sono per l’analisi delle reti sociali quello che l’intuizione è per il lavoro del detective. E’ l’applicazione del rigore matematico a quello che la gente ha fatto prima”.
“L’Analisi delle reti sociali si include già nei documenti che regolano la contro insorgenza dell’Esercito degli Stati Uniti. E’ nel linguaggio comune e dell’Intelligence militare che la gente sta utilizzando”, ha assicurato il Dr. MCCulloh.
L'impero statunitense, in queste ore, soffre di quello che potrebbe chiamarsi in modo appropriato un multi-collasso generalizzato della sua agenda del potere globale: Tutto è in crisi e in decadenza nella prima potenza capitalista, compreso il responsabile di turno, Barack Obama, che in 180 giorni di gestione (6 mesi) non è riuscito ad imporre neanche uno dei punti contenuti nelle sue promesse elettorali del "sogno americano" in democrazia.
di Manuel Freytas
Questo lunedì, la stampa internazionale ci sorprende con una notizia: Preso dai problemi ( interni ed esterni) irrisolti, con la sua immagine e popolarità in caduta, criticato dai democratici e dai repubblicani, Obama ha fatto le valigie e se n’è andato in vacanza su un’isola paradisiaca del Pacifico frequentata dai ricchi, in una villa per la quale lo stato paga 35.000 dollari settimanali di affitto.
Fedeli al loro stile di “ricchi progressisti”, gli Obama hanno preso in affitto una villa conosciuta come “Blue Heron Farm” ( Azienda della Garza Blue), che ha accesso ad una spiaggia privata, un orto con meli , piscina e un campo di basket, lo sport favorito del presidente.
Il presidente imperiale ha lasciato Washington preoccupato per la guerra interna (tra repubblicani e democratici) causato dal suo piano di riforma del sistema sanitario, che comincia a figurare nella sua lunga lista di fallimenti di fronte all’opinione pubblica statunitense.
La riforma sanitaria progettata da Obama agonizza e ravviva il conflitto interno tra i democratici ed i repubblicani che aveva avuto il suo primo detonante con il colpo di Stato in Honduras, che divise l’Impero in una linea di sostegno al presidente decentrato (Zelaya) dalla Casa Bianca e l’altra con chiaro sostegno del governo golpista da parte del Pentagono e dei repubblicani conservatori.
I fallimenti successivi per imporre i suoi programmi, sia nella politica interna che estera, hanno colpito duramente la sua immagine pubblica mentre le critiche (per diversi motivi) alla sua gestione arrivano sia dal settore repubblicano sia dal Partito Democratico, i cui leader principali lo mettono in discussione per la mancanza di risultati delle sue decisioni.
Il Centro Prew rivelava la scorsa settimana che, in base all’ultimo sondaggio, il consenso di Obama è del 51%, di fronte al 61% di cui godeva a giugno ( è sceso di 10 punti in soli due mesi). E il “ Washington Post” venerdì ha pubblicato un’altra inchiesta insieme alla catena della ABC che, anche, scendeva la fiducia e il sostegno al presidente imperiale, al 49%.
Contemporaneamente, il principale problema interno dell' agenda di Obama, l’economia reale dell’Impero collassa in tutte le sue variabili, ed i settori più indifesi soffrono degli “aggiustamenti” mentre la crisi sociale, ancora con effetti non calcolabili, si affaccia dalla mano dei licenziamenti in massa nella prima potenza capitalista.
Nonostante i deboli segnali di recupero che mostrano alcune variabili dell’economia USA, tra gli economisti, media e analisti specializzati, rimangono i dubbi e gli interrogativi fino a dove arriverà la crisi con i licenziamenti e con la caduta della prima potenza imperiale.
Inoltre, in modo brutale (e ancora senza resistenza sociale) i riscatti industriali e finanziari del governo di Obama (utilizzando fondi delle tasse per salvare il capitalismo privato) scarica il costo del collasso recessivo economico ( la crisi) sul settore stipendiato ( forza lavorativa di massa), la massa meno protetta e in maggioranza della società statunitense, attraverso i licenziamenti e la riduzione delle spese sociali (aggiustamenti) che aumentano i livelli sociali di precariato economico e dell’esclusione in massa dal mercato lavorativo.
