3 ottobre 2011

LEZIONI DALL'ARGENTINA PER LA GRECIA

Ci sono già innumerevoli confronti della storia argentina con il crollo della Grecia. Gli analisti cercano di capire se le misure adottate dal primo paese allevieranno o aggraveranno la situazione del secondo. Questa valutazione si estende generalmente ad altre nazioni della periferia europea come il Portogallo e l'Irlanda. I movimenti sociali hanno un'altra preoccupazione: quali insegnamenti offre l'esperienza del Sud America alla battaglia contro l'adeguamento?
Salvataggi simili 

La Grecia affronta lo stesso dramma che l'Argentina ha sofferto a metà del 2001. Il governo dell'Alleanza preservava le politiche neoliberiste di Menem e l'esplosivo indebitamento dello stato ha spinto il paese verso il default. Negli anni '90 il debito è passato da 84.000 a 147.000 milioni di dollari e il pagamento degli interessi ha soffocato le finanze pubbliche. Queste spese hanno triplicato la spesa corrente, superiore a sei volte le spese di assistenza sociale e sono state 23 volte superiori alle risorse destinate ai piani di lavoro. 

Periodicamente venivano improvvisati rifinanziamenti per evitare il default. Le scadenze erano riciclate con prestiti a tasso usurario ("blindajes") e con disperati scambi di titoli per posporre i pagamenti ("mega-canje"). I creditori davano per scontata l'insostenibilità di queste operazioni e il tasso di "rischio-paese", che misura la vulnerabilità del debitore, rimaneva a livelli esorbitanti |1|.


La Grecia scivola verso lo stesso precipizio, con un debito complessivo in rapporto al PIL, simile a quello dell'Argentina dell'epoca e utilizza gli stessi piani per aiutare i creditori. Ha accettato un piano di salvataggio l'anno scorso per sfuggire alla morsa dell'illiquidità e ora affronta una grave crisi d’insolvenza.

Questo contesto ha portato una decina di anni fa, alla catastrofe sociale dell'Argentina (54% di poveri, 35% di disoccupazione e carestia per i più poveri). Il degrado sociale si è accentuato ogni volta che il governo voleva dimostrare la capacità di pagare i creditori. I salari sono stati ridotti e le imposte indirette aumentate, insieme a diverse riduzioni di bilancio per l'educazione e le estensioni successive dell'età pensionabile. 

I governanti greci ripetono gli stessi attacchi: durante lo scorso anno il pubblico impiego è diminuito del 20%, le pensioni sono state ridotte del 10%, è stata aumenta l'imposta sul valore aggiunto (IVA, N.d.T.) e sono state distrutte senza mezzi termini l'istruzione e la salute.  

Dieci anni fa il governo argentino aveva già realizzato la maggiore privatizzazione dei beni pubblici (petrolio, elettricità, telefono, gas) e prometteva di accellerare le privatizzazioni in corso (Banca Nazionale, imprese pubbliche nelle diverse province, lotteria, università).

In Grecia si mettono a punto ora i dettagli di una grande asta dei beni dello Stato (poste, porti servizi idrici). Solo l'Acropoli è stata esclusa dalla vendita generale, che alcuni capitalisti tedeschi cercano di estendere a diverse isole.
Gli stessi funzionari del Fondo Monetario Internazionale che ora scrivono i memorandum per la Grecia, dieci anni fa dirigevano ispezioni periodiche nel Cono Sud e selezionavano i beni da offrire ai creditori. Le stesse sessioni di emergenza del Parlamento avevano luogo per approvare aggiustamenti e sono state fatte persino le prove di un'agenzia analoga per visionare la riscossione delle imposte. 

In Grecia la strategia dei creditori segue lo stesso copione. Hanno cercato di raccogliere quanto più possibile, spremendo la popolazione, e trasferendo titoli svalutati agli stati. In questo modo ripuliscono i loro bilanci e riducono le perdite da mancato recupero. 

In Argentina, questo processo di accaparramento delle risorse è durato diversi anni, con cicli d’interruzione e ripresa dei pagamenti. Mentre negoziavano con i governi, le banche ottenevano forti flussi di cassa attraverso la fuga illegale di capitali. Da quel momento i fondi espatriati superano di gran lunga il debito pubblico.  

I finanzieri hanno ottenuto enormi profitti nel processo di rifinanziamento. Ottennero soprattutto, con due iniziative del governo degli Stati Uniti, di ricomporre il profilo dei titoli dell'America Latina. Prima utilizzarono il piano Baker per alleggerire il peso delle banche commerciali più esposte. Poi hanno utilizzato il Piano Brady per completare la pulizia, associando i Fondi di Investimento alla nascita di un mercato secondario per i titoli problematici. Le banche restaurarono i loro profitti calcolando nei loro bilanci le obbligazioni degradate al loro valore originale e trasferendo i titoli più inesigibili ai detentori marginali.

Le entità del Vecchio Continente stanno cercando di attuare la stessa strategia di ristrutturazione. Nel maggio 2010 è stato creato un Fondo di Stabilizzazione (EFSF), che la Banca Centrale Europea (BCE) utilizza per riacquistare dei titoli morosi alle banche, con i tassi d'interesse fortemente sovvenzionati.

