27 dicembre 2011

AFFAIRE MORO E IL NODO MARKEVITCH/CAETANI

Una premessa
Il lungo viaggio sulla strada della verità procede sempre a tentoni e con pause e inevitabili cedimenti ed errori che ognuno di noi, umanamente soggetto alla possibilità di errare, può incorrere.
Come ogni scritto che si rispetti – in tema di vicende che hanno molto a che fare con le lotte di potere, i misteri più nascosti e i crimini di alto bordo – non pretende di contenere la verità e neanche quelle chiavi interpretative per afferrare in maniera definitive la verità in tutte le sue complesse sfaccettature. 
Chi scrive – umano, troppo e dannatamente umano – cerca di offrire una sua interpretazione per quanto parziale e suscettibile di rilievi e discussioni al lettore che voglia cimentarsi con la materia. Soprattutto il sottoscritto vorrebbe offrire un contributo in termini di informazione e metterlo a disposizione del lettore perché possa giudicare e, con le sue forze e le sue capacità intellettive, procedere per conto suo nell’approfondimento. Mi prostro e mi flagello per le eventuali omissioni e mancanze di cui sono il solo responsabile. D’altronde che saremmo senza la ragione e la memoria ?
Prologo

Questo scritto si propone di analizzare ed esaminare criticamente e, in maniera più accurata e oggettiva possibile, le piste che collegherebbero le BR al Patto di Varsavia e all’URSS, soprattutto affrontando il ventilato ruolo di un personaggio come il maestro di musica Igor Markevitch, oriundo ucraino imparentato sia con l’ex ufficiale inglese organico al PWB (Psychological Warfare Branch) degli Alleati Hubert Howard attraverso la casata aristocratica dei Caetani sia con l’enigmatico uomo d’affari bulgaro Jordan Vesselinoff, dal passato nazista e con entrature nei servizi segreti. 

Occorre scindere la questione in due grandi tematiche:

-          Ambasciata cecoslovacca e rapporti con la Cecoslovacchia

-          La figura di Markevitch e il suo ruolo in merito


1.1  Ambasciata cecoslovacca e la pista dell’Europa dell’est


Già nel pomeriggio di quel fatidico 16 marzo in cui i brigatisti rapirono Moro e ne massacrarono i cinque uomini della scorta, rimbalzarono le notizie su un coinvolgimento dei paesi dell’Europa dell’est e, soprattutto la Cecoslovacchia e della stessa Unione Sovietica. Il sostituto procuratore del Tribunale di Roma a cui era stata affidata l’inchiesta – dott. Luciano Infelisi – divulgò la notizie, data per sicura – che i brigatisti avevano usato armi di fabbricazione cecoslovacca e sovietica come le pistole automatiche “Nagant” e la “Tokarev”. L’informazione, propalata quando ancora non erano stati effettuati gli esami tecnici e balistici, suscitò la comprensibile curiosità dei giornali, ma si rivelò priva di fondamento. Pare inevitabile pensare a un’operazione di disinformazione con lo scopo di indicare all’opinione pubblica la responsabilità di sovietici e cecoslovacchi nell’operazione brigatista e dovrebbe essere abbastanza agevole capire da chi possa aver passato l’informazione al magistrato.

Il primo numero del 28 marzo 1978 del settimanale OP diretto dal giornalista Mino Pecorelli, allora ancora affiliato alla loggia P2 di Gelli riporta uno scoop sensazionale: Moro sarebbe tenuto prigioniero nei locali dell’Ambasciata cecoslovacca. La stessa notizia viene ripresa in data 18 aprile 1978 – giorno della divulgazione del “falso” comunicato brigatista n. 7 del lago della Duchessa e della scoperta pilotata del covo – appartamento di via Gradoli 96, quello circondato da appartamenti riconducibili ad agenzie immobiliari collegate ai servizi del Viminale –  da Enzo Salcioli, descritto da una nota confidenziale del 18 settembre 1972 dell’Ufficio Affari Riservati come uomo di collegamento fra il MAR di Fumagalli e gli ambienti legati a Edgardo Sogno, che l’avrebbe appresa a Madrid da un imprecisato servizio segreto straniero. Secondo Alberto Grisolia, la fonte “Dario” dei servizi di informazione del Viminale inserito all’interno del “Noto Servizio”, branca clandestina dei servizi segreti militari, anche Adalberto Titta, il capo del gruppo, avrebbe riferito la stessa informazione ai suoi uomini a ridosso del sequestro. 
Ancora una volta è ipotizzabile un’azione di intossicazione e di disinformazione attuate da qualche servizio segreto della NATO, infatti tutte le fonti citate, in qualche modo riconducono ad ambienti filoamericani e filo atlantici. Acutamente Giannuli osserva che, tutto sommato, l’informazione non è credibile: se dalle indagini degli inquirenti fosse venuto fuori che l’Ambasciata cecoslovacca ospitava il prigioniero dei brigatisti ne sarebbe scaturita una crisi diplomatica dalle conseguenze difficili da immaginare. Il governo cecoslovacco – e, conseguentemente, quello sovietico – non si sarebbero arrischiati a tanto. E sempre Giannuli si chiede se non sia possibile che Pecorelli, Salcioli e Titta non facciano riferimento ad una stessa fonte dei servizi segreti ed è a partire da quest’ultimo personaggio che potremmo risalire al misterioso propalatore. Nella stessa nota del 24 maggio 1979 prodotta in seguito alle confidenze di Grisolia si conferma che la fonte della notizia relativa all’ambasciata cecoslovacca a Roma come luogo di detenzione di Moro è “americana”, della “CIA” o del “servizio informazioni”. Ma chi potrebbe essere materialmente il diffusore ? 

Secondo Grisolia, durante il sequestro Moro, il presunto capo del “Noto Servizio” viaggiava spesso a Napoli per incontrare un certo “dottor Lupo”, alto dirigente della NATO. Negli anni Settanta a Napoli e Bagnoli avevano sede il comando NATO per lo scacchiere meridionale dell’Alleanza e il comando delle forze navali statunitensi per l’Europa. Insomma Titta riferiva a qualche personaggio – possibilmente un militare – inserito nella base militare NATO e americana di Napoli, strategicamente fondamentale per l’Alleanza. E’ ipotizzabile che l’uomo fosse il vero capo del “Noto Servizio” e che Titta coprisse solo un ruolo di mero esecutore. Da un interrogatorio del “pentito” della formazione terroristica di estrema sinistra Prima Linea Roberto Sandalo resa al giudice Imposimato nel carcere di Vicenza il 10 dicembre 1980 apprendiamo qualcosa in più e di estremamente interessante. 

L’ex terrorista rivela che il brigatista Lauro Azzolini voleva “appaltare” a Prima Linea l’assassinio di un ufficiale american della NATO abitante a Bagnoli. Durante il sequestro, Moro, ritenendo che nello Stato non si volesse arrivare ad una trattativa e alla sua conseguente liberazione, aveva offerto la sua collaborazione ai brigatisti e rivelato alcuni retroscena sulla “strategia della tensione” e sulle complicità interne ad organismi non precisati dello Stato. In tale contesto era stato fatto anche il nome di questo ufficiale americano. Tuttavia i “piellini” rinunciarono per la paure delle prevedibili e sanguinose rappresaglie. I pezzi si incastrano perfettamente: è molto probabile che il “dottor Lupo” si identifichi con quell’ufficiale americano di stanza alle basi militari NATO di Napoli o Bagnoli, che lo stesso sia il “superiore” gerarchico del “capo” del “Noto Servizio” Adalberto Titta e che, al contempo, abbia diffuso l’informazione sul collegamento fra l’Ambasciata cecoslovacca a Roma e il caso Moro. 

L’ufficiale è molto probabilmente organico a quelle reti dell’intelligence militare americane inserite logisticamente nelle basi NATO e che sono forse da ricondurre alla DIA, il servizio segreto del Pentagono. Sappiamo come, secondo il “pentito” e collaboratore di giustizia Carlo Digilio, ordinovista, queste reti arruolassero ex repubblichini o elementi neonazisti quali i militanti di Ordine Nuovo nel Triveneto, evidentemente a scopo informativo, ma anche per la realizzazione di “dirty jobs”. Anche se liquidò l’intera faccenda della P2 come montatura del KGB – giudizio evidentemente assai riduttivo rispetto alla semplice documentazione acquisita – l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, “gladiatore” dichiarato e Ministro degli Interni durante l’apparentemente fallimentare gestione dei 55 giorni del sequestro brigatista di Aldo Moro, non solo in passato aveva dipinto la loggia coperta come circolo atlantico oltranzista, ma ebbe anche l’ardire di dichiarare, in altra occasione, che, come appreso da fonte militare qualificata, la P2 costituiva un gruppo misto di militari e civil servants nella disponibilità degli americani, fondata nella base americana NATO di Napoli. Sia il Gelli che il Titta rispondevano agli stessi ufficiali americani ? 

Non ci sono elementi sufficientemente forti da poter concludere tale affermazione, ma tali comunque da permettere un’ipotesi. Vero è, comunque, che Pecorelli riceveva il materiale dei suoi scoop soprattutto da Gelli e dai “fratelli” di loggia, che Salcioli era stato in passato presumibilmente collegato sia Fumagalli che a Sogno, due ex partigiani “bianchi” antifascisti e anticomunisti che avevano goduto di molto credito presso gli americani e che Titta era in collegamento con un misterioso ufficiale e dirigente della NATO di stanza nella base di Napoli, probabilmente americano. Ce n’è abbastanza per capire quale fosse l’origine della notizia.

Un’altra operazione di disinformazione e manipolazione dell’opinione pubblica italiana di marca americana e atlantica ? Tutto lo lascia supporre, ma a questo punto le cose si complicano…

Gli organismi di sicurezza e di controspionaggio italiani sono sempre stati ben informati riguardo l’asse Italia – Cecoslovacchia per la mutua assistenza e aiuto fra militanti comunisti della Terza Internazionale fin dall’immediato Dopoguerra. In particolare si era a conoscenza che, fra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta, un certo numero di militanti delle varie formazioni del Partito Armato si addestrava nel campo di Karlovy Vary alle tecniche della guerriglia e del sabotaggio. Dati allarmanti che avrebbero consentito – almeno sembrerebbe – al più volte Presidente del Consiglio e Ministro della Difesa Giulio Andreotti di ricattare il PCI e di gestire i rapporti con questo partito a proprio vantaggio. In effetti, questa situazione imbarazzava e preoccupava i dirigenti del PCI che erano a conoscenza di quei rapporti ed informative. Un contributo di un certo peso alla fondazione delle BR era stato fornito da un gruppo di giovani della FGCI di Reggio Emilia (Franceschini, Gallinari, Ognibene, Pelli) che si rifacevano al filone della “Resistenza tradita” diffusa fra gli ex partigiani comunisti ed erano attratti e suggestionati dai nuovi fermenti sociali della contestazione giovanile. Grazie all’affinità ideologica e all’adesione ad una linea insurrezionalista costoro mantenevano solidi rapporti con reduci comunisti della Resistenza e – così si temeva nella dirigenza del partito – si sospettava che, grazie a questi contatti, potessero accedere a Praga. 

Inoltre nella base del PCI erano ancora forti le tendenze estremiste in contrasto anche con il “moderatismo” della dirigenza. Un problema certo da non sottovalutare… Infatti, per ben tre volte – nel 1974, 1975 e nel 1976 -, il vicepresidente del Consiglio Centrale di Controllo del PCI, autorizzato dalla dirigenza si recò a Praga per sapere dal Comitato Centrale del Partito Comunista Cecoslovacco se gli organismi di sicurezza appoggiavano, sostenevano ed addestravano realmente i brigatisti. Si chiedeva ai comunisti cecoslovacchi di interrompere i rapporti con le BR. Nelle sue linee generale la vicenda era descritta nel rapporto Impedian 143 del celebre archivio Mitrokhin del KGB sovietico nel quale un anonimo ufficiale dei servizi segreti dell’URSS ritrae con concisione e precisione i rapporti che intercorrevano fra comunisti sovietici, cecoslovacchi e italiani in merito alla spinosa questione delle BR e dei loro appoggi sul fronte del Patto di Varsavia. Ancora adesso ci si interroga sull’attendibilità della documentazione passata dall’archivista russo, tuttavia ne scaturisce un quadro coerente e verosimile. Le risposte del Comitato Centrale del Partito Comunista Cecoslovacco non soddisfano di dirigenti del PCI e il segretario Berlinguer, generando una crisi di un certo peso nei rapporti fra i partiti comunisti dei due stati. A pochi giorni dal rinvenimento del cadavere di Aldo Moro, il 4 maggio del 1978, il presidente del Presidium del Comitato Centrale del PCI, Giorgio Amendola e il presidente del Consiglio Centrale di Controllo del PCI Arturo Colombo incontrano l’ambasciatore cecoslovacco a Roma Vladimir Koucky per esprimergli la loro insoddisfazione e la loro preoccupazione per le risposte fornite riguardo i rapporti di Praga con le BR. Ma il più duro nei confronti dell’ambasciatore cecoslovacco sarà proprio quello sovietico, Nikita Ryzhov, il quale  rammentava ripetutamente a Koucky che aveva messo in guardia i rappresentanti cecoslovacchi in merito ai contatti con le "Brigate Rosse, ma questi non gli avevano dato ascolto. Ryzhov era convinto che all'interno dell'Ambasciata cecoslovacca ci fosse qualcuno che, alle spalle di Koucky, era in contatto con le "Brigate Rosse. 

Ryzhov aveva accusato Koucky di recare più danni che benefici associandosi con le "Brigate Rosse". In poche parole i sovietici erano convinti che qualcuno intrattenesse i rapporti con le BR alle loro spalle, magari senza che l’ambasciatore ceco ne fosse a conoscenza. Chi poteva essere ? Una fazione oltranzista ed estremista all’interno dei servizi di informazione e di insicurezza del Patto di Varsavia ? Oppure si trattava di una o più “talpe” che lavoravano per l’altra parte ?
Spesso si è parlato di un utilizzo delle BR, così come degli altri gruppi dell’”euroterrorismo” (RAF, ETA, IRA, ecc…) da parte dei sovietici e anche attraverso i servizi segreti di altri Stati aderenti al Patto di Varsavia per destabilizzare i paesi dell’Europa occidentale. Sicuramente, come nel caso dei più efficienti servizi segreti, i contatti con i terroristi ci sono stati, ma ad un’attenta analisi, si può stabilire che le più alte autorità sovietiche ritenessero i gruppi della guerriglia metropolitana in Europa molto poco utili ai loro scopi. Nell’ultrasinistra degli anni Sessanta e Settanta, da cui sono nati molte di queste bande, fiorivano tendenze scissioniste e frammentazioni, mettendo in discussione in primis il socialimperialismo sovietico. 

Nel corso degli anni Sessanta la tensione fra filosovietici e filocinesi maoisti aveva raggiunto il livello di guardia anche con il contributo delle infiltrazioni degli avversari della parte opposta della barricata. Non è forse un caso che era convinzione dei sovietici che l’esplosione del Sessantotto fosse stata propiziata a causa di un complotto della CIA. Una spiegazione “complottista” che, volendo rincorrere la causa unica di un diffuso fenomeno sociale, contiene una parte importante di verità ma anche molta esagerazione. Il nuovo corso berlingueriano che aveva promosso un “eurocomunismo” che altro non era se non la riproposizione della formula socialdemocratica all’interno dei partiti comunisti dell’Europa occidentale destava certo preoccupazione nella dirigenza sovietica anche per le ripercussioni che quella svolta poteva avere oltrecortina, ma il mantenimento di buoni rapporti con un PCI riformista era comunque preferibile al salto nel vuoto offerto dalle avventure azioni del Partito Armato. 

Inoltre i sovietici consolidarono i loro rapporti con le fazioni filosovietiche interne al PCI anche incrementando le elargizioni. Dal citato rapporto Impedian, inoltre, apprendiamo non solo che ai sovietici non conveniva appoggiare e servirsi delle BR, ma che le azioni del gruppo armato creavano tensione e scompiglio nei rapporti fra comunisti sovietici, cecoslovacchi e italiani. Qualcuno poteva strumentalizzare le BR per alimentare queste tensioni ? Non è certo escludibile a priori… In maniera inattesa, ad escludere invece qualsiasi responsabilità sovietica nel sequestro e nell’assassinio dell’onorevole Moro, interviene un ex colonnello del KGB fuggito a Londra e passato alle file dell’MI 6, il servizio segreto britannico, il celebre Oleg Gordievskij, una monumentale fonte di informazione che ha consentito allo storico Christopher Andrew di ricavarne una colossale storia del celebre e famigerato servizio segreto sovietico. Infatti secondo Gordievskij l’accordo fra un DC al governo e un PCI che, pur senza entrare nella compagine governativa, collaborava, incontrava il favore sovietico anche grazie alle garanzie offerte da Aldo Moro. 

