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18 febbraio 2010

LA NATO "HA CENTRATO L'OBIETTIVO ASSEGNATO" UCCIDENDO 12 CIVILI

La NATO, la scorsa domenica in Afghanistan,  non ha commesso nessun errore uccidendo 12 civili. Così garantisce il generale britannico Nick Carter, comandante delle forze dell’alleanza, che ha assicurato inoltre, che il proiettile “ha centrato l’obiettivo stabilito”.
In una video-conferenza dall’Afghanistan organizzata dal ministero britannico della Difesa, Carter, ha assicurato che che si era creduto fosse un lancio sbagliato, “adesso sappiamo che abbiamo centrato l’obiettivo, non è stato un missile fallito, non c’è stato nessun errore tecnico nell’accaduto”.

20 gennaio 2010

BENVENUTI NEL MONDO DI ORWELL


di John Pilger

In 1984, George Orwell descriveva un super Stato, Oceania, il cui linguaggio bellico trasformava le bugie che, all’essere introdotte nella Storia, diventavano realtà. “
Chi controlla il passato” diceva lo slogan del Partito, “controlla il futuro: e chi controlla il presente controlla il passato”. Barack Obama è il leader dell’attuale Oceania.

In due discorsi che concludono un decennio, il premio Nobel per la Pace afferma che la pace non è più la pace, ma
una guerra permanente che “si estende oltre l’Afghanistan ed il Pakistan” verso “regioni caotiche, Stati falliti, nemici diffusi”. A che lo qualificavano come “sicurezza mondiale” e ci chiedeva di essere ringraziato. Si è rivolto al popolo afgano, invaso e occupato dagli USA, per affermare con cinismo: Non abbiamo nessun interesse ad occupare il vostro paese”.

11 gennaio 2010

GLI USA RECLUTANO IN TUTTO IL MONDO PER LA GUERRA IN AFGHANISTAN

di Rick Rozoff


I primi dei 33.000 soldati aggiuntivi degli USA sono arrivati in Afghanistan per un’ “ondata” natalizia e presto se ne aggiungeranno fino a 10.000 non statunitensi che serviranno la NATO nell’ISAF (Forza Internazionale di Assistenza per la Sicurezza). Washington avrà un personale in divisa composto da più di 100.000 soldati e decine di migliaia di nuovi contrattisti militari nella zona della guerra sud asiatica, e con più di 50.000 soldati della NATO e di partner della NATO, la somma delle forze supererà i 150.000.


Con l'eccezione di un piccolo numero di soldati assegnati alla Missione di Addestramento della NATO- Iraq, a Baghdad, è stato ordinato agli stati membri, soprattutto ai nuovi, della NATO, e agli Stati candidati, che trasferiscano le loro forze dall’Iraq all’Afghanistan circa un anno fa, e stanno inviando soldati alle missioni in Kosovo, Libano e Ciad verso la stessa destinazione. Il fronte di battaglia afgano, quindi, ha la maggior quantità di forze militari stazionate di qualsiasi altra zona del mondo. [1]


Soldati provenienti da paesi della NATO stazionati in Bosnia, Repubblica Centrafricana, Ciad, Libano e al largo delle coste della Somalia sono attualmente assegnati a missioni nell'Unione Europea (navi da guerra europee sono coinvolte anche in interdizione navale nell'Oceano Shield NATO nelle acque della Somalia e il Golfo di Aden) e il loro trasferimento verso il fronte Sud della guerra asiatica indica l'intercambiabilità virtuale di unità militari assegnate alla NATO e all'Unione Europea. [2]


Fin dall'inizio dell' escalation della guerra in Afghanistan quest'anno, e verso il vicino Pakistan, personalità pubbliche e mass media occidentali si sono occupati frequentemente e ampiamente del fatto che la guerra è un – o il- test per la NATO, apparentemente il maggior successo nella sua storia in 60 anni.


Quando il blocco, l’unica alleanza militare al mondo, ha invocato la clausola di aiuto reciproco dell’Articolo 5 a settembre del 2001 per sostenere il suo principale membro, gli USA, nella sua invasione ed occupazione dell’Afghanistan, l’Alleanza aveva appena vissuto la sua prima guerra: la campagna di 78 giorni di bombardamenti contro la Jugoslavia agli inizi del 1999, il primo attacco militare generalizzato contro una nazione europea dal periodo degli attacchi ed invasioni di Hitler e di Mussolini del 1939-1941.


Mediante l'attivazione dell'articolo 5,- “Le Parti accordano che un attacco armato contro uno o più di essi in Europa o NordAmerica sarà considerato un attacco contro tutte esse (e) aiuteranno alla Parte o le Parti attaccate”- la NATO si preparò per la sua prima guerra terrestre e la sua prima guerra in Asia.


Approfittò anche della sua situazione di guerra effettiva per lanciare la Operation Active Endeavor (Operazione Sforzo Attivo) all' inizio di ottobre del 2001, un programma esaustivo, ermetico, di controllo ed interdizione navale in tutto il Mar Mediterraneo che monitora tutta l’attività nel nuovo mare nostrum della NATO e domina tutti i punti di accesso al mare più importanti del mondo: Lo Stretto di Gibilterra, lo Stretto dei Dardanelli e il Canale di Suez, che collega il Mediterraneo con l'Oceano Atlantico, il Mar Nero, il Mar Rosso e quindi con l’Oceano Indiano, rispettivamente.


L’alleanza guidata dagli USA ha ottenuto il controllo di questa vasta gamma di vie navigabili attraverso l’adozione di pretesti statunitensi precedenti all’11 settembre del 2001 di combattere il terrorismo e le armi di distruzione di massa. Il primo è stato il pretesto per invadere l’Afghanistan, il secondo per invadere l’Iraq.


Tre anni dopo l’inaugurazione dello Sforzo Attivo, che continua con tutta la sua forza fino ad oggi, il summit della NATO in Turchia, ha sviluppato l’Iniziativa di Cooperazione di Strasburgo che ha aggiornato la cooperazione militare con i membri del Dialogo Mediterraneo del blocco- Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Mauritana, Marocco e Tunisia ed ha proposto ai sei membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo- Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita e gli Emirati Arabi- di avere un rapporto simile, modellato secondo il programma di Cooperazione per la Pace che ha preparato a dodici nazioni europee orientali per il loro accesso alla qualifica di membro pieno della NATO durante l’ultimo decennio. [3]


In dieci anni il blocco militare si è esteso molto oltre i suoi limiti avuti durante la Guerra Fredda, Nord America, Europa Occidentale e Meridionale e a quasi tutto l’Europa Orientale, incluso gli Stati del vecchio patto di Varsavia e le repubbliche sovietiche e jugoslave. La divisione militare bipolare dell’Europa simbolizzata dal Muro di Berlino [4], che è caduto 20 anni fa, è stata sostituita da una espansione unilaterale dell’unico blocco militare del mondo verso le frontiere occidentali della Russia, del mar Baltico al Mar Nero e Adriatico. Da lì è arrivato, attraverso i suoi insediamenti e corporazioni verso il sud del Caucaso, Africa nord orientale e centrale, Asia centrale e del sud.


Se l’Afghanistan è una prova o il saggio della NATO nel suo 60° anniversario, non lo è per la NATO del 1949 ma per quella che importanti funzionari dell’Alleanza e altri difensori hanno chiamato negli ultimi anni: LA NATO del XXI Secolo, una NATO di spedizione, una NATO globale: Il primo intento nella storia di forgiare un’alleanza militare internazionale. Una rete armata internazionale che ha come suo fondamento e suo nucleo l' autoproclamata superpotenza esclusiva del mondo e il suo arsenale nucleare.


La guerra “asimmetrica” in Afghanistan, che è al suo nono anno, è un’impresa seminale per la NATO sotto diversi aspetti. Oltre a rappresentare la prima guerra terrestre del blocco e la sua prima escursione coloniale fuori dal mondo euro-atlantico, la prolungata, ed in base a tutti gli indizi indefinita campagna nel sud dell’Asia è un laboratorio e campo di addestramento, poligono di tiro e punto di convergenza per la consolidazione statunitense di una forza globale di attacco e di occupazione provata per la prima volta in Kosovo nel 1999 con 50.000 soldati sotto il comando della NATO, dopo in Iraq nel 2004 con decine di migliaia di soldati della NATO, nuove nazioni della NATO e candidate al blocco. [5]


Adesso Washington e Bruxelles hanno obbligato contingenti armati di cinquanta nazioni di cinque continenti perché siano sotto il comando del generale Stanley McChrystal, capo di tutte le forze degli USA e della NATO in Afghanistan.