Da quando è scoppiato il collasso bancario e della borsa a settembre 2008, la prima economia imperiale non è mai riuscita a riprendersi, finalmente la crisi dell’ ”economia di carta” ha finito con l’avere un impatto sull’ “economia reale”, con un abbassamento del consumo popolare, disoccupazione in massa e un aumento del deficit fiscale come prodotto degli esborsi statali per riscattare le banche e le aziende private.
Nonostante i “segnali ottimisti” che lanciano Obama e le autorità europee, i propri dati ufficiali prevedono che con i mercati di credito paralizzati, nei prossimi mesi altre aziende entreranno in un processo di default e annunceranno nuovi licenziamenti. (sommati a quelli già esistenti) , e i consumatori stringeranno ancora di più la cinghia , man mano che la mancanza di credito si ripercuote sulla capacità d’indebitamento.
In questo scenario, come questo lunedì hanno detto alcuni analisti statunitensi, non sarà facile per Obama sbarazzarsi dei problemi nella paradisiaca isola Martha’s Vineyard, dato che lì sarà presente la decisa attivista antiguerra, Cindy Sheehan, per ricordargli il lungo rosario della continuità politica militare di Bush in Iraq ed in Afghanistan dove l’esercito USA continua ad essere insediato.
Anche, segnala questo lunedì la stampa nordamericana, rischia di esaurirsi la pazienza della comunità ispanica e dei gruppi difensori degli immigranti, che vedono come la battaglia per la sanità e altri fronti aperti nella Casa Bianca stanno ritardando l’avanzamento della loro sperata – e promessa- riforma integrale migratoria.
E’ anche fallito il recente tour discorsivo- pubblicitario di Obama nel M.O, che aveva uno scopo fondamentale, secondo la Casa Bianca: “Riconciliare” la relazione tra gli Stati Uniti e l’Islam, e fortificare un “processo di pace” in M.O.
Contrariamente al suo obiettivo, Obama ha convinto tutti tranne che i protagonisti del conflitto strategico di base: Israele e Iran, che, per diverse vie, hanno dato segnali che la visita di Obama è risultata così vuota e inutile come le sue parole cariche di “teoria senza pratica”.
Nonostante le sue “costose” vacanze “anti-stress”, la realtà, marcata dalle vere necessità dell’Impero USA, polverizza velocemente le promesse e il marketing discorsivo di Obama e mostra in modo crudo che la sua amministrazione- all’ora di fare- è una continuità in tutti i campi delle politiche sviluppate dalla presidenza Bush.
Sei mesi fa, ovviando la realtà strategica del dominio egemonico geopolitico-militare-nucleare degli Stati Uniti ( la cui dinamica si nutre e retro alimenta con la conquista militare permanente dei paesi el'esaurimento delle risorse globali strategiche), la stampa mondiale e i suoi analisti edificarono nella figura e nei discorsi di Obama una "nuona alternativa mondiale" con gli Usa che rinunciano al loro status di potenza imperiale dominante.
Con la nomina di Barak Obama alla presidenza degli Stati Uniti si è sviluppata una campagna mediatica destinata a far credere alla maggioranza mondiale che la prima potenza capitalista imperiale, impantanata in Iraq e in Afghanistan, con il suo sistema finanziario polverizzato dalla crisi e da una recessione economica di effetti imprevedibili, si potrebbe ricreare a se stessa generando nuove aspettative e cambi “ democratici” di politica a livello mondiale.
La decisione di continuare la guerra contro il terrorismo (impiantata come logica di dominio militare e di conquista dei mercati), la scalata militare e i massacri dei civili in Pakistan e Afghanistan, il ritorno indietro nell’investigazioni delle torture della CIA, l’applicazione delle stesse politiche di Bush in Iran, nel Caucaso e nel M.O, il ristabilire i giudizi militari ai terroristi, e la ri-militarizzazione dell’America Latina, segnalano con chiarezza la vera strada della gestione di Obama alla Casa Bianca.
D’accordo con quello che molti chiamano la “nuova dottrina Obama” (che in realtà è la vecchia dottrina Bush) Washington dà un impulso alle sue politiche di posizionamento militare orientato a controllare i mercati e le fonti d’energia e di risorse naturali in Asia, Africa e America Latina.