Quest’ultimo avrebbe mantenuto buoni rapporti con l’URSS. L’assassinio dello statista democristiano fu considerato un colpo per gli interessi strategici sovietici. Assumendo le argomentazioni – piuttosto convincenti – di un personaggio che era ben inserito nell’organico del KGB e che, poi, avrebbe fatto il doppio gioco “tradendo” il suo paese a beneficio degli inglesi, dobbiamo trarne che furono altri a fornire il loro sostegno e, magari, strumentalizzare le BR e il Partito Armato. Fanatici e oltranzisti comunisti supportati all’interno del Patto di Varsavia ? Filoamericani, filoinglesi e filo atlantici anticomunisti più o meno organici alla NATO ? O è esistito un luogo in cui i due mondi si sono intrecciati e, magari, hanno pure collaborato ?

Dunque nel cosiddetto Partito Armato, fra vari filoni e le inevitabili infiltrazioni, si è inserito quello comunista e antifascista militante della “Resistenza tradita” che partiva dal presupposto che la resistenza al nazifascismo è rimasta incompiuta perché avrebbe dovuto mutare in un’autentica “guerra di classe”. Accusati di crimini, molti ex partigiani comunisti che avevano adottato tale concezione, erano espatriati proprio in Cecoslovacchia, a Praga ove avevano potuto usufruire della protezione delle autorità locali. 

L’atteggiamento del PCI togliattiano fu doppio e addirittura ambiguo: da Ministro della Giustizia, Palmiro Togliatti promosse l’amnistia nei confronti di repubblichini e collaborazionisti, da un lato per normalizzare il nuovo assetto istituzionale che si stava profilando e dall’altro per riuscire ad inquadrare ex fascisti nel PCI. In realtà ci aveva già pensato il leggendario dirigente dell’OSS, antesignano della CIA, James Jesus Angleton,  il protettore del comandante della X Mas della Repubblica di Salò, principe Junio Valerio Borghese, a reclutare ex fascisti ed ex nazisti proprio in funzione anticomunista e antiPCI. 

Siamo ai prodromi della costituzione della rete atlantica filoinglese e filoamericana STAY BEHIND con compiti di contenimento dell’espansione sovietica. Le priorità, anche per Togliatti, sono altre e così, mentre molti funzionari che avevano aderito al fascismo, specie nei delicati settori della Difesa e della Sicurezza, vengono reinserito nell’amministrazione statale, una buona fetta ci coloro che avevano combattuto nelle file delle Brigate Garibaldi durante la Resistenza è costretta ad abbandonare il paese. Costoro mantengono spesso i piedi nel partito, ma contestano la linea “legalitaria” di Togliatti perché la Resistenza deve essere proseguita nelle forme della “guerra di classe”. Ciononostante, e malgrado la persecuzione interna al partito, questi elementi radicali vengono protetti perché possono servire come forza armata di riserva in caso la Guerra Fredda possa degenerare e mutare in “conflitto caldo”. Sono state gettate le basi di quella che, forse, impropriamente, è stata definita una specie di “Gladio rossa” per accostarla alla più famosa organizzazione paramilitare clandestina atlantica. Vero è che dai due lati della barricata, i due maggiori contendenti della scena politica italiana si trovarono a dover gestire la presenza di agguerrite formazioni armate che, all’occorrenza potevano anche servire, ma che proprio per il radicalismo di una gran parte dei componenti, poteva avere effetti destabilizzanti. E poi, naturalmente, entravano le logiche e i condizionamenti internazionali… 

Punto di riferimento imprescindibili del gruppo di esuli “cecoslovacchi” era il numero due del PCI, il comunista ortodosso Pietro Secchia. Alla fine degli anni Sessanta Secchia, il cui ruolo nel partito era stato ridimensionato, comincia a guardare con favore alla contestazione giovanile con l’intenzione di incoraggiare le tendenze insurrezionaliste al suo interno. Accanto a lui, si distingueva anche l’editore Feltrinelli che auspicava l’unificazione di un fronte antifascista per impedire l’imminente colpo di stato in Italia. Il fronte avrebbe dovuto assumente i tratti propri della guerriglia secondo i modelli cubano e latinoamericano e quello della resistenza antifascista nostrana. Non sarebbe, però, del tutto corretto attribuire a Feltrinelli e allo stesso Secchia, una prospettiva angustamente antifascista e di opposizione armata al golpismo. Si trattava di un movimento che si proponeva di creare le condizioni per un processo rivoluzionario e violento e a cui facevano certamente riferimento i giovani militanti del Partito Armato e i vecchi reduci della Resistenza. Personalità anche complessa e sotto certi aspetti sfuggente, Feltrinelli si era allontanato dall’ortodossia del PCI a seguito dell’invasione sovietica in Ungheria nel 1956, quando molti militanti e iscritti a partito si allontanarono delusi dalla linea filosovietica. 

La casa editrice era anche il punto di incontro di personaggi filoisraeliani e filoinglesi, forse ad insaputa dello stesso proprietario. Nell’arco di poco tempo, sia Secchia che Feltrinelli perdono la vita in circostanze mai totalmente chiarite. Nel caso del primo si è parlato di un principio di avvelenamento, l’editore “rosso”, invece, muore nelle ben note circostanze, in un presunto “incidente sul lavoro” da guerrigliero. Prima ancora che il suo corpo dilaniato venga riconosciuto, nella serata del 15 marzo 1972, l’Ambasciata sovietica e il consolato a Milano sono in subbuglio. Come rivelato dal brigatista dissociato e fondatore delle BR, Franceschini, Feltrinelli gestiva i contatti cecoslovacchi per il gruppo. Ereditandone i rapporti internazionali è piuttosto facile immaginare come tali contatti siano stati ereditati da quel gruppo di personaggi italiani e francesi che, dopo essersi allontanati dalle BR per creare un’ambigua ala scissionista, hanno allestito una strana scuola di lingue a Parigi – Agorà poi Hyperion – sicuramente almeno con il beneplacito e l’autorizzazione delle autorità locali. Ma la storia dell’incontro e del bizzarro intreccio fra fazioni sull’opposta sponda – unite dall’avversione al parlamentarismo e alla tendenza legalitaria del PCI e delle sinistre, compresa quella interna alla DC -, ovvero gli oltranzisti anticomunisti ed atlantici e le frange “rosse” più estremiste, ha una lunga storia…    

Stretto collaboratore del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa per quel che riguardava l’azione di contrasto del brigatismo rosso, il colonnello Nicolò Bozzo rivelò che l’ambito d’indagine per quel che concerneva il terrorismo copriva uno spazio ben più esteso. In particolare, in occasione della campagna terroristica dinamitarda che colpì Savona fra il 1974 e il 1975, il generale Dalla Chiesa voleva lavorare all’ipotesi dell’esistenza di un rapporto operativo fra settori dei servizi segreti, la massoneria “deviata” (la loggia P2 (?)), la criminalità comune organizzata (probabile riferimento alle bande legate all’Anonima sequestri) e l’estrema destra eversiva. 

Vi intravedeva, inoltre, l’azione di una struttura paramilitare clandestina che, originariamente, aveva funzioni antinvasione, ma poi era rimasta coinvolta in operazioni terroristiche e illegali. Questa struttura avrebbe gettato le sue radici durante la guerra con le operazioni di annientamento delle formazioni partigiane di sinistra – comuniste, socialiste e azioniste – e con il controllo di quelle di opposta tendenza (Osoppo, la formazione Martini Mauri, la “Franchi”), quelle “bianche”, che avrebbero offerto un’intensa e duratura collaborazione. Il riferimento è naturalmente a GLADIO, o, comunque alla rete atlantica STAY BEHIND allestita grazie al finanziamento e all’addestramento fornito dagli americani e dagli inglesi. L’attenzione del generale doveva appuntarsi sulla formazione “Franchi”, nome di battaglia di un risoluto aristocratico, ufficiale e partigiano “bianco”, monarchico, liberale e conservatore, Edgardo Sogno Rata Vallino, destinato apparentemente ad una brillante carriera diplomatica. Concentrato sul fronte aperto dalle BR, Dalla Chiesa non avviò alcuna indagine.
Qualche anno dopo, e precisamente nel periodo successivo al sequestro e all’assassinio di Moro, la “Franchi” torna all’attenzione del generale proprio in relazione alle BR. Un bizzarro giornalista, tale Ernesto Viglione confidò di essere stato informato da un brigatista che le riunioni dei capi brigatisti si svolgevano in una villa nei pressi di Pavia e che vi presenziava l’illustre magistrato Adolfo Beria D’Argentine. Il magistrato era ben conosciuto da Sogno, poiché durante la guerra aveva fatto parte della formazione “Franchi”. Nei primi anni Settanta si era avvicinato ai Comitati di Resistenza Democratica, con il quale Sogno aveva rimesso in piedi il vecchio sodalizio dei tempi della Resistenza per opporsi all’avanzata elettorale dei comunisti con mezzi anche non ortodossi. 

Il magistrato si allontanò dal gruppo quando subodorò il carattere eversivo del progetto passato alla storia come “golpe bianco” e le relazioni che il conte stava intrecciando anche con l’estrema destra. Per Dalla Chiesa l’indicazione di Beria D’Argentine come capo brigatista altro non era che un depistaggio probabilmente attuato per colpire il magistrato che non aveva aderito ai piani golpisti. Secondo il colonnello Bozzo si trattava di un tentativo di assestare un duro colpo al generale Dalla Chiesa che aveva assunto pieni poteri in materia di antiterrorismo. Già il 1 ottobre del 1978, il nucleo scopre il famoso covo brigatista di via Montenevoso a Milano ove vengono arrestati ben due membri del Comitato Esecutivo delle BR, Azzolini e Bonisoli e ove viene rinvenuto il memoriale di Aldo Moro. Scoppia un conflitto con il comando territoriale dell’arma, la Divisione Pastrengo, allora egemonizzata dalla cordata legata alla loggia P2. 

Il colonnello Bozzo sospetta che quel depistaggio sia stato suggerito dagli ambienti dell’Arma piduisti anche per screditare il generale Dalla Chiesa e assestare un colpo alla credibilità della struttura antiterrorismo voluta dal governo in carica. D’altronde la P2 poteva essere interessata anche a proteggere il “fratello” Sogno e a prolungare la stagione delle stragi e del terrorismo. Occorreva, tuttavia, capire le finalità del depistaggio anche perché l’accostamento fra un ex componente della formazione “Franchi” e le BR è degno di approfondimento. Nell’ultima parte del conflitto, verso la fine del 1944, si stava chiaramente profilando la sconfitta dei nazifascisti per cui, agli occhi degli Alleati angloamericani, non solo bisognava portare a termine le guerra contro i tedeschi e i loro alleati, ma anche ridimensionare il peso dei social comunisti nella Resistenza. Insomma, già ci si preoccupava degli assetti futuri e la Guerra Fredda era dietro l’angolo… 

Gli Alleati, fra l’altro, in Piemonte e in Lombardia si avvalsero della struttura di intelligence della “Franchi” neutralizzando i gruppi delle brigate Garibaldi con le “soffiate” ai repubblichini. Manovre basate su “tripli giochi” a cui avrebbe partecipato lo stesso Beria D’Argentine che gravitò fra i “bianchi” della formazione partigiana del comandante Sogno/”Franchi”, i “rossi” delle brigate garibaldine comandate da Francesco Moranino molto vicino a Pietro Secchia e ai “neri” delle formazioni armate repubblichine di Salò. Alla fine della guerra Sogno stesso consegnò una dichiarazione alle autorità militari in cui si riconosceva che Beria D’Argentine, già “garibaldino”, si era arruolato nelle forze armate delle Repubblica Sociale di Salò per fare il doppio gioco. Nel contesto di una guerra che assomigliava sempre più a un conflitto fra bande, Edgardo Sogno conduceva una condotta spregiudicata secondo le direttive degli angloamericani e, a tal scopo, arruolava nella sua formazione sia repubblichini che “garibaldini”. 

Per trovare elementi di conferma all’ipotesi del generale Dalla Chiesa, secondo il quale quella struttura a cui faceva riferimento Sogno ha continuato ad operare dopo il conflitto ed è rimasta implicata nei fatti eversivi e terroristici che hanno insanguinato l’Italia, il colonnello Bozzo contattò un ex partigiano vercellese delle brigate Garibaldi comandate da Moranino, il quale spaventato, non solo confermò che, grazie alle soffiate ai repubblichini vennero annientati dei nuclei “garibaldini”, ma che la struttura che aveva attuato quelle operazioni era ancora operativa in quel 1978. L’ex partigiano temeva di venire assassinato da questa organizzazione…

A questo punto, ricostruiamo i dati salienti della biografia del conte Edgardo Sogno Rata Vallino, un personaggio che tanto ha fatto discutere e che ha suscitato giudizi contrastanti e contrapposti.
Monarchico, liberale e conservatore, antifascista, antinazista, ma soprattutto visceralmente anticomunista, Sogno si unì immediatamente alla Resistenza nel 1943 entrando a far parte del CLN del Piemonte in rappresentanza del PLI. Ottiene la fiducia degli americani e degli inglesi e si pone al comando della “Franchi” che, oltre, a partecipare ad azioni armate, si impegna in operazioni di intelligence. Sogno è collegato alla sezione Calderini del SIM, il servizio segreto delle’esercito italiano, ma, soprattutto agisce secondo le direttive impartite dai contatti in Svizzera, John McCaffery del SOE (Special Operations Executive) britannico e futuro amico e socio d’affari del banchiere mafioso, massone e piduista Michele Sindona e Allen W. Dulles, il capo dell’OSS (Office of Strategic Services) americano per l’Europa. Noto per aver trattato la “resa” del celebre Reinhard Gehlen, il capo del controspionaggio nazista nell’Est Europa che presterà i propri servigi futuri agli americani, Dulles diventerà capo della CIA, l’erede dell’OSS, riorganizzata per la Guerra Fredda. La formazione partigiana “Franchi” viene utilizzata per operazioni di infiltrazione e di penetrazione a base di doppi e tripli giochi e, quasi certamente, costituirà un pezzo importante nell’allestimento della rete della STAY BEHIND. La fiducia riposta nel comandante partigiano non sembra venir meno dopo la guerra: l’elemento è sicuro e fidato. 

