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"LA TERRA CI NUTRE LA TECNOLOGIA CI GUIDA: COLTIVIAMO INSIEME IL FUTURO"
28 settembre 2017
L’entrata in vigore del CETA è uno scandalo per la democrazia
Il CETA, trattato di libero scambio con il Canada, è
infine entrato in vigore giovedì 21 settembre, ad eclatante dimostrazione di
come gli Stati abbiano rinunciato alla loro sovranità, lasciando spazio ad un
nuovo diritto, indipendente dal diritto degli stessi Stati e non soggetto ad
alcun controllo democratico. Il CETA sarebbe, sulla
carta, un “trattato di libero scambio”. In realtà però prende di
mira le normative non-tariffarie che alcuni Stati potrebbero adottare, in
particolare in materia di protezione ambientale. A questo riguardo, c’è da
temere che il CETA possa dare l’avvio a una corsa a smantellare le norme di
protezione. A ciò si aggiungono i pericoli che scaturiscono dal meccanismo di
protezione degli investimenti contenuto nel trattato. Il CETA crea infatti un
sistema di protezione per gli investitori tra l’Unione Europea e il Canada che,
grazie all’istituzione di un tribunale arbitrale, permetterà loro di citare in
giudizio uno Stato (o a una decisione dell’Unione Europea) nel caso in cui un provvedimento
pubblico adottato da tale Stato possa compromettere“le legittime
aspettative di guadagno dall’investimento”. In altre parole, la cosiddetta
clausola ISDS (o RDIE) è in pratica un meccanismo di protezione dei guadagni
futuri. E si tratta di un meccanismo unilaterale: nel quadro di questa
disciplina, nessuno Stato può, da parte sua, citare in giudizio un’impresa
privata. È chiaro quindi che il CETA metterà gli investitori in condizione di
opporsi ai provvedimenti politici ritenuti contrari ai loro interessi. Questa
procedura, che rischia di essere molto dispendiosa per gli Stati, avrà
certamente effetti dissuasivi già con una semplice minaccia di processo. Al
riguardo, non dimentichiamo che, a seguito della dichiarazione della Dow
Chemical di voler portare la causa in tribunale, il Québec fu costretto a fare
marcia indietro sul divieto di una sostanza, sospettata di essere cancerogena,
contenuta in un diserbante commercializzato da questa impresa. Vi sono inoltre dubbi in
merito alla reciprocità: si fa presto a dire che il trattato apre i mercati
canadesi alle imprese europee, tanto più che il mercato dell’Unione Europea è
già adesso aperto alle imprese canadesi. Ma basta solo guardare alla
sproporzione tra le popolazioni per capire chi ci guadagnerà. Al di là di
questo, c’è il problema più ampio del libero scambio, in particolare
dell’interpretazione del libero scambio che si evince dal trattato. Al centro
si trovano gli interessi delle multinazionali, che di certo non coincidono con
quelli dei consumatori né dei lavoratori. I rischi rappresentati dal
CETA riguardano quindi la salute pubblica e, senz’ombra di dubbio, la
sovranità. Ma ancora più grave è anche la minaccia posta dal trattato alla
democrazia. Al momento della sua votazione finale nel Parlamento Europeo, tra i
rappresentanti francesi sono stati quattro i gruppi a votare contro: il Fronte
di Sinistra, gli ambientalisti dell’EELV, il Partito Socialista e il Front
National. Un’alleanza forse meno anomala di quanto sembri, se si prendono in
considerazione i problemi sollevati dal trattato. È indicativo il fatto che sia
stato rigettato dalle delegazioni di tre dei cinque paesi fondatori della
Comunità Economica Europea, e dalle seconda e terza maggiori economie
dell’Eurozona. Ciononostante è stato ratificato dal Parlamento Europeo il 15
febbraio 2017, e deve adesso passare la ratifica dei singoli parlamenti
nazionali. Nondimeno, è già considerato parzialmente in vigore prima della
ratifica da parte degli organi rappresentativi nazionali. Il CETA è quindi
entrato in vigore provvisoriamente e parzialmente il 21 settembre 2017 per gli
aspetti riguardanti le competenze esclusive dell’UE, ad esclusione, per il
momento, di certi aspetti di competenza concorrente che necessitano di
votazione da parte dei paesi membri dell’UE, in particolare le parti
riguardanti i tribunali arbitrali e la proprietà intellettuale. Ma anche così,
circa il 90% delle disposizioni dell’accordo vengono già applicate. Ciò
rappresenta un grave problema politico di democrazia. Come se non bastasse,
anche nel caso in cui un paese dovesse rigettare la ratifica del CETA,
quest’ultimo resterebbe comunque in vigore per tre anni. È evidente che è stato
fatto di tutto perché il trattato fosse formulato ed applicato al di fuori del
controllo della volontà popolare. In effetti questo non è
affatto ciò che normalmente si definirebbe un trattato di “libero scambio”. Si
tratta di un trattato il cui scopo è essenzialmente imporre norme decise dalle
multinazionali ai singoli parlamenti degli Stati membri dell’Unione Europea. Se
ciò che si voleva dare era una dimostrazione della natura profondamente
anti-democratica dall’UE, non si poteva certamente fare di meglio. Ciò pone un problema sia
democratico che di legittimità di chi si è fatto fautore del trattato. In
Francia uno solo dei candidati alle elezioni presidenziali, Emmanuel Macron, si
era dichiarato apertamente a favore del CETA. Anche uno dei suoi principali
sostenitori, Jean-Marie Cavada, aveva votato al Parlamento europeo per l’adozione
del trattato. Si profila quindi nelle elezioni presidenziali, e non per la
prima volta nella nostra storia, il famigerato “partito dall’esterno” che
a suo tempo (per l’esattezza il 6 dicembre 1978) era stato denunciato da
Jacques Chirac dall’ospedale di Cochin…[1] Prima della sua nomina a
ministro del governo di Edouard Philippe, Nicolas Hulot aveva preso nettamente
posizione contro il CETA. La sua permanenza al governo, a queste condizioni, ha
il valore di un voltafaccia. Come ministro della Transizione Ambientale (sic),
non ha sicuramente finto un certo rammarico lo scorso venerdì mattina su Europe
1. Ha riconosciuto che la commissione di valutazione nominata da Edouard
Philippe lo sorso luglio aveva identificato diversi potenziali pericoli
contenuti nel trattato. Ma ha anche aggiunto: “…i negoziati erano
ormai arrivati a un punto tale che, a meno di non rischiare un incidente
diplomatico con il Canada, che certamente vorremmo evitare a tutti i costi,
sarebbe stato difficile bloccarne la ratifica”. Questa è una perfetta
descrizione dei meccanismi di irreversibilità deliberatamente incorporati nel
trattato. Non dimentichiamo inoltre che, prima di essere nominato ministro
della Transizione Ambientale, l’ex-presentatore televisivo aveva più volte
dichiarato che il CETA non era “compatibile con il clima”. Si può
qui immaginare quanto fosse grande la spada che ha dovuto ingoiare:
praticamente una sciabola. Da parte sua, fin dalla
sua elezione Emmanuel Macron si è presentato come difensore allo stesso tempo dell’ecologia
e del pianeta riprendendo, capovolgendolo, lo slogan di Donald Trump “Make
the Planet Great Again”. Ha spesso ribadito questo concetto, sia alle
Nazioni Unite che in occasione del suo viaggio alle Antille dopo l’uragano
“Irma”. Ma non si può ignorare che il suo impegno a favore del CETA e la sua
sottomissione alle regole dell’Unione Europea, che ha comunque registrato un
terribile ritardo sulla questione degli interferenti endocrini, dimostrino come
non sia decisamente l’ecologia a motivarlo, e che al massimo questa non sia che
un pretesto per una comunicazione di pessimo gusto e di bassa lega. È dunque necessario avere
ben chiare le conseguenze dell’applicazione del CETA, oltre alla minaccia che
esso rappresenta per la sovranità nazionale, la democrazia e la sicurezza del
paese. [1] Haegel F., « Mémoire,
héritage, filiation : Dire le gaullisme et se dire gaulliste au RPR », Revue
française de science politique, vol. 40, no 6, 1990, p. 875 Di Jacques Sapir, 22 settembre 2017 Traduzione Voci Dall'Estero
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