Durante i suoi primi 90 giorni di governo, e mentre affermava nuovamente nei suoi discorsi la “rinuncia degli Stati Uniti al suo ruolo di potenza imperiale dominante”, Barack Obama ha deciso di approfondire l’occupazione militare inviando più soldati in Afghanistan, aumentare la spesa militare statunitense a livelli da record, ad imporre (attraverso il G-20 e il FMI) un nuovo piano di indebitamento per far pagare la crisi finanziaria imperiale ai popoli di Asia, Africa e America Latina.
Le decisioni di Obama a sei mesi di governo (contraddicendo le sue promesse) sono le migliori prove che le politiche strategiche di sopravvivenza imperiale degli Stati degli USA è al di sopra della volontà personale (o del discorso elettorale) dell’eventuale responsabile che occupi la Casa Bianca.
Come è già stato dimostrato in forma storica e statisticamente: Negli Stati Uniti, la potenza locomotrice del capitalismo sionista su scala globale, non governano i presidenti o i partiti, ma l' èlite economica-finanziaria ( il potere reale) che controlla la Federal Reserve, il Tesoro, Wall Street, il Complesso Militare Industriale e Silicon Valley.
Finite le luci artificiali della campagna elettorale, democratici e repubblicani smettono di aggredirsi e si complimentano in un disegno di politica strategica di Stato a difesa degli interessi delle grandi corporazioni economiche che segnano l’azione delle politiche interne e della conquista di mercati coperti da “guerre preventive” contro il “terrorismo”.
Con Obama (così come ha fatto con Bush ed il resto dei presidenti) il Pentagono Usa, con i suoi cinque comandi strategici presenti nel pianeta, continua a svolgere il ruolo di gendarme mondiale delle banche e transnazionali imperialiste che depredano il pianeta in nome della “civiltà e democrazia”.
Con la caduta di Bush e l’avvento di Obama, l’impero USA ha cercato di ricreare la mistica “del nuovo sogno americano” e generare una nuova aspettativa di “riciclo democratico” nella figura di un “afroamericano” arrivando ai massimi livelli decisionali della Casa Bianca. “Siamo così democratici , che perfino un negro può governare”, quasi dicevano gli slogan in campagna elettorale.
La “guerra antiterrorista”, le occupazioni imperiali a volto scoperto, la crisi economica USA esportata a livello globale e la decadenza accentuata del “comandante” Bush avevano picchiato forte: Dal proprio fronte alleato europeo sono cominciate le voci sulla “perdita dell’influenza” dell’Impero nordamericano.
Bisognava ricomporre l’unità di comando e restaurare la consumata immagine degli USA come potenza imperiale. Bisognava dire ai profetici della “fine dell’impero”: Potete continuare a credere nella solidità del sistema statunitense. Continuate ad investire in dollari, benvenuti ai buoni-rifugio del Tesoro degli USA. Siamo come l’Araba Fenice: Rinasciamo dalle nostre stesse ceneri, più democratici che mai e con un negro come presidente.
Obama- nei termini in cui il nuovo marketing pubblicitario della sua campagna elettorale lo presentava- aveva come missione quella di dimostrare che l’Impero statunitense non creava guerrieri militari (del tipo di quelli che bombardano “ terroristi” con musica di Wagner da sottofondo) ma “appostoli della pace e della democrazia” contenuti nel pubblicitario “ nuovo sogno americano”.
D’accordo a con l’immagine di Obama che la stampa internazionale presentava all’insediamento del 20 gennaio, le oltre 800 basi militari nordamericane che circondano come un anello di morte le aree delle risorse strategiche del pianeta (energia, acqua, alimenti e biodiversità) non potrebbero funzionare con ordini castrensi ma con aforismi di Mathama Gandi.
Solo sei mesi di gestazione hanno dimostrato la falsità e hanno già quasi finito con il “mito Obama” fabbricato su scala globale dalla stampa sionista internazionale.
Obama è in vacanza: al suo ritorno lo aspettano l’inferno “controterrorista” e la crisi recessiva irrisolta, e tutto quello che sarà similare a Bush sarà pura casualità.
The New York Times assicura: potrebbe essere il Vietnam di Obama
Il Presidente Obama non aveva ancora assunto il potere, che già i suoi sostenitori stavano scolpendo la sua immagine nel Monte Rushmore come se fosse il nuovo Abraham Lincoln, o l’incarnazione di Franklin D. Roosevelt.