Il PWB (Psychological Warfare Branch) l’organismo angloamericano per la propaganda e la guerra psicologica comandato dal colonnello inglese Michael Noble e che conta fra i suoi uomini l’ufficiale Hubert Howard, futuro erede della casata aristocratica Caetani, si assume il compito di riorganizzare il mondo dell’informazione e della cultura in Italia e affida a Sogno il quotidiano della sera “Corriere Lombardo”. Destinato ad una carriera diplomatica sicura e brillante, il conte, insignito della Bronze Star americana e della medaglia d’oro al valor militare, vuole, tuttavia, assecondare la sua vocazione di autentico combattente e crociato anticomunista della Guerra Fredda. Egli ha già colto l’importanza dell’infiltrazione e della penetrazione nelle file del nemico: molti amici, alleati e collaboratori di Sogno hanno un passato di militanza comunista e socialista o sono reduci della Resistenza al nazifascismo nelle file delle Brigate Garibaldi. Fra questi, oltre agli ex comunisti che, per delusione, si sono convertiti al più ferreo anticomunismo, anche mercenari, provocatori di professione e avventurieri. Fra gli elementi pescati fra i comunisti, due strettissimi collaboratori, Luigi Cavallo e Roberto Dotti, che, dopo aver militato nella formazione estremista a “sinistra” del PCI, “Stella Rossa” – accusata da Secchia di costituire un ricettacolo di provocazione al servizio della borghesia – si avvicineranno ed entreranno proprio nel PCI, contribuendo all’organizzazione della redazione torinese dell’Unità. Un altro ex comunista molto vicino a Sogno è Vincenzo Tiberti il quale dopo essere stato iscritto al PCI fino al 1951, si avvicinerà al conte partecipando a tutte le sue iniziative, da Pace e Libertà fino ai Comitati di Resistenza Democratica. A dimostrazione di questa fiducia, Tiberti assumerà la proprietà degli organi di stampa dei Comitati di Resistenza Democratica, “Resistenza Democratica” e “Comitati di Resistenza Democratica”. Inoltre verrà reclutato nelle file della GLADIO. Naturalmente Sogno potrà anche usufruire dell’appoggio degli amici della FIVL, la Federazione Italiana Volontari della Libertà, l’associazione di partigiani “bianchi” - democristiani, liberali, conservatori – in concorrenza con i “rossi” dell’ANPI. Sotto l’egida del democristiano di destra ed anticomunista di ferro – che, però, non sempre mantenne rapporti idilliaci con Sogno – Ministro degli Interni Mario Scelba, nel 1950 Sogno si occupò dell’organizzazione di gruppi paramilitari anticomunisti sotto la sigla “Atlantici d’Italia”. La grande occasione non tarderà a presentarsi… In quegli anni seguirà un corso di guerra psicologica al NATO Defense College a Parigi. Entra in contatto con il funzionario NATO e deputato radicale francese Jean Paul David il quale sta allestendo una rete internazionale per la propaganda anticomunista e ne ha già fondato la sezione francese Paix et Libertè. Questa attività è da ricondurre alla riorganizzazione di un servizio informazioni della NATO con funzioni antiCominform già allora operativo. Sogno accetta e con l’apporto del fidato Cavallo che, nel frattempo, era stato espulso dal PCI, del giornalista Lando Dell’Amico e dell’ex spia dell’OVRA Luca Osteria fonda Pace e Libertà nel 1953. Apparentemente si presenta come un’iniziativa privata, al di fuori dei canali ufficiali ed istituzionali, ma non è difficile scorgervi l’ombrello atlantico della NATO. Pace e Libertà può usufruire di canali vasti e ramificati di finanziamento: dalla CIA di Allen W. Dulles al Ministero degli Interni passando per le elargizioni private provenienti dalla grande industria e dai maggiori rappresentanti della Confindustria (FIAT, Pirelli, l’industriale torinese Viberti, ecc…). Agli atti della Commissione Parlamentare di Inchiesta sulla loggia Propaganda 2 risulta che Pace e Libertà ricevette finanziamenti anche dall’USIS (United States of Information Service), organismo inserito nelle sedi diplomatiche statunitensi all’estero con l’obiettivo di promuovere la cultura americana e di lanciare operazioni di guerra psicologica. I finanziamenti affluiscono anche attraverso l’ufficio REI del SIFAR diretto dal colonnello Rocca, l’organo amministrativo che si occuperà anche della GLADIO. L’attività dell’organizzazione si prospetta intensa e frenetica: dalla pubblicazione di fogli di propaganda anticomunista all’azione per screditare i dirigenti comunisti, dalla schedatura degli iscritti al PCI e alla CGIL voluta dagli industriali italiani all’organizzazione di nuclei di squadracce con l’apporto di neofascisti e professionisti della provocazione. Tuttavia l’avventura della sezione italiana di Pace e Libertà è destinata a concludersi presto: il “riconoscimento” da parte dello stato italiano non è contemplato dalla leadership democristiana che non vede di buon occhio l’attivismo di un “cane sciolto” come Sogno. Inoltre nel 1955 il conte romperà con il suo braccio destro Cavallo il quale, in realtà, gestiva una propria e autonoma attività di provocazione. Uscito da Pace e Libertà Cavallo ne costituirà la versione “di sinistra” denominata Fronte del Lavoro o Pace e Lavoro che si specializzerà negli attacchi contro i comunisti, i socialisti e i sindacalisti della CGIL partendo da una posizione di “radicalismo di sinistra”.  Gli appoggi, i sostegni e i finanziamenti che, fino ad allora erano stati indirizzati ad Edgardo Sogno, verranno spesi a favore di Cavallo che si rivela essere un provocatore professionista di alto livello. La grande industria e soprattutto la FIAT apprezzano il lavoro di capillare schedatura e premiano il giornalista con generose elargizioni. D’altronde Cavallo è collegato ai servizi segreti tedeschi e non è escluso che abbia coltivato rapporti stretti con l’organizzazione Gehlen. Pare che prima di convertirsi al comunismo avesse lavorato come “interprete” alla Gestapo, la polizia nazista. Il suo Centro di Informazione e Documentazione si occupa di diffondere il materiale pubblicabile inviato dall’Agenzia Continentale, un’agenzia stampa con sede a Berlino Ovest, specializzata nella propaganda anticomunista. Anche con il sostegno del solito ufficio REI del SIFAR, con la collaborazione dell’ex Ministro della Difesa repubblicano e massone Randolfo Pacciardi, già amico dell’ambasciatrice americana Booth Luce - moglie di un potente editore - e animatore del movimento presidenzialista Nuova Repubblica e del gruppo di ex comunisti legati ad Eugenio Reale, Cavallo cercherà di alimentare tensioni e conflitti all’interno del PCI (fra filosovietici e filomaoisti) e del PSI (fra le correnti più ortodosse e gli autonomisti “anticomunisti”). L’attività prosegue intensa negli anni anche grazie a un’estesa rete di rapporti anche all’interno dei paesi dell’Europa dell’Est e a una rete informativa inserita nel PCI. Negli anni Sessanta da un lato cercherà di sviluppare pubblicazioni dal provocatorio contenuto “maoista”, dall’altro svolgerà un’attività volta a favorire la corrente autonomista all’interno del PSI e il PSDI saragattiano e filoatlantico. Come vedremo, emergeranno indizi di rapporti fra il provocatore ex comunista e personaggi delle BR. Nel frattempo l’avventura anticomunista di Pace e Libertà si sta per concludere: troppi debiti e un rapporto non facile con gli ambienti governativi italiani. 

Il movimento atlantico si scioglie nel 1958 e per circa un decennio Sogno si dedicherà alla carriera diplomatica soprattutto negli USA. E’ tuttavia difficile ritenere che questo agguerrito crociato della Guerra Fredda sia rimasto con le mani in mano per tutto questo periodo. Già nel 1956, Sogno si era recato in missione in Ungheria per conto del SIFAR in concomitanza con i moti scoppiati contro il regime. Sono stati stabiliti contatti con i rivoltosi ?
Durante la guerra del Vietnam l’ex partigiano ricopre la carica di ambasciatore in Birmania e cerca di coinvolgere il suo paese in un intervento di appoggio agli americani e ai sudvietnamiti contro i vietcong. Nel 1969 il destino dell’Italia è appeso ad un filo per il quadro istituzionale e sociale costantemente destabilizzato e per l’inarrestabile avanzata elettorale del PCI. Edgardo Sogno si mette in aspettativa e, dopo aver contattato i vecchi compagni della Resistenza, fonda i Comitati di Resistenza Democratica nella primavera del 1970. Grazie al libro intervista di Aldo Cazzullo “Testamento di un anticomunista”  (Sperling & Kupfer, 2010) e a un’intervista rilasciata a Giovanni Fasanella su Panorama nel lontano 1990, possediamo un quadro abbastanza preciso dei progetti coltivati dall’intero gruppo. 

Come rivelò a Fasanella, Sogno aveva ricostituito la vecchia rete di rapporti con i “magnifici venti”, i venti ex partigiani e compagni di avventure con i quali Sogno aveva condiviso molte iniziative. Spesso il gruppo è stato confuso con l’organizzazione paramilitare di destra e atlantica Rosa dei Venti, organizzata da fedelissimi del principe “nero” Junio Valerio Borghese. Sogno e i suoi sodali si erano impegnati a impedire anche con le armi una presa del potere da parte del PCI per via elettorale. Non solo… Era stato stretto un giuramento che avrebbe impegnato i contraenti a sparare sui traditori – democristiani e non solo… - che avevano intenzione di accordarsi con i comunisti. Il riferimento a Moro è implicito, ma abbastanza chiaro e solo qualche anno dopo i brigatisti sequestreranno e uccideranno il presidente della DC così disponibile nei confronti dei comunisti. 

Riprende quell’attivismo che aveva caratterizzato Sogno negli anni di Pace e Libertà: si rappacifica con il vecchio compagno Luigi Cavallo, prende contatto con l’ex ministro della Difesa Randolfo Pacciardi, con l’ex partigiano “bianco” e capo del MAR Fumagalli e perfino con gli ambienti legati al principe Borghese, alla X Mas e al neofascismo. Naturalmente vengono riallacciati i vecchi rapporti con gli americani, gli inglesi e la Confindustria italiana. A quegli anni risalirebbe l’iscrizione alla loggia P2 di Licio Gelli. Si profila il progetto di un golpe di “centro” con il sostegno di ampi settori delle forze armate e dell’Arma dei carabinieri. Il tentativo prevede un colpo di mano per l’instaurazione di una repubblica plebiscitaria sul modello gaullista con il sostegno di ampi settori dei partiti di centro (DC, PRI, PSDI, PLI fino alla corrente autonomista del PSI) mettendo fuori gioco contemporaneamente l’estrema sinistra e l’estrema destra e mettendo fuori legge il PCI  e l’MSI. 

Tuttavia nel 1974 il quadro internazionale sta mutando: cade l’amministrazione repubblicana di Nixon negli USA travolta dallo scandalo Watergate, mentre i regimi fascisti e militari in Europa (Grecia, Spagna, Portogallo) crollano come castelli di carta. Gli indirizzi dell’establishment internazionale – politico, diplomatico, finanziario, industriale e militare – stanno cambiando e Sogno viene scaricato. Il golpe bianco naufraga… Il Ministro della Difesa Andreotti e il Ministro degli Interni Taviani offrono il loro supporto all’inchiesta del giudice torinese Luciano Violante sulla congiura. E’ prossima l’incriminazione per Sogno, Cavallo, Pacciardi e l’ammiraglio Birindelli. Il nominativo di molti congiurati comparirà sulle liste della P2. Ma Sogno e soci godono ancora di molte protezioni: l’inchiesta prenderà il largo per approdare nel palazzaccio romano ove verrà unita alle istruttorie sul golpe Borghese e sulla Rosa dei Venti. 

Sostanzialmente la magistratura romana eviterà di portare avanti una seria indagine sui tentativi golpisti e contribuirà all’insabbiamento. Dalle parole dell’ex partigiano comunista interrogato dal colonnello Bozzo emergerebbe tuttavia che, nonostante, il fallimento del tentativo golpista di Sogno, Cavallo e Pacciardi, la struttura che ne avrebbe assecondato i propositi sarebbe ancora attiva e pericolosa. Per chiarire la questione il generale Dalla Chiesa e il colonnello Bozzo si fecero ricevere da Sogno in una villetta. Dalla Chiesa parlò a quattr’occhi con l’ambasciatore e successivamente intimò al suo sottoposto di interrompere qualsiasi indagine. Si stava toccando un livello internazionale perché Sogno e il suo ambiente posti sotto la protezione dell’ombrello angloamericano. La pur efficiente macchina repressiva dell’antiterrorismo organizzata dal generale non avrebbe potuto fare nulla…

Ma quali fili poteva collegare la rete di Edgardo Sogno – e, quindi, coloro che l’avevano appoggiata e finanziata – alle BR ?

Esistevano direttrici che portavano dagli uomini di Pace e Libertà direttamente a Praga ?

Se tale direttrice esiste deve essere ricondotta alla figura di Roberto Dotti, amico e stretto collaboratore di Edgardo Sogno…

Non può negarsi all’evidenza che, per un periodo anche piuttosto lungo, Dotti non è certo stato una mezza figura all’interno del PCI ove quantomeno godette della fiducia della dirigenza torinese. Grazie al citato libro – intervista di Aldo Cazzullo sappiamo direttamente dalle labbra di Sogno che potette infiltrare i comunisti grazie al fidato Dotti. E’ dato certo che ricoprì il ruolo di commissario politico nelle Brigate Garibaldi e che, per un certo periodo, militò nella formazione ultracomunista “Stella Rossa”, gruppo che contestava l’imborghesimento del PCI e nel quale incontrò un altro futuro sodale di Sogno, l’esperto provocatore Cavallo. Ciononostante Dotti e Cavallo si iscrivono successivamente al PCI e organizzano la redazione torinese dell’”Unità”. Cavallo verrà mandato come corrispondente negli USA dopodiché, sorti i sospetti per il suo passato, verrà espulso dal partito e andrà a lavorare al foglio democristiano “Il Popolo”. 

Invece il leader locale del PCI Celeste Carlo Negarville, convinto dalle capacità organizzative di Dotti gli affida la dirigenza dell’ufficio per la formazione dei quadri del partito a Trofarello (To). Nel 1949 viene inquisito dalla Questura torinese per l’assassinio dell’estremista destra Alberto Raviola, militante dei Fasci Armati Rivoluzionari, delitto che verrà attribuito alla Volante Rossa, una banda di ex partigiani comunisti a cui rifaranno le future BR ed è costretto ad espatriare in Cecoslovacchia una prima volta. Nel suo esilio Dotti incontrerà l’ex partigiano Moranino, condannato per aver ordinato alcune fucilazioni sommarie, e, grazie ai buoni uffici di Negarville, si occuperà di tenere i rapporti con i comunisti italiani esuli e di esaminare la loro posizione anche in costante contatto con la dirigenza del Partito Comunista Cecoslovacco. In particolare sovrintenderà alla compilazione delle relative schede e di interrogare personalmente i rifugiati selezionando i soggetti più adatti a seguire i corsi di “indottrinamento politico”. 

In questo periodo crea una propria rete di informatori in gran parte comunisti di Torino fra cui un certo Argo Maia, ex partigiano il cui nominativo comparirà in un elenco di agenti dell’STB, il servizio segreto cecoslovacco. Per due anni Dotti si dedica a questa attività che lo pone senza dubbio in una posizione che lo mette in grado di ricavare molte informazioni. Prosciolto in istruttoria dall’accusa di assassinio, Dotti torna in Italia nel 1951 e, da questo momento, nella sua biografia si manifestano incongruenze e misteri. Secondo Sogno, confortato anche dalla documentazione del SIFAR, Dotti sarebbe stato accusato di aver partecipato ad un altro omicidio, stavolta compiuto nel 1952. 

L’assassinio dell’ingegnere della FIAT Erio Codecà sarà ricordato come un delitto dai contorni oscuri e Dotti sarà coinvolto nelle indagini solo marginalmente. Tuttavia Sogno rivelerà a Cazzullo che, a causa di quell’inchiesta, verrà espatriato in Cecoslovacchia dall’ex partigiano e socialista Piero Rachetto, e poi dirigente dell’organizzazione di Sogno Pace e Libertà. Sempre secondo un appunto del SID grazie alla laurea in Letteratura Dotti avrebbe insegnato storia e letteratura italiana presso l’Università di Praga e, tuttavia, le notizie su questa sua seconda permanenza nella capitale cecoslovacca rimangono piuttosto vaghe. 

Soprattutto, perché, invece di utilizzare gli usuali canali interni al partito, Dotti si fa aiutare da un uomo vicino ad Edgardo Sogno ? Sicuramente tornò in Italia nel 1954 e, uscito dal partito, entrò nell’organizzazione di Sogno e si avvicinò ai socialisti e ai socialdemocratici. L’aristocratico diplomatico aveva appena interrotto i rapporti con l’efficiente Cavallo e decise di sostituirlo proprio con Roberto Dotti, giunto da buon ultimo. Ma perché affidare le sorti dell’organizzazione “atlantica” nelle mani di un uomo che era appena entrato nel gruppo ? Per quale motivo Sogno si fidava tanto di Dotti ? Oltretutto poteva anche sospettare un tentativo di infiltrazione dato che dal comunismo togliattiano, Dotti si era convertito al più acceso anticomunismo di marca atlantica. 
Sono molti i dubbi e le domande che circondano questo personaggio, dubbi che si possono perfino far risalire al Dopoguerra. Innanzitutto non sono molto chiare le modalità di allontanamento dal PCI: decise di non rinnovare l’iscrizione oppure, come sostenuto da Sogno, era “bruciato” all’interno del partito ? 
In quali condizioni espatriò per recarsi a Praga dal 1952 e perché non lo fece attraverso il partito ? 
A quando si possono far risalire i primi approcci con l’ambiente che ruotava attorno ad Edgardo Sogno ? 
Al 1954 quando, uscito dal PCI, si sarebbe convertito all’anticomunismo di Pace e Libertà ? 
A qualche tempo prima, quando utilizzo il canale offerto dall’ex partigiano socialista Rachetto per fuggire a Praga ? 
Oppure fin da principio, dai tempi di “Stella Rossa” ove conobbe Luigi Cavallo, Dotti faceva il doppio gioco ? 
Ipotesi, quest’ultima, che non è mica da escludere del tutto… Dotti è stato in grado di creare una rete informativa fra gli esuli comunisti italiani a Praga e gli ambienti del comunismo cecoslovacco. Poteva tale rete fare riferimento proprio all’onnipresente Cavallo ? E’ possibile che reti di tal genere siano state impiantate dal duo Dotti/Cavallo per infiltrarsi fra i comunisti italiani e quelli cecoslovacchi ? 
In effetti risulterebbe che Cavallo fosse riuscito a tessere una solida tela di rapporti da sfruttare per la sua opera di provocazione. Inoltre non si può escludere che negli anni Cinquanta, nonostante la rottura fra Sogno e Cavallo, Dotti abbia offerto la sua esperienza ad entrambi. 
Dopo lo scioglimento di Pace e Libertà avvenuto nel 1958, Sogno contattò Adriano Olivetti per aiutare l’amico Dotti e farlo assumere. Qualche anno dopo Dotti venne assunto alla Martini & Rossi e divenne direttore della Terrazza Martini, nel cuore di Milano in piazza Diaz. Secondo il senatore Flamigni in questi anni sarebbe stato arruolato nella rete STAY BEHIND e avrebbe frequentato l’USIS a Milano.

