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"LA TERRA CI NUTRE LA TECNOLOGIA CI GUIDA: COLTIVIAMO INSIEME IL FUTURO"
31 marzo 2014
«LA VIA TECNOCRATICA DELL'U€ E' ARRIVATA AL CAPOLINEA»
Lo storico Wilfired Loth commenta la politica europea di Angela Merkel, la paura degli uomini di Stato europei davanti ai loro popoli e l'idea di giustizia a senso unico dei tedeschi. Loth, 65 anni, è lo storico tedesco in carica per l'integrazione europea e professore all'università di Duigsburg-Essen. E' appena uscito il suo ultimo lavoro "Europas Einigung. Eine unvollendete Geschichte" (L'unificazione dell'Europa. Una storia incompiuta) Loth afferma che la via tecnocratica dell'UE, priva di un coinvolgimento democratico, è arrivata al capolinea.
SPIEGEL: Professore, le Elite europee criticano il
referendum svizzero, mentre molti cittadini europei condividono la
stessa ansia degli svizzeri per gli immigrati. La sorprende la distanza
fra le parti?
Loth: No, l'unificazione europea è sempre stata un progetto delle Elite.
Fin dall'inizio, gli uomini di stato in carica non han voluto
interferenze causate dalla partecipazione popolare e da varie
associazioni d'interessi. Una politica di questo tipo porta naturalmente
ad una discrepanza tra le Elite e le popolazioni. SPIEGEL: La paura nei confronti della partecipazione popolare, è giustificata?
Loth: Evidentemente si. Tuttavia, non può funzionare in alcun altro modo.
Prendiamo i trattati di Roma per esempio, attraverso i quali è stata
fondata la Comunità Economica Europea (CEE), la più importante
organizzazione precorritrice dell'EU. L'opinione pubblica
tedesca era consapevole del contenuto dei trattati, mentre in Francia
come da altre parti, sono stati applicati con la forza.
SPIEGEL: I trattati di Roma vengono considerati una pietra miliare.
Loth: Quella volta, la Repubblica federale tedesca non aveva
assolutamente alcun interesse in quei trattati. Soltanto il 25%
dell'export tedesco finiva nei cinque Stati cofondatori della CEE. Il ministro delle finanze Ludwig Erhard descrisse l'idea di un'unione economica come un "non-sense macroeconomico". Anche per la Francia, un'unione di quel tipo sarebbe stata molto problematica. SPIEGEL: Allora perché è stata fatta ugualmente?
Loth: Motivi politici. La Francia volle inserire la Bundesrepublik nella comunità occidentale per motivi di sicurezza. Anche il Cancelliere Konrad Adenauer perseguì questo obiettivo, per il semplice motivo che lui stesso non si fidava dei tedeschi dopo i tempi grigi del nazismo. Il contenimento dei tedeschi è sempre stato la principale forza motrice dell'integrazione.
Oltre a ciò, vi era un secondo motivo, e cioè quello di affermarsi
contro la supremazia americana, e ciò avrebbe potuto funzionare solo
tutti assieme. SPIEGEL: Lo scandalo NSA ha rinforzato l'Unione, soprattutto gli europei continentali.
Loth: Si, la pressione dall'estero è una costante fondamentale,
che spiega molte accelerazioni sull'integrazione. Ciò accadde, per
esempio, quando si volle evitare il rischio della nascita di una potenza
nucleare europea negli anni '50, o più tardi quando si volle evitare di
dipendere da una moneta come il dollaro, troppo soggetta alle crisi. SPIEGEL: Non sarebbe stato più intelligente coinvolgere i cittadini nella strada per l'integrazione europea?
Loth: Da un punto di vista storico, non è poi così drammatico.
Prendiamo per esempio gli Stati nazionali del XXI secolo. L'idea che
tutti i tedeschi avrebbero dovuto vivere in un unico Stato, ha trovato
approvazione soltanto tra le Elite. La maggior parte della
popolazione non fu coinvolta e guardò con grande scetticismo a ciò che
la classe media emergente stava mettendo in pratica. Nonostante ciò, nel
1871 venne fondato il Reich tedesco. SPIEGEL: Non c'è mai stato un forte entusiasmo nei confronti dell'Unione europea?
Loth: Non nel senso come si racconta oggi in Europa. Bruxelles vuole
farci credere che, dopo la seconda guerra mondiale, molti francesi,
tedeschi, italiani ed altri usciti dall'esperienza bellica, sarebbero
stati entusiasti di assicurare la pace attraverso l'integrazione
europea. Questo entusiasmo, prosegue il racconto mainstream, sarebbe andato perduto con la morte della generazione della guerra. SPIEGEL: Che cosa c'è di sbagliato in questo?
Loth: Dopo la seconda guerra mondiale, la quasi totale
maggioranza dei Paesi del continente era stata d'accordo sulla creazione
di un qualche tipo di federazione europea. Ma come sarebbe dovuta
essere, socialista o liberale, unione economica o alleanza di sicurezza,
con la Gran Bretagna o senza, le opinioni erano state totalmente
contrastanti. Fino ad oggi, abbiamo una discrepanza tra l'Europa che
vorremmo e l'Europa fattibile. Questo spiega, tra l'altro, perché
l'integrazione europea si trova continuamente in crisi. SPIEGEL: Anche Helmut Kohl racconta volentieri, che l'Europa sarebbe nata come un progetto di pace.