Alcuni esperti argentini che seguirono da vicino questo stesso processo dieci anni fa, hanno confermato la somiglianza tra le due operazioni. Ma credono anche che la situazione attuale delle banche è molto più grave |2|.

Impatti diversi 

La crisi greca è più esplosiva rispetto alla precedente argentina per l'ampiezza degli squilibri. Con percentuali simili di passività totali, il deficit di bilancio del primo paese ha raggiunto il 10,5% contro il 3,2% che aveva il secondo. 

Le differenze nella posizione dei creditori sono ancora più significative. Mentre i creditori dell'Argentina ebbero diversi anni per "rifarsi" le banche europee lottano contro il tempo per ricostruire il loro patrimonio. Quando è stato dichiarato il default nel Cono Sud, la maggior parte delle banche aveva già trasferito i propri averi. È per questo che il FMI ha permesso la cessazione dei pagamenti (default, N.d.T.). Al contrario, la BCE rigetta questa possibilità, poiché le istituzioni tedesche e francesi che hanno operato sugli investimenti in Grecia stanno ancora affrontando il problema dei titoli tossici che possiedono nei loro portafogli | 3 |. 

C'è anche una notevole disuguaglianza nella gestione di entrambe le crisi. Il debito dell'Argentina è stato gestito da un comando del FMI sotto stretta supervisione statunitense. La passività greca è monitorata, tuttavia, dai dirigenti di una Banca Europea con poca esperienza in questo tipo di situazione. La Commissione politica che controlla questo processo ha poca autorità e non agisce di fronte ad uno Stato unificato. Ha dimostrato scarsa capacità di arbitrato per risolvere, ad esempio, le discrepanze che oppongono la Germania alla Francia |4|. 

Entrambe le potenze sono state inizialmente d'accordo nell'assistere tutti i soggetti a spese del loro Tesoro pubblico e stabilire solo un limite temporale per il completamento del trasferimento (anno 2013). Ma il ritmo vertiginoso della crisi obbliga ad accelerare l'assorbimento delle perdite di stato e a introdurre una penalità parziale per le banche. La Germania è consapevole che un salvataggio effettuato esclusivamente con fondi pubblici crea un orizzonte di collasso fiscale e chiede la partecipazione delle entità finanziarie nelle operazioni di salvataggio (con risorse proprie). La Francia si oppone a questa sanzione, adducendo il pericolo di de-capitalizzazione di queste istituzioni.  

Dopo tante scaramucce finalmente è stata raggiunta una nuova tregua e un accordo per finanziare il secondo pacchetto della Grecia. Questo programma presume un fragile impegno delle banche per elaborare alcune perdite (attraverso un prolungato cronogramma di scambi volontari di titoli), con un'ulteriore espansione del fondo statale di soccorso (EFSF). Con questo intervento si attueranno nuove operazioni destinate a rivalutare i titoli greci (riacquisto, garanzie, credito).  

Ma il vero problema non è risolto e il braccio di ferro su chi pagherà il pifferaio, è fatto principalmente dal ricatto pubblicizzato da parte delle banche tramite le agenzie di rating. Le controversie s'intendono tra i gruppi dei creditori tra i finanzieri più esposti (che accettano l'introduzione di una tassa generale per alleviare gli squilibri) e i meno colpiti (che rifiutano questo contributo). 

La crisi argentina non ha mai presentato un tale livello di dramma. Questa differenza viene presa in considerazione dagli analisti che ricordano lo shock del "corralito" e valutano la possibilità che possa ripetersi oggi. Al culmine della crisi del 2001, le banche argentine registrarono un massiccio ritiro dei fondi che il governo ha cercato di fermare confiscando i piccoli risparmiatori. Questa forma di espropriazione provocò un grande chiasso, ma non oltrepassò i confini nazionali.  

Il debito greco, a sua volta è strettamente legato al sistema finanziario europeo ed è espresso nella valuta di tutta la comunità. Per questo motivo una massiccia ondata di prelievi può avere un effetto immediato su tutto il continente. Le banche del Vecchio Continente non sono solo di fronte all'incubo del debito pubblico, ma si trovano ad affrontare gravi insolvenze aziendali. Questo pericolo non è stato dissipato dalle "prove di resistenza", una sorta si stress test condotto recentemente per simulare situazioni di fallimento. Questa situazione preoccupa molti esperti del Fondo Monetario Internazionale, che confrontano lo scenario attuale con il precedente argentino |5|.  

Lo sfondo del problema è che la crisi greca si svolge nel contesto del debito nazionale, critico in tutto il Primo Mondo. Le passività della Francia (81% del PIL), Germania (80%), Giappone (220%) e Stati Uniti (91%), impediscono di gestire il debito della periferia, con la stessa tranquillità con cui fu gestito il caso dell’Argentina. A quel tempo il debito era un braciere ardente per le economie dipendenti e ora è una bomba ad orologeria nel centro del capitalismo.



Il circolo vizioso dell'adeguamento 

Così com’è avvenuto con l'Argentina nel 2001, piovono insulti dei governanti di destra contro i greci. Presentano questa comunità come un conglomerato di fannulloni che ingannano le banche, sperperando grandi quantità di crediti ricevuti grazie alla buona volontà dei creditori. Questa stessa favola diffondevano i funzionari americani dell'amministrazione Bush, quando squalificavano gli argentini.

I media dominanti stanno conducendo questa campagna, diffondendo l'assurda convinzione che i Greci godessero di un invidiabile tenore di vita, a spese del nord Europa. Nulla avvalora questo mito, perché tutti gli indicatori sociali rispecchiano lo svantaggio della periferia della regione |6|. 

Con questa inversione della realtà, la propaganda reazionaria pretende di dimostrare che il debito greco costituisce un "aiuto della comunità internazionale" al partner andato fuori strada. La stessa cosa dicevano dieci anni fa del caso argentino. Coloro che finanziano la povertà, la disoccupazione, il deterioramento dei salari e la sopravvivenza finanziaria sono presentati come profittatori della carità globale.

Quest'abitudine maschera anche come i governi aiutano i capitalisti francesi e tedeschi, che per decenni hanno fatto enormi profitti con il surplus generato nel Sud Europa. Lo stesso tipo di profitti realizzavano le grandi imprese straniere che operavano in Argentina nel periodo di maggior riorganizzazione neoliberista. In primo luogo indebolirono l'industria nazionale, attraverso la liberalizzazione del commercio e in seguito si appropriarono di parti crescenti del mercato locale. 

La Grecia ha subito un degrado simile dopo l'adozione dell'euro e l'adesione all'Unione europea. Una fragile economia era in balia della travolgente competitività tedesca e del conseguente deficit commerciale finanziato con l'indebitamento |7|. 

In realtà, nessun paese della periferia europea poteva resistere alla schiacciante superiorità delle economie avanzate, che hanno approfittato della creazione di un mercato unico continentale per riaffermare la loro egemonia.

L'esplosione del debito privato, gli eccessi consumistici e bolle immobiliari che hanno colpito i membri più vulnerabili sono stati alimentati dai surplus industriali, che hanno scaricato le economie più potenti. La moneta comune ha facilitato soprattutto gli affari degli industriali tedeschi, questo settore sta attualmente promuovendo la permanenza della Grecia nell’euro e incoraggia anche una sorta di "Piano Marshall" per finanziare le importazioni future.
Se queste asimmetrie porteranno una frattura della zona euro, si ripeterà quello che è successo in Argentina (e le altre economie latino-americane), che ha sofferto in prima persona i tipici squilibri del rapporto centro-periferia. 

I neoliberisti omettono queste disuguaglianze quando richiedono maggiori sacrifici ai Greci. Essi sostengono che tali sofferenze consentiranno di "ripristinare la fiducia degli investitori" e reindirizzare l'economia. La Merkel ripete questo ogni giorno, senza dire quando si concluderà l'adeguamento. I suoi economisti prevedono solo che la Grecia verrà fuori ad un certo punto, se mantiene il corsetto dell'euro e accetta i sacrifici deflazionistici. 

Anche questa visione ricorda quello che è successo in Argentina. Dieci anni fa l'economia era strettamente legata ad un regime di convertibilità con il dollaro, che obbligava a deprimere le entrate per assicurare il pagamento del debito. Quando questo sistema scoppiò, gli ultra-liberali proposero di rafforzarlo attraverso la dollarizzazione completa (come in Ecuador e Panama). E' stata annullata la moneta nazionale, togliendo allo stato l'ultima istanza per contrastare l'adeguamento deflazionistico.  

I sostenitori di questa contrazione portavano avanti gli stessi argomenti che attualmente circolano in Grecia, per mantenere ad ogni costo la sottomissione all'euro. Essi sostenevano che la dollarizzazione assicurava l'affidabilità della moneta e il conseguente afflusso di capitali esteri necessari per rifinanziare il debito. Con il crollo della convertibilità questa fantasia è caduta nel dimenticatoio. 

E' evidente che la politica deflazionistica spinge qualsiasi paese nel baratro. Il PIL della Grecia è crollato dall'inizio della crisi e ha registrato un crollo ulteriore del 5,5% nel primo trimestre dell'anno. E' opportuno ricordare che la recessione argentina durò quattro anni e la produzione industriale è diminuita dell'11% sotto il peso dei tassi d’interesse esorbitanti che vanificavano ogni tentativo di ripresa.  

I neoliberisti adesso non possono presentare nessuno scenario credibile di uscita dalla crisi, poiché tutti i modelli sono in terapia intensiva. Nessuno ricorda le lodi profuse all’Argentina negli anni 90, ma sono molto fresche quelle al "modello irlandese". Quest'ultimo paese ha attraversato tutti i calvari che attualmente vengono promossi per la Grecia. 

In Irlanda è stata privatizzata dall'energia alle telecomunicazioni, sono state introdotte tutte le deregolamentazioni promosse dall'ortodossia economica e gli effetti finali sono evidenti: fallimenti bancari, salvataggi statali, deficit fiscale e una nuova sequenza perdite di posti di lavoro, riduzioni dei salari e incrementi delle imposte indirette |8|.  

Anche il Portogallo s'incammina verso lo stesso abisso, in quanto un governo conservatore cerca di soddisfare i banchieri, aumentando il livello degli attacchi sociali, ha ricevuto un salvataggio, si ritrova senza riserve e negozia le scadenze con la corda che finanzieri gli hanno messo al collo |9|. 

Un altro caso di estrema pressione deflazionistica si osserva in Lettonia, un'economia al di fuori del circuito dell'euro. Dallo scoppio della crisi nel 2009, la disoccupazione è salita al 23%, il PIL è sceso del 25%, i salari del settore pubblico sono stati ridotti del 30% e il 75% dei lavoratori ha subito tagli del reddito. In un clima di chiusura di scuole ed ospedali l'emigrazione si è intensificata |10|. Questi scenari non lasciano alcun dubbio circa la natura devastante che genera il circolo vizioso dell'adeguamento. 

L'inutilità del rifinanziamento del debito 


La politica deflazionistica è frequentemente contrapposta alla continuità del rifinanziamento. Si richiamano a sostegno del debitore nuove emissioni obbligazionarie, nella speranza di ridurre l'onere futuro del mutuo. Una variante di questo tipo è promossa dai sostenitori dell'esperienza latino-americana con un "Piano Brady europeo" di emissioni di titoli a 20 anni sotto la supervisione della BCE |11|.

Sebbene sembrano dare maggior attenzione ai debitori, queste iniziative avvallano le stesse richieste di privatizzazioni, tagli alla spesa sociale e alle pensioni. Lungi dal ridurre l'onere finanziario, questi programmi perpetuano il tributo della Grecia alle banche. 

E' sbagliato supporre che tale rifinanziamento sarà più digeribile, se si applica insieme a misure di regolamentazione finanziaria, controllo della speculazione o l'eliminazione dei paradisi fiscali. La Grecia non avrà alcun sollievo semplicemente riducendo i tassi d’interesse, se continuano i pagamenti ai creditori. Il debito è talmente monumentale che nemmeno con una continua crescita dell’8% annuo per 20 anni, riuscirebbe a diminuire la sua passività al livello dei criteri stabiliti dall'Unione Europea |12|.

L'esperienza argentina non lascia dubbi circa l'inutilità dei rifinanziamenti. Tutte le versioni sono state testate nel paese per mantenere a galla la nave della convertibilità, naufragarono nel 2001. Con l'estensione degli impegni di rimborso, queste "toppe" hanno solo posticipato la dichiarazione formale d’insolvenza. Questo stesso scenario tende a riapparire in Grecia |13|. 

Il rifinanziamento - che ponderano i keynesiani - non si contrappone alla deflazione, che postulano gli ortodossi. Sono due varianti dello stesso sostegno alle banche. Mentre la prima opzione mira a potenziare gli aiuti per evitare uno tsunami di fallimenti, la seconda si concentra sul degrado fiscale che genera questo salvataggio. Il governo americano ha dovuto affrontare lo stesso dilemma quando ha deciso di chiudere Lehman Brothers e ha fatto ricorso il giorno successivo al finanziamento illimitato d’istituzioni in fallimento. 

I politici socialdemocratici agiscono come i portavoce dei continui prestiti ai loro pari conservatori che alzano la voce contro la flessibilità di credito. Entrambe le posizioni si differenziano solo per la caratterizzazione del male minore per il capitalismo. 

Nei periodi di crisi acuta i socialdemocratici cercano scappatoie e cercano di mascherare il loro allineamento esplicito accanto alle banche e contro il popolo. Nella congiuntura europea questa maschera sta cadendo e i brutali attacchi contro i lavoratori vengono attuano senza anestesia. 


 

Tre insegnamenti 

Il default dell'Argentina si protrasse per oltre tre anni. Colpì i creditori privati, ma non gli organismi multilaterali (il FMI ottenne il rimborso anticipato di tutti i suoi prestiti). I negoziati con gli obbligazionisti furono effettuati in diversi round. Nel 2005 ebbe luogo uno scambio con tre opzioni di remissione tra il 50 e il 60% del valore originale. Una minoranza dei creditori ha accettato la proposta e fu convocata per un secondo scambio di titoli, terminato di recente.

L'importo totale del debito argentino si è ridotto significativamente rispetto alle esportazioni e al prodotto interno lordo (48% del PIL). Gli impegni furono rinviati e la metà del passivo è stato denominato in valuta nazionale (con una significativa parte delle obbligazioni all'interno del settore pubblico stesso) |14|. 

Ciò che è successo in Argentina indica che la sospensione dei pagamenti è fattibile e auspicabile per qualunque debitore spinto in uno stato di asfissia. La cessazione parziale degli esborsi ossigenò l'economia nazionale, durante il periodo critico di ripresa dopo il default. Questo rilievo ha permesso di negoziare in migliori condizioni finanziarie lo scambio del debito.

Il risultato di questa operazione sgonfiò come un palloncino, tutti gli incubi propagati dai banchieri per spaventare i debitori. Il paese non si è ritrovato "fuori dal mondo", non perse i mercati, né divenne un "paria della comunità internazionale". I beni del Paese all'estero non subirono confische. Tutte le cupe previsioni freneticamente agitate dai finanzieri sono state ridotte al nulla. 

Certamente il popolo argentino ha subito un terribile degrado del tenore di vita. Ma queste sofferenze sono state pre-default e causate dalle misure imposte dai banchieri. La sospensione dei pagamenti non ha aggiunto ulteriori sofferenze al bagno di sangue sociale di quel periodo. 

Molti economisti dell'establishment sostengono che il percorso "aggressivo", seguito dall’Argentina generò più avversità, rispetto alla strada "amichevole" percorsa da altre nazioni latinoamericane (Brasile, Uruguay e Giamaica) |15|.
Ma questa affermazione non è sostenuta da nessun dato. L’America Latina ha attraversato molte esperienze di moratoria e l'Argentina stessa ne ha vissute diverse (per esempio, tra il 1988 e 1992). Nessun dato suggerisce la veridicità di queste affermazioni. La negoziazione del default o l'imposizione di fatto, non riduce in se le restrizioni che sostiene il popolo. 

La storia economica contemporanea registra anche, un'innumerevole varietà di crisi di pagamento, con processi di negoziato altrettanto dolorosi. Anche casi molto ben documentati (come la Germania nel 1953 o l'Indonesia nel 1971) hanno richiesto importanti contropartite ai creditori. 

Nei dibattiti su questi avvenimenti si dovrebbero tener presente le tre grandi lezioni dell'Argentina per la Grecia. Quest'esperienza indicò in primo luogo l'indiscutibile esigenza di arginare l'emorragia del debitore, mediante una sospensione unilaterale dei pagamenti. Ha inoltre chiarito l'importanza di scegliere il momento più conveniente per questa rottura. 

L'Argentina dichiarò il default in modo involontario, quando il paese si ritrovò senza fondi. La Grecia potrebbe imitare quest'azione prima di perdere le sue risorse. Ha la possibilità di anticipare e agire mentre i creditori affrontano il pesante fardello dei titoli inesigibili, che si accumulano nei loro portafogli. Non dev'essere dato tempo ai finanzieri di trasformare quei titoli in obbligazioni estere. 

In secondo luogo, è indispensabile attuare immediatamente la verifica del debito. In Argentina si discusse molto di questa iniziativa, di fronte alle motivate accuse circa la natura fraudolenta della passività. Il debito si era gonfiato con impegni inesistenti che finanziarono la fuga di capitali, con una spirale d'interessi e con un grande assorbimento delle perdite private da parte dello stato. 

Queste comprovate irregolarità sono rimaste impunite. La lobby dei banchieri bloccò tutti i tentativi di indagine e paralizzò molti progetti parlamentari di riesame delle passività. Le conseguenze di quest'impunità emerse in tutti i successivi dibattiti sul debito. Su questo terreno, l'Argentina è rimasta molto indietro rispetto all'Ecuador, che ha istituito un Comitato di Controllo che ha contribuito a chiarire molte cose.

In Grecia vi è attualmente una possibilità di effettuare l'audit. Quest'azione permetterebbe di annullare la parte illegittima della passività e facilitare la creazione di un registro dei possessori di titoli. Questa identificazione sarebbe indispensabile per determinare i diritti di recupero. C'è già un'importante iniziativa per effettuare questa ricerca |16|. 

La terza lezione dell'Argentina è la necessità di nazionalizzare le banche e stabilire il pieno controllo sui movimenti di valute e di capitali. Tali misure dovrebbero essere adottate prima di sospendere il pagamento del debito (o modificare il tasso di cambio). La Grecia è in tempo per preservare con queste azioni le risorse del paese. 

Alcuni economisti ritengono indispensabile rompere immediatamente con l'euro. Ma il recupero della valuta nazionale richiede in primo luogo garantire le riserve, impedendo la frenetica fuga del denaro che accompagnerebbe qualunque svolta economica. Solo con l'intervento delle banche (e la loro nazionalizzazione successiva) e con un rigoroso controllo dei cambi sarebbe possibile contrastare le perdite di valuta, che circonda la ricerca di una nuova sovranità monetaria. 

In Argentina, queste misure non furono adottate e il risultato fu un crollo caotico di convertibilità in mezzo all'inflazione e all'impoverimento della popolazione. Invece di espropriare le banche vengono truffati i risparmiatori e si sperperano enormi quantità di fondi (pari a 12-14 punti del PIL) per salvare i finanzieri.

Non vi è dubbio che qualsiasi politica che si oppone ai creditori genererebbe costi e comporterebbe rischi. Nel caso greco è essenziale esaminare il modo in cui si risolverebbero le importazioni, come si garantirebbe la continuità del turismo e si preserverebbe l'attività marittima. Ma dobbiamo affrontare questa valutazione dei rischi senza dimenticare che il pagamento del debito prevede un orizzonte di sofferenze superiore.

Alcuni economisti non riescono a valutare le condizioni che sono necessarie per scegliere un diverso corso economico. Consigliano di svalutare e uscire dall'euro, senza menzionare la protezione delle riserve e la necessaria conversione delle banche in enti pubblici. Questo atteggiamento equivale ad una cura peggiore della malattia. Basta guardare quello che già avviene in paesi che attuano politiche capitaliste al di fuori della zona euro. L'Argentina è un buon riferimento per analizzare cosa si può fare e ciò che si deve evitare, per ricostruire l'economia greca. 



I sentieri del recupero 

Dopo aver toccato il fondo, l'economia argentina ha iniziato un processo di crescita sostenuto. Questa rimessa a galla si basa sull'espansione delle esportazioni e il restauro dei consumi interni.

Il divario sociale della domanda, l'elevata inflazione, la fuga continua di capitali e la persistente mancanza di investimenti ostacolano il recupero e sollevano seri interrogativi circa la sua consistenza. Ma non c'è dubbio che il post-default è caratterizzato da un ciclo di terapia intensiva, che porta molti economisti a presentare il paese come un modello da seguire per la periferia europea.  

In questo modello si tende a dimenticare che la ripresa dell'Argentina è dovuta a tre motivi specifici: il restauro del tasso di profitto, la ripresa delle esportazioni internazionali e una maggiore flessibilità per implementare politiche economiche espansive.

Il primo fattore determinante è apparso dopo il brutale aggiustamento generato dalla mega-svalutazione. Quest’operazione chirurgica ha epurato capitali, abbassato i salari e come spesso accade in certe congiunture del ciclo capitalista, ha facilitato la ristrutturazione del profitto.  

Questo recupero è stato assicurato dalla reazione del settore esterno. Un'economia parzialmente autonoma dai flussi internazionali di capitale ha potuto mantenere un certo distacco dai finanziamenti internazionali. Il quinto esportatore mondiale di alimenti ha goduto, anche, dei migliori prezzi internazionali degli ultimi decenni per le vendite di soia. 

L'Argentina si è trasformata in un fornitore preferenziale delle economie emergenti asiatiche, mentre ha moltiplicato i suoi scambi con il Brasile e diversificato il suo commercio. Gran parte degli enormi ricavi catturati dallo Stato negli ultimi anni sono stati utilizzati per rilanciare la domanda interna. In questo modo, è stato sostituito lo scarso investimento privato ed è stato testato uno schema neo-sviluppista che privilegia l'industria a scapito della valutazione finanziaria |17|. 

Se la Grecia segue il percorso di cessazione dei pagamenti, si ripeterà la stessa tendenza? E' evidente che l'economia mediterranea non ha risorse naturali, né il tipo di inserimento internazionale che ha permesso il recupero dell'Argentina. Ma nessuno immaginava una decina di anni fa, che l'economia meridionale sarebbe entrata in una fase di crescita dopo il default. Al contrario si è ipotizzato che questo episodio avrebbe portato ad un collasso apocalittico.  E' stato confermato che i capricci della congiuntura internazionale sono relativamente imprevedibili e non forniscono argomenti definitivi per optare per l'una o l'altra politica economica.

E' evidente che la Grecia è più collegata al corso generale dell'Europa, come l'Argentina al futuro dell'America Latina. La prima regione funziona come un motore autosufficiente e la seconda mantiene i suoi tradizionali legami con i principali centri dell'economia globale.

A causa di quest'alta connessione con i suoi partner europei, la Grecia ha bisogno di completare un'eventuale moratoria, con azioni regionali collettive. Il successo di una politica radicale richiederebbe misure comuni con i vicini della periferia europea. La battaglia contro i creditori avrebbe richiesto una stretta collaborazione con il Portogallo, l'Irlanda, l'Islanda ed altri paesi penalizzati dalle banche.

Nel corso degli ultimi dieci anni questo tipo di iniziative comuni sono state discusse in America Latina, valutando la proposta di formare un "'club di debitori". La proposta era quella di costruire un blocco dei paesi più colpiti al fine di piegare il potere dei finanzieri. Ma nel 2001 questa campagna ha perso slancio e regnava una grande dispersione delle nazioni colpite dal saccheggio del debito. L'attuale situazione europea è diversa da quel periodo in America Latina per l'alto grado di associazione comunitaria, che si verifica nel Vecchio Continente |18|. 

Un'altra importante differenza è la mancanza di un chiaro confine tra le situazioni di collasso nella periferia e la prosperità nel centro europeo. Le economie intermedie della Spagna o dell'Italia, per esempio, cominciano a soffrire la stessa minaccia di collasso fiscale, che colpisce la Grecia e l'Irlanda. Per questo motivo, il timore principale del momento è la possibile estensione della crisi a questi paesi. 

In questo contesto, la battaglia per associare i debitori presenta altre modalità. Ma queste caratteristiche possono svolgersi solo se un paese si erge contro i banchieri e propone la creazione di una rete di solidarietà. La Grecia incontra molte condizioni per guidare questo processo. 

Solo moratoria unilaterale aprirebbe la possibilità di negoziare con le banche, senza intaccare il livello di vita popolare. Per stabilire un limite rigoroso dei pagamenti, attuare politiche di investimento in ambito sociale e ricostruire il potere d'acquisto popolare, bisogna implementare misure più audaci rispetto a quelle adottate dall'Argentina un decennio fa. 

 

La stessa sollevazione 

La principale analogia tra la Grecia e l'Argentina si verifica sul terreno dell'insubordinazione popolare. Entrambi i paesi hanno una ricca storia di lotte sociali. La rivolta del dicembre 2001 è stata l'erede del "Cordobazo" (1969), dello sciopero generale (1975), degli scioperi contro l'inflazione (anni '80) e delle manifestazioni contro la disoccupazione (anni '90). Nelle battaglie intraprese dal popolo greco è presente l'eredità della guerra civile (1944-1949), la resistenza contro la dittatura (1973) e le azioni della gioventù (2008) |19|.

Dopo undici arresti e i
on la polizia e gli eccessi delle direzioni sindacali. Come dieci anni fa a Buenos Aires, i militanti di Atene organizzano campi, resistono alle espulsioni e organizzano assemblee popolari. La gioventù converge con i lavoratori, creando la stessa unione che ha avuto luogo in Sud America, i picchetti dei disoccupati con le pentole della classe media.

Anche gli slogan sono simili ("fuori i ladri") o le rivendicazioni ("non dobbiamo, non paghiamo, non vendiamo") e vi è lo stesso rifiuto della collusione tra i partiti al potere e l' opposizione conservatrice. 

Il risveglio popolare è emerso in Argentina quando sono crollate le illusioni neoliberiste, che prevedevano un imminente "ingresso nel Primo Mondo". La stessa rabbia scoppiata tra i greci, quando si dissiparono le aspettative create dall'integrazione nell'Unione europea. Tutti gli osservatori concordano sul fatto che la crisi ha travolto completamente la sfera finanziaria e si sta diffondendo nelle strade |20|.

Dieci anni fa, la ribellione argentina rallentò le misure di adeguamento, interruppe il programma deflazionistico e bloccò la dollarizzazione. Costrinse anche ad implementare un progetto politico che unisse il restauro del potere dei governanti con concessioni democratiche e sociali. La rivolta confermò l'utilità della lotta per invertire i rapporti di forze, fornendo legittimità ai movimenti sociali e legalizzando gli scioperi. Ha permesso di fermare la brutale repressione (che persiste in Colombia e in Messico) e controbilanciò la rassegnazione dei movimenti sociali (osservati in Uruguay o in Brasile).  

La ribellione argentina è rimasta a metà strada. Non ha espulso i politici corrotti, né sradicato la zavorra del bipartitismo. Non ha impedito l'arricchimento dei capitalisti stessi che avevano approfittato della convertibilità. Ma condizionò l'intera politica estera e influenzato una gestione del debito, che ha limitato l'appetito dei creditori. E' importante considerare questi risultati al momento di effettuare confronti internazionali |21|.

 
La battaglia popolare combattuta attualmente in Grecia ha un carattere più continentale. La ribellione Argentina fu parte di un ciclo sudamericano di lotte, ma non esplose allo stesso tempo degli sconvolgimenti in Venezuela, Ecuador e Bolivia. Le mobilitazioni greche coincidono al contrario con la crisi generale del Vecchio Continente, che tende a provocare reazioni simultanee in vari punti della regione.

Queste risposte cominciano a rompere l'isolamento della resistenza nazionale e consentono di superare il disorientamento che regnava all'inizio della recessione. La generalizzazione dell'azione popolare è il miglior antidoto alla passività alimentata dalla social-democrazia ed contro le campagne anti-razziste che promuove la destra.  

La recente protesta degli indignati spagnoli può essere un punto di svolta in questa direzione. Il movimento diventa più massiccio come le sue rivendicazioni politiche ("democrazia reale") ed economiche (terminare il salvataggio delle banche) e conquista maggiore legittimità e sostegno |22|.

La presenza dominante dei giovani in questi movimenti - e l'uso innovativo delle reti sociali come strumento di contro-informazione incoraggia il contagio continentale. Questa generalizzazione può ripetere l'effetto domino, che caratterizza le rivolte del mondo arabo.

La scintilla della giovinezza riscalda anche le energie dei lavoratori sia nei paesi che mantengono un alto livello di mobilitazione sociale (Francia), che nei paesi che hanno subito un declino prolungato (Gran Bretagna). Se la fiducia nella resistenza riappare si potrà considerare il modo di generalizzare la lotta contro i creditori che hanno già avviato alcuni paesi come l'Islanda.  

In sintesi, la fiamma accesa dai Greci si estende in Europa e sarà questo impatto che stabilirà chi pagherà le conseguenze della crisi. Questo processo è seguito con grande attenzione in America Latina. Pochissime notizie sono attese con tanta speranza, come una vittoria popolare in Europa. 

Tutte le foto di questa pagina: il sollevamento del 19 e 20 dicembre 2001 a Buenos Aires che ha portato alle dimissioni e alla fuga in elicottero del presidente Fernando de la Rua. 

Note
|1| Una descrizione dettagliata di questa congiuntura in Economistas de Izquierda , « Propuestas socialistas para superar la crisis nacional » luglio 2002, Ediciones Herramienta. EEconomistas de Izquierda, “Propuestas de reconstrucción popular de la economía”, novembre 2002.

|2| Blejer Mario, “Una quita mayor que la Argentina”, La Nación, 10-7-2011.
 

|3| Questa asimmetria è rafforzata dagli economisti dell'establishment argentino Martin Redrado, Prat Gay Alfonso, Marx Daniel, “Lo que Grecia puede aprender de Argentina, La Nación, 6-7-2011.
 

|4| Un'analisi in: Eric Toussaint, ¿Se está resquebrajando la UE? Inoltre Eric Toussaint, Ocho propuestas para otra Europa”www.cadtm.org, aprile 2011.
 

|5| Vedere Jorge Oviedo,“En el caso griego la solución argentina sería una catástrofe”, La Nación, 24-6-2011. "Il default argentino, al centro di un dibattito con Krugman," The Nation, 24-6, 2011.“El default argentino, eje de un debate con Krugman”, La Nación, 24-6-2011. Anche Machinea José Luis, “Actuar antes que sea tarde”, La Nación, 20-7-2011.
 

|6| Un rilevante confronto presenta Vicenc Navarro, “Qué pasa en Irlanda y los otros PIGS”, Revista Digital Sistema, 26-11-2010.
 

|7| Lapavitsas Constantinos, “Grecia se parece cada vez más a la Argentina”, www.socialismo-o-barbarie.org, 1-7-2011, “Callejón sin salida”, Página 12, 12-6-2011.
 

|8| Il modello irlandese è stato inoltre rivendicato in Argentina negli anni '90. Vedi critica di  Ruben Telechea critica “Imitemos el milagro irlandés”, Pagina12, 10-1-2001.
 

|9| Un'analisi in: Bloco de Izquierda, “Sobre a crise e os meios da a vencer”, 23 maio 2010.
 

|10| Vedere Michele Hudson, “Huelgas contra un golpe de estado financiero”, Sin Permiso, 10-10-2010.
 

|11| Jacques Attali, “La solución es un tesoro europeo”, Clarín, 17-12-201. Roubini Nouriel, Mihm Stephen, “Los rescates no impedirán cuatro defaults europeos”, La Nación, 29-5-2011.



|12| Le proposte di rifinanziamento in: Nair Sami, “Para Onde vai a Europa”, El País 16-12-11 y Paul Krugman, “El fantasma de Argentina en la crisis europea”, La Nación, 13-1-2011. Il calcolo della gravità dell'indebitamento in: Vidal Folch Xavier, “Los mitos se derrumban”, El País, 22-7-2011.
 

|13| Un'analogia in: Rapaport Mario, “Grecia en el espejo argentino”, Página 12, 30-5-2010.
 

|14| Lucita Eduardo, “Ciclos de acumulación y dinámica de la deuda”, Seminario CADTM AYNA- Propuestas soberanas y alternativas sociales frente a la deuda”, Buenos Aires, 16- 17-9- 2010.


|15| Davis Bob, “Las lecciones que Europa puede aprender de América Latina”, La Nación, 6-12-10.
 
|16| Vedere: Yorgos Mitralias, Revolte populaire de massa in Grecia, www.cadtm.org

|17| Katz Claudio, “Los nuevos desequilibrios de la economía argentina”, Anuario EDI, n 5, septiembre 2010. Abbiamo stabilito un primo confronto con il caso greco in:  Katz Claudio,“Grecia 2010, Argentina 2001”, 21-10-2010, www.combate.info.

|18| Questo contesto è sottolineato da Mark Weisbrot,“Euro, el fin de un sueño”, Página 12,
 

|19| Kuvelakis Statis “La caldera griega”, www.vientosur.info/ 22-6-2011
 

|20| Rodrik Dani, “La duda es si Grecia evitará la senda argentina”, La Nación, 19-6-2011, Garton Ash Timothy, “La claves es Alemania”, El País, 20-6-2011. Friedman Thomas, “El choque de generaciones” La Nación, 18-7-2011.

|21| Katz Claudio,-“De la rebelión popular al nacimiento de la nueva izquierda”, Tercer Foro Nacional de Educación para el Cambio Social, Buenos Aires, 3 de junio 2011.

|22| Antentas Josep María, Vivas Esther, Indignación masiva, alainet.org/active, 20-6-2011. 

Fonte: Lecciones de Argentina para Grecia


Traduzione per TLAXCALA di Alba Canelli

2 commenti:

  1. L' eliminazione dei partiti può avvenire in due fasi.
    Siccome il popolo al massimo può fare solo qualche sciopero o sommossa ribellandosi , è necessario che prendano in mano la riforma tutti i militari democratici, altrimenti un partito unico, come col fascimo,finirà per prendere in mano la situazione e il potere politico,dando l'illusione al popolo che ci sia ancora una traccia di democrazia .

    Prima fase :
    -eliminazione dei partiti e sganciamento progressivo dai poteri forti.
    seconda fase:
    - votazioni ed elezioni dei naturali rappresentanti del popolo, con un capo di governo (7 anni ) non eletto dai partiti,ma dai grandi elettori,sindaci o potesà

    RispondiElimina
  2. Giù le mani dalle case degli Italiani!

    http://sauraplesio.blogspot.com/2011/10/giu-le-mani-dalle-case-degli-italiani.html

    RispondiElimina

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