Messosi in aspettativa per riprendere le armi e riprendere la sua personale lotta al comunismo, Sogno riallaccerà i rapporti con i vecchi compagni ed amici e non trascurerà di pensare anche all’amico Dotti per costituire i Comitati di Resistenza Democratica. A lui l’importante compito di dotare il gruppo di un’agile struttura organizzativa. Siamo fra il 1969 e il 1970 e il paese sta per essere sconvolto da una lunga stagione di stragi, terrorismo e violenze politiche e pseudopolitiche. L’attivismo e l’intraprendenza di Dotti non cessano di stupire. Alla fine del 1969, alla vigilia della strage di piazza Fontana, si è costituito il Collettivo Politico Metropolitano, l’embrione di quello che sarà il Partito Armato in seno all’estrema sinistra. Partendo dal presupposto dell’imprescindibilità della lotta armata e della guerriglia urbana, si verifica una divisione fra il Clan e il cosiddetto Superclan, come descritto da un’informativa del SID del 1972. Al Superclan si rifanno coloro che vogliono conferire alla lotta armata un carattere antimperialista e antiamericano attraverso l’ideazione e la realizzazione di attentati contro gli obiettivi rappresentati dall’imperialismo americano e atlantico come le basi militari.
Una visione apparentemente sofisticata accostabile alla RAF tedesca. Tuttavia il gruppo assume delle tinte piuttosto ambigue e non facilmente decifrabili. Dietro la professione di “marxismo leninismo” vi si pratica il libero amore e vengono assunti quegli atteggiamenti tipici della cultura underground libertaria della contestazione giovanile. Vi si associano giovani provenienti dalle esperienze più diversificate: Vanni Mulinaris, Francoise Tuscher, nipote del celebre abbè Pierre, il marito di quest’ultima Innocente Salvoni che verrà coinvolto nelle indagini sulla strage di via Fani, Duccio Berio, genero del deputato  comunista Alberto Malagugini e figlio di un professionista sospettato di essere in rapporti con il MOSSAD israeliano e il militante della FGCI Prospero Gallinari, amico del fondatore delle BR Alberto Franceschini. 

Ci sono anche giovani che hanno militato nelle Gioventù Studentesca, il movimento giovanile cattolico di CL come Corrado Alunni e un certo Mario Moretti destinato a fare carriera nelle BR per diventarne il capo e guidarle nella loro azione più clamorosa: il sequestro e l’assassinio dell’onorevole Moro. Leader carismatico del gruppo è un personaggio ambiguo, tale Corrado Simioni, già militante nelle file autonomiste del PSI nelle quali avrebbe coltivato rapporti di amicizia con giovani rampanti e di sicuro successo come Bettino Craxi e l’architetto Silvano Larini. In tempi diversi i due avrebbero indicato il loro antico compagno come “vero capo delle BR”, dichiarazioni a non hanno fatto seguito approfondite indagini per appurarne la posizione. 

La biografia di Simioni come sottile intellettuale “di sinistra” non può non inquietare: espulso dal partito per motivi mai completamente chiariti di “indegnità morale”, va a lavorare all’USIS di Milano, il servizio informazioni statunitensi utilizzato anche per le operazioni di guerra psicologica e per la casa editrice Mondadori. Successivamente si sarebbe recato a Monaco di Baviera per studiare teologia, ma secondo altre fonti mai confermate e certificate documentalmente, sarebbe stato assunto dalla Radio Free Europe, l’emittente creata dalla CIA e dall’organizzazione Gehlen in funzione nei paesi dell’est europeo per lanciare operazioni propagandistiche indirizzate alle opposizioni in quei paesi. Sorprendentemente Simioni si converte poi al “maoismo”, ha contatti con i comunisti maoisti di Berna a loro volta in rapporto con la centrale terroristica e di provocazione Aginter Press messa in piedi da ex militanti dell’OAS francese e collegata ai gruppi dell’Internazionale Nera e alla solita organizzazione Gehlen. 

Gli uomini dell’Aginter Press compaiono spesso nelle operazioni di terrorismo e provocazioni che funestano l’Europa occidentale fra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta e che coinvolgono sigle di “estrema sinistra” e di “estrema destra”. Sul terreno della comune simpatia per il maoismo Simioni incontra Renato Curcio, passato di militante nell’organizzazione “nazimaoista” di Jean Thiriart, Jeune Europe e fondatore delle BR. Secondo Flamigni negli anni Sessanta Dotti conosce Simioni per la comune frequentazione dell’USIS anche se non si capisce da quale fonte abbia ricavato questa informazione. Se corrispondesse al vero, si presenterebbe una traccia che dalla rete atlantica – filoamericana e filo inglese – conduce al gruppo di “estrema sinistra” dei Superclandestini. Non è però l’unica…
Fra i Superclandestini milita anche una certa Sabina Longhi, collaboratrice dell’ex segretario della NATO, Manlio Brosio e munita del NOS, il nulla osta sicurezza della NATO. Liberale, massone, più volte ministro e Ambasciatore a Washington, Mosca, Londra e Parigi, Brosio è molto amico di Sogno dal quale viene contattato per la costituzione dei Comitati di Resistenza Democratica e la definizione del progetto di “golpe bianco”. Nella lista dei ministri del governo golpista di cui Pacciardi sarebbe stato Presidente, Brosio avrebbe ricoperto la carica di Ministro degli Esteri. Un filo piuttosto solido sembra unire la rete di Sogno e Dotti al Superclan di Simioni che, val la pena ricordarlo, si rifugerà a Parigi fra il 1974 e il 1975 per creare l’Agorà e poi Hyperion, impegnata a fornire ogni genere di supporto ai gruppi dell’”euroterrorismo” e mediorientali (i gruppi palestinesi, IRA, ETA, RAF, BR, ecc…).
Nel 1970 è proprio Simioni a presentare Dotti alla compagna di Curcio, Mara Cagol, allora membro del Superclan. Alla donna veniva chiesto di far compilare una scheda informativa ai militanti dei gruppi del Partito Armato. L’amico e collaboratore di Sogno riesce a carpire la fiducia dei compagni proprio per il suo passato di ex partigiano e presunto uomo della Volante Rossa e di esule in Cecoslovacchia. A ciò si aggiungano altri dati singolari e coincidenze: dalla primavera del 1970 il “superclandestino” e futuro capo delle BR Mario Moretti abitava con moglie e figlio in via delle Ande 15 a Milano. A pochi passi, in via delle Ande 5 risiedeva Roberto Dotti. I suoceri di Moretti risiedevano, invece, in via Gallarate 131, al cui indirizzo avevano sede, tra l’altro, diverse iniziative di Luigi Cavallo (Agenzia A, la rivista Difesa Nazionale, ecc…) a sua volta, come abbiamo visto, in contatto con Sogno e Dotti. Se due coincidenze fanno una prova… 
L’infaticabile organizzatore ed animatore dei Comitati di Resistenza Democratica muore l’11 ottobre del 1971 lasciando un vuoto incolmabile fra gli amici del gruppo di Sogno e negli ambienti anticomunisti. Per quel che riguarda i contatti con le BR e l’estrema sinistra “guerrigliera”, pare che Cavallo ne abbia ereditato l’attività. E’ il periodo in cui viene investito dalle disavventure giudiziarie per l’inchiesta del magistrato torinese Violante sul tentativo golpista di Edgardo Sogno.
Su un personaggio della caratura di Luigi Cavallo ci sarebbero molte pagine da scrivere, ma noi ci limitiamo a fornire qualche elemento in merito all’argomento. I rapporti fra il provocatore anticomunista e le BR non verranno mai provati, ma alcuni indizi di una certa rilevanza (il possesso di missive che sono state trafugate dai brigatisti, lo stile di alcuni comunicati, ecc…) convinsero gli inquirenti ad approfondire il caso. Nel febbraio del 1977 i giudici milanesi Alessandrini e Lombardi aprirono un’istruttoria sul rapporto Cavallo/BR. Nel gennaio del 1979 un commando di Prima Linea assassinò Emilio Alessandrini che, nel corso della sua vita, aveva condotto inchieste veramente scottanti e pericolose. 
Oltre all’istruttoria citata, si era occupata della strage di piazza Fontana seguendo la “pista nera”, dell’Autonomia di Toni Negri e stava per aprire un fascicolo sul Banco Ambrosiano del piduista Roberto Calvi. Rimane il dubbio che nella decisione di uccidere il magistrato da parte del gruppo terroristico di estrema sinistra possano avere concorso delle cointeressenze. Sicuramente nessun inquirente si periterà di riprendere le indagini su Cavallo, gli ipotizzati rapporti con le BR e l’estrema sinistra e le sue reti informative insediate anche nell’Europa dell’Est.

E’ realmente esistita una solida rete informativa in Cecoslovacchia gestita da Sogno, Cavallo e Dotti a favore dei servizi americani, inglesi ed atlantici ? E può essere servita anche per condurre operazioni terroristiche e di provocazione ?

Prima di chiudere il capitolo val la pena menzionare un altro episodio…

Il 1990 passa alla storia della Repubblica italiana come un anno caldo, anzi caldissimo. E’ l’anno di GLADIO, soprattutto, poiché il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti rivelò l’esistenza della sezione italiana della STAY BEHIND in Parlamento ed è anche l’anno in cui si palesa la crisi della Prima Repubblica che condurrà alla stagione giudiziaria di Mani Pulite che sconvolgerà il sistema dei partiti di massa. Nel giugno di quell’anno la RAI 1 trasmise un’inchiesta in due puntate in cui si metteva in rilievo il rapporto tra la CIA e la loggia P2. In particolare fece scalpore l’intervista a un sedicente contractor, agente a contratto, della CIA e del MOSSAD, tale Richard Brenneke, che, fra l’altro, accusò i vertici della loggia di aver organizzato l’assassinio del Primo Ministro svedese, il socialdemocratico Olof Palme. Secondo l’uomo della CIA esisteva un legame operativo fra la CIA, la loggia P2, la mafia siciliana e quella italoamericana soprattutto per quel che riguardava una vasta rete di traffici di armi e di droga che, a partire dal 1969, avevano creato le condizioni per l’esplosione del terrorismo in Europa. 

L’agenzia avrebbe foraggiato gruppi terroristici di opposta matrice, dall’estrema destra all’estrema sinistra. Tali dichiarazioni, peraltro, potevano ben incastrarsi con il fatto che proprio a partire dalla fine degli anni Sessanta, Licio Gelli avesse preso nelle sue mani il processo di unificazione massonica fra la comunione di palazzo Giustiniani e quella di piazza del Gesù. Si è parlato anche dell’iniziazione in “massa” di centinaia di ufficiali delle forze armate italiane da parte di Gelli per creare una riserva per il progetto di un eventuale colpo di stato, come auspicato da pezzi grossi dell’amministrazione Nixon come Kissinger ed Haig. 

La situazione divenne incandescente perché Brenneke accusò l’allora Presidente USA George Bush senior di conoscere bene Gelli mettendo in crisi i rapporti dell’Italia con il potente alleato americano. Alla metà degli anni Ottanta, peraltro, Bush senior era stato direttore della CIA ereditandone la carica da William Colby. Infuriato, il Presidente della Repubblica e “gladiatore” Cossiga chiese ed ottenne “la testa” del direttore della testata RAI Nuccio Fava e del responsabile del programma Ennio Remondino. 
Peraltro, come sempre in questi casi, le dichiarazioni di personaggi come Brenneke sono da prendere con estrema cautela. In base all’archivio Cogliandro, dal nome dell’ufficiale in pensione del SISMI, che ricorrerà nella nostra narrazione, Brenneke faceva parte di un gruppo di ex agenti della CIA che, scaricati dall’Agenzia, avevano deciso di vendicarsi. Tuttavia ciò non consente di escludere che quel che è riferito sia una gigantesca montatura. 

Anzi, un Tribunale americano in Oregon ha riconosciuto la validità delle affermazioni di Brenneke, mettendo in imbarazzo l’amministrazione. In quel momento, poi, la Guerra Fredda era finita da un pezzo e solo qualche mese prima era collassato l’impero sovietico. La situazione era degenerata soprattutto a causa delle tensioni e dei conflitti fra le forze politiche del nostro paese.
Tornando a Brenneke, nelle sue varie interviste menziona anche la Cecoslovacchia proprio in merito ai traffici di armi. Sotto copertura, uomini della CIA avrebbero acquistato armi dall’Europa dell’Est e soprattutto dalla Cecoslovacchia. Verso il 1980, i servizi cecoslovacchi si accorsero di questo traffico, ma nessuno intervenne. Per Brenneke, i massimi vertici dei servizi segreti della NATO e del Patto di Varsavia si accordarono, probabilmente per controllare i traffici di armi e, quindi, le formazioni terroristiche operanti sul continente. Naturalmente non si può dimenticare che la compravendita “clandestina” si armi rappresenta un affare lucroso. Anche queste affermazioni del contractor CIA sono indirettamente confermate da altre fonti: l’allora direttore del SISMI, ammiraglio Fulvio Martini, uomo molto vicino al leader del PSI Craxi, ammetterà che nei depositi NASCO nella disponibilità della struttura STAY BEHIND c’erano anche armi di fabbricazione sovietica e cecoslovacca e lo scrittore e giornalista James K. Cooley, nel suo classico “Una guerra empia” sulle origini afgane del terrorismo islamista, citerà un’operazione della CIA per rifornire i mujaheddin afgani antisovietici con armi dell’Europa dell’Est.

E’ improbabile che tali traffici attraverso il canale cecoslovacco non passassero attraverso una sponda all’interno di questo paese, magari anche attraverso le sedi diplomatiche. Ancora una volta si ripresenta la questione delle talpe…

Appunto…

1.2  Il mistero del maestro di musica Igor Markevitch e dei Caetani
L’identificazione del “Grande Vecchio” delle BR o dell’intermediario nelle trattative per la liberazione di Moro o per il recupero del memoriale e delle lettere non può non suscitare motivo di perplessità e far pensare a tentativi di depistaggio e di disinformazione sui retroscena dell’affaire Moro da parte di chi è interessato a deviare il corso della verità. Il raffinato ed aristocratico maestro di origini ucraine è stato un intellettuale ed artista di idee aperte e cosmopolite, naturalmente molto apprezzato nei salotti e negli ambienti altolocati. E’ difficile affibbiare un’etichetta a una personalità di questo tipo anche se, sicuramente, ha simpatizzato con il comunismo e l’antifascismo anche militante e ha abbracciato il sionismo per la naturale repulsione nei confronti dell’antisemitismo non sono di marca nazista. Non certo assimilabile al consuocero Jordan Vesselinoff, influente uomo d’affari dal passato segnato dal collaborazionismo nazista, Markevitch supportò la Resistenza comunista offrendo ospitalità ai partigiani nella villa nei pressi di Firenze che gli era stata offerta dal critico d’arte americano Berenson. 

Dunque Markevitch poteva riscuotere la fiducia dei brigatisti per aver aderito alla Resistenza antinazista dei partigiani comunisti e una personalità ben introdotta e inserita negli ambienti aristocratici, intellettuali e altolocati poteva offrire un supporto di notevole spessore. Francamente ritenere che Markevitch fosse il capo delle BR sembra un’esagerazione, ma non si può escludere a priori un ruolo anche nel periodo del sequestro. Tutto sommato come “anfitrione” non sembra una figura così incredibile. Certo, si trattava di agire nell’ombra e con discrezione per un personaggio della sua caratura e del suo prestigio. Anche in questo caso, tuttavia, le cose si complicano e vediamo perché…

Nel dicembre del 1978 il numero del mese della rivista patinata di erotismo “Penthouse” dell’italoamericano Bob Guccione ospita un articolo dello scrittore Pietro Di Donato che presenta qualche inedito elemento sul caso Moro. Lo scritto esce quasi in coincidenza con la conclusione dell’indagine del nucleo investigativo del SISMI diretto da Cogliandro con la consegna di un rapporto ai superiori. Chiaramente Di Donato presenta elementi che consentono di identificare in Igor Markevitch il misterioso capo brigatista che avrebbe interrogato Moro. In certo qual modo lo scritto di Di Donato verrà ripreso un anno e mezzo dopo dalla rivista dell’area dell’Autonomia “Metropoli” (aprile 1980) in un criptico ed allusivo editoriale piano di messaggi che devono essere evidentemente colti da qualcuno. Chi scrive è la “maga Ester”, pseudonimo dell’estensore del pezzo, che, dietro il mascheramento da cartomante, maga e astrologa, “prevede” un esito negativo per il processo padovano all’Autonomia (il cosiddetto processo 7 aprile) e cita un grande inquisitore, un uomo di origine russa che avrebbe interrogato Aldo Moro. 

Ancora una volta viene evocata la figura del musicista ucraino imparentato con i Caetani. Peraltro la messinscena di carattere magico ed esoterico richiama in parte la famosa seduta spiritica del 2 aprile a cui, tra l’altro, parteciparono anche Romano Prodi e Beniamino Andreatta e nella quale venne fuori il nome “Gradoli”, l’omonima via in cui venne “scoperto” il famoso covo brigatista. Si trattava di tentativi di depistaggio delle indagini ? Veramente poco probabile, perché in tal caso gi autori degli articoli citati avrebbero indicato esplicitamente il nome di Igor Markevitch senza ricorrere a criptici messaggi e a finzioni letterarie. 

Chi ha suggerito la redazione di quegli scritti conosceva bene alcuni retroscena importanti sulla prigionia di Aldo Moro, segreti non confessabili, e intendeva servirsene per ricordarlo a coloro che vi erano coinvolti. Sicuramente l’area dell’Autonomia raggruppata intorno alla rivista “Metropoli” era al corrente di molti di questi segreti per il semplice fatto che era coinvolta direttamente nell’affaire Moro. Più volte il comitato di redazione del foglio (Piperno, Pace, Giuliana Conforto, Libero Maesano, ecc…) inserirà nella rivista allusioni a Moro e ad alcuni misteri dell’affaire. 
Ciò non sorprende affatto perché durante i 55 giorni della prigionia di Moro i maggiori componenti del gruppo, Franco Piperno e Lanfranco Pace, si offriranno come mediatori fra gli esponenti del PSI Bettino Craxi e Claudio Signorile e la frazione brigatista di Valerio Morucci e Adriana Faranda per trattare la liberazione dello statista. Gli alti esponenti del PSI intendevano incunearsi sulla linea di intesa fra DC e PCI per indebolirla e rilanciare l’azione e il protagonismo del partito, magari confidando in un “via libera” da parte di settori dell’amministrazione americana o di altri circoli d’oltreoceano. Questa iniziativa poteva funzionare grazie alla vicinanza fra leader del PSI e militanti dell’area dell’Autonomia. E’risaputo che “Metropoli” condivideva la sede in piazza Cesarini Sforza con il CERPET, un centro di studi e di ricerca sociologici ed economici, costituito per iniziativa dei socialisti Mancini e Landolfi. 