Ma se i suoi paladini si fossero confusi di precedente storico? Se il destino di Obama fosse quello di convertirsi nel nuovo Lyndon B. Johnson?
Le analogie storiche sono sempre troppo semplicistiche e fatalmente sbagliate, visto che ogni Presidente è un caso a parte. Però il modello di Johnson – un Presidente che aspirava a creare i nuovi Stati Uniti dall’interno, mentre, all’esterno, combatteva una guerra già persa – è quello che sta perseguendo la Casa Bianca di Obama, mentre cerca di salvare l’Afghanistan nel bel mezzo di un programma domestico dispendioso.
Così come il Presidente Johnson credeva di non avere altre opzioni se non lottare in Vietnam per contenere il comunismo, il Presidente Obama la scorsa settimana ha dichiarato l’Afghanistan un baluardo contro il terrorismo internazionale. “Questa non è una guerra che vogliamo – ha detto ai Veterani delle Guerre Straniere nel suo intervento a Phoenix – questa è una guerra di necessità. Quelli che hanno attaccato gli Stati Uniti l’11 settembre stanno cospirando per farlo di nuovo. Se non si controlla, l’insorgenza talebana godrà di un rifugio più grande di quello che aveva durante quel complotto di Al Qaeda”.
Tuttavia, dopo quasi 8 anni, l’appoggio del popolo statunitense per la guerra in Afghanistan è caduto drammaticamente. La settimana passata The New York Times e la CBS News hanno pubblicato un’inchiesta che mostra che l’appoggio popolare si trova adesso al di sotto del 50%.
Un simile disincanto si sta riflettendo anche a Washington, dove i liberali del Congresso si lamentano con sempre maggiore enfasi della guerra e i giornali pubblicano molte colonne che questionano la partecipazione degli Stati Uniti. L’ultimo numero di The Economist, per esempio, titola “Afghanistan: la crescente minaccia del fallimento”.
Il tenente colonnello Douglas A. Ollivant, un ufficiale ritirato dell’esercito che ha lavorato in Iraq per il Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti durante la presidenza di Geroge W. Bush e successivamente per il Presidente Obama, ha detto che l’Afghanistan può essere “in vari ordini di magnitudine” più complicato. “Non presenta nessuna delle infrastrutture, dell’istruzione e delle risorse naturali iraquene – ha segnalato – e non ha neppure una leadership politica con obiettivi affini a quella statunitense”.
“Ci troviamo in un luogo nel quale non disponiamo di buone opzioni, e tutti stiamo lottando contro questa condizione”, ha detto il colonnello Ollivant. “Reggere sembra un progetto di 10 anni e non sono sicuro che abbiamo il capitale politico e finanziario per farlo. D’altra parte, anche il costo di una ritirata sembra terribilmente alto. Perciò, siamo intrappolati.
E come Lyndon B. Johnson ha scoperto, le conseguenze possono costare care.
(Pubblicato su The New York Times, riassunto da CubaDebate – Riassunto di Granma Int).
Il mondo globalizzato ha egemonizzato l’economica estendendo il controllo sul maggior numero di individui possibile. In questa espansione, secondo un modello capitalista, l’uomo non partecipa più alla costruzione della società, ne rimane estraneo, legato a un semplice numero matematico, in un progetto schiavizzante e vessatorio in nome del più cieco consumismo. Questa società borghese, si è strutturata mantenendo per se antichi privilegi, alimentando principi di estraneazione con il mondo operaio e il mondo del lavoro dipendente. Questa atomizzazione costruita senza legami di rispetto reciproco, ha favorito il controllo e la sottomissione delle masse: i dipendenti si possono muovere meccanicamente secondo un percorso prestabilito in un’articolazione senza anima e pensiero, stabilendo fini e mete individuali di consumo e produzione, confuse spesso con la libertà. La merce umana, è al servizio del nucleo economico.