I nuovi Stati che contribuiscono sono anche paesi geograficamente lontani e diversi in altri sensi, come la Colombia, la Bosnia, Georgia, Montenegro, Mongolia, Armenia e Corea del Sud.Tutti, ad eccezione della Mongolia, sono stati scenari di guerre o potrebbero esserlo in qualsiasi momento. Come hanno stabilito numerose dichiarazioni di dirigenti politici e militari di nazioni che forniscono soldati alla NATO per la guerra afgana, quel campo di battaglia è un luogo e un' opportunità ideale per ottenere esperienza reale di combattimento con il fine di applicarla in casa. La maggior parte dei paesi in questa categoria confinano con la Russia sui versanti nord occidentale e sud occidentale. [6]


Il ministro di Difesa austriaco, una delle poche nazioni europee che ancora non è completamente membro della NATO, recentemente si è lamentato che funzionari statunitensi stessero facendo pressione al suo paese perché fornisse più soldati per il loro attacco in Afghanistan, ed ha dovuto ricordare ai lettori di uno dei giornali del suo paese che il suo paese continua ad essere uno Stato sovrano. Come informa il Deutsche Welle, “L’Austria e gli USA, discutono per la quantità di soldati austriaci in Afghanistan. Il governo austriaco dice che sente una forte pressione da parte degli USA perché si inviino altri soldati alla missione della NATO”.


Il giornale sud coreano Dong- A Ilbo, il 21 dicembre scriveva che “La NATO ha invitato per la prima volta una delegazione militare coreana ad una riunione il prossimo anno dove ci saranno i paesi che inviano soldati in Afghanistan”.


“L’invio di esercito coreano, programmato per luglio, probabilmente accelererà un’amplia cooperazione militare tra la Corea e la NATO”. La fonte ha aggiunto che la valutazione della Corea da parte della NATO sta cambiando con l’avvento del nuovo governo di Lee Myung-bak a Seul, dato che la Corea partecipa attivamente alla cooperazione internazionale sulla sicurezza, inclusa la decisione di inviare l' esercito in Afghanistan e di unirsi pienamente all’ Iniziativa della Sicurezza della Proliferazione”. L’iniziativa della Sicurezza della Proliferazione (PSI) è un altro meccanismo vincolato al progetto dell’armata di migliaia di navi USA, così come l’Operazione di Active Endeavor NATO, per impegnare più e più nazioni di tutto il mondo in una rete militare internazionale diretta da Washington. [7]


La Corea è quella che dalla NATO viene identificato come Paese di Contatto partner, gli altri sono il Giappone, l’Australia e la Nuova Zelanda, come fondamento per una “NATO asiatica” in caso di emergenza anche Singapore e Mongolia- che hanno o avranno per la prima volta un esercito al servizio della NATO in Afghanistan- così come le Filippine, Tailandia, Brunei e future possibilità come l’India, Bangladesh e Cambogia e le cinque ex repubbliche sovietiche in Asia Centrale, così come l’Afghanistan e il Pakistan. [8]


Mentre si sposta verso est, il blocco del Nord Atlantico lo fa anche verso il Sud ed ha cominciato a penetrare formalmente l’Africa, con una missione di trasporto aereo verso la regione del Darfur nel Sudan nel 2005 ed insediamenti navali di fronte alla Somalia nel Corno dell’Africa dal 2007.


Il principale alleato militare di Washington in Sud America e in tutta l'America Latina, la Colombia, consegnando sette basi militari al Pentagono in un’azione che potrebbe provocare una guerra con i vicini Venezuela ed Ecuador, sta inviando una compagnia di soldati addestrati dagli Stati Uniti, alla missione dell’ISAF della NATO. Daranno la propria esperienza bellica alla nazione sud asiatica e ritorneranno a casa, come i loro equivalenti militari georgiani e sud coreani, allenati anche dagli USA, meglio preparati per conflitti armati contro gli Stati vicini.


A parte la Gran Bretagna, Francia e Paesi Bassi sono tenuti a fornire i propri possedimenti coloniali in America Latina e le loro coste al loro alleato statunitense della NATO da usare contro i paesi membri dell'Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA), Bolivia, Ecuador, Cuba, Nicaragua e Venezuela (Honduras post golpe si è ritirato) sono state adottate misure negli ultimi quindici anni per espandere i legami della NATO con altre nazioni latinoamericane. [9]


Nel 1995 il Cile e l’Argentina (sotto la presidenza Menem) hanno inviato truppe perché servissero la NATO in Bosnia, il primo attacco militare dell’Alleanza fuori dal territorio di uno Stato membro. Questa settimana il Cile ha accettato la continuazione dell’insediamento di esercito in questo paese- la missione è stata trasferita dalla NATO all’UE- ed un funzionario del governo ha dichiarato: “Abbiamo visto il Cile insieme alla NATO in un paese europeo, e l’interazione delle nostre forze armate con eserciti di prima categoria nel mondo”. [10]


La guerra e la storia militare dei candidati alla NATO e agli Stati partner della NATO durante gli ultimi 15 anni si sono estesi dalla Bosnia al Kosovo, alla Macedonia e all’Iraq, e finalmente all' Afghanistan. Le forze armate cilene, chiunque vinca il ballottaggio delle elezioni presidenziali, potrebbero essere inviate in Afghanistan.


Dal rafforzamento dei legami con il Cile, che è coinvolto nella controversia in corso multinazionale per i diritti nell’Antartide, e con il Sud Africa, dove hanno attraccato navi da guerra della NATO e realizzato esercitazioni navali durante gli ultimi due anni, oltre all’Australia che ha il più grande contingente di paesi non membri della NATO in servizio in Afghanistan, l’ Alleanza si posiziona per la corsa all’estremo sud del pianeta [11] come lo è attualmente per la parte superiore del mondo. [12]


Due mesi prima della demolizione del Muro di Berlino e la fine effettiva della Guerra Fredda, si è tenuto un summit triennale del Movimento dei Non-Allineati a Belgrado, Jugoslavia. Erano presenti i rappresentanti di 108 nazioni che sono stati definiti come non–allineati militarmente.


Venti anni più tardi, e con più di venti paesi supplementari nel mondo dopo la disintegrazione dell'Unione Sovietica, della Cecoslovacchia e Jugoslavia e l'indipendenza di Timor Est,di aderire agli accordi militari, associazioni, l'esercizio e la creazione di basi USA e della NATO è più intenso che durante la Guerra Fredda.


La recente attivazione del Comando Africa degli USA, conta solo 53 nazioni per associazioni individuali e collettive con il Pentagono. La guerra in Afghanistan oggi è un banco di prova più ampio a livello mondiale nella militarizzazione del mondo. Washington fa pressione su tutto il mondo perché contribuisca con eserciti, logistica e risorse finanziarie ed usa la guerra per stabilire legami bilaterali militari e l'interoperabilità di armi e tecnologia militare con le nazioni di tutto il mondo.


Il primo decennio del nuovo millennio è stata una guerra, che iniziò seriamente in Afghanistan, e l’espansione di basi e di eserciti statunitensi in Europa Orientale, Medio Oriente, Africa, Sud America e Asia Centrale e del sud. Aree che erano finora state risparmiate la presenza permanente del Pentagono.