Fra “Metropoli” e il CERPET c’è un evidente sovrapposizione dei gruppi riconducibili all’Autonomia romana e calabrese. Peraltro alcuni fra gli aderenti erano vicini anche al PSI. Storicamente è documentato come Mancini, leader autonomista del PSI di primo piano, fosse interessato ai voti e al consenso di quell’area giovanile che faceva riferimento alla Nuova Sinistra. Inoltre egli riteneva che un’area estremista e armata “a sinistra” del PCI, mettesse in difficoltà quest’ultimo, costringendolo ad assumere una linea repressiva a vantaggio del PSI. Secondo il giornalista Pecorelli, il leader socialista finanziava il movimento Lotta Continua capeggiato da Adriano Sofri. 

Inoltre aveva stretto un rapporto di amicizia con il professore di Fisica Franco Piperno e, successivamente, arriverà anche a prendere come proprie “guardie del corpo” alcuni brigatisti vicini all’ambiguo professor Giovanni Senzani. Secondo un’informative del SISMI, nel 1979 il segretario del PSI Craxi era preoccupato per le compromissioni di membri del partito come Mancini e Landolfi nel terrorismo brigatista. Sia Bettino Craxi che Giacomo Mancini compariranno nel Piano di Rinascita Democratica della loggia P2 di Gelli, indicati come elementi del PSI da selezionare per “rivitalizzare il partito”. Sicuramente, in tutta la vicenda relativa al sequestro e all’assassinio dell’onorevole Moro, in qualche modo l’Autonomia, specie la frazione capeggiata di Piperno e Pace, compare con una certa frequenza. Morucci e la sua compagna, la Faranda, i brigatisti che “volevano salvare la vita di Moro”, avevano un passato di militanti in Potere Operaio e nel suo servizio d’ordine.

Come è noto, nel 1975 Potere Operaio si sciolse e diede vita all’apparentemente frastagliato cosmo dell’Autonomia i cui leader, tuttavia, sono sempre gli stessi (Negri, Piperno, Scalzone, Pace). V’è da chiedersi se i due brigatisti avessero reciso definitivamente i legami con Potere Operaio e con l’Autonomia, oppure se, assai più credibilmente, ne rappresentassero le istanze all’interno delle BR. Di sicuro nel 1974, Morucci venne arrestato con Maesano – futuro membro del comitato di redazione di “Metropoli” – al confine con la Svizzera per il possesso illegale di armi. Entrambi erano militanti di Potere Operaio, organizzazione dell’ultrasinistra che prendeva particolarmente di mira la deriva socialdemocratica della dirigenza del PCI.

Il collegamento PSI – “Metropoli” – BR costituisce un nodo ancora non totalmente esplorato del più inquietante mistero italiano, ma in quale modo può entrarci il maestro Markevitch ?   

Il 7 aprile del 1979 il giudice di Padova Pietro Calogero spiccò i mandati di cattura nei confronti dei leader dell’area dell’Autonomia accusati di associazione di “banda armata”. Inizia il cosiddetto processo del “7 aprile” o dell’Autonomia contro il quale viene avviata una campagna stampa da parte di intellettuali e personaggi di sinistra che contestano al magistrato di voler costruire un teorema giudiziario a beneficio soprattutto del PCI, la “sinistra ufficiale”. Quel che non viene accettata è la tesi di Calogero secondo il quale le BR non sono altro che il braccio armato dell’Autonomia Operaia. Non va dimenticato, tuttavia, che Calogero è già noto alle cronache per avere, tra i primi, condotto un’inchiesta assieme al giudice di Treviso Stiz nei confronti degli ambienti ordinovisti veneti per una campagna di attentati dinamitardi. Quell’inchiesta porrà le premesse per la pista “nera” della strage di piazza Fontana. 
Durante l’inchiesta sull’Autonomia di Toni Negri l’attenzione del magistrato della Procura di Padova si appuntò proprio sui personaggi legati alla scuola di lingue parigina Hyperion. Un’operazione congiunta fra polizia italiana e quella francese avrebbe dovuto permettere la perquisizione dei locali della scuola. Un articolo del “Corriere della Sera” del 24 aprile 1979 rivelò l’attenzione degli inquirenti sul presunto quartier generale parigino delle BR. 

In quel periodo il quotidiano più letto d’Italia era diretto dal piduista Franco Di Bella ed apparteneva al piduista Angelo Rizzoli jr grazie al sostegno finanziario del presidente piduista del Banco Ambrosiano Roberto Calvi. Direttore finanziario del gruppo Rizzoli era il piduista Bruno Tassan Din. La notizia era stata passata al giornalista Paolo Graldi dal numero due del SISDE diretto dal piduista Paolo Grassini, Silvano Russomanno il quale era anche noto per essere stato in passato uno stretto collaboratore del dominus dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale, quel Federico Umberto D’Amato, molto vicino alla CIA grazie ai buoni uffici dell’amici James Jesus Angleton  e già inserito nell’Ufficio di Sicurezza del Patto Atlantico, un organismo importante a livello strategico perché valutava il rilascio dei NOS. 

Russomanno è un recidivo: l’anno dopo rivelerà al giornalista del “Messaggero” Fabio Isman che il “pentito” brigatista Patrizio Peci stava collaborando con i carabinieri del generale Dalla Chiesa. Non v’è dubbio che l’alto dirigente dei servizi segreti civili si fosse assunto l’onere di mandare a monte le indagini sul misterioso istituto. Ma la scuola non è presente solo a Parigi, durante il sequestro Moro ha filiali a Milano e a Parigi. Con il nome di Agorà è presente a Bruxelles, nel cuore della NATO. Nel periodo in cui sfumò l’occasione per raccogliere elementi sull’Hyperion di Parigi, il giudice Calogero autorizzò il commissario De Sena e il commissario Andreassi in missione a Londra ove era insediata un’altra scuola di lingue nella quale, peraltro, insegnava Corrado Simioni. 

I due funzionari presero contatto con lo Special Branch di Scotland Yard, ma quando tornarono all’albergo in cui erano alloggiati, percepirono che qualcuno era entrato nella camera. I due furono costretti a tornare a Roma, avendo compreso che la loro presenza nella capitale inglese non era indesiderata. Non può essere non rilevato come i tentativi di ostruire e sabotare le indagini fossero da ricondurre a organismi di sicurezza e dei servizi segreti abbastanza identificabili. Si aveva interesse a coprire e proteggere la congrega raccolta intorno all’Hyperion ? E come mai, oltre agli ambienti di estrema sinistra, anche fra i servizi segreti della NATO serpeggiava il timore che venisse scoperchiata quella pentola ? 

In concomitanza con il processo a carico dell’Autonomia, il gruppo di Piperno e Pace comincia a pubblicare e a far uscire “Metropoli” inviando oscuri messaggi collegati al caso Moro e che potevano essere recepiti solo da chi vi era coinvolto a vario titolo. Sullo stile del giornalista piduista Mino Pecorelli. Fra l’altro “Metropoli” cita “Blasco” come il capo brigatista che ordinò l’esecuzione di Moro. “Blasco” è il nome di battaglia di Giovanni Senzani, l’enigmatico e ambiguo sospettato di lavorare per i servizi segreti americani e francesi, sul quale dovremo tornare.
Il gruppo della rivista “Metropoli” sembra molto ben informato sull’affaire Moro e ciò può essere dovuto solo ad un coinvolgimento o al collegamento, magari indiretto, con i servizi segreti…    

30 maggio 1979: la polizia mette a segno un successo clamoroso nelle lotta al terrorismo “rosso” arrestando gli ex brigatisti Valerio Morucci ed Adriana Faranda nell’appartamento di viale Giulio Cesare a Roma, messo a disposizione da Giuliana Conforto che sappiamo far parre del comitato di redazione di “Metropoli”. I due si sarebbero allontanati dalle BR per dissidi originati probabilmente dalla gestione del sequestro dell’onorevole Moro per dar vita a un gruppuscolo armato vicino all’area dell’Autonomia. A conferma di un rapporto piuttosto stretto con il gruppo di “Metropoli”, la Conforto ammetterà di aver ospitato i due su richiesta di Franco Piperno. 

Nell’abitazione viene anche trovato materiale di estremo interesse relativo alla lotta armata tanto da poter asserire che il “covo” di viale Giulio Cesare costituisce una miniera informativa preziosissima. Soprattutto viene rinvenuta la mitraglietta Skorpion utilizzata per uccidere Aldo Moro. Se Morucci e la Faranda sono usciti dalle BR come possono essere riusciti a portarsi via tutto questo materiale ? Si può veramente escludere che sia stata la stessa dirigenza brigatista a consegnare ed affidare ai due e ai “compagni” di “Metropoli” tutta la scottante documentazione e l’arma che è servita ad assassinare lo statista ? Peraltro le circostanze che hanno permesso la cattura dei due terroristi non rimaste sempre misteriose. Come si arrivò all’appartamento della Conforto ? Contribuì la solita soffiata ? E a che scopo ? Le stranezze e le curiosità che ruotano attorno a viale Giulio Cesare non finiscono qui…
Oltre ad aver ospitato Morucci e la Faranda, Giuliana Conforto è molto amica di Luciana Bozzi, la donna che affittò al capo brigatista Mario Moretti il covo – appartamento di via Gradoli 96, quello circondato da appartamenti gestiti da società immobiliari del Viminale. Il palazzo era abitato da numerosi collaboratori e confidenti delle forze dell’ordine. La Bozzi simpatizza per le posizioni “secchiane” dei comunisti più radicali, ma il marito, l’ingegner Giancarlo Ferrero, sarà destinato ad una brillante carriera come manager informatico e delle comunicazioni. Avrebbe ricoperto la carica di consigliere di importanti imprese strategiche quali la Omnitel Sistemi Radiocellulari Italiani SPA, la Infostrada SPA e, soprattutto, della multinazionale Bell Atlantic International Italia SRL. 

Molte delle cariche ricoperte hanno richiesto il NOS, il documento che concede l’accesso ai segreti NATO ad alto livello. Secondo una fonte giornalistica, inoltre, avrebbe partecipato al progetto “Horizon” e trattato pannelli elettrici della Otomelara per centrali di tiro in uso anche alle corvette missilistiche. Come può essere accaduto chi ospitò il capo delle BR, potette fare questa carriera anche accedendo a delicati sistemi strategici e militari della NATO ? Ma l’appartamento della Conforto e chi vi soggiornò celano altri segreti altrettanto stupefacenti…
L’astrofisica Giuliana Conforto non è solo una militante di un certo livello dell’Autonomia Operaia – nell’area più contigua al brigatismo – ma vanta una parentela eccellente. Suo padre, Giorgio Conforto, iscritto al PSI, risulta dal rapporto Impedian n. 142 dell’archivio Mitrokhin come abilissima spia del KGB sovietico da lunga data. Fatto che metterebbe a posto molti tasselli in quanto si potrebbe inferire che la Conforto offrii un rifugio ai due brigatisti per soddisfare una richiesta del padre “girata” dai sovietici. Anche in questo caso, tuttavia, le cose si complicano non poco, perché dopo essere andato in pensione l’ineffabile ex capo dell’Ufficio Affari Riservati D’Amato farà qualche ammissione in merito alla sua attività di uomo vicino alla CIA e amico di Angleton, l’uomo che reclutò il principe Borghese in funzione anticomunista. Durante un’intervista rilasciata al giornale di destra “Il Borghese” D’Amato ammise di aver raccolto fin dal 1946 un voluminoso dossier su Giorgio Conforto e di averlo trasmesso all’amico americano e al Ministero degli Interni. E’ chiaro che a quel punto l’attività spionistica dell’uomo del KGB era stata scoperta e che può aver continuato a sopravvivere senza essere “bruciato” facendo un accorto doppio gioco. 

L’intervista dell’”Hoover italiano” farebbe pensare a un arruolamento dello stesso nell’Ufficio Affari Riservati. E’ certo, invece, che i Conforto affidarono la propria difesa legale a un certo avvocato Alfonso Cascone, apparentemente trockista convinto, che difese anche Enrico Triaca, il titolare della tipografia di Pio Foà a Roma, ove venivano stampati i comunicati brigatisti durante il periodo della prigionia di Moro. Nei locali della tipografia fu trovata una stampatrice modello Ab- Dik 260T, già in dotazione agli uffici del RUS, il Reparto Unità Speciali del SISMI che si occupa delle forze armate non convenzionali fra cui la più celebre GLADIO. E’ così facile che una stampatrice utilizzata dall’ufficio dei servizi segreti che gestisce le forze paramilitari e d’elite possa finire in una tipografia brigatista ? Ed è veramente un caso che lo stesso avvocato perori la causa sia di una spia del KGB in odore di doppio gioco, della figlia che flirta con il brigatismo e le sue ambiguità e del titolare di una tipografia che, oltre a stampare il materiale brigatista, utilizzava una stampatrice proveniente dal settore dei servizi segreti che amministrava la struttura paramilitare della sezione italiana STAY BEHIND ? 

Non si può non rispondere negativamente, perché è documentalmente provato e accertato che l’avvocato Cascone aveva fatto parte di una piccola rete informativa dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale composta da sole quattro persone e diretta da Lino Ronga, già iscritto al PCI e poi socialdemocratico dopo i fatti di Ungheria del 1956. L’efficienza di quest’ultimo è dimostrata dal fatto che nel 1962 il SIFAR avrebbe voluto impiegarlo nella STAY BEHIND. La rete informativa di Ronga venne coniata dagli addetti ai lavori con l’etichetta di “extraparlamentari del Viminale”, poiché erano tutti trockisti o provenivano da esperienze politiche di estrema sinistra. Per quel che riguarda Cascone, nel lontano 1967 ospitò in una villa diversi esponenti dei gruppi di estrema sinistra – trockisti, maoisti, filocastristi – per discutere sul progetto di costituzione di un’area alla sinistra del PCI e rivolta contro il parlamentarismo di quest’ultimo. 

Il progetto era stato promosso dall’editore Giangiacomo Feltrinelli la sui attività sovversiva era, quindi, sotto osservazione da parte dell’Ufficio Affari Riservati ben prima della concretizzazione di qualsiasi discorso sulla lotta armata e sulla guerriglia. Appare, poi, altrettanto sconcertante che i “rossi” Morucci e Faranda si affidino a un curioso perito ed esperto di armi come il “nero” Marco Morin per dimostrare che la mitraglietta Skorpion non era servita per assassinare Moro. Morin non è un perito balistico qualunque: era un militante dell’organizzazione neonazista Ordine Nuovo e nel 1967 era stato arrestato per detenzione di materiale esplodente. Con gli anni il suo nome salirà alla ribalta delle cronache quando, come perito di Tribunale, partecipò ai tentativi di depistaggio della strage dei carabinieri a Peteano compiuta da camerati di Ordine Nuovo. Inoltre venne “attenzionato” dai servizi segreti per un eventuale reclutamento nella GLADIO, ma la valutazione diede esito negativo. 

Com’è possibile che due sovversivi di estrema sinistra mettano la loro sorte nelle mani di un estremista di destra in odore di atlantismo ? 
Allargando lo sguardo possiamo solo supporre che i servizi segreti o loro settori, per limitare i danni che l’operazione di polizia poteva provocare, avevano allestito una sorta di cordone sanitario nei confronti degli arrestati. D’altronde quale percorso aveva fatto la Skorpion per finire nell’appartamento della Conforto ? Veniva da qualche segretissimo deposito militare ? 
Aveva seguito i canali riservati dei traffici d’armi ? 
L’appartamento di viale Giulio Cesare riserva qualche altra sorpresa. Fra gli appunti trovati uno indica il recapito telefonico della Università Pro Deo diretta dal padre domenicano belga Felix Morlion e un altro riporta l’indirizzo di una delle residenze di monsignor Paul Marcinkus.
Felix Morlion è conosciuto come agente della CIA e cooperò con gli americani in senso antifascista durante il conflitto per poi prestare la sua opera nella lotta al comunismo internazionale. Probabilmente Giulio Andreotti gli deve molto perché prima di diventare stretto collaboratore del Presidente del Consiglio De Gasperi, il discusso leader democristiano era il giovane segretario del religioso belga. Nel corso degli anni Ottanta Morlion venne accostato alle attività dell’ambigua suola di lingue Hyperion…
Sicuramente più noto al grande pubblico è il nome di Paul Marcinkus, presidente dello IOR, la banca vaticana e uomo di fiducia di Papa Paolo VI e Papa Giovanni Paolo II. Socio occulto nelle disinvolte scorrerie finanziarie dei banchieri piduisti Sindona e Calvi, era molto probabilmente egli stesso affiliato alla massoneria o alla stessa P2, come Pecorelli sospettava… Coinvolto nello scandalo del crac del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi – che venne “suicidato” sotto il Blackfriars Bridge di Londra -, Marcinkus venne coperto dal Vaticano e non venne mai processato, ma è ormai assodato che lo IOR era profondamente implicato nella complessa rete finanziaria e criminale messa in piedi dai piduisti e dai loro soci. 

Nel citato articolo di Pietro Di Donato su “Penthouse” si citava un garage sulla via Balduina, locale che aveva attratto gli inquirenti come possibile luogo in cui nascondere le vetture usate per il sequestro dell’onorevole Moro. Sulla via Balduina, sopra al garage, numerosi stabili appartenevano allo IOR diretto a quell’epoca da monsignor Marcinkus.
Non deve stupire il proscioglimento di Giuliana Conforto e di suo padre, così come non sorprende che non si sia tentato di scavare più a fondo sulla complessa vicenda di “Metropoli” relativamente ai retroscena del caso Moro. Aprire una porta significava mettersi automaticamente nella posizione di aprirne molte altre…
Dopo la sua morte, nell’appartamento di Pecorelli venne trovato un appunto in cui si indicava il prof. Piperno dell’Università di Cosenza come il capo delle BR che aveva scritto i primi proclami delle BR e come probabile contatto fra BR e mafia da un alto e fra CIA/KGB e BR dall’altro. Il giornalista era sicuramente al corrente di numerosi segreti relativi all’affaire Moro e probabilmente venne assassinato – sempre in quel 1979 ! - per impedirne la pubblicazione. Amico e collaboratore del giornalista molto addentro al mondo dei servizi segreti, era un certo Paolo Patrizi, un ex militante di quel Potere Operaio da cui sorse la “fluida” area dell’Autonomia. Quale affinità ci poteva essere fra un acceso anticomunista di destra come Pecorelli e il sinistrorso Patrizi ? Poteva essere un buon canale per reperire notizie riservate e girarle ai “cattivi maestri” dell’Autonomia ?
Qualche tempo dopo l’omicidio, il falsario Toni Chichiarelli fece ritrovare su un taxi un borsello contenente schede e oggetti che rimandavano sia alla morte di Pecorelli che a quella di Moro, tracciando un collegamento fra i due casi. Ancora messaggi in una storia che pullula messaggi… In rapporti con uomini della banda della Magliana, dei servizi segreti civili, dell’Arma dei carabinieri, della destra neofascista, dell’Autonomia e forse anche delle BR, Chichiarelli fu l’autore materiale del famoso falso comunicato numero 7 del Lago della Duchessa, un’operazione di inquinamento e di intossicazione suggerita dall’esperto del Dipartimento di Stato americano Steve Pieczenick chiamato dal Ministro degli Interni Cossiga. Vicende su cui andrebbero aperti ulteriori capitoli…
Comunque, davanti alla Commissione Parlamentare d’inchiesta, il professor Piperno ammise di essere a conoscenza di molti retroscena sconosciuti sul caso Moro. Durante il sequestro, assieme al capo delle BR Moretti si sarebbe recato nell’abitazione di un misterioso personaggio alto borghese…

In un contesto come questo maturano messaggi ed allusioni su Markevitch e sulla famiglia aristocratica dei Caetani…

Un personaggio sicuramente non secondario, testimone di alcuni misteriosi retroscena rimasti tuttora insoluti, è il colonnello Demetrio Cogliandro, all’epoca comandante del Raggruppamento dei Centri di controspionaggio della 1° Divisione del SISMI. Il suo nome emergerà soprattutto in relazione all’archivio che gestì per conto del direttore del SISMI ammiraglio Fulvio Martini e di Bettino Craxi quando era in pensione, dal 1989 al 1992. Nel periodo della detenzione di Moro, il colonnello ordinò un’indagine ad alcuni suoi sottoposti, un’attività informativa su Igor Markevitch e i Caetani che portò a sviluppi di rilievo, suscettibili di essere esplorati. In sedute davanti alla Commissione Moro, nel 1980, il direttore del SISMI, generale Giuseppe Santovito, mentì asserendo che l’indagine risaliva ad un periodo successivo al sequestro e, precisamente, all’autunno del 1978, e che non erano state trovate conferme circa le segnalazioni ricevute. 

L’impressione immediata sulla condotta del direttore del SISMI è che non c’è stata volontà di intervenire perché si stavano toccando dei fili che non dovevano essere neanche sfiorati. La magistratura non fu informata su questa attività di intelligence che, come vedremo aveva acquisito elementi che avrebbero potuto essere di estrema utilità per la salvezza dello statista democristiano. D’altronde il generale Santovito, il cui nome era già emerso relativamente ai fatti che concernevano i piani golpisti del piano SOLO del generale De Lorenzo e del colpo di mano del solito Sogno, era iscritto alla loggia P2 e faceva parte di uno dei comitati istituiti nel Ministero degli Interni e colmi di affiliati alla loggia gelliana. 

Durante i 55 giorni dell’agonia di Moro, il Ministero degli Interni pullulava di esperti, tecnici ed alti ufficiali piduisti, filoamericani, filoinglesi, filo atlantici e anticomunisti. Lo stesso Pieczenick, l’esperto americano con un curriculum di tutto rispetto avendo collaborato con le amministrazioni Nixon, Ford, Carter, Reagan e Bush Jr., ammetterà che quegli adepti della P2 insediati nei Comitati non volevano salvare Moro. Come sappiamo, la missione dello stesso Pieczenick era quella di assicurare “stabilità” all’Italia a spese della vita di Moro, con soddisfazione proprio dei piduisti. Poco e nulla si sa dei dettagli di indagini che, in maniera inquietante, furono praticamente interrotte. La relativa documentazione rinvenuta in proposito è molto scarna tanto da dare adito a dubbi e sospetti di occultamento.
Per comodità citiamo invece la nota, datata 24 ottobre 1978, che sintetizzò gli esiti degli accertamenti svolti dagli uomini del SISMI  

“Fonte molto attendibile riferisce:

  1. Un senatore del PCI (non identificato) sarebbe a conoscenza dell’identità del capo delle Brigate rosse. Questi si chiamerebbe Igor e sarebbe figlio o nipote di Margherita Caetani, già direttrice della rivista “Botteghe Oscure”. Igor, coetaneo di Moro, avrebbe partecipato agli interrogatori del leader DC. I Caetani, già da oltre dieci anni, avevano un ufficio in via Arenula, dove provvedano al reclutamento di giovani che, successivamente, partecipavano a riunioni politiche nei possedimenti Caetani, in particolare nella tenuta di Ninfa e nella stanza del “Cardinale” all’interno del castello di Sermoneta.

  1. Accertamenti – Gli accertamenti condotti hanno permesso di identificare Igor Markevitch, marito di Caetani Topazia e nipote di Margaret Chapin in Cetani (vd. Nota informativa).
  1. Presso il Comune di Roma sono stati assunti molti fiancheggiatori delle Brigate rosse, che suddivisi successivamente in piccoli gruppi hanno dato vita a vere e proprie cellule eversive. A conforto di tale affermazione, ha citato la Balzerani e la Mariani Gabriella (inquisita per la vicenda Moro), e ha riferito che in via Gradoli fu trovata la chiave dell’autovettura “Jaguar” targata H… via Aurelia n. 701. L’auto era appartenuta originariamente a tale Sermoneta, amico di una brigatista residente in via S. Elena 8. A questo indirizzo è stata notata più volte Buonaiuto Anna facente parte del gruppo in argomento. Al tempo della vicenda Moro gli occupanti dell’appartamento si allontanarono dall’appartamento per evitare perquisizioni e lasciarono il recapito di un bar di Trevignano sito in via Garibaldi. 
  2. Accertamenti – Gli occupanti dell’appartamento sono stati identificati nei coniugi Di Nola, residenti in via S. Elena 8, e i corrispondenti di Trevignano sono: Cecconi Settimio, professore di filosofia, abitante in via del Monte; Franchini Antonio, coniugato Gerometti, al momento non meglio identificato.”
Cerchiamo di analizzare i fatti salienti citati nella nota. Fino ad oggi – ma l’attività della Commissione Parlamentare di Indagine sulle stragi e il terrorismo si è interrotta ben dieci anni fa – non si è riuscito ad appurare chi fosse il senatore del PCI menzionato nella nota. Nell’ipotesi più ragionevole si potrebbe identificare con l’avvocato Alberto Malagugini, genero di Duccio Berio, di padre ebreo, animatore della scuola di lingue Hyperion e, in passato, confidente del SID. E’, comunque, altamente probabile che all’avvio delle indagini contribuì un’altra fonte, infatti lo stesso colonnello Cogliandro ammise davanti alla Commissione Stragi che la notizia era stata passata al servizio dal capo della sua segreteria, il capitano Antonio Fattorini, soprannominato “mezzo ebreo”, che teneva rapporti informali con il MOSSAD, il servizio segreto israeliano. 

Il collaboratore del colonnello morì per un infarto nel 1982, ma si è sospettato che le cause del decesso non fossero naturali, causate da quanto l’uomo sapeva sulle indagini relative al caso Moro. E’ ipotizzabile, quindi, che il SISMI avesse recapito le segnalazioni da due fonti differenti – il senatore del PCI e il contatto del capitano Fattorini – che potrebbero ridursi a uno: se quel senatore di identificasse con l’avvocato Malagugini, questi potrebbe aver ricevuto la confidenza dal genero, il cui padre, stimato medico poteva essere in contatto con ambienti israeliani, mentre il MOSSAD ragguagliava il segretario del colonnello Cogliandro. I servizi segreti israeliani potevano aver interesse alla liberazione di Moro ? 
La prima parte della nota descrive un accertamento a carico del direttore d’orchestra Igor Markevitch identificato come il capo delle BR e coniugato a Topazia Caetani, tuttavia, leggendo attentamente, si comprende che l’attenzione investigativa è indirizzata a più membri della famiglia Caetani oltre al musicista. Si cita anche la moglie, ma soprattutto Margherita Caetani che aveva lavorato per la casa editrice Feltrinelli, un punto di incontro dell’intellighenzia e della militanza di sinistra ed estrema sinistra. 
Giangiacomo Feltrinelli aveva rappresentato un punto di riferimento teorico, ma anche una fonte di finanziamento per quell’area dell’ultrasinistra disposta a lanciarsi nella lotta armata. Feltrinelli stesso aveva viaggiato molto fra URSS, Cina , Cecoslovacchia, Cuba e i vari paesi dell’area NATO per unificare tutto il movimento “rivoluzionario” e, però, la sua casa editrice ospitava filoinglesi e soggetti vicini alla causa israeliana. Non è mai stato possibile capire se l’editore conosceva quel che accadeva apparentemente alle sue spalle. 
Più che ad un arruolamento di giovani estremisti effettuato quasi alla luce del sole, è più credibile che i Caetani abbiano offerto ospitalità e protezione a frange delle BR mettendo a disposizione le loro proprietà come la tenuta di Ninfa e il castello di Sermoneta. Insomma saremmo in presenza di fiancheggiatori di alto livello… In questo caso, però, l’attenzione dovrebbe essere spostata da Markevitch al gentiluomo inglese Hubert Howard, sposato a Leila Caetani, e autentico erede della fortuna della famiglia aristocratica. La biografia di Howard, come vedremo, è piuttosto avvolta nel mistero, ma non manca di un pio di elementi estremamente interessanti.

Parrebbe che, negli anni, Markevitch si fosse allontanato dai parenti acquisiti e che, al momento dell’operazione brigatista, le loro strade si fossero separate. Ma le cose stanno veramente in questo modo, oppure Howard e Markevitch hanno continuato a frequentarsi negli anni e sono rimasti in contatto in quel 1978 ? E poi, chi ha offerto supporto alle BR ? Il maestro di musica ucraino o il gentiluomo inglese ? O sono entrambi implicati nella vicenda ?  
Nella seconda parte della nota la fonte (o le fonti ?) del SISMI informa sull’attività eversiva di alcuni nuclei brigatisti a Roma, identificando, fra gli aderenti a questi gruppo, i coniugi De Nola – De Cosa, residenti in via Sant’Elena 8 nel quartiere ebraico. Da alcune note dei carabinieri – citate nel testo dei consulenti della commissione Stragi Silvio Bonfigli e Jacopo Sce “Il delitto infinito” (edizioni KAOS, 2002) si apprende che la coppia era coinvolta nelle azioni terroristiche di talune frange dell’ultrasinistra e che, durante i 55 giorni della prigionia dell’onorevole Moro, il loro appartamento avrebbe ospitato persone gravitanti fra l’area brigatista e quella dell’Autonomia. 

Fra costoro, Barbara Balzerani, molto vicina al capo brigatista Moretti, la nappista Franca Salerno, Rosa Nicoli e Marco Ligini. A dimostrazione del ruolo logistico e di fiancheggiamento Raffaele De Cosa venne arrestato nel luglio del 1979 per detenzione illegale di armi. Nel corso delle perquisizioni effettuate nell’abitazione e nel laboratorio di via Ripetta 71 venne rinvenuto copioso materiale che poteva essere giustificato solo nell’ambito di una qualche attività eversiva (pistole, munizioni, agende, timer, ecc…). Rispetto al marito, la figura della consorte Laura Di Nola è perfino più interessante: espulsa dal PCI e poi vicina all’area autonomista del PSI e all’Autonomia, la Di Nola sarebbe stata in contatto con la l’organizzazione di Simon Wiesenthal per la cattura di criminali nazisti sfuggiti alla giustizia. 

La circostanza viene riferita dal marito alla Commissione Moro. Figlia di un commerciante di tessuti ebreo, amica di Bruno Sermoneta – anch’egli attivo nel commercio di tessuti e drapperie – la donna ha viaggiato spesso a Israele ove, presumibilmente, andava a fare visita ai suoi parenti. Tenendo conto del fatto che attraverso le reti Wiesenthal spesso si reclutavano elementi per il MOSSAD  e i servizi segreti israeliani, è possibile che la Di Nola collaborasse con questi ultimi e non solo nell’ambito della caccia ai criminali di guerra nazisti ? E’ presumibile che  fosse lei la fonte a cui attingeva il capitano Fattorini dato che la nota presentava in bella vista il riferimento alla Di Nola, ma non è inverosimile pensare che il MOSSAD o altro servizio segreto israeliano recepisse dalla donna le informazioni sui movimenti di questi nuclei eversivi per poi girarli all’uomo del SISMI. Oppure, più probabilmente, il riferimento al senatore comunista può essere stato utilizzato per coprire la vera fonte degli israeliani. Solo un anno dopo,nel luglio 1979, Laura Di Nola perderà la vita… 
Nell’agenda sequestrata alla donna era scritto il nome e il recapito di Giuliana Conforto – la militante del gruppo dell’Autonomia raccolto intorno alla rivista “Metropoli” - ma anche di un certo “Hubert”. Con ogni probabilità tale Hubert è da identificarsi proprio con il gentiluomo inglese Hubert Howard, coniugato con Leila Caetani. In questo modo le due parti della nota – divise dall’oggetto dell’accertamento – si possono unire ed incastrare: durante il sequestro dell’onorevole Moro avrebbero operato nuclei di militanti brigatisti e autonomi dediti alla lotta armata e coinvolti nell’operazione che avrebbero utilizzato per le proprie “riunioni” appartamenti siti nel quartiere ebraico di Roma. Questo gruppo, inoltre, usufruiva della protezione di componenti della famiglia Caetani e, in particolare, di un personaggio insospettabile come Hubert Howard che avrebbe messo a disposizione le sue proprietà. Così potrebbe trovare spiegazione il nome “Hubert” scritto nell’agenda di Laura Di Nola. In verità il personaggio è assai singolare. 

Figlio di Esme William Howard, ambasciatore britannico negli USA, Hubert nacque a Washington e sicuramente ebbe modo di fare esperienza frequentando gli ambienti americani ed inglesi più esclusivi. Come sappiamo, durante la guerra entrò a far parte dello PWB, l’organismo angloamericano per la guerra psicologica che, fra i suoi uomini di fiducia, poteva contare sul partigiano “bianco” Edgardo Sogno al quale fu affidato l’incarico di dirigere un foglio milanese “Il Corriere Lombardo”. 

Fu il primo ufficiale degli Alleati ad entrare a Firenze e probabilmente in questo periodo conosce Igor Markevitch che dopo la guerra diventerà un parente acquisito tramite i Caetani. Avviato alla carriera diplomatica l’ex ufficiale inglese si fa notare soprattutto per il “pollice verde” tipico della cultura anglosassone e che lo porterà a fondare l’associazione Italia Nostra nel 1966 e a ricoprire anche la carica di Presidente di WWF Italia. Insomma un personaggio di tutto rispetto e insospettabile che, probabilmente, ha avuto un ruolo non secondario nell’introduzione della cultura “verde” e ambientalista in Italia. C’era più di una ragione per stoppare l’indagine degli uomini del SISMI.
La magistratura fu tenuta all’oscuro di tutto, ma nell’estate del 1978 i giudici romani Rosario Priore e Ferdinando Imposimato cercarono di identificare un covo brigatista nel quartiere ebraico su indicazione di un giovane autonomo di Prato arrestato per omicidio, tale Elfino Mortati a cui era stata data ospitalità durante la latitanza. 