La legge del guadagno, ha potuto contare sul sacrificio della nostra frammentazione. Divide et impera. I nostri spazi, sono asserviti a progetti ignoti a noi controproducenti, incontrando forme d’egoismo mascherate da individualismo. La società cosiddetta “moderna”, è contraddittoria e paradossale. Come nel medioevo, si vive all’ interno di un sistema: ieri la Chiesa, il podestà, la comunità, oggi le istituzioni e la società. La politica non socializza più con le masse,preferisce allontanarle senza capirle,rispettando il nuovo ordine mondiale. L’analisi è inequivocabile: la società contemporanea è molto simile a quella di 700 anni fa. Questa mancata comprensione della società, ha prodotto un ostacolo alla soluzione dei problemi e la deperibilità dei rapporti solidali, innescando la frenetica picchiata della povertà. La soluzione del consumismo, per ora è un fallimento totale. Tutta l’economia mondiale è in recessione e nessuno sembra avere una soluzione a breve. Di fatto, il rilancio dei consumi non ci sarà finché ci saranno stipendi da fame. E’ una verità che tutti sembrano snobbare per interesse o per negligenza, ma prima o poi spunterà fuori con tale forza da sconfiggere anche i più renitenti.
L’unica cosa che sembra imbattibile, è il debito pubblico nel suo procedere temporale. Il prezzo che la democrazia occidentale ha dovuto pagare è alto, sia per quelli che ce l’hanno e per quelli a cui si voleva dare. Gli individui hanno pagato anche sotto il profilo personale: alienazione, libertà, esclusione, anoressia culturale e altre malattie psicotiche di cui l’uomo-macchina è vittima. La terapia che i “dottori” in denarologia chiamano carta di credito, sarebbe giusto chiamarla carta di debito. L’ubriacamento sfrenato generato dalla moneta unica, ha prodotto speculazione e utopia. La politica mondiale è fortemente assuefatta al drogato americanismo, quindi convintamente atlantica e filo-padronale. I pochi (veri) uomini rimasti a rivoluzionare, sono considerati residuati da museo, fuori rotta e fuori tempo. L’operazione di cambiamento si può concretizzare solo facendo crescere il popolo. L’Italia, non ha una storia rivoluzionaria, tale cultura è stata inculcata dal medioevo: “con la Francia o con la Spagna, purché se magna”. Tale assuefazione costituisce uno sbarramento alla lotta, il potere lobotomizza facilmente il popolo. Dopo il piano Marshall, in particolare, dalla strage di Piazza Fontana a quella della stazione di Bologna, da Ustica a Capaci, la storia nazionale, è una vergogna totale. C’è una preordinata incapacità nel far emergere le verità. L’Italia non è stata fatta dagli italiani ma dagli Stati Uniti d’America. Un popolo è orgoglioso quando costruisce la propria storia, non quando si genuflette a quella altrui.
Afghanistan, un paese invaso e occupato militarmente da 8 anni, con più di 200.000 “soldati” collaboratori afgani e 100.000 soldati stranieri dispiegati nella guerra contro i ribelli talebani, celebra le sue elezioni “libere e democratiche” (secondo quanto ha detto giovedì il Dipartimento di Stato degli USA). Questa farsa (che la stampa del sistema neanche analizza), già ripetuta in Iraq ed in altri scenari di massacro e di occupazione militare, mette allo scoperto l’impunità dell’invasore imperiale che trasforma al paese occupato in un grottesco show con i propri carnefici collaboratori divenuti in “candidati” elettorali.
“Se la guerra del 1999 contro la Jugoslavia è stata la prima operazione “fuori dall’area” della NATO, cioè , fuori dal NordAmerica e di quei paesi d’Europa che partecipano all' Alleanza, la guerra in Afghanistan ha segnato la trasformazione della NATO in una macchina bellica globale”, segnala Rick Rozoff in un articolo per Global Research.
Dall’altra parte, il segretario generale della NATO, Fogh Rasmussen, ha affermato che, nonostante si stia pagando un “alto prezzo” in vite umane, spera che si comprenda che queste perdite hanno luogo in una “causa vitale” per la sicurezza dei 42 paesi che contribuiscono all’ISAF (Forza di Assistenza Internazionale per la Sicurezza della NATO).
Rassmusen ha sottolineato che prevenire il ritorno del “terrorismo” in Afghanistan è una questione “critica” ed ha segnalato che il lavoro dei membri della forza internazionale è centrato da settimane sulle elezioni presidenziali e provinciali di giovedì prossimo.