Loth: A livello di alta politica, si tratta di una leggenda. Il
racconto di Kohl, infatti, è fuorviante. Tuttavia, è vero che c'è stata
una relazione più stretta fra i popoli dove questo elemento emotivo ha
avuto un ruolo importante. SPIEGEL: Probabilmente, un relazione così debole, che nei secoli non ci si è fidati di coinvolgere le popolazioni.
Loth: Vabbé, è vero per esempio che non si arrivò mai a votare
una vera riconciliazione tra Germania e Francia. Io credo che sarebbe
stata molto popolare, nonostante tutto. Invece si scelse di puntare ad un progetto tecnocratico. Il premio Nobel per la pace che ha ricevuto l'UE non è stato assegnato per merito della sua stessa fondazione, ma soprattutto per la pacifica annessione dell'est europeo dopo la caduta del muro di Berlino. SPIEGEL: Ritiene che i risultati conseguiti fino ad oggi dall'UE, siano resistenti alle intemperie politiche?
Loth: Fondamentalmente si, anche se non sono esclusi passi indietro. La tensione fra le convinzioni e le conoscenze delle Elite e le emozioni delle persone può portare ad un'escalation,
con conseguenze molto problematiche. Il referendum svizzero è il
miglior esempio. Ci sarebbe bisogno di una guida politica dall'alto, in
passato chiamata Staatskunst (L'arte di Stato ndr). SPIEGEL: Cosa ne deduce?
Loth: Prima di tutto, c'è bisogno che i decisori politici siano
convinti, che l'obiettivo prefissato sia quello giusto, soprattutto per
le persone di cui sono responsabili. Poi, è necessario che si sviluppi
un rapporto di fiducia tra le controparti. Ed infine c'è bisogno di
trasmettere la sensazione ai cittadini che la direzione scelta sia
quella giusta. SPIEGEL: Qual'è il Cancelliere che più si è avvicinato a questi criteri?
Loth: Adenauer si piazza certamente al primo posto, tallonato dal Kohl dell'ultimo periodo. Poi metterei Helmut Schmidt e Gerhard Schröder ed infine, staccata di parecchie lunghezze, Angela Merkel. SPIEGEL: Come mai la Cancelliera è così distante da quei criteri?
Loth: L'elemento concettuale e strategico della Merkel è certamente molto meno pronunciato rispetto a Kohl oppure Adenauer.
E con ciò non intendo dire che lei abbia un'idea troppo vaga di come
l'Europa dovrebbe essere, ma solo come il suo modo di intendere la
politica sia troppo pragmatico. Lo si è potuto osservare bene durante
l'eurocrisi. La Cancelliera ha frugato nella nebbia e ha navigato a
vista. SPIEGEL: Helmut Schmidt è stato anche molto pragmatico come Cancelliere.
Loth: Schmidt ha vissuto una conversione molto
interessante. Nel 1957 fu una delle poche autorità che si opposero alla
ratifica dei trattati di Roma. Proprio per questo motivo, egli non viene
ricordato molto volentieri. Negli anni '70 si schierò contro le
ambizioni politiche di Willy Brandt e fu per molto tempo critico
nei confronti di un'unione monetaria. Nonostante ciò, capì come la
moneta unica fosse necessaria, e si adoperò per la sua realizzazione. SPIEGEL: Ha fiducia che la Cancelliera possa cambiare rotta, proprio come Schmidt?
Loth: Non so se la Merkel sia in grado di superare la sua
politica di navigazione a vista. L'attuale dibattito se la Germania
debba prendersi più responsabilità nella politica mondiale, mi lascia
parecchi dubbi in ogni caso. È significativo che il presidente della
Repubblica abbia preso posizione nel dibattito, mentre la Cancelliera
tace.
SPIEGEL: Come giudica la capacità della Merkel di guadagnarsi nuovi partner negoziali, come per esempio i francesi?
Loth: Fondamentalmente, la Merkel c'è l'ha dura ad
inscenare amicizie politiche, in modo da poterle usare per fini
superiori. In riferimento alla Francia, si può rimproverarla solo
limitatamente. Il tandem franco-tedesco non sta funzionando soprattutto a
causa della debolezza di François Hollande. In ogni caso, alcuni gesti solidali della Merkel nei confronti del presidente francese sarebbero stati di grande aiuto, proprio come Kohl nei confronti di Mitterand o come Schröder nei confronti di Chirac. Ma una cosa del genere non è proprio nelle corde della Cancelliera. SPIEGEL: Rimane la domanda sulla capacità della politica di spiegare le proprie decisioni al popolo.
Loth: È mancato poco che la Merkel raggiungesse l'assoluta
maggioranza nelle ultime elezioni di settembre 2013. Il popolo tedesco
ripone molta fiducia in lei, e la situazione non cambierà molto nella
sostanza, neanche a seguito di ulteriori decisioni impopolari di
politica europea. Tuttavia il consenso politico europeo rimarrà debole
nella società tedesca, fino a quando la Cancelliera non spiegherà meglio
le correlazioni e le conseguenze di tali decisioni. Deve fare
attenzione a non ricadere nei luoghi comuni e nei pregiudizi, che la
gente ha nei confronti dei tedeschi. SPIEGEL: A cosa si riferisce in particolare?
Loth: Invece di suggerire che non ci sarebbe bisogno di alcun
ulteriore aiuto alla Grecia, dovrebbe prendere esempio dal ministro
delle finanze Wolfgang Schäuble. Egli ha sempre cercato di
spiegare il motivo per cui gli aiuti sarebbero necessari e che cosa ne
ricaverebbero i tedeschi in cambio. SPIEGEL: Molti tedeschi hanno la convinzione che la Germania, al
contrario delle altre nazioni, faccia da sempre attenzione al bene
comune.
Loth: Questo è un mito. Che si tratti di politica agricola o di politica doganale, come in altri settori, i
vari governi tedeschi si sono sempre preoccupati di far valere i propri
interessi, così come fanno i governi degli altri Stati europei. SPIEGEL: E come ha funzionato durante l'eurocrisi?
Loth: In nessun altro Paese, il mantenimento dell'unione monetaria è
così importante come in Germania. Se rinunciassimo all'euro, il nostro
export crollerebbe, a prescindere dagli investimenti tedeschi negli
Stati in crisi.
SPIEGEL: E come mai, allora, continuiamo a considerarci come i pagatori ufficiali d'Europa?
Loth: Il governo tedesco non ha pagato affinché il denaro venga
consumato a vanvera, quanto per sostenere investimenti per lo sviluppo
di Regioni economicamente in difficoltà. Nel lungo periodo, questo è un
vantaggio economico, ma soprattutto politico dei tedeschi. La Germania
non può permettersi alcun fallimento di Stato in Europa.
SPIEGEL: La riluttanza della Merkel a
spiegare la sua politica, non sarebbe più adatta ai tempi, spiega nel
suo ultimo libro. Il tempo dello sviluppo tecnocratico delle istituzioni
europee, senza il coinvolgimento dei popoli, sarebbe scaduto.
Loth: Questo perché l'UE avrebbe raggiunto una sorta di
profondo controllo a livello normativo. La fondazione della CEE nel 1957
non ha portato con se alcun visibile cambiamento. Per molti tedeschi,
la CEE non ha mai contato nulla se non nel quiz televisivo di Hans-Joachim Kulenkampff "Qualcuno vincerà". Oggi, l'Unione europea è conosciuta da tutti. Le decisioni di Bruxelles influenzano
il quotidiano, fino al punto da scegliere se permettere la coltivazione
di mais geneticamente modificato. Per questo motivo, i cittadini
richiedono giustamente un coinvolgimento maggiore. A tale riguardo, il
rafforzamento della rappresentatività dei popoli è un problema urgente,
tanto che lo stesso Kohl lo riconobbe. SPIEGEL: In che senso?
Loth: Come nella fase introduttiva dell'unificazione tedesca, quando Helmut Kohl affrontò il
rafforzamento e lo sviluppo dell'unione politica, così fece in seguito a
livello continentale, puntando essenzialmente al rafforzamento del
Parlamento europeo, proprio perché capì, da buon politico specializzato
in questioni interne, quanto malcontento si sarebbe potuto accumulare.
Questo accadeva alla fine degli anni '80, e tuttavia, egli non risolse
molto con il trattato di Maastricht, tanto che ancora oggi ci si trova
di fronte al problema. SPIEGEL: La situazione sta cambiando. Ci troviamo all'inizio
delle campagne elettorali europee, in cui ,per la prima volta, i
candidati di spicco si giocheranno, di fatto, anche la presidenza della
Commissione.
Loth: Questo è un grande passo in avanti verso una maggiore legittimazione politica.
Proprio ora si sta discutendo sulle alternative, sia a livello politico
che di singoli candidati. Indifferentemente da chi vincerà, ne
beneficerà la politica che il vincitore sceglierà di attuare, perché
maggiormente legittimata rispetto ad oggi. Ed è molto probabile che
aumenti anche la partecipazione elettorale. SPIEGEL: La Merkel nutre ancora molti dubbi in questo modo di fare campagna elettorale.
Loth: Certo, ma una competizione fra i candidati di spicco
porterà ad una forte politicizzazione della Commissione europea. Ciò
potrebbe infastidire qualcuno, soprattutto quelli abituati all'attuale
funzionamento istituzionale. Ma questo è un modo di pensare superato,
non ha più molto senso tenerne conto per vincere le sfide di oggi. SPIEGEL: Professore, la ringraziamo per questa chiacchierata.
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ok allora sterminiamo di nuovo i tedeschi e la pace nel mondo sarà protetta, magari dal TTIP concesso dai nostri amatissimi liberatori.
RispondiEliminaTutta colpa della Germania, nessuno ha firmato trattati, nessuno ha collaborato, banche, massoneria ed élite anch'esse vittime della Merkel