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"LA TERRA CI NUTRE LA TECNOLOGIA CI GUIDA: COLTIVIAMO INSIEME IL FUTURO"
11 gennaio 2015
La farsa dell'11 settembre francese
La strage del 7 gennaio 2015 nella redazione del giornale satirico
Charlie Hebdo nella quale sono morte ben dodici persone, ha come dato
reale – purtroppo – solo le vittime, anche se ci sono dei dubbi perfino
su queste.
Quello che è certo infatti è che una redazione di un giornale
provocatorio e in forte crisi di liquidità, nonché critico verso tutti i
poteri considerati forti – politici, economici e religiosi – ha subito
una decapitazione con la morte di alcuni dei suoi esponenti più
importanti, come il Direttore Stephane Charbonnier, detto Charb, e
quattro vignettisti, tra cui Tignous e George Wolinsky, quest'ultimo
conosciuto anche in Italia per la sua satira pungente e potente.
Secondo le ricostruzioni della versione ufficiale, gli attentatori – due
fratelli francesi addestratisi in Siria che dichiareranno di far parte
di Al-Qaeda ad una televisione – sono penetrati nel palazzo sbagliato,
poi sono andati nel palazzo di fronte e si sono fatti aprire il cancello
dalla disegnatrice Corinne Rey, che era arrivata in quel momento e che
ha dovuto digitare il codice di accesso sotto minaccia del commando. I
due sono arrivati così al primo piano e hanno cominciato a fare fuoco,
nel bel mezzo della riunione settimanale del giornale di cui –
ovviamente – erano a conoscenza.
Dopo la carneficina – durata un minuto o poco più – i due terroristi si
sono trattenuti per circa 20 minuti intorno all'edificio, in un silenzio
surreale (sic!) gridando "Allah è grande", e finendo nel
frattempo un secondo poliziotto – il primo sorvegliava l'edificio – che
era per terra e che era già stato ferito.
I due killer poi sono saliti su un'auto, superato alcuni blocchi di
poliziotti, tamponato una macchina – una grossa Wolkswagen – e, non
potendo proseguire, hanno abbandonato la stessa lasciando un documento
di identità in bella vista; successivamente hanno sequestrato una
Renault Clio e hanno ripreso la corsa.
Nonostante i satelliti e la tecnologia disponibile, essi scapperanno per
due giorni, e riusciranno a fare benzina ma il benzinaio li
riconoscerà, dato che tengono ancora i fucili sui sedili posteriori.
I due fratelli, alla fine, saranno uccisi in una stamperia nel pomeriggio del 9 gennaio, anche se nessuno vedrà mai i cadaveri.
Nel frattempo, il giorno successivo alla prima carneficina, un uomo che
dice di far parte dell'ISIS ucciderà una poliziotta e sequestrerà un
intero supermercato Kosher, minacciando di uccidere tutti se i fratelli
Kouachi – gli autori materiali dell'attentato al giornale – verranno
uccisi. Lo stesso giorno – il 9 gennaio – anche lui e un complice
perderanno la vita nello scontro con le forze speciali.
I dubbi sull'attentato al giornale – paragonato subito all'11 settembre,
e forse non a caso – sono davvero tantissimi, e fanno pensare al
classico "inside job" dei servizi: innanzitutto si "individuano"
all'inizio tre terroristi, ma uno di questi, considerato l'autista,
vedendo il suo nome sul web, si costituisce immediatamente dichiarando
che è a scuola, che non c'entra assolutamente niente, e che ha
tantissimi testimoni che possono confermarlo.
Ciò è davvero banale e inquietante allo stesso tempo, e ricorda la
famosa lista degli attentatori dell'11 settembre dove – si scoprì poi –
molti erano in altre nazioni e non potevano materialmente compiere
l'attentato.
Gli attentatori lasciano nella prima macchina armi, passaporti e
addirittura una carta d'identità sul sedile: i media, per giustificare
la cosa, dichiarano che forse lo hanno fatto apposta dato che vogliono
essere individuati e arrivare al martirio – ovvero morire per la causa –
ma allora se è così, perché scappare e tentare la sopravvivenza fino
alla fine?
I servizi, si sa, forniscono documenti ad hoc a profusione, e il fatto
che su molti attentati – stranamente – essi siano presenti e visibili, è
un terribile indizio che fa pensare proprio alla loro partecipazione
e/o infiltrazione.
Un'altra stranezza – effettivamente – è la "morte" del secondo agente
già ferito, Ahmed, che a distanza praticamente zero viene colpito da un
Kalashnikov – che ha proiettili molto larghi e distruttivi – e nel video
– che peraltro ha un'ottima risoluzione ed è disponibile su youtube –
non si vede neanche un briciolo di sangue: insomma, si potrebbe anche
pensare che certe scene dei film d'azione siano più credibili!
Che dire poi dei venti interminabili minuti in cui i terroristi
rimangono fuori dall'edificio del giornale, dei blocchi di poliziotti
superati dagli stessi, e del fatto che non ci fossero elicotteri pronti a
inseguirli?
Insomma, o siamo di fronte alle solite gravi carenze o – ahimé – a un "laissez faire" che è ancora più preoccupante.
Il punto nodale è che il terrorismo, nella storia, ha giustificato
guerre e invasioni – basti pensare solo ai due attentati che gli Stati
Uniti hanno subito e che li hanno "convinti" ad entrare nelle due guerre
mondiali, ovvero rispettivamente l'affondamento del piroscafo Lusitania
e Pearl Harbor, per capire quanto esso sia "funzionale" e "lucrativo"
per il sistema.
Dopo l'ennesimo attentato dell'11 settembre, per esempio, l'America ha
dichiarato non solo guerra a due nazioni (per motivi economici, come in
tutte le guerre) ma anche varato leggi – come il Patrioct Act – che
hanno minato alle fondamenta molte libertà civili degli americani,
creando addirittura un clima da caccia alle streghe dato che si poteva
essere arrestati e imprigionati senza processo in qualunque momento per
"apologia al terrorismo".
Spero che non si voglia replicare questo in Europa, anche se l'agenda
del Nuovo Ordine Mondiale prevede – malauguratamente – la riduzione
all'osso di molti dei diritti acquisiti, e il terrorismo e la
insicurezza che ne deriva – come sempre – sono il pretesto perfetto per
questo genere di cose.
Insomma, da un lato una crisi economica artefatta riduce la gente in
schiavitù, dato che ha bisogno di lavoro (che non c'è) scaturente dal
denaro (che non viene prestato ed è oltretutto creato dal nulla), mentre
dall'altro assistiamo a una progressiva riduzione dei diritti dei
cittadini in nome di un terrorismo che, alla fine, giustifica solo
guerre, invasioni e perdite di libertà.
La cosa più inquietante è che la talpa della National Security Agency
Edward Snowden ha dichiarato che l'ISIS è una creazione statunitense
(nata col nome in codice "Nido di calabrone") e che è stata creata in
funzione Anti-Assad.
La stessa Hilary Clinton, incalzata in un'intervista, l'ha ammesso,
aggiungendo che la situazione è sfuggita di mano solo in un secondo
momento.
Ma anche per la guerriglia di Al-Qaeda in Afghanistan le cose sono
andate in questo modo: gli stessi americani, infatti, hanno ammesso che
fu creata durante la guerra del paese asiatico contro i russi tra il '79
e l'89, e anche in questo caso – ovviamente – la cosa è sfuggita di
mano.
Insomma, con questi presupposti c'è davvero poco da star tranquilli.
Ci si chiede: chi si invaderà adesso? Quali leggi restrittive verranno applicate?
Sul settimanale L'Espresso dell'8 gennaio 2015, l'ex
commissario UE e ministro degli Esteri Emma Bonino ha dichiarato che "La
tattica delle monarchie del Golfo e dell'Arabia Saudita è quella di
inventarsi gruppi terroristici come i talebani e l'ISIS".
Aggiungerei – per essere precisi – che chi fa queste cose sono proprio i
servizi dei vari paesi, e anche se queste monarchie fanno il lavoro
sporco, si sa che i servizi americani sono quelli più potenti e
influenti.
La domanda più importante, però, a questo punto è un'altra: se questi
creano le guerriglie... perché non dovrebbero poi gestirne gli effetti e
la portata?
L'attentato di Parigi – viste le dinamiche e dati questi preamboli – avrà un seguito, un vero obiettivo che sarà snocciolato solo nelle prossime settimane o nel giro di qualche mese.
Queste cose, lo avrete capito, non accadono mai per caso. Gabriele Sannino Nexus Edizioni
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