Tanto gli USA come la NATO hanno giustificato l’aumento dei soldati invasori in Afghanistan negli ultimi giorni, argomentando che si tratta di uno sforzo per assicurare che le elezioni in questo paese si realizzino senza interruzioni o sabotaggi da parte dei ribelli talebani.
In modo tale, che i comizi di giovedì si realizzeranno con più presenza di eserciti , carri armati e altri veicoli blindati, elicotteri armati, aerei da guerra e in mezzo ad un’offensiva militare a grande scala contro i talebani che minacciano la capitale, Kabul.
Dopo gli attentati del 11 Settembre 2001, l’amministrazione Bush ha invaso l’Afghanistan contando sul sostegno della NATO , e questo, a differenza dell’Iraq dove l’organizzazione non si attuava, ha incluso a posteriori che l’organizzazione atlantica venisse coinvolta direttamente nella “guerra contro il terrorismo” di Bush nel paese occupato.
Durante i 6 anni di occupazione, l’esercito unito della NATO e degli USA ancora non è riuscito a controllare la guerriglia talebana che negli ultimi mesi ha lanciato una feroce controffensiva che ha causato numerose morti e danni alle forze occupanti e ha dato alla resistenza il controllo della maggior parte del territorio afghano.
La strategia di conquista capitalista e militare che Bush e i falchi imperiali hanno lanciato da dietro gli schermi la “guerra controterrorista” come risultato del 9-11, che comincia chiaramente a creparsi in Afghanistan, dove la resistenza talebana e i morti statunitensi ed europei crescono in proporzioni simmetriche.
La diminuzione dell’esercito internazionale, principalmente statunitense e britannico, ha raggiunto cifre da record da luglio, dopo la messa in moto di operazioni per finire con la resistenza nel sud afghano, bastione di ribelli talebani.
In base ad un dossier della Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) 1.103 civili sono morti nel conflitto armato durante i primi 6 mesi del 2009, un aumento del 24% rispetto al 2008. La cifra nello stesso periodo durante il 2008 è stato di 818 persone morte mentre che nel 2007 la repressione imperiale ha causato 684 morti.
Come è d’uso, nella stampa internazionale nessuno si domanda ciò che è ovvio : Come si possono realizzare elezioni democratiche in un paese occupato e massacrato militarmente da 8 anni?
L’impero statunitense e i suoi soci di occupazione (la NATO e le potenze centrali) arrivano al massimo dell' alienazione e della demenza: Far “votare liberamente” un popolo conquistato, principalmente povero ed ignorante, la cui unica motivazione giornaliera è la sofferenza, la guerra e la morte.
Questa farsa (che la stampa del sistema neanche analizza), già ripetuta in Iraq ed in altri scenari di massacro e di occupazione militare, mette allo scoperto l’impunità dell’invasore imperiale che trasforma al paese occupato in un grottesco show con i propri carnefici collaboratori divenuti in “candidati” elettorali.
Il grottesco elettorale è dotato di marketing e di inchieste. Il “favorito” nei sondaggi è il presidente burattino uscente, Hamid Karzai, portato al potere dalla coalizione invasiva internazionale avente come leader gli USA che a fine del 2001 hanno fatto cadere il regime talebano ed eletto nei primi “comizi” del paese occupato, nel 2004.
Ma i suoi “rivali” principali, cominciando dal ministro delle Relazioni Estere, Abdulà Abdulà, hanno realizzato grottesche campagne come se fossero in Europa o negli USA, delle quali se ne sono occupati non meno grotteschi e assurdi “analisti” che si sono incaricati di proiettare le loro performance nelle urne.
In mezzo alle bombe, gli attentati quotidiani, Abdulà ha chiuso la sua campagna lunedì mattina con un meeting spettacolare nello stadio di Kabul, di fronte a più di 10.000 persone con cappellini azzurri che innalzavano la bandiera del suo partito e a coro pronunciavano il suo nome, mentre la stampa realizzava la copertura “informativa” dell’atto come se fosse a Parigi o New York.
Per il Reuters, perfino un elicottero da combattimento (distratto dagli attacchi alla popolazione civile) ha volato sopra lo stadio lanciando mille volantini con la foto di Abdulà ed altri con il nome del candidato segnato per aiutare la maggior parte dei votanti analfabeti. “Compatriotti” Svegliatevi, è ora del grande cambio”, diceva un volantino, scritto nelle tre lingue principali del paese.
