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"LA TERRA CI NUTRE LA TECNOLOGIA CI GUIDA: COLTIVIAMO INSIEME IL FUTURO"
20 ottobre 2011
IL SEMPITERNO SPETTACOLO DELLA VIOLENZA ATTO II - I giovani e…un vecchio -
Vorrei consigliare caldamente la lettura di un breve quanto ottimo e interessante libro – inchiesta del giornalista e documentarista Franco Fracassi sugli interrogativi relativi alle violenze e agli scontri del G8 genovese di dieci anni fa. Unico nel suo genere, “G8 gate – 10 anni di inchiesta del G8 di Genova” (Alphine Studio, 2011) ha affrontato direttamente la questione del Black Bloc e dei loro manovratori, senza limitarsi ad angusta visione provinciale e attinente alla sola ed esclusiva politica italiana, ma, al contrario, adottando una prospettiva più ampia, internazionale e globale.
Di HS
Secondo Fracassi, in quelle torrenti giornate di luglio era in gioco il futuro del pianeta e si opponevano due visioni opposte e quasi inconciliabili sulla globalizzazione e i suoi risvolti. Da un lato coloro che, dietro il potere e l’influenza dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e della Federal Reserve, stavano imponendo la globalizzazione neoliberista dei cosiddetti “mercati” con incalcolabili danni dal punto di vista economico, politico, culturale e ambientale, dall’altro la variegata schiera di organizzazioni ed associazioni, etichettate forse frettolosamente come “no global”, che cercavano di avanzare le ragioni di “un altro mondo possibile”.
Multinazionali, corporations, fondazioni, centri di potere finanziario e vari governi occidentali avrebbero appoggiato e sostenuto le azioni vandaliche del “blocco nero” per screditare e determinare la dissoluzione del Movimento e, a conti fatti, quell’obiettivo è stato pienamente raggiunto, perché sarà proprio a partire dal G8 genovese – e passando per l’11 settembre – che i “no global” o “alterglobalisti” andranno incontro a un declino lento ed inesorabile.
Fatte le debite differenze, la lettura del testo di Fracassi può aiutare a comprendere quel che è successo recentemente a Roma, a capire perché il Black Bloc nostrano è stato lasciato libero di agire sotto i riflettori delle televisioni di mezzo mondo. E si dovrà trovare una risposta sul perché le forze dell’ordine non hanno potuto o voluto contenere le “orde nere” con la necessaria efficacia e non sono riuscite a prevenire scontri, violenze e devastazioni.
Semplice inefficienza ? Mancanza di mezzi e strumenti adeguati alle situazione di guerriglia e disordine urbano ? Oppure ordini dall’alto di “lasciar fare” ?
Soprattutto come mai – ci si dovrà chiedere – fra tutte le manifestazioni degli Indignati che si sono svolte in tutto il mondo, solo a Roma si è creata una situazione di tale genere. Sicuramente ciò serve a fornire un altro po’ di ossigeno a un governo imbelle tanto quanto esangue. Già il Ministro degli Interni Maroni – che, pure, in qualità di massimo responsabile della sicurezza e dell’ordine pubblico, oltretutto assente dalla capitale, una qualche responsabilità deve pure averla – si affretta ad enunciare al Parlamento il nuovo pacchetto di misure che renderebbe praticamente impossibile organizzare e svolgere cortei e manifestazioni. Si rievocano i fasti della legge Reale – con tutti i dolorosi strascichi che ha avuto – mentre la proposta della fideiussione agli organizzatori delle manifestazioni per coprire gli eventuali danni arrecati è semplicemente ed incredibilmente incostituzionale, venendo a ledere il principio sacrosanto di poter esprimere le proprie idee ed opinioni politiche.
In questo modo il Comitato 15 ottobre si sarebbe dovuto accollare i costi dei danni provocati dai casseurs militarizzati del Black Bloc che, fra l’altro, hanno contribuito ad annientare il vasto corteo e a ferire in maniera piuttosto seria alcuni manifestanti. L’approccio che assimila manifestazioni dal contenuto politico e sociale alle modalità espressive degli ultras che popolano gli stadi la dice poi lunga sulla sensibilità in materia di chi ci (s)governa.
Insomma il solito bel modo di far tacere le autentiche opposizioni del paese applicando la solita ricetta securitaria della “tolleranza zero” che è sempre utile rispolverare quando non si sa o non si vuole affrontare la Crisi se non scaricandone i costi sui soliti settori della società.
Quanto più aumenta la povertà e l’indigenza, quanto più si allarga il divario economico fra le fasce più ricche della popolazione e le altre, quanto più si diffondono nella cittadinanza umori non proprio favorevoli al ceto politico e alle classi dirigenti dei vari settori di attività, tanto più si ricorre alla politica poliziesca e repressiva. A Roma, il 15 ottobre, è finita come è finita, ma nessuno potrà mai sapere cosa sarebbe successo se a piazza San Giovanni si fosse riversata la massa pacifica dei manifestanti.
Quale effetto avrebbe avuto sul pubblico la visione di un oceano in movimento che lancia parole d’ordine contro questo sistema finanziario ed economico e questo mondo politico occupati da cleptocrati e speculatori che si fanno scudo con i (dis)valori del libero mercato. Invece da oggi in poi non solo i manifestanti saranno guardati con sospetto dal “cittadino medio” – che peraltro non brilla per ragionamento politico – ma dovranno convivere con il timore che il proprio vