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"LA TERRA CI NUTRE LA TECNOLOGIA CI GUIDA: COLTIVIAMO INSIEME IL FUTURO"
30 novembre 2015
Il marketing politico
La nostra epoca probabilmente sarà ricordata come
l’epoca delle manipolazioni mentali. Infatti, per accettare il sistema in cui
stiamo vivendo è necessario subire alcuni condizionamenti, finalizzati a creare
un contesto fittizio nel quale spesso i termini sono ribaltati, inducendo le
persone, e in particolare i politici, ad agire animate da fini non nobili.
In un contesto in cui tutto è merce, e i cittadini
sono clienti, lavoratori o elettori, esiste il cosiddetto “Marketing politico”.
A questo numero trovate allegato un manuale che fornisce un esempio molto
chiaro di ciò che è il cosiddetto “marketing politico”.
Si tratta di considerare la politica alla stessa
stregua di un settore di condizionamento e manipolazione, proprio come si
stesse vendendo un prodotto o un servizio.
Quello che a
molti sfugge è che il consenso politico è oggi studiato come fosse una sorta di
scienza, con tanto di manuali e di insegnamenti.
Ormai il settore politico si muove attraverso
inquietanti figure, spin doctos (dottori del raggiro) e “influencers” (“opinion
makers”), che provano, se mai ce ne fosse bisogno, che la politica è diventata un mondo
mercificato, nel quale vince chi può più spendere per acquisire l’arte di
raggirare la gente.
Per capirlo basta andare in rete e vedere la
quantità di materiale di ogni tipo che si può leggere su questo argomento.
Il paradosso è che la politica è (o dovrebbe essere)
quel settore chiave per appianare o risolvere questioni fondamentali per la
vita di ognuno di noi, come la questione economica, sociale e culturale.
Parlare di “Marketing politico” significa invece
ridurre questo settore ad uno spettacolo o, nella migliore delle ipotesi, ad un
campo di studio volto a portare il consenso in una direzione piuttosto che in
un’altra.
Lo studioso René Berger considera la situazione
storica in cui attualmente ci troviamo, che ha del paradossale:
“La cultura si definisce sempre meno in base al
gusto, al giudizio o a qualche altra qualità, sempre meno in base alle
conoscenze e ai valori. Essa è sempre più avvicinata, considerata e trattata in
termini di azione: azione culturale, sviluppo culturale, promozione culturale,
politica culturale; tutte espressioni alle quali se ne aggiungono altre non
meno significative come: strategia culturale, obiettivo culturale, impatto
culturale ecc. In una parola, è come se la cultura, bene che si esigeva e che
continua a esigere una ‘realtà sostantiva’, stia slittando a poco a poco verso
una condizione “aggettiva”, come se il nostro atteggiamento… si dissolvesse in
operazioni settoriali… dunque, la Cultura perde il suo primato… e tende a
valorizzarsi l’azione… (L’)azione del vendere… si ‘vende’ l’immagine di un uomo
politico, l’“immagine” di un partito, l’“immagine” di un presidente… si vende
l’immagine di una politica; si ‘vende’ una politica… Tutto ciò non è privo di
conseguenze: l’evoluzione della società industriale e postindustriale mira
infatti sempre più a modellare i nostri comportamenti in base all’impresa… Se è
vero che la tendenza si aggrava e si accelera, è tuttavia falso considerarla
naturale; essa non appartiene all’ordine delle cose né all’essenza umana.”[1]
Ciò che non viene considerato è che esiste
l’interesse di tutti i cittadini. Senz’altro questo interesse non è quello di
avere la politica come un settore di spettacolo o un luogo di manipolazione.
Non è quello di vedere un politico avvantaggiato quando è supportato da
efficaci spin doctors. Non è quello di avere “esperti” in grado di capire gli
elettori meglio di quanto essi stessi si capiscano, potendo così condizionare
il loro voto.
Eppure la realtà è questa, ben spiegata da molti
manuali pronti all’uso. Ad esempio, tra la miriade di “esperti” o presunti
tali, c’è Marco Cacciotto, docente di Marketing politico all´Università di
Milano, e promotore della campagna elettorale di Renzi ai tempi delle primarie
del Pd.
In un’intervista, all’epoca della campagna politica
per Bersani e Renzi, Cacciotto spiegava:
“Nonostante
l´emergere dei nuovi media, la televisione continua a essere il mezzo
principale e grazie al confronto tra i cinque candidati alla leadership del
centro-sinistra, il Pd ha riconquistato una posizione centrale nella copertura
informativa, guadagnandoci molto a livello di voto… La campagna del sindaco di
Firenze è stata più all´americana, fresca e moderna, tutta giocata sul tema
della rottamazione che ha attecchito su un elettorato molto stanco della
vecchia classe dirigente. È stato molto bravo perché ha fatto ciò che ogni
sfidante deve fare: partire presto e tracciare in modo evidente la differenza
con l´avversario. All´inizio infatti Bersani era in difficoltà e aveva davvero
timore di perdere contro il suo giovane sfidante spiega l´esperto – poi invece
il segretario del Pd ha saputo ritagliarsi il suo ruolo ben definito quale uomo
di esperienza di governo e di garante dell´unità della sinistra. La percezione
è stata invece che con Renzi o Vendola vincitori essa si sarebbe spaccata”.[2]
Queste parole già ci danno un’idea di come funziona
l’impalcatura politica, che è sempre la stessa, ieri come oggi.
Lo scorso anno, Cacciotto analizzava le strategie di
marketing politico poste in essere da Renzi:
“Dal punto di vista della comunicazione non ci sono
grandi innovazioni in questa campagna elettorale,… Il vero elemento di novità,
è l'atteggiamento proattivo del centrosinistra, e del Pd in particolare, nei
confronti della comunicazione, non più considerata un diabolico strumento di
manipolazione, ma un mezzo utile a dialogare con i cittadini e a mobilitare
l'elettorato. La cultura del marketing politico ha acquisito diritto di
cittadinanza anche nel suo mondo... Renzi sta facendo quello che Clinton, Blair
e in tempi più recenti Hollande hanno già fatto tempo fa, costruire il
messaggio, dettare l'agenda, rispondere colpo su colpo alle bordate degli
avversari usando tutti i media e molto i social. ‘Viviamo un tempo nel quale
non ci chiamiamo più per nome’, disse allora il non ancora premier, citando
come esempio l'iniziativa della Coca Cola, non soltanto un'operazione di
marketing, ma l’idea che in un tempo di anonimato tu hai bisogno di farti
chiamare per nome, di farti venire in contro per quello che sei, di essere
considerato una persona in grado di stare in relazione… È un tentativo di
personalizzazione. È dire: parliamo alle persone, ci occupiamo dei loro
problemi reali. Gli americani la chiamano life politics.
L'obiettivo è costruire una sorta di alleanza di
ferro con gli elettori, che restituisca loro la fiducia nella politica e faccia
da argine al partito della rabbia. Già, perchè il vero avversario del premier
in questa tornata elettorale è Grillo. Renzi l'ha scelto come suo avversario,
sa che è con lui la sfida. Il derby tra rabbia e speranza. O per usare le
parole del rottamatore, tra «chi scommette sul fallimento dell'Italia e chi
pensa invece che l'Italia ce la può fare». (In Italia) Al disincanto è
subentrata la rabbia, Grillo incolpa la politica per la crisi. Se prevale
questo orientamento, il voto andrà alle forze contestatarie e antisistema, dal
Movimento 5 stelle alla Lega Nord. (occorre quindi) puntare sulla politica che
fa e che vuole innovare il Paese. Per questo Renzi insiste molto sugli 80 euro,
gli servono per dire: io sto modificando le cose... Gli attacchi alla Cgil non
sono di pancia, ma servono per mandare un messaggio: la sinistra per prima è
profondamente cambiata e cambierà ancora. Renzi sta facendo quello che Tony
Blair fece con il Labour: provare a modernizzare la sua parte politica e con
essa la società tutta. Blair si scontrò in maniera durissima con il suo partito
sul ruolo del sindacato che i laburisti tutelavano persino nel loro statuto...
(Nessun attacco, nessuno scontro con Berlusconi)... Berlusconi è marginalizzato
e Renzi lo sta quasi ignorando perchè gli ha già scippato la bandiera di
modernizzatore del paese. La battaglia del premier è altrove, la sua sfida
ormai è un'altra, non solo per queste elezioni ma, se si consoliderà nel voto
per le Europee, anche per le prossime: Grillo».”[3]
Il marketing politico è quindi oggi un settore di
conoscenze e tecniche ben preciso e collaudato. Occorre osservare che è negli
anni Ottanta e Novanta dello scorso secolo che ha trovato impulso, in seguito
all’affermarsi dell’ideologia della globalizzazione. E’ l’epoca in cui cresce
in modo esponenziale il potere della televisione e della pubblicità, creando
una realtà superficiale che interessa, oltre alla politica, molti altri settori
sociali e mediatici.
Questo ha portato alla creazione del mondo di oggi,
in cui non conta una determinata idea politica, ma attirare i cittadini verso
una fazione politica. In una situazione del genere non soltanto non prevale il
migliore, ma proprio i migliori cittadini sono tagliati fuori, in quanto non
possono essere compatibili con una realtà fittizia e manipolante. Saranno i
peggiori e i più corruttibili a trovare ampio spazio in questo panorama. Per
capire che questa non è una semplice opinione, basta guardare i personaggi
principali che popolano la nostra politica.
Questa realtà sopprime nelle persone lo spirito
critico e la capacità di uscire dal sistema di massa. I media di massa
utilizzano tecniche di persuasione che fanno credere a molti che, nonostante il
“colore politico”, informino. Ad esempio, il Sole 24 ore fa credere di fornire notizie finanziarie, che in
generale possono essere vere, ma occorre considerare che lo fa per confermare e
rafforzare il sistema finanziario ed economico vigente. Non vi spiegherà mai
cos’è il Signoraggio e le conseguenze che produce, né vi dirà chi sono i
personaggi che controllano i più grossi agglomerati bancari.
Tutti i media di massa sono controllati dai grossi
gruppi bancari ed economici. Ad esempio, il più importante quotidiano nazionale
è Il Corriere della Sera, che è
controllato, in particolare, da: Unicredit, Assicurazioni Generali, Mediobanca,
Benetton Group, Schroder, Oxburgh, Deutsche Investment Management Americas, BPM
Gestioni SGR e Eurizon.
Forse, se ad ogni tornata elettorale le persone si
rendessero conto dei retroscena elettorali non sarebbero così fiduciose nel
“cambiamento” fatto inserendo una scheda in un’urna. Ma comunemente ognuno di
noi crede di essere al di sopra di ogni possibile potere di condizionamento
esterno.
Qualcuno ha detto che è proprio con l’illusione che
spesso si giustifica il permanere in uno stato di schiavitù.
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