Note

1) U.S., NATO Poised For Most Massive War In Afghanistan’s History, Stop NATO, September 24, 2009 http://rickrozoff.wordpress.com/2009/09/24/u-s-nato-poised-for-most-massive-war-in-afghanistans-history

2) UE, NATO, USA: L'alleanza del secolo per il dominio globale, Stop NATO, February 19, 2009
http://www.vocidallastrada.com/2009/03/ue-nato-usa-lalleanza-del-secolo-per-il.html
3) NATO In Persian Gulf: From Third World War To Istanbu, Stop NATO, February 6, 2009
http://rickrozoff.wordpress.com/2009/08/26/nato-in-persian-gulf-from-third-world-war-to-istanbul
4) 1989-2009: Moving The Berlin Wall To Russia’s Borders, Stop NATO, November 7, 2009
http://rickrozoff.wordpress.com/2009/11/07/1989-2009-berlin-wall-moves-to-russian-border
5) Afghan War: NATO Builds History’s First Global Army, Stop NATO, August 9, 2009
http://rickrozoff.wordpress.com/2009/09/01/afghan-war-nato-builds-historys-first-global-army
6) Afghan War: NATO Trains Finland, Sweden For Conflict With Russia, Stop NATO, July 26, 2009
http://rickrozoff.wordpress.com/2009/09/01/afghan-war-nato-trains-finland-sweden-for-conflict-with-russia
7) Proliferation Security Initiative And U.S. 1,000-Ship Navy: Control Of World’s Oceans, Prelude To War, Stop NATO, January 29, 2009
http://rickrozoff.wordpress.com/2009/08/26/proliferation-security-initiative-and-us-1000-ship-navy-control-of-worlds-oceans-prelude-to-war
8) Global Military Bloc: NATO’s Drive Into Asia, Stop NATO, January 24, 2009
http://rickrozoff.wordpress.com/2009/08/26/global-military-bloc-natos-drive-into-asia
U.S. Expands Asian NATO Against China, Russia, Stop NATO, October 16, 2009
http://rickrozoff.wordpress.com/2009/10/16/u-s-expands-asian-nato-against-china-russia
9) Twenty Years After End Of The Cold War: Pentagon’s Buildup In Latin America, Stop NATO, November 4, 2009
http://rickrozoff.wordpress.com/2009/11/04/stop-nato
10) Xinhua News Agency, December 22, 2009
11) NATO Of The South: Chile, South Africa, Australia, Antarctica, Stop NATO, May 30, 2009
http://rickrozoff.wordpress.com/2009/08/31/nato-of-the-south-chile-south-africa-australia-antarctica
12) NATO’s, Pentagon’s New Strategic Battleground: The Arctic, Stop NATO, February 2, 2009
http://rickrozoff.wordpress.com/2009/08/26/natos-pentagons-new-strategic-battleground-the-arctic

Fonte: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=16653


Tradotto e segnalato per Voci Dalla Strada da
VANESA

5 gennaio 2010

OBAMA DICHIARA GUERRA AL PAKISTAN


Il presidente Obama, con il generale USA McChrystal


di Webster G. Tarpley

Così come ha spiegato nel suo discorso a West Point, il presidente Obama è disposto ad usare il conflitto bellico in Afghanistan come scusa per lanciare una nuova offensiva contro il Pakistan. Da quando ha preso il potere ha aumentato significativamente il numero e l’intensità degli attacchi aerei contro il nord del Pakistan mentre riceve pressioni perché li estenda al Beluchistan. Per Webster G. Tarpley, l’obiettivo immediato della strategia del Grande Gioco, diretto da Obama nella regione, è smembrare sia l’Afghanistan quanto il Pakistan attraverso il fomento di rivolte secessioniste tra i gruppi etnici su entrambi i lati del confine.

Il discorso di Obama il 1 dicembre in (l’accademia militare di) West Point, rivela niente meno che l' offensiva brutale contro l’Afghanistan non è altro che un modo per fomentare e portare la guerra degli USA nel vicino Pakistan [1].

16 dicembre 2009

LA TRAPPOLA: AFGHANISTAN 1979-2009

L'obiettivo è che gli Stati Uniti possano contare su una base militare da cui attaccare la Russia e la Cina

di Tiberio Graziani


Il presidente Obama ha appena scelto la scalata militare in Afghanistan, dove la NATO affronta l’insurrezione dei pashtunes, che la propaganda sta associando con l’oscurantismo religioso. Scommettendo per la scalata militare, Washington si mette in un nuovo
pantano. L’analista italiano, Tiberio Graziani osserva in questo articolo la trappola afgana, montata dagli Stati Uniti nel 1979 contro i sovietici, si chiude oggi sulle truppe del Pentagono.

Ribelli afgani sui resti di un elicottero sovietico. A quell’epoca, i muyahidenes erano considerati, da Washington, come “combattenti per la libertà”, oggi, distruggono gli elicotteri della NATO e sono qualificati come “terroristi talebani”.

1979, l’anno della destabilizzazione.


Tra i diversi avvenimenti della politica internazionale del 1979, ce ne sono due particolarmente importanti per aver contribuito all’alterazione del quadro geopolitico globale, basato allora sulla contrapposizione tra gli USA e l' URSS. Ci riferiamo alla rivoluzione islamica dell’Iran e l’avventura sovietica in Afghanistan.


La presa del potere da parte dell’ayatollah
Khomeini, come si sa, ha eliminato uno dei pilastri fondamentali sul quale si sostentava l’architettura geopolitica occidentale guidata dagli USA.

L’Iran di Reza Pahlavi costituiva nelle relazioni di forza tra gli USA e l' URSS un pezzo importante, la cui sparizione indusse il Pentagono e Washington ad una profonda riconsiderazione del ruolo geostrategico americano. Un Iran autonomo e fuori dal controllo introduceva nella scacchiera geopolitica regionale una variabile che potenzialmente metteva in crisi tutto il sistema bipolare.


Inoltre, il nuovo Iran, come potenza regionale antistatunitense e antisraeliana, possedeva le caratteristiche (in modo particolare, l’estensione e la centralità geopolitica e l' omogeneità polita- religiosa) per competere per l’egemonia di almeno una parte dell’aerea meridionale, in aperto contrasto con gli interessi simili di Ankara e Tel Aviv, i due fedeli alleati di Washington e di Islamabad.


Per queste considerazioni
, gli strateghi di Washington, coerenti alla loro bicentenaria “geopolitica del caos”, in poco tempo hanno indotto, l’Iraq di Saddam Hussein a scatenare una guerra contro l’Iran. Lo squilibrio di tutta la zona permetteva a Washington e all’Occidente di guadagnare tempo per progettare una strategia di lunga durata e, tranquillamente, consumare l’orso sovietico.

Come ha evidenziato
dodici anni fa Zbigniew Brzezinski [1] consigliere della sicurezza nazionale del presidente Jimmy Carter, durante un’intervista concessa al settimanale francese Le Nouvel Observateur (15-21 gennaio 1998, pag 76), la CIA era entrata in Afghanistan con lo scopo di destabilizzare il governo di Kabul, già a luglio del 1979, cinque mesi prima dell’intervento sovietico.

La prima direttiva con la quale Carter autorizzava l’azione segreta per aiutare segretamente gli oppositori del governo filosovietico risale, infatti, al 3 luglio. Quello stesso giorno lo stratega statunitense di origine polacca, scrisse una nota al presidente Carter nella quale spiegava che la sua azione avrebbe portato Mosca ad intervenire militarmente. Ciò che puntualmente avvenne alla fine di dicembre di quello stesso anno. Sempre Brzezinski, durante la stessa intervista, ricorda che, quando i sovietici entrarono in Afghanistan, scrisse a Carter un’altra nota nella quale espresse la sua opinione sul fatto che gli USA finalmente avevano l’opportunità di dare all’Unione Sovietica la loro guerra del Vietnam. Il conflitto, insostenibile per Mosca, avrebbe condotto, secondo Brzezinski, al collasso dell’impero sovietico.


Il lungo impegno militare
sovietico a favore del governo comunista di Kabul, di fatto, ha contribuito ulteriormente a debilitare l' URSS, già in avanzato stato di crisi interna, sia nella parte politica-burocratica che in quella socio- economica.

Come sappiamo oggi, il ritiro dell’esercito da parte di Mosca dal teatro afgano lasciò tutta la zona in una situazione di estrema fragilità politica, economica e, soprattutto, geostrategica. In pratica, neanche dieci anni dopo la rivoluzione di Teheran,
tutta la regione era stata completamente destabilizzata a beneficio esclusivo del sistema occidentale. Il contemporaneo inarrestabile declino dell' Unione Sovietica, accelerato dall’avventura afgana e, successivamente, lo smembramento della Federazione Iugoslava (una specie di Stato tappo tra i blocchi occidentali e sovietici) degli anni '90 aprivano le porte all’espansione USA, l' hyperpuissance, come definito dal ministro francese Hubert Védrine, nello spazio eurasiatico.
Dopo il sistema bipolare, si apriva una nuova fase geopolitica: quella del “momento unipolare”.

Il nuovo sistema unipolare, però, avrebbe avuto vita breve, e sarebbe finito –all’alba del XXI secolo- con la riaffermazione della Russia come attore globale e con il sorgere contemporaneo delle potenze asiatiche, Cina ed India.


I cicli geopolitici dell’Afghanistan


L’Afghanistan per le sue proprie caratteristiche,
relative principalmente alla sua posizione nello spazio sovietico (confini con le repubbliche, in quell’epoca sovietiche, del Turkmenistan, Uzbekistan e Tayikistan), alle caratteristiche fisiche, e, inoltre, alla mancanza di omogeneità etnica, culturale e confessionale, rappresentava, agli occhi di Washington, una porzione fondamentale del chiamato “arco di crisi”, cioè, la striscia di territorio che si estende dai confini meridionali dell' URSS fino all’Oceano Indiano. L’elezione come trappola per l' URSS cadde sull’Afghanistan, quindi, per evidenti motivi geopolitici e geostrategici.

Dal punto di vista dell’analisi geopolitica, infatti, l’Afghanistan costituisce un chiaro esempio di un’aerea critica, dove le tensioni tra le grandi potenze si scaricano da tempi memorabili.


L’area nella quale si trova attualmente la Repubblica Islamica dell’Afghanistan, dove il potere politico sempre si è strutturato sulla dominazione delle tribù pashtunes sulle altre etnie (tayikos, hazaras, uzbecos, turcomani, baluchi) si forma precisamente nella frontiera dei tre grandi dispositivi geopolitici: l’impero mongolo, il
Khanato uzbeko e l'impero persiano. Le dispute tra le tre identità geopolitiche limitrofe determineranno la loro storia futura.

Nel XVIII e XIX secolo, quando l’apparato statale si sarebbe consolidato come regno afgano, l’area sarebbe stata oggetto delle contese tra le due grandi entità geopoliche: l’Impero Russo e la Gran Bretagna. Nell’ambito del così detto “Grande Gioco”, la Russia, potenza di terra, nel suo impeto verso i mari caldi (Oceano Indiano), l’India e la Cina, si scontrano con una potenza marittima britannica che, a sua volta, cerca di chiudere e di penetrare la massa eurasiatica in Oriente verso la Birmania, la Cina, il Tibet e la conca del Yangtse, girando sull’India, ed in Occidente in direzione degli attuali Pakistan, Afghanistan e Iran, verso il Caucaso, il Mar Nero, la Mesopotamia e il Golfo Persico.


Nel sistema bipolare della fine del ventesimo secolo, come sopra descritto, l'Afghanistan sarà un campo in cui vengono misurate di nuovo una potenza del mare, gli Stati Uniti, e da terra, l'URSS
.


Oggi, dopo l’invasione statunitense del 2001, che presuntuosamente Brzezinski definiva come la trappola afgana per i sovietici è diventata la palude e l’incubo degli Stati Uniti.


[1]
«La monstruosa estrategia para destruir Rusia», di Arthur Lepic, Red Voltaire, 12.12.2004.

Fonte:
http://www.voltairenet.org/article163239.html

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
Vanesa

Video correlati:
L'UOMO DIETRO BARAK OBAMA (1/2)
L'UOMO DIETRO BARAK OBAMA (2/2)

30 novembre 2009

AFGHANISTAN: «LA NATO E' UGUALE AI TALEBANI»


Gli Stati Uniti ed i suoi alleati non sanno cosa fare con l’ Afghanistan dopo i brogli elettorali di agosto e del risorgimento del movimento islamico talebano.

Chris Arsenault intervista la parlamentare afgana Malalai Joya- IPS


Il presidente entrante Hamid Karzai il 19 di questo mese ha iniziato il suo secondo mandato, senza ballottaggio dopo la rinuncia dell’oppositore Abdulah Abdulah per i dubbi sulla legittimità di nuovi comizi.


La raccomandazione della parlamentare afgana Malalai Joya al comandante degli Stati Uniti in Afghanistan, Stanley McChrystal, e ad altri militari è:
“Dovete andarvene via oggi dal mio paese, è molto meglio che domani”.

Il generale Mc Chrystal
è uno di quelli che hanno chiesto al governo di Barack Obama di inviare 40.000 soldati in Afghanistan, in aggiunta ai 69.000 che sono già in questo paese dell’ Asia Centrale.

“Loro
sostengono che ci sarà una guerra civile” se vanno via gli stranieri, segnala Joya mentre beveva qualche sorso di thè verde, “ma nessuno parla della guerra civile che c’è adesso”.

Sono morte 1.000 persone durante la prima metà del 2009, un aumento del 24 % rispetto all’anno scorso, in base ai dati dell’ Unità dei Diritti Umani della Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan.


Ad ottobre sono morti più statunitensi che in qualsiasi altro mese durante gli otto anni di guerra.


Joya è la donna più giovane che sia stata eletta al parlamento afgano. Le sue valorose
denunce all’occupazione straniera e al fondamentalismo talebano sono le cause dei cinque attentati che ha subito.
“Sono un po’ stanca”, ha confessato, “ma dobbiamo essere instancabili”.

Joya ha parlato con IPS
in questa città del sud-ovest del Canada, in occasione del lancio della sua biografia, “A Woman Among Warlords: The Extraordinary Story o fan Afghan Who Dared to Raise Her Voice” (Una donna tra i signori della guerra: la straordinaria storia di un’afgana che ha avuto il coraggio di alzare la voce”).

IPS:
Il discorso dominante in Occidente sull’ Afghanistan è che se i soldati se ne vanno, i Talebani torneranno al potere, le bambine non andranno più a scuola ed il paese diventerà un trampolino di lancio per attacchi in tutto il mondo. Qual è la sua opinione su questa idea?

MALALAI JOYA:
La democrazia non nasce dalla guerra, nè da un’arma nè da una bomba a grappolo. La liberalizzazione non si ottiene mai pertendo da un’occupazione. Dopo la tragedia dell’ 11 settembre (2001, quando ci sono stati gli attentati terroristi contro New York e Washington), gli Stati Uniti e i suoi alleati ci hanno messo in una situazione che da cattiva che era è diventata peggiore.
Hanno sostituito i fondamentalisti Talebani con l’ Organizzazione del Trattato dell’ Atlantico del Nord (NATO), che sono la loro fotocopia.

Occupano il nostro paese in nome dei diritti delle donne, ma la loro situazione è tanto catastrofica quanto sotto il regime talebano (1996-2001). L’unica differenza è che quei delitti succedono in nome della democrazia, della libertà, dei diritti umani e (
in particolare) della donna. Ma non si possono concedere dall’estero nè sotto il tiro di una pistola.

Loro dicono che, se i loro soldati se ne vanno, i Talebani ci divoreranno. Ma loro li sostengono e appoggiano i signori della guerra.
Entrambi ci stanno mangiando. Lottare contro un nemico è più facile che lottare contro due nemici. E siamo tra due nemici.

IPS:
Il giornale statunitense New York Times ha recentemente riferito che Ahmed Wali Karzai, il fratello del presidente Hamid Karzai, è un noto trafficante di droghe e che da anni lavora per la CIA. Inoltre, The Nation ha segnalato che le forze occidentali finanziano i Talebani in modo indiretto pagandoli per la sicurezza delle loro strade. La gente comune commenta questa connivenza?

MJ:
La gente lo sa molto bene. Molti altri, come il presidente Abdulah Abdulah, sono seduti sulle ginocchia della CIA. Si dice che Gulbuddin Hekmatyar, un altro signore della guerra, faccia ricorso alla sua vecchia rete di traffico di droghe creata da questa agenzia.

Se il primo ministro canadese, Stephen Harper è onesto, perché sta zitto e sostiene un sistema mafioso?
Sono criminali, ma siccome hanno un vestito ed una cravatta sono al potere.

Come se non bastasse, Karzai ha nominato Izzatullah Wasifi come capo della lotta contro la corruzione nel 2007.
Si tratta di un condannato per traffico di droga che ha trascorso quasi quattro anni nella prigione di stato (stato americano), in Nevada, per la vendita di eroina, ma era un vecchio amico di famiglia del presidente dell'Afghanistan.
Come dicono gli afgani: “Karzai ha messo un coniglio a prendersi cura di una carota”.

IPS:
A Marzo del 2001, Rahmatullah Hashmini, importante assessore del leader talebano Mullah Omar, si sarebbe incontrato con funzionari di Washington per discutere della costruzione di un gasdotto trans-afgano, che porterebbe gas naturale dall’ Asia centrale all' India, passando dall’ Afghanistan e evitando l’ Iran e la Russia, che non sono alleati degli USA. Le trattative si sono interrotte a causa di divergenze sulla tassa di transito, in base a quanto ha scritto il giornalista Pepe Escobar dell’ Asia Times. Che rapporto c’è tra le riserve energetiche della regione e l’occupazione?

MJ:
Loro hanno occupato il nostro paese con scopi geopolitici.
L’ Afghanistan è nel cuore dell’ Asia. La Cina e la Russia sono sempre più potenti e questo non piace agli USA. Il mio paese è un buon punto di passaggio per accedere facilmente alle risorse di gas e di petrolio dell’ Asia Centrale.

La superpotenza usa e occupa il nostro paese come se fosse parte di una grande partita a scacchi. L’Afghanistan ha molte risorse naturali. La Cina ha appena offerto mille di milioni di dollari per poter sfruttare i nostri giacimenti di rame, valutati in circa 88.000 milioni di dollari.


IPS:
I canadesi e alcuni europei sono orgogliosi di non avere truppe in Iraq. Cosa ne pensa?

MJ:
Quando il suo governo dice che la guerra in Iraq è cattiva e che quella dell’ Afghanistan è buona deve chiederne il perché. La guerra in Afghanistan fomenta il terrorismo, nonostante che il presunto obiettivo è quello di combatterlo. I principali beneficiari del conflitto sono i gruppi estremisti che approfittano del legittimo risentimento contro la NATO.

Invio le mie condoglianze alle madri canadesi che hanno perso i loro figli e figlie in Afghanistan
in nome della guerra cosiddetta contro il terrorismo. Loro sono quelle che devono far pressione al governo, prendere forza dalle loro paure e alzare la loro voce contro questa guerra criminale. Loro sono le vittime delle cattive politiche del proprio governo.

Fonte:
http://www.iarnoticias.com/2009/noticias/asia/0343_otan_igual_taliban_24nov09.html

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
VANESA

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7 novembre 2009

IL MIRAGGIO DI OBAMA

LA NUOVA POLITICA ESTERA NORDAMERICANA

di Higinio Polo
El viejo topo

E' trascorso un tempo sufficiente per capire che cosa c' è di verità e ciò che è improbabile nelle promesse che Obama ha fatto durante la campagna elettorale e assumendo la carica. Finora, pochi sono i fatti, e le parole sempre più ambigue. E se non ci credete, chiedete a Zelaya.

Quasi sul punto di compiere il suo primo anno alla presidenza nordamericana, Barack Obama contempla come gli Stati Uniti continuano ad essere impantanati in una grave crisi economica e sociale, nonostante l’annuncio che la recessione è finita, che mostra più i desideri che la realtà. A gennaio del 2009, Obama arrivava con l’aureola per essersi opposto alla guerra in Iraq, promettendo la ritirata del suo esercito, e, sembra, disposto a realizzare serie riforme negli USA, liquidando inoltre, l’avventurosa e aggressiva politica estera che era stata avviata da Bush. Il nuovo presidente ha ereditato due guerre e la rottura degli accordi di disarmo che erano stati sottoscritti con l’ Unione Sovietica (L’ ABM, del 1972, sui missili antiproiettili , che era il più importante compromesso di disarmo, sulle cui fondamenta posavano tutti gli altri convegni), oltre ad una aggressiva scommessa per un falso “scudo missilistico” in Europa, che era, in realtà , un pericoloso strumento contro la sicurezza strategica della Russia.

Se giudichiamo la figura di Obama in base ai criteri della stampa europea (in generale, affascinata da un presidente che hanno qualificato come progressista, che ha abbagliato anche la sinistra moderata, che ne ha fatto del suo nome una bandiera), dovremo concludere che la sua presidenza inizia una nuova era.
Questa stessa stampa europea, che si è astenuta, in modo generale, dal criticare la ferocia di Bush e la sua dottrina fascista delle “guerre preventive”, e che cominciò a dargli torto, timidamente, solo quando la sua presidenza stava per finire, ha creato il mito di un Obama riformista, dell’ inizio di una nuova era…..che è molto lontano dalla realtà. Le ridicole lodi dai giornali e dalla tv, elevando i suoi discorsi alla categoria del pensiero politico, hanno creato una confusione enorme nell’opinione pubblica, perché non bisogna aspettarsi grandi cose da parte di Obama, anche se è certo che la sua elezione, dopo il lungo periodo dell’ incompetente e spietato Bush, la sua condizione di afroamericano, o meticcio, e la sua relativa gioventù, unita alla forza e simpatia della sua famiglia, lo hanno trasformato in un’icona popolare, alla quale anche le organizzazioni più o meno provenienti dalla sinistra, emulano.

Però, Obama condivide la generalizzata convinzione nordamericana sul ruolo provvidenziale degli Stati Uniti e la sua missione come leader del pianeta, e, fino ad ora, non ha mostrato di fermezza nell' avviare riforme progressiste, anche la sua scommessa di un nuovo sistema sanitario che raggiunga tutti i nordamericani è positiva, come lo è la rinegoziazione delle ipoteche dei cittadini che hanno perso il loro lavoro e sono rovinati, ma,
fino ad oggi, ha approvato molti più aiuti alle banche e al corrotto capitalismo rappresentato da Wall Street che partite dedicate al soccorso dei più poveri, ai milioni di disoccupati che vedono il futuro senza speranza. Ci concentreremo qui nell’esame della sua azione estera. La definizione di una nuova politica estera porta tempo, senza dubbio, ma è trascorso quasi un anno dall’arrivo della nuova squadra alla Casa Bianca e si può dire che l’inerzia dell’apparato militare nordamericano trascina Obama, e che se l' insopportabile petulanza che Washington ha mostrato in tutti i fori internazionali da mezzo secolo comincia a sparire parzialmente, non è perché il nuovo presidente abbia smesso di credere in quella caricatura di “popolo scelto” con la quale tutti i dirigenti statunitensi hanno investito il loro stesso paese di fronte al resto del mondo. Perché quella infantile e ridicola convinzione di credersi il miglior paese al mondo, di mostrarsi come il culmine del progresso universale, è condivisa anche da Obama, e i suoi discorsi ne sono la prova inconfutabile. E’ certo che Obama ha vietato l'uso della tortura, tanto usata dall’esercito nordamericano all’estero, e non si è rifiutato affinchè i responsabili della sua applicazione rispondessero di fronte ai tribunali, ma, alla fine, il Dipartimento della Difesa ha bloccato la pubblicazioni di fotografie che documentavano le torture e tutto indica che non ha nessuna intenzione di chiedere chi siano i responsabili. Inoltre, il Segretario di Difesa di Bush, Robert Gates, continua a svolgere la stessa funzione con Obama, e la finanziaria per la difesa è aumentata nonostante quanto fosse già stato destinato da Bush.

Dopo quasi un anno , Guantanamo non è stato ancora chiuso, anche se è stata annunciata la chiusura a gennaio del 2010. Non ha messo fine al terrorismo di Stato, nè si ha finito con i bombardamenti su popolazioni civili, né Obama ha rinunciato all'uso di mercenari in diversi scenari. Durante la campagna elettorale, è stata fatta una sorprendente differenziazione tra Afghanistan e Iraq, come se la guerra e l’occupazione di tutti e due i paesi non formasse
parte dello stesso progetto di controllo e di dominio del Medio Oriente e, se possibile, dell’ Asia Centrale. In Iraq, è stato annunciato il ritiro dell’esercito americano ad agosto del 2010, anche se è un annuncio trappola, come vedremo. Con l’ambizione di cambiare la percezione che il resto del mondo ha degli Stati Uniti, finendo con la politica estera aggressiva di Bush, Obama ha teso la mano alla Russia, alla Cina, ed ha annunciato il suo impegno di cambiare il Medio Oriente, dedicando speciale attenzione al conflitto tra Israele e i palestinesi, e ad una nuova relazione con l’ America Latina.

Il discorso a Il Cairo, il 4 giugno, offrendo una mano tesa ai musulmani del mondo, manteneva nell’essenza l' abituale politica nordamericana, con una nuova retorica. Animato dai precari successi in Iraq, mentre si tesse un filo spinato di un protettorato, Obama ha annunciato che
la priorità sarà la guerra in Afghanistan, inviando altre truppe e facendo pressione sui suoi alleati della NATO perché seguano la stessa strada, nonostante la reticenza della Germania e della Francia. Ignorando l’evidenza, Obama continua a mantenere la retorica bushiana che l’ intervento in Afghanistan è fondamentale per evitare altri attacchi terroristici sul territorio statunitense, anche se l’invasione del paese è stata progettata per controllare l’ Asia Centrale. Il ricorso alla “guerra contro il terrorismo” suppone di continuare ad utilizzare una bugia per camuffare gli interessi nordamericani, perché il terrorismo, degli attacchi mortali e vistosi come alcuni dei loro attentati, è il problema minore nel mondo, utile per manipolare l’emozione dei cittadini e incapace di creare il minor problema per potere globale nordamericano. Mentre il Pakistan minaccia la bancarotta, in Iran la diplomazia nordamericana apre la sua via alla negoziazione, anche senza rinunciare alla destabilizzazione. In Europa è molto difficile che Obama inizi una nuova politica, definita oggi dalla costante pressione sui suoi alleati, convertiti di fatto in ostaggi (la Francia e la Germania, ma anche la Gran Bretagna),per il rifiuto ad una maggiore autonomia europea e per l’uso dei nuovi governi dell’ Est continentale (i Baltici, Polonia, Ucraina, Georgia) come arieti degli interessi nordamericani in Europa, nazioni che agiscono come veri paesi satelliti di Washington, a volte adottando atteggiamenti più cattolici dello stesso Papa nordamericano.

La funzione della NATO, che a Washington è vista come lo strumento di una nuova politica imperiale nordamericana nell’insieme del pianeta, è un’ altra delle questioni sospese, e Obama, come Bush, si orienta a trasformarla nell’agente universale degli interessi nordamericani. Così acquista senso l’esigenza dei suoi alleati europei dell’invio di nuovi soldati in Afghanistan. In America Latina, dove gli Stati Uniti sono in evidente declino, Obama non ha cambiato nella sostanza la politica verso Cuba, Venezuela e Bolivia, accompagnata da un’azione a volte contraddittoria: in Honduras, Washington qualifica il governo di Micheletti illegale, ma la USAID lo finanzia, anche se l’agenzia giustifica le proprie azioni con il pretesto di "Aiuti umanitari". L’apparizione di nuovi attori progressisti nel continente è stata facilitata dai grossi problemi di Washington in altri scenari, e si sta consolidando, con prudenza, la nuova autonomia del Brasile e sorge all’orizzonte il pericolo di un maggiore allontanamento argentino. Il Brasile ha preso distanza dal dollaro, anche se non rompe la sua alleanza con Washington. La risposta del nuovo governo di Obama è la militarizzazione della Colombia, installando sette nuove basi militari, e un nuovo disegno nel suo tradizionale dispiegamento nel continente. Il Medio Oriente è uno dei grandi scenari della lotta internazionale per la divisione di nuove aree d’influenza e la questione palestinese contagia tutti gli attori. Obama avrebbe difeso i diritti del popolo palestinese, anche se dalla presidenza, nelle questioni fondamentali, mantiene la posizione tradizionale degli Stati Uniti, la cui diplomazia continua a sostenere che la violenza palestinese è il grande problema del conflitto: ieri la OLP, e oggi Hamas, senza riconoscere che il vero scopo dell'espropio delle terre palestinesi è la creazione di uno Stato razzista, che cerca la sua espansione territoriale e che non è disposto a riconoscere uno Stato palestinese, nonostante le tante rinunce delle organizzazioni palestinesi: Hamas aveva accettato la soluzione dei due Stati sulle frontiere prima delle guerre del 1967.

Washington esige la cessione della “violenza palestinese” ma omette questa esigenza per Israele,
nonostante l’ enorme differenza tra la sofferenza causata dagli uni e dagli altri, e senza far nessun riferimento al potere atomico israeliano (mentre si insiste sul pericolo del programma nucleare iraniano), nè ai cinque milioni di rifugiati palestinesi che in tutta la zona a malapena riescono a sopravvivere. Nonostante la nomina del burattino George Mitchell, e una retorica che insiste nel diritto alla pace e alla terra per israeliani e palestinesi, che potrebbe basarsi nella risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza della ONU, Obama non si è distanziato minimamente dal sostegno statunitense allo Stato di Israele. La finzione di presentare la diplomazia nordamericana come la mediatrice tra due nemici, israeliani e palestinesi, nasconde egoisticamente la realtà che Israele è un' efficace Stato cliente che mantiene il dominio occidentale e nordamericano soprattutto in Medio Oriente. Così, la mascherata antipatia di Netanyahu con le nuove proposte di Obama non nasce dal fatto che siano veramente equilibrate e cerchino una giusta soluzione e definitiva al dramma palestinese, ma dal fatto che a Tel Aviv sono troppo abituati ad imporre i loro punti di vista, come lo testimoniano gli anni persi sotto la direzione di Condoleezza Rice. E’ bastata una piccola petizione nordamericana perché Israele non costruisse nuovi insediamenti (illegali da ogni punto di vista, anche per la giustizia israeliana) perché Netanyahu si mostrasse provocatorio. Il primo ministro israeliano ha chiarito il suo rifiuto per l'esistenza di due Stati, e tutto indica, che nonostante l’appoggio di Obama alla creazione di uno Stato palestinese (anche Bush lo aveva detto), gli Stati Uniti non forzeranno la mano del loro alleato- cliente israeliano.

Non c’è, quindi, una svolta nella politica verso Israele
, e neanche nella pretesa di continuare emarginando la Siria, e se Abbas crede che la creazione dello Stato palestinese avverrà per mano di Obama sta commettendo un grave errore. Per l’Iraq, il nuovo presidente si riserva il ruolo della grande portaerei dell’esercito nordamericano in Medio Oriente: non bisogna dimenticare che la responsabile della diplomazia, Hillary Clinton, ha annunciato che quasi 100.000 soldati nordamericani sarebbero rimasti nel paese per altri 15 o 20 anni, cioè, fino al 2029, quando- se il mondo non lo impedisce- si compirà un quarto di secolo di occupazione militare. In modo che l’annuncio della ritirata dell’esercito fatto da Obama nasconde la realtà che l’ Iraq continuerà ad essere un paese occupato. In Afghanistan, trasformato in un “narcostato”, alla frode elettorale che ha proclamato vincitore Hamid Karzai si aggiunge una sanguinosa occupazione che non ha risolto nessuno dei problemi del paese. I signori della guerra, complici di Washington, continuano a controllare il territorio, e il fratello del dittatore, Wali Karzai, è uno dei principali trafficanti di armi e di droga afgane. La speranza che le elezioni consolidassero il processo politico si è rivelata nulla, e il rischio che il Pakistan sia coinvolto nel combattimento è reale, perché, otto anni dopo l’inizio dell’occupazione, Obama non punta sulla fine del conflitto ma per la continuazione della guerra. La nomina del generale Stanley McChristal come capo dell’esercito nordamericano in Afghanistan non è neanche una buona notizia: durante il suo soggiorno in Iraq, le torture ai prigionieri facevano parte delle tattiche giornaliere. Neanche nel Pakistan le cose con Obama sono cambiate: i bombardamenti nordamericani, con frequenza sulla popolazione civile, sono continuati come durante il periodo di Bush. Né vi è alcun approccio alle esigenze di difesa iraniane, e l'offerta di Obama di negoziazione con Teheran inoltre nasconde la pressione costante sul teocrazia iraniana.

Al di là delle considerazioni sul sanguinario regime politico degli ayatollah (che condivide con Israele il fatto di essere governati dall' estrema destra e dal fanatismo religioso), la legittima preoccupazione per la difesa dell’ Iran fa si, che anche se continuano senza riconoscerlo apertamente, la scommessa di Jatamì e Ahmadineyad per ottenere l’arma nucleare sia vista come legittima da molti paesi: si, nella zona, Israele la possiede, e il Pakistan e l’ India anche, perché l’ Iran, non dovrebbe farlo? Inoltre, conformemente agli accordi internazionali è insostenibile che le grandi potenze abbiano armi atomiche e contestare all’ Iran il voler pretendere la stessa cosa. Senza dimenticare che gli Stati Uniti hanno 29 basi militari nella regione, tra la Turchia, l’ Arabia, il golfo, Oman, Pakistan e Afghanistan, più l’insediamento in Iraq e le sedi in Asia Centrale, vicine anche all’ Iran…..da aggiungere al potere militare israeliano.
Non è ragionevole che l’ Iran pensi alla sua difesa? Nonostante tutto, l’accettazione da parte di Teheran che l' OIEA ispezioni le installazioni di Qom da un' opportunità alla diplomazia. La relazione con la Russia continua ad essere una delle questioni centrali della politica estera di Washington. A febbraio, durante la Conferenza Internazionale sulla sicurezza, a Monaco, il vicepresidente Joseph Biden, che ha parlato della “nuova era”, ha offerto il “reinizio” delle relazioni con Mosca dopo il periodo Bush, ma non ha rinunciato allo scudo antimissili nè ha chiarito la posizione nordamericana in relazione al disarmo atomico, nonostante i desideri espressi da Obama di lavorare per un mondo senza armi nucleari. Quando Obama è andato a Mosca, gli Stati Uniti e la Russia hanno firmato accordi per un nuovo trattato START, avanzando l’idea che i sistemi balistici dovrebbero collocarsi tra le 500 e 1.100 unità, con un totale tra i 1500 e 1675 testate atomiche, da completare in un periodo fino al 2017.

I contatti diplomatici e gli incontri tra Medveded e Obama sono serviti per raggiungere alcuni accordi parziali: tutti e due erano d’accordo che avrebbero fatto uso solo di armi nucleari strategiche offensive nel loro proprio territorio. La Russia ha accettato che gli Stati Uniti potessero realizzare 4500 voli, all’anno, senza bisogno di pagare nulla, per facilitare il trasporto di esercito e di armi attraverso il territorio russo in direzione dell'Afghanistan. Ancora c'erano divergenze sullo scudo antimissile e la Georgia; di fatto, Medvedev aveva firmato nella riunione del G-8 che la Russia avrebbe dispiegato sistemi di missili Iskander nella regione di Kaliningrado se gli Stati Uniti continuavano con i loro piani sullo scudo, falsamente difensivo, e anticipò che l’accordo su START sarebbe dipeso dalla rinuncia di Washington di installarlo in Polonia e Repubblica ceca. Il clamore con cui l’annuncio di Obama, che rinunciava allo scudo e dei missili intercettori in Polonia, è stato colto dai mass media europei era infondato, perché gli Stati Uniti non hanno mai sostenuto che lo “scudo antimissili” non si sarebbe mai creato in Europa, ed è molto probabile che prenda un’altra forma: può essere dispiegato in navi nei mari freddi del nord dell’ Europa.
Non c’è una “rinuncia” allo scudo, ma una rielaborazione, con lo sguardo verso Mosca per riuscire ad avere una collaborazione sulla questione iraniana.

Ci sono molti altri problemi che avvelenano la relazione tra i due paesi: le frontiere della Georgia, e l’ipotetica incorporazione alla NATO, forzata dagli Stati Uniti, di questo paese e dell’ Ucraina (la cui popolazione rifiuta l’entrata), inoltre le questioni legate con lo sfruttamento degli idrocarburi nella zona del Caspio e dell’ Asia Centrale. C’è anche la questione del Kosovo, la cui indipendenza è rifiutata da Mosca e augurata da Washington. Mosca rifiuta duramente la possibilità che la piccola Georgia e la gigantesca Ucraina si incorporino alla NATO, e cerca di limitare la penetrazione nordamericana nel Caucaso e nel nord del Mar Nero. La crisi economica, e la debolezza del dollaro sono altri dei motivi di frizione: il governo russo ha ammesso, in occasione del summit del BRIC a giugno, che pensava di collocare una parte delle sue riserve monetarie in strumenti finanziari (buoni) di paesi come la Cina, India e Brasile, qualcosa che Washington interpreta come un’azione aggressiva da parte di Mosca. Il New York Times e il resto della stampa nordamericana speculavano, allarmando la popolazione sul desiderio di Mosca di “colpire gli Stati Uniti”.

Bisogna ricordare che, violando i compromessi sottoscritti con Gorbaciov, l’espansione militare nordamericana è continuata: la NATO degli anni sovietici contava 16 paesi membri, mentre che attualmente ha 28 paesi integrati, e si continua a speculare sul suo allargamento. Senza dimenticare che, nonostante le buone parole, gli Stati Uniti hanno impulsato una strategia di vero accerchiamento verso la Russia e di intromissione nella sua periferia: Washington dispone di basi militari in 7 delle 15 vecchie repubbliche sovietiche, e inoltre, con Obama, la tentazione di continuare ad organizzare e finanziare “rivoluzioni arancioni” continua ad essere presente a Washington. Questa politica combatte Mosca con l’intento di articolare uno spazio economico e difensivo che integri il maggior numero possibile di vecchie repubbliche sovietiche, e nella crescente collaborazione con la Cina, sia nell' Organizzazione di Cooperazione di Shanghai, che si è consolidata negli ultimi cinque anni, così come nella coordinazione di fronte a potenziali conflitti diplomatici come l’ Iran o Corea del Nord. Inoltre, Mosca affronta la riforma delle forze armate russe e delle sue truppe di missili strategici, e con la sua fulminante risposta alla provocazione georgiana dell’estate 2008 (equipaggiata con armi fornite da Washington, che ha dato il suo consenso all’aggressione e alla guerra) tracciò una chiara linea rossa agli Stati Uniti. D’altra parte, con Obama, i nordamericani non hanno annullato i piani elaborati sotto la presidenza di Bush sull’ampliamento della NATO ed il suo intervento in aree non coperte dal Trattato fondante (come in Afghanistan, per esempio), sulla creazione di nuove basi militari nei suoi paesi satelliti dell’ est europeo (trasportando le installazioni dalla Germania e altri paesi della parte occidentale del continente), sulla militarizzazione dello spazio e, anche, sull’introduzione di dispositivi militari aggressivi nella regione gelida dell’ Artico. La negoziazione sul nuovo trattato che sostituisca lo START-1 è una delle prove di fuoco per Obama, ma, perché sia credibile il proposito annunciato di costruire un mondo senza armi nucleari, gli Stati Uniti dovrebbero accettare nuovamente l’ ABM o accettare di aprire negoziazioni incamminate ad elaborare un nuovo accordo che raccolga il suo spirito.

La Cina è la grande priorità della politica estera nordamericana: Hillary Clinton ha riconosciuto che le relazioni bilaterali decisive nel XXI secolo saranno quelle della Cina e degli Stati Uniti. A metà febbraio, il primo viaggio all’estero della nuova segretaria di Stato è stata in Cina. Il tour è stato decorato con visite parallele in Giappone e Corea del Sud, tradizionali alleati, e in Indonesia, ma la meta chiave era Pechino. Non c' è da meravigliarsi:
gli Stati Uniti sono il paese più indebitato del pianeta: la congiunzione del debito dello Stato, più quello delle sue aziende e delle famiglie, sale a 70 miliardi di dollari, con i costi per il pagamento degli interessi che, in pratica, hanno fatto fallire il sistema nordamericano, che è sostenuto dalla continua stampa di moneta, di dollari- spazzatura che consegnano al mondo in cambio di beni e di prodotti e per il ricorso al finanziamento estero. E l'acquisto da parte della Cina di buoni del tesoro è stata una premessa fondamentale per l’attività governativa degli USA. Il doppio deficit, commerciale e fiscale, crea una situazione che non si può sostenere per molto tempo. Questo era il punto del viaggio della segretaria di Stato. A marzo di quest’anno, il primo ministro cinese, Wen Jiabao, ha reso pubblica la sua preoccupazione per la sicurezza delle riserve cinesi in dollari, in vista della crisi nordamericana. Di fatto, è un’evidenza che l’attuale sistema permette a Washington di mantenere dei grandi deficit e un enorme spesa militare che, in altro modo, sarebbero al di fuori delle possibilità reali dell’economia nordamericana.

Inoltre, il sempre più precario
e discusso ruolo del dollaro come valuta di riserva internazionale, ha indotto il governatore della Banca Popolare Cinese, Zhou Xiaochuan, a proporre di sostituire la moneta nordamericana con i diritti speciali di prelievo del FMI. La Russia ha anche proposto idee, simili, proponendo d’includere lo yuan cinese e del rublo, inoltre dell’oro, nel paniere di divise (dollaro, euro, libra e yen giapponese) che definisce questi diritti speciali di prelievo. La Cina possiede più di due milioni di miliardi di dollari in divise, buona parte di essi in buoni del tesoro nordamericano (che ha deciso di continuare a comprare), ed è preoccupata per il futuro di questi attivi, e ritiene, inoltre, che l' attuale ruolo insostenibile del dollaro offre indebitivantaggi agli Stati Uniti. La proposta di creare una moneta internazionale di riserva che sostituisca il dollaro è stata rifiutata da Obama, cosciente che questo implicherebbe l’inizio della fine del predominio nordamericano- Nonostante tutto, la Cina sa che non le interessa una crisi non controllata del dollaro che causerebbe severe perdite alle sue riserve. In pratica è un curioso paradosso: Pechino ha la capacità per danneggiare seriamente la divisa nordamericana, ma al prezzo di causare un simile danno irreparabile alla sua propria economia. Oggi come oggi, ancora non esiste una divisa alternativa al dollaro: da qui, l’inesistenza nella creazione di una nuova moneta internazionale di riserva. Le differenza tra i due paesi sul modo di affrontare la crisi sono note e la tentazione protezionistica, molto presente nel circolo Obama, ha portato a Washington a riscuotere tariffe abusive pneumatici cinesi, per esempio, violando le disposizioni della OMC, pur affermando che gli Uniti non vogliono una guerra commerciale con la Cina, facendo pressione su Pecchino, tramite un'intermediario di Gordon Brown, ed esigendo che la Cina "compri di più in altri paesi”, come se questa circostanza fosse una delle cause della crisi economica degli Stati Uniti, e il summit di giugno a Ekaterinburg tra i principali capi della Russia, Cina, India e Brasile, dove si è discussa la convenienza di una nuova moneta di riserva internazionale, indicava anche la nascita di un nuovo polo mondiale.

La proposta (lanciata da circuiti vicini al potere nordamericano: Brzezinski, per esempio, che consiglia Obama, è stato visto con massima preoccupazione dall' UE e dal Giappone) per stabilire un G-2, che fosse, di fatto, un direttorio mondiale per affrontare la crisi economica e i problemi globali, è stata rifiutata da Pechino, che insiste nel multilateralismo come strumento di collaborazione internazionale. Wen Jiabao ha considerato che l’ idea di un G-2 era una strada senza uscita. Gli Stati Uniti stanno cercando di stabilire un direttorio simile, ma la rilevanza politica che ha questa proposta è che significa un'implicita ammissione che il programma di unilateralismo americano lanciato da Bush e la sua posizione dominante solitaria a livello mondiale (XXI secolo Americano) non è riuscito. Così gli USA si muovono ancora tra la forzata rinuncia ai piani di Bush, sconfitti dalla realtà, il bisogno di collaborare con la Cina e un’inerzia imperiale che Obama non ha rotto. Poco dopo di essere stato confermato dal presidente, il segretario della Difesa; Robert Gates, ha detto di fronte al Senato che il suo paese era preparato per affrontare “qualsiasi minaccia militare che potesse provenire dalla Cina”, come ha raccolto il New York Times il 27 gennaio. A marzo, il Dipartimento della Difesa nordamericana presentava un documento sul potere militare cinese dove criticava la riforma e lo sviluppo del suo esercito e suggeriva che Pechino stava cambiando la sua concezione tradizionale strategica (guerra esclusivamente per difendere il proprio territorio) con la possibilità di guerre limitate alla sua sfera di influenza prossima.

L’evidente travisamento della politica estera cinese è stata tale che Pecchino presentò una protesta diplomatica. In relazione all’arsenale nucleare, la Cina, in occasione della solenne celebrazione del 60° anniversario della rivoluzione, ha affermato, allo stesso modo della Russia, la sua decisione di non essere mai “il primo paese ad usare armi nucleari”. Gli Stati Uniti si rifiutano a contrarre un simile impegno.
Da parte sua, Timothy Geithner, segretario dell’ Economia, ha accusato Pechino di manipolare la sua moneta, rendendo responsabile la Cina di una parte delle difficoltà nordamericane. E’ una costante: a febbraio, il responsabile dell’ Intelligence nordamericana, Dennis Blair, ha presentato al Senato l’analisi dei suoi servizi, identificando la crisi economica come la minaccia principale e la Cina e l’ India come i paesi che avrebbero concentrato il potere mondiale, a lungo termine, e anche se ha riconosciuto che la Cina lavora per mantenere buoni rapporti con il resto delle grandi potenze e che la sua politica estera è pacifica, ha comunque sorpreso il crescente potere economico cinese e il rafforzamento della sua Armata e dell’ esercito popolare, e sottolineò il desiderio cinese di aumentare la sua influenza nel mondo. In questo senso, il cambiamento politico del Giappone e la proposta del nuovo primo ministro, Yukio Hatavama, di creare una Comunità dell’ Asia orientale, dotata di una moneta comune (che ha già avuto l’ OK da parte di Pechino) è vista con molta preoccupazione da parte di Washington. Obama è disposto a fare maggiore affidamento sul Giappone, il cui governo era sospettoso delle misure prese da Bush nel trattamento della denuclearizzazione della penisola coreana. Le negoziazioni con Pygongyang sono un altro punto di frizione tra Pechino e Washington. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti mantengono la pressione su altri scenari: gioca la carta di Taiwan, e dispone di portaerei di propulsione nucleare per controllare la zona, dotati di decine di aerei da combattimento, con basi permanenti in Giappone.

In una riunione con Clinton a Washington, il ministro degli esteri cinese, Yang Jiechi, ha sottolineato l'impegno cinese per la collaborazione, ma non ha dimenticato di menzionare che gli Stati Uniti deve agire con cautela nella questione di Taiwan (e nell’affrontare le questioni riguardanti il Tibet), ricordando
l' impegno degli Stati Uniti per l'idea di "una sola Cina". La vittoria di Koumintang nelle elezioni di Taiwan ha fortificato la cooperazione tra i due lati dello Stretto, indebolendo le posizioni indipendentiste che per molto tempo sono state stimolate dagli USA. L’incontro tra Obama e Hu Jintao è servito anche per rilanciare la cooperazione e la discussione sulle questioni militari: Pechino aveva ben presente che, con il governo di Bush, una delle ultime decisioni di Washington era stata la vendita di un nuovo armamento a Taiwan per un valore di quasi sette mila milioni di dollari. Allo stesso tempo, Washington assiste impotente alla consolidazione dell’ Organizzazione di Cooperazione di Shangai, OCS, anche se sembra che il suo ruolo continuerà ad aumentare sia in Asia che nel mondo. In altre riunioni, Obama ha riattivato la sua politica estera: a fine luglio, Hillary Clinton, annunciava il “ritorno“ degli Usa sulla scena del sudest asiatico, attraverso l’impulso di una nuova relazione con la ASEAN ( formata da dieci paesi dell’ Asia, tra cui l’ Indonesia, la Malesia , le Filippine, la Birmania, la Tailandia e Vietnam), decisione che era un riconoscimento implicito del declino nordamericano nella zona e la proclamazione di una volontà di contenere la Cina, i cui legami ed influenza sono aumentati considerevolmente nel sudest asiatico. Le esagerate e teatrali lodi della stampa europea al nuovo presidente nordamericano, occultano la realtà del vero miraggio Obama. Perché non vi è, in sostanza, una nuova politica estera americana, a prescindere dalle correzioni forzate dall'evoluzione dei conflitti. Possiamo concludere che, con la nuova presidenza, la politica estera nordamericana è la continuazione della precedente epoca, anche se con espressioni più moderate, e che il multilateralismo di Obama è, più che una decisione del suo governo, una revisione obbligata e Washington non ha altra scelta che adottarla, di fronte all’evidenza che gli Stati Uniti, durante gli otto anni di Bush, hanno fallito nel loro intento di imporre la loro visione messianica del ruolo nordamericano nel mondo, e, che il disastro dell' unilateralismo e la continuazione delle guerre in Iraq e in Afghanistan (otto anni dopo!) hanno precipitato la crisi, rendendo visibile al mondo che l’ inizio della decadenza nordamericana non è un’ipotesi del futuro, ma la precisa fotografia del momento storico.

Fonte: http://www.elviejotopo.com/web/archivo_revista.php?arch=1336.pdf

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
VANESA

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