Il 12 luglio sulla “Nazione” Guido Paglia divulgò la notizia della collaborazione del giovane estremista con i magistrati e rivelò che “già era stata emessa una condanna a morte nei confronti di Mortati”. Allarmato da questo evidente atto di intimidazione, quest’ultimo decise di interrompere il rapporto di collaborazione e la ricerca non approdò a nulla. Paglia non era un giornalista qualunque, già braccio destro del neofascista Stefano Delle Chiaie, capo dell’organizzazione terroristica ed eversiva Avanguardia Nazionale, era stato fonte confidenziale del vecchio SID. Ulteriore indizio di una probabile volontà dei servizi segreti di insabbiare la faccenda…  

Per riuscire ad afferrare le chiavi per interpretare il caso Moro in maniera lucida e pertinente non si può trascurare che questa è soprattutto una storia di strade, luoghi e palazzi che assumono anche una valenza simbolica. La versione ufficiale imposta sia dai rappresentanti delle istituzioni repubblicane, che, sul fronte opposto, dai brigatisti coinvolti nell’affaire e fatta digerire a un’opinione pubblica smarrita e terrorizzata, narra che lo statista democristiano venne tenuto prigioniero nel covo – appartamento della decentrata via Montalcini 8 e che, dopo l’esecuzioni, il corpo esanime di Moro venne trasportato con la famosa Renault 4 rossa nel centro di Roma, nella centralissima via Caetani, con tutti i rischi del caso. Una versione dei fatti che si rivela ogni giorno di più falsa e depistante, allestita per sviare l’attenzione da verità scomode per molti… 

Le perizie e i rilievi scientifici compiuti sull’auto, sul cadavere dello statista e sui suoi vestiti e gli esami balistici effettuati sulle armi utilizzate per l’esecuzione smentiscono la ricostruzione ufficiale e certificata dalle autorità e ci comunicano che Aldo Moro venne ucciso a pochi passi dal luogo in cui venne ritrovato. La Renault 4 fece un brevissimo tratto di strada poco dopo l’esecuzione. Quale verità può essere tanto terribile e scomoda da essere occultata ? Quel che sorprende e che, ormai, è agli atti della Commissione Stragi, è che gli uomini incaricati dal colonnello Cogliandro di indagare su Igor Markevitch e sul gruppo brigatista in contatto con i coniugi De Cosa – Di Nola, si recarono ed entrarono in Palazzo Caetani (Palazzo Antici Mattei) nel corso dei 55 fatidici giorni. Gli ufficiali del SISMI a cui era stato affidato l’accertamento, Antonio Ruvolo e Vincenzo Scapellato testimoniarono che, quando venne rinvenuto il cadavere crivellato di Moro in via Caetani, il colonnello Cogliandro rimase molto turbato. Quantomeno il SISMI diretto dal piduista Giuseppe Santovito, conosceva l’ubicazione “approssimativa” della prigione brigatista, ma non si fece nulla per liberare Moro. Perché ? 

Potendo utilizzare una varietà di fonti riservate all’interno del mondo politico e dei servizi segreti, il giornalista Pecorelli scrisse vari articoli allusivi – ma non troppo ! – nei quali si accusava il Ministro degli Interni Cossiga e gli “esperti” dei Comitati di Crisi di conoscere la collocazione del luogo di detenzione di Moro e di non aver fatto nulla per salvarlo. Il 17 ottobre 1978 nell’articolo di “OP” “Lettera al direttore” si insinuava che Cossiga dovesse riferire e conformarsi alla decisione di una misteriosa “Loggia di Cristo in Paradiso”. Un’allusione alla P2 che aveva infarcito di propri uomini i Comitati ? In un articolo successivo- “OP” del 16 gennaio 1978 – dal titolo “Vergogna buffoni !” informa il lettore che l’esperto americano, Mr. Pieczenick, aveva riferito al Congresso che la condotto di Cossiga era quanto di meglio ci si potesse attendere.
Non stupisce che il 20 marzo del 1979 ai sicari della malavita romana vena appaltato l’incarico di tappare la bocca al giornalista scomodo.  In conclusione, il Ministro degli Interni si era comportato da perfetto soldatino ed altri erano gli ufficiali, i veri decisori. Secondo il giornalista e scrittore Giovanni Fasanella, in quei giorni lo Stato italiano era privo di qualunque autorità. Governo, Parlamento, Magistratura e partiti non contavano nulla… Il destino di Moro era sostanzialmente nelle mani di una sorta di direttorato delle maggiori potenze NATO (USA, Gran Bretagna, Germania occidentale e Francia), lo stesso che presiedeva la rete paramilitare atlantica STAY BEHIND. Altro motivo di inquietudine suscitano le parole di Pellegrino, già Presidente della Commissione Stragi, che rivelò allo stesso Fasanella che ai Comitati di Crisi partecipò anche Hubert Howard che, ricordiamolo, in qualità di ex ufficiale del PWB, era un esperto di guerra psicologica. Per la prima volta emergerebbe il nome di un personaggio, imparentato ai Caetani, che, durante il sequestro dell’onorevole Moro, poteva essere in contatto sia con i Comitati di Crisi – probabile estensione operativa della STAY BEHIND – che con i brigatisti che hanno tenuto prigioniero lo statista per poi “giustiziarlo”. 

Purtroppo con la legislatura del 2001 – 2005, la Commissione Parlamentare è stata sciolta e non è stato possibile approfondire la questione del ruolo di Howard. Così come non è stato possibile ricostruire gli sviluppi delle ricerche del SISMI che hanno condotto a Markevitch, ai Caetani, al gruppo di brigatisti del quartiere ebraico e a Palazzo Caetani. Si può intravedere una visibile correlazione fra questi fatti che, ad occhio superficiale, potrebbero essere slegati.
Dunque Moro potrebbe essere stato ucciso a Palazzo Caetani, magari nei suoi sotterranei ? Una tesi più che suggestiva supportata da maggiori indizi che non l’esecuzione in via Montalcini 8… Nel classico testo su Markevitch scritto a quattro mani da Fasanella e Rocca vi si legge “Da oltre un secolo, questa massiccia costruzione, attorno alla quale si salda il labirinto di fabbricati della cosiddetta insula Mattei (il complesso architettonico composto sia da Palazzo Caetani e Palazzo Antici Mattei), è la sede di una sorta di governo occulto: negli anni, vi hanno trovato ospitalità numerosi diplomatici, alti rappresentanti di ordini cavallereschi, istituti internazionali, sedi coperte di servizi segreti, logge massoniche”. Un’asserzione certamente esagerata, quella del governo occulto, suscettibile di creare equivoci “complottisti”. Una visione tenebrosa che sembrerebbe richiamare a certi generi letterari… 

Tuttavia risponde al vero che in quei palazzi hanno sede gruppi, associazioni e lobbies che si prefiggono lo scopo di condizionare in senso filoamericano, filo inglese ed atlantico la politica e l’economia italiana e che trovano una sponda nei corrispettivi ambienti diplomatici e di intelligence. Ambienti popolati da quei politici, diplomatici, alti ufficiali, intellettuali, finanzieri, imprenditori, aristocratici che trovano ospitalità nei salotti più prestigiosi. Si può ben comprendere come tale complesso fosse da ritenersi off limits e come neanche i nostri servizi segreti potessero permettersi di violarlo. Siamo ad un livello superiore, in qualche modo sovranazionale e transnazionale, un livello a cui i Caetani potevano avere facilmente accesso. 
Ma Palazzo Antici Mattei – in relazione ad un passo carraio da cui poteva uscire ed entrare la vettura per il trasporto di Moro – salta ancora fuori in relazione a Giovanni Senzani, l’enigmatico capo brigatista che, successivamente si segnalò per l’organizzazione dei sequestri D’Urso e Cirillo. Un appunto del SISDE del gennaio 1981 accennava a rapporti fra Senzani e il Centro Studi Americano ipotizzando un ruolo di quest’ultimo nel terrorismo. Quel documento originò l’attività investigativa dei carabinieri del ROS nel 1994 allo scopo di acquisire notizie sul centro studi. Emerse che l’istituto era collegato con l’USIS, l’organismo dell’Ambasciata americana e che il passo carraio di via Caetani 35 era nella disponibilità dello stesso Centro Studi. Come abbiamo visto, “Metropoli” identificava in Senzani, il brigatista “Blasco”, nell’uomo che decise l’esecuzione di Aldo Moro. 

La carriera di Senzani all’interno delle BR è sempre stata avvolta nel mistero così come la sua appartenenza all’organizzazione terroristica già ai tempi del sequestro Moro. Anche questo silenzio suscita ulteriori interrogativi… Soprattutto, esistono prove del rapporto fra Senzani e l’USIS ? E di quale natura erano ? In una memoria del novembre del 1978 inserita nel fascicolo intestato a Giovanni Senzani custodito negli archivi della Questura di Firenze si legge che il soggetto aveva compiuto studi di criminologia presso l’Università americana di Barkeley, usufruendo di una borsa di studi dell’USIS. Tale informazione, però, non coinciderebbe con quella della polizia di prevenzione (ex UCIGOS) secondo cui quella borsa di studi sarebbe stata rilasciata dal CNR. Rimane “l’enigma Senzani” e il suo ruolo nel caso Moro…

Troppi, veramente troppi elementi ed indizi convergono sul complesso Caetani – Antici Mattei e sulla famiglia Caetani per poter essere trascurati da chi vuol approfondire veramente l’affaire Moro. Ebbero un ruolo Hubert Howard e Igor Markevitch ? E come si mosse l’ambiguo Senzani ? Nella conclusione del testo ci occuperemo dell’USIS…

Una cosa è certa: non  si può prescindere da quel “nodo Caetani” dai risvolti “molto atlantici”…

Molti decessi misteriosi legati al caso Moro e, probabilmente, al “nodo Caetani”, come quelli di Pecorelli, Fattorini e della Di Nola…

Molti silenzi, messaggi e patti inconfessabili…

2.1  Conclusione 1: i “tre livelli” delle BR

All’indomani dell’assassinio del giudice di Genova Francesco Coco compiuto da un commando brigatista agli inizi del giugno 1976, alcuni alti ufficiali del SID cominciarono a fare ammissioni di un certo rilievo su alcuni giornali. Un anonimo ufficiale intervistato dal quotidiano “Repubblica” asserì che sulle BR si sarebbero dovuti scrivere molti capitoli di una storia molto complicata. All’incirca nello stesso periodo il generale Gian Adelio Maletti, già comandante dell’Ufficio D del SID, il massimo organismo di controspionaggio e iscritto alla P2, fornì qualche dettaglio in più. Prima di essere costretto a lasciare la sua carica per le traversie giudiziarie che lo angustiavano – le azioni di depistaggio e protezione degli imputati per la strage di piazza Fontana e il coinvolgimento nello scandalo petroli Mi.Fo.Biali per l’attività di indebito spionaggio – Maletti fece redigere un rapporto per il Ministero degli Interni sulla riorganizzazione delle BR e del Partito Armato. 

Messi fuori gioco Curcio e Franceschini, l’organizzazione sarebbe caduta nelle mani di persone insospettabili per cultura e per censo che stavano curando l’addestramento per le azioni di “gambizzazione” e che arruolavano elementi di ogni tipo per una più intensa attività terroristica. Dunque il SID era a conoscenza della svolta nel campo del “sovversivismo rosso” e, quanto alla complicata storia delle BR accennata dal collega suddivise schematicamente la struttura brigatista in tre livelli. La prima composta dai giovani esecutori ideologizzati e indottrinati, addestrati alla guerriglia e alla lotta armata. Il secondo livello fa riferimento ai servizi segreti dell’Europa dell’Est, soprattutto, inutile ripeterlo, ai cecoslovacchi. L’ultimo, quello segretissimo, è da ricondurre ai servizi segreti della NATO – soprattutto americani e tedeschi – e a quelli del Viminale. A parte l’ovvio paradosso di dover comunicare al Viminale notizie su un’organizzazione sovversiva e armata che sarebbe stata pilotata dallo stesso Ufficio Affari Riservati del Viminale e all’omissione di qualsiasi responsabilità da parte dei servizi segreti militari, le rivelazioni di Maletti non sono da sottovalutare. 

Da tempo l’area variegata e fluida della lotta armata è monitorata costantemente e con attenzione. Il primo livello di cui parlò Maletti si potrebbe identificare con il gruppo che ha dato vita alla scuola di lingue Hyperion. Ad un’attenta lettura di atti e dichiarazioni la risposta parrebbe proprio affermativa. Nella famosa intervista al “Mondo” del 1974 nella quale il Ministro della Difesa Andreotti rivelò che il neofascista Guido Giannettini, giornalista esperto di affari militari e di “guerra non ortodossa”, partecipante al famoso convegno all’hotel Parco dei Principi in cui furono gettati i semi della “strategia della tensione” e in rapporti sia con l’Aginter Press che con il gruppo neonazista di Freda e Ventura coinvolto nella strage di piazza Fontana, era l’agente “Zeta” del SID, venne menzionata una misteriosa centrale terroristica con sede a Parigi che coordinava le azioni eversive su scala europea. 

Lo stesso Giannettini, persona sicuramente ben informata, si costituì all’Ambasciata italiana a Buenos Aires in Argentina e tornò in Italia portandosi dietro una copiosa documentazione della sua attività informativa e di analisi. Per inciso Giannettini dipendeva proprio dal Ufficio D del SID diretto da Maletti. Il giornalista al servizio del SID indirizzò al giudice di Milano D’Ambrosio che si stava occupando delle indagini sulla strage di piazza Fontana un memorandum elencante le ricerche e le analisi compiute per il servizio segreti ed afferenti, a titolo di esempio, le operazioni della CIA in relazione all’apertura a sinistra in vari paesi d’Europa, le centrali americana e britannica della contestazione, i collegamenti internazionali della sinistra extraparlamentare italiana e le operazioni segrete degli inglesi per condizionare la politica italiana. 

Secondo Giannettini, agli inizi degli anni Settanta (1971 – 1973), si sarebbe costituita una centrale terroristica dal nome in codice “Think Tank” dietro gli organismi ufficiali della IV Internazionale trockista. Si comprende facilmente che l’agente “Zeta” parla della stessa organizzazione citata da Andreotti nell’intervista al “Mondo”. Il “Think Tank” sarebbe stato egemonizzato dal MOSSAD e da elementi filoamericani con l’intento di eliminare qualsiasi tentazione filoaraba dall’estrema sinistra internazionale. Agli inizi del 1977 il solito Mino Pecorelli scrisse un articolo sul “Think Tank” basato su fonti interne ai servizi segreti francesi che confermava quanto svelato da Giannettini. Dunque le più alte autorità italiane in materia di difesa e di sicurezza e i servizi segreti militari (SID) erano assai ben informati sulla centrale terroristica allestita da militanti trockisti con il supporto del MOSSAD israeliano e dei servizi segreti della NATO. 

Con ogni probabilità anche Giannettini era stato ragguagliato sull’argomento dai servizi segreti francesi ben al corrente delle protezioni e dell’attivismo profuso dalla centrale eversiva parigina. Dovrebbero sussistere ben pochi dubbi che centri culturali come Agorà e Hyperion altro non fossero se non emanazioni del “Think Tank” dietro comode coperture. Se la “casa madre” Hyperion ha sede a Parigi – indicata da Andreotti come il centro della rete terroristica – le filiali sono state allestite a Bruxelles, Londra e, durante il sequestro Moro, a Roma e a Milano. Abbiamo costatato come gli animatori di Hyperion – personaggi francesi ed italiani – godessero di coperture e protezioni ad alto livello: l’indagine promossa dal giudice Calogero naufragò proprio per l’azione di insabbiamento operata da organismi di polizia e dei servizi segreti italiani e stranieri. Viene in mente quanto il generale Dalla Chiesa disse al collaboratore colonnello Bozzo dopo la visita all’ambasciatore Sogno sull’esistenza di un livello internazionale – nella fattispecie angloamericano – che non poteva essere toccato. 

L’inerzia nelle indagini da un lato e le protezioni ad alto livello trovavano giustificazione nel livello internazionale garantito presumibilmente da protocolli segreti degli organismi clandestini operanti nella NATO. Grazie alla sua posizione privilegiata, la rete “Think Tank”/Hyperion poteva monitorare e coordinare l’attività terroristica e  di guerriglia di un buon numero di organizzazioni nazionaliste, autonomiste e di estrema sinistra – come fazioni dell’OLP, IRA, ETA, RAF e le stesse BR – presenti sul suolo europeo magari orientandone gli obiettivi. 

Fra le attività prioritarie della rete vi sono senza dubbio la protezione della latitanza dei militanti e, magari il loro accoglimento in terra francese come richiedenti asilo politico, ma anche il traffico di armi che rimane un ottimo strumento per controllare il terrorismo. Senza dubbio il “Think Tank”/ Hyperion ebbe un ruolo nei traffici che attraversavano il canale mediterraneo e mediorientale in contatto con alcune fazioni palestinesi dell’OLP. E’, invece, ipotizzabile l’apertura di canali con l’Europa dell’Est e con la Cecoslovacchia per l’acquisizione di armi menzionata dal contractor CIA Brenneke e che, magari, coinvolgeva proprio la centrale terroristica parigina. 

Tesi tutt’altro che peregrina perché, ad esempio, l’ambiguo animatore dell’Hyperion Simioni conosceva bene Roberto Dotti, l’ex comunista che collaborava strettamente con la rete di Sogno e che aveva insediato in Cecoslovacchia una rete informativa della quale può essersi servito anche dopo essersi convertito all’anticomunismo. Attraverso queste reti che devono essersi insediate in profondità sui territori dell’Europa dell’Est, non solo gli americani e i servizi segreti della NATO avevano la possibilità di procacciare una notevole mole di informazioni sul nemico ma anche di fare incetta di armi di fabbricazione sovietica o cecoslovacca per armare i propri alleati. 

Il possibile collegamento fra la rete del “Think Tank”/Hyperion e le reti spionistiche insediate nei territori oltrecortina andrebbe indagata con più decisione. In qualche modo i servizi segreti della NATO – americani, inglesi, tedeschi, francesi e italiani – hanno foraggiato l’”euroterrorismo” e, quindi, le stesse BR, servendosi di frazioni dei servizi della sponda opposta della barricata. Il terzo livello – il più segreto – avrebbe messo il cappello sulla “strategia della tensione” gestita a livello internazionale. Ciò è stato possibile perché – e verrà il momento di ammetterlo – il sistema di sicurezza dei paesi del Patto di Varsavia faceva ormai acqua da tutte le parti. 

L’impero sovietico stava ormai per disciogliersi e molti lavoratori e funzionari adibiti alla sicurezza, alla difesa e ai servizi segreti trovavano ben più conveniente convertirsi a quel capitalismo che, non solo era in grado di pagare gli stipendi dei solerti servitori dello stato, ma anche di creare le opportunità per arricchirsi. Elementi chiaramente “corruttibili”… Quante fortune di ex convinti funzionari comunisti hanno avuto origine proprio in quegli anni così convulsi ? Noi non lo sapevamo ma i sovietici e i loro alleati avevano già perso per la loro incapacità di ristrutturare una pesante e costosa macchina militare e burocratica che non poteva più essere mantenuta. 

La penetrazione negli organismi di sicurezza, dei servizi segreti, nelle sezioni diplomatiche e consolari da parte delle reti create dai servizi segreti occidentali doveva aver raggiunto un livello tale da non poter essere più controllato dai pur efficienti uomini del KGB. Nulla poteva più impedire che, all’interno dell’Ambasciata cecoslovacca, qualcuno appoggiasse le BR alle spalle dei sovietici e creando tensioni e conflitti fra i comunisti cecoslovacchi e italiani. Tanto valeva stendere una cortina di fumo e un velo di silenzio sull’intera faccenda. La regola del silenzio osservata a livello internazionale da organismi di sicurezza operanti sugli opposti fronti della Guerra Fredda è stata rispettata pienamente anche nel nostro paese. Dai democristiani, naturalmente, che hanno avuto il forse non invidiabile privilegio di entrare nella stanza dei bottoni. 

Sicuramente uomini come Andreotti e Cossiga hanno gestito questi livelli di estrema segretezza e, nel caso del primo, si è cercato di utilizzarli per aumentare potere e influenza. Il silenzio dei socialisti non poteva essere che motivato dall’imbarazzo generato da rapporti tutt’altro che superficiali che alcuni importanti esponenti del partito hanno intrattenuto con ambienti dell’Autonomia che flirtavano con la lotta armata o con gli stessi brigatisti. Nel caso del PCI c’è sempre stata un’area della base militante dai connotati estremisti che ha dato il suo contributo nello sviluppo del Partito Armato. Un’area che, anche all’interno del partito, si opponeva al moderatismo e al parlamentarismo della dirigenza. La linea ufficiale del PCI è sempre stata quella di combattere il terrorismo con qualsiasi mezzo “legale”, ma le spinte sovversive provenienti dalle proprie file costringevano a tutelarsi per una sorta di “ragion di partito”. La doppiezza togliattiana si traduceva in quella berlingueriana… 
Insomma rimane in piedi l’ipotesi che i servizi segreti della NATO, con gli americani in prima fila, abbiano trovato il modo di controllare e utilizzare il terrorismo di estrema sinistra per rivolgerlo contro i propri avversari. Non si può escludere tuttavia, che sia intervenuto un accordo fra i servizi segreti dell’Ovest e dell’Est per il controllo internazionale del traffico d’armi e del terrorismo, magari per mettere la briglia alle frange armate dell’estremismo. Oppure tale accordo è stato concluso fra le fazioni oltranziste delle due parti interessate ad alimentare il terrorismo per orchestrare una sorta di “strategia della tensione” che potesse servire ad alienare le simpatie di parti della pubblica opinione nei confronti delle formazioni guerrigliere. O ancora, non si può trascurare il puro e semplice fattore economico, la ricerca del profitto e del guadagno attraverso attività illecite… 

In questo caso all’interno dei vari servizi segreti si sarebbero costituire vere e proprie organizzazioni mafiose che, in associazione con le altre mafie, avrebbero conseguito l’arricchimento attraverso il traffico di armi, lo spaccio di droga e lo sfruttamento del terrorismo internazionale. In tutti questi casi la centrale parigina può aver costituito uno snodo e un punto d’incontro fra spie, mercenari, avventurieri, ecc…

Rimane sullo sfondo, ma neanche tanto, il ruolo del MOSSAD o di altri organismi israeliani sempre percepibile ma difficile da decifrare come nel caso del gruppo brigatista del quartiere ebraico di Roma che non sembra estraneo ai più scottanti risvolti dell’affaire Moro.

In ogni caso, anche per poter ricostruire la tragedia di Aldo Moro, non si può prescindere da quel che il “Think Tank”/Hyperion rappresentò…

2.2  Conclusione 2: uno snodo veramente cruciale

Nel 1974 comparve su “Panorama” un curioso articolo in cui si dava conto della costituzione, presso l’Ambasciata americana in Italia, di una sorta di comitato formato da un ristretto gruppo di esperti di affari italiani selezionati nella CIA, nell’USIS, fra alti ufficiali dell’esercito statunitense e diplomatici. Ufficialmente sotto la presidenza dell’ambasciatore John Volpe, l’organismo avrebbe dovuto occuparsi di monitorare le attività sovversive e antiamericane, ma, più probabilmente aveva l’obiettivo di condizionare in maniera più efficace e penetrante la politica italiana orientandola nel senso auspicato dagli americani e dai loro più stretti alleati. 
Colpisce che, ancora una volta, si ripresenti all’attenzione del lettore l’USIS, la struttura dell’Ambasciata americana per promuovere la cultura americana e la commercializzazione dei suoi prodotti culturali (i libri, i giornali, la cinematografia hollywoodiana, ecc…). In realtà gran parte dei compiti affidati all’USIS sono strettamente intrecciati con la Guerra Fredda e l’espansionismo militare ed economico dell’impero americano. La guerra non si combatte più solo sul terreno puramente militare, ma implica il ricorso a una varietà estesa di risorse scientifiche, tecniche, propagandistiche, culturali, ecc… In sostanza l’USIS combatte la battaglia per la conquista delle menti e dei cuori sul piano del condizionamento, della propaganda, della cultura e della manipolazione mediatica e dell’informazione. Progenitore dell’USIS era stato il PWB, struttura per la propaganda e la guerra psicologica degli Alleati angloamericani che, al termine del conflitto, supportò la ricostruzione della cultura in Italia – come in altri paesi – avvalendosi di una nuova generazione di intellettuali, artisti e gente dello spettacolo. Dopo la guerra il PWB verrà sciolto e americani ed inglesi costituiranno ciascuno la propria agenzia per la “cultura”. 

Il corrispettivo inglese dell’USIS sarà l’IRD (Information Research Department), organismo del tutti affine. Su quest’ultimo, con l’aiuto del ricercatore Mario Josè Cereghino, si soffermerà con attenzione Giovanni Fasanella nel bel libro “Il golpe inglese” (Chiarelettere, 2011) sui tentativi di condizionamento ed ingerenza inglesi sulla politica italiana spinti fino al delitto. Sicuramente non sempre c’è stata sintonia fra americani ed inglesi sul piano della politica estera e sugli strumenti per condurre la lotta al comunismo. Certamente cooperarono nella Guerra Fredda “culturale” e supportarono la costituzione del Congresso per la Libertà della Cultura a Berlino nel 1950. Fra i promotori dell’iniziativa molti intellettuali e personalità della cultura italiana come il filosofo Benedetto Croce e lo scrittore Ignazio Silone anche se è difficile appurare quanta consapevolezza vi fosse circa l’intromissione angloamericana. 
Per quel che concerne l’affaire Moro impressiona il ricorrere di nomi di personaggi in una maniera o nell’altra collegati all’USIS o ad altro organismo per la guerra psicologica ad esso affine. Sappiamo che l’ambasciatore e partigiano “bianco” Sogno, uomo di fiducia sia degli americani che degli inglesi, era stato sostenuto dal PWB che gli affidò il “Corriere Lombardo”. Ciò farebbe pensare ad una conoscenza diretta da parte del campione antifascista ed anticomunista della Resistenza del comandante del PWB, Noble e probabilmente del suo sottoposto Hubert Howard, futuro erede Caetani. 

Inoltre la comune carriera diplomatica deve pure aver facilitato contatti e frequentazioni fra il nobile gentiluomo inglese e l’aristocratico monarchico italiano, così come con l’altro grande amico di Sogno, Manlio Brosio, ambasciatore ed ex Segretario Generale della NATO. Personalità ben addentro alle strutture e agli organismi inseriti nel sistema della NATO… La partecipazione ai corsi dei guerra psicologica organizzati dalla NATO Defense College da parte di Sogno viene forse avviata anche per intensificare la collaborazione con l’USIS e l’IRD. Fra i più generosi finanziatori della sezione italiana del movimento anticomunista internazionale Pace e Libertà promosso da Sogno e dal collaboratore Cavallo si segnala proprio l’USIS interessata alla promozione di questa operazione di propaganda. Purtroppo non esistono notizie, testimonianze o racce documentali del misterioso Howard e non sappiamo se mise a frutto la sua esperienza nella guerra psicologica e “culturale”. 

A quanto scrive Fasanella sul libro dedicato ad Igor Markevitch, nel corso degli anni Sessanta l’ex ufficiale e diplomatico britannico ebbe modo di soggiornare a Monaco di Baviera e sarebbe interessante sapere se tale periodo coincide con quello in cui Corrado Simioni, leader dell’ambiguo gruppo terroristico Superclan, si stabilì presumibilmente per ragioni di studio nella città tedesca. E’ possibile che Simioni abbia lavorato per la radio della CIA e dell’organizzazione Gehlen Radio Free Europe e che, in tale veste, avesse incontrato Howard ? Il dato certo della biografia dell’ex socialista autonomista lavorò proprio all’USIS di Milano, dopodiché, con un notevole cambio di opinione e di prospettiva, aderì al “maoismo” e si fece promotore delle lotta armata contro l’imperialismo americano. Una svolta che desta molti sospetti…

E’ sicuro che Simioni conosceva un ottimo amico di Edgardo Sogno e di Luigi Cavallo, quel Roberto Dotti, l’ex comunista che entrò in contatto con le BR poco dopo la loro fondazione mentre si dava da fare per organizzare i Comitati di Resistenza Democratica di chiara matrice anticomunista. Non abbiamo conferma di quanto scrisse Flamigni della circostanza secondo cui Dotti e Simioni si conobbero perché lavoravano entrambi per l’USIS, ma il dubbio rimane… Così come permane il dubbio di un rapporto saldo fra il gruppo di Sogno e Cavallo raccolto intorno ai Comitati di Resistenza Democratica e i Superclandestini di Simioni, attraverso la “mediazione” di Dotti e di una sua ipotetica rete informativa magari operativa anche in Cecoslovacchia. 

Certo è che i nomi di Howard, Sogno, Brosio, Cavallo, Dotti e Simioni ricorrono con frequenza e le possibili connessioni rimandano al PWB, all’USIS e all’IRD, le strutture americane ed inglesi per la guerra psicologica. Dalle indagini di polizia e dalle informazioni raccolte dal SISDE, anche l’enigmatico capo brigatista Giovanni Senzani viene accostato all’organismo culturale dell’Ambasciata americana e ricordiamo ancora una volta che secondo il foglio dell’Autonomia “Metropoli” fu proprio Senzani a prendere la decisione di uccidere Moro. 

Per quel che riguarda Howard abbiamo visto come potrebbe essere l’unico personaggio da poter mettere in relazione sia ai Comitati di Crisi del Viminale colmi di uomini della P2 che al gruppo brigatista che, presumibilmente, tenne prigioniero Moro almeno nella parte finale del sequestro. Quanto a Sogno e al suo gruppo – strettamente collegato a quel livello internazionale di reti e organizzazioni che sono tutelate e garantite dagli accordi in ambito NATO – è stato riconosciuto dallo stesso ambasciatore come Moro fosse considerato alla stregua di un traditore da giustiziare.
Ma siamo veramente in grado di poter individuare i compiti e le funzioni affidati all’USIS negli anni cruciali della “strategia della tensione”, dei tentativi di golpe e del caso Moro ? Per il momento siamo ancora nel campo delle ipotesi… 

Negli anni Sessanta l’USIS si adoperò per la selezione di quel personale straniero, diplomatico e politico, che fosse al contempo progressista, socialdemocratico, socialista o liberale e saldamente antisovietico. Inoltre incoraggiò la demarxistizzazione dei partiti socialisti europei a partire da quello tedesco sotto la segreteria del futuro cancelliere Willy Brandt. Considerato che l’USIS operava nel campo della guerra psicologica offrendo il suo supporto e la sua esperienza alle altre agenzie americane, possiamo supporre che, mentre da un lato diffondeva l’anticomunismo sul fronte dei socialisti moderati e dei liberali, dall’altro contribuiva a sviluppare il fronte del comunismo maoista e antisovietico per approfondire le fratture e le tensioni nel campo avversario. 

In tal caso si comprende la svolta “ideologica” di Simioni come di altri soggetti e verrebbe da chiedersi, se per caso, l’USIS non ebbe una parte importante nella formazione di quell’estrema sinistra filoamericana (e filoisraeliana) identificata dagli addetti ai lavori con il nome in codice di “Think Tank” ed aggregata sotto le insegne della scuola di lingue Hyperion. E’ fatto acquisito per via documentale che  fra il 1969 e il 1970 la CIA aveva varato il “Progetto 2”, un’operazione che prevedeva l’utilizzo di agenti per penetrare e sviluppare la sinistra “maoista”. 

Il piano era stato ideato e congegnato nell’ambito dell’operazione CHAOS (1967 – 1975) che contemplava l’infiltrazione nei gruppi della contestazione giovanile e studentesca (maoisti, trockisti, castristi, anarchici, marxisti leninisti) a scopo informativo e di provocazione. Ogni mezzo per mantenere vivo il “pericolo rosso” era lecito… Se all’inizio l’operazione diretta dal solito James Jesus Angleton restringeva il campo al solo territorio degli USA, successivamente vennero inviati agenti in Gran Bretagna, in Germania, in Francia, in Spagna e, naturalmente, in Italia. Non si conoscono le conseguenze pratiche di questa penetrazione nelle file dell’ultrasinistra, ma certamente vi furono e si manifestarono sul terreno anche del terrorismo e della violenza. Dapprima l’Agenzia si affidò probabilmente ad elementi mercenari o dell’estrema destra stabilendo contatti con l’Aginter Press che già si stava muovendo per inserirsi fra i “maoisti”, poi con il “Progetto 2” ha preso direttamente le redini dell’operazione utilizzando uomini di assoluta fiducia, con alle spalle una formazione ideologica e culturale che già era “di sinistra”. 

All’incirca nello stesso periodo il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito americano generale Westmoreland siglava il Field Manual 30 – 31 B destinato alle forze militari speciali e ai corpi d’elites del servizio segreto militare. Il manuale istruiva i militari a infiltrare ed utilizzare l’estrema sinistra per le operazioni coperte e “sporche”. E’ risaputo che una copia del testo venne rinvenuta nel doppio fondo della valigia della figlia di Gelli, Maria Grazia, assieme ad altri scottanti documenti. Evidentemente il Venerabile Maestro della loggia P2 voleva ricordare i rapporti intrattenuti con gli americani per non affondare completamente. D’altronde anche l’ambasciatore Sogno era iscritto alla loggia P2…
Anche se non abbiamo ancora disponibilità di documenti in grado di comprovare un coinvolgimento dell’USIS nelle attività svolte da CIA, DIA, FBI ed altre agenzie americane per portare l’ultrasinistra sul terreno della violenza e della provocazione, è tuttavia ragionevole ipotizzare un qualche ruolo assunto dall’istituto delle Ambasciate americane. E soprattutto vien da chiedersi se il “Think Tank” non ne fu che un’emanazione…

Potremo mai trattare l’affaire Moro, indagarne i risvolti e fare una ricerca completa senza tenere conto del contesto illustrato…
Ne dubito fortemente…

Di HS

3 commenti:

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