Anzi, al miglior modo di una democrazia “del primo mondo”, non è mancato lo spettacolo del “dibattito” televisivo durante il quale Karzai è stato criticato dai suoi rivali che hanno puntato le loro frecce sulla “corruzione” imperante durante il suo governo condannato a guidare l’occupazione militare e a legittimare la presenza dell’esercito straniero.
“La logistica delle elezioni presidenziali e provinciali di giovedì è un incubo per le autorità afghane, che in piena guerra coi talebani devono trasportare il materiale per votare in elicotteri e asini a regioni montagnose lontane”, segnala questo martedì (senza nessun commento) l' agenzia AFP.
In base all’agenzia, le seconde elezioni presidenziali attraverso il suffragio universale nella sanguinosa storia di questo paese costeranno 223 milioni di dollari, finanziati dai paesi implicati nell’occupazione dell’Afghanistan.
Una parte dei fondi sarà destinata al trasporto del materiale elettorale alle quasi 7.000 uffici di voto, alcuni dei quali situati in profonde valli, in brusche montagne o in zone infestate da ribelli talebani che cercano di boicottare la farsa.
L' Afghanistan soffre di una povertà estrema e nel 1995 ha occupato 192° posto tra i 192 posti nel ranking dei paesi in base al consumo calorico della sua popolazione. Milioni di persone sono senza alimenti, case, assistenza sanitaria ed educazione e oltre due terzi vive con meno di due dollari al giorno.
In linea generale, l’economia afgana ha un basso sviluppo dovuto alla situazione di dominio militare e della guerra costante, all’esistenza di un governo che collabora con l’invasore e alla frammentazione della società in gruppi tribali impoveriti.
Con un tasso alto di malattie causate dalla denutrizione, la popolazione del paese è composta da 26.000.000 persone, la cui aspettativa di vita è di 47,3 anni.
Tra il 1979 e il 2000 un terzo della sua popolazione ha abbandonato il territorio, scappando dalla guerra, e si stima che sono circa 6 milioni i rifugiati afgani che si sono stabiliti nel Pakistan o in Iraq.
Mostrato lo “scenario elettorale” di giovedì prossimo, tre elicotteri, circa 3000 veicoli e 3000 asini, cavalli o muli daranno milioni di volantini, tonnellate di penne e il materiale necessario per lo sviluppo delle votazioni, a quanto dicono le autorità elettorali.
Che le stesse forze collaboratrici o l’esercito invasore (che massacra giornalmente la popolazione civile, includendo donne, bambini e anziani) trasportino le urne a spalla per far “votare liberamente” persone sprovviste che neanche sanno leggere e scrivere, dimostra che “il sistema democratico” imperiale è uscito dal quadro di una strategia di “dominio senza le armi” per trasformarsi in una malattia mentale trasmessa da chi sottomette il sottomesso.
“Afghanistan è un paese (….) che cerca di ricostituirsi dopo quasi tre decenni di guerre” giustifica Aleem Siddique, portavoce della Missione delle Nazioni Unite per l’Afghanistan (UNAMA) che aiuta il paese occupato ad organizzare le elezioni e “legittimare” internazionalmente la farsa.
“Distribuire il materiale elettorale confidenziale è una vera sfida in questo ambiente”, assicura come se l’Afghanistan fosse un paese in più del cortile latinoamericano.
Un’altra “sfida” è di “far prendere coscienza alla numerosa popolazione analfabeta dell’importanza delle elezioni e spiegare come funziona il processo elettorale”, aggiunge con totale impunità il demente Siddique.
Aldilà di qualsiasi considerazione politica o strategica dello scenario dell’occupazione militare, il solo fatto che gli afgani “eleggano democraticamente” in un’urna, chi li governerà, è un grande schiaffo alla logica e alla intelligenza umana.
Che l’impero capitalista (Con gli USA e l’UE in testa) esporti il “sistema democratico” con “elezioni libere” in un paese impoverito e oppresso militarmente è un segnale, o almeno un sintomo, che la salute mentale degli invasori ha toccato livelli estremi di decadenza e di deterioramento.
Ed in mezzo a questo caos, tra la demenza “democratica” e la criminalità degli invasori “globali”, i talebani stanno progettando la loro ombra combattente e fondamentalista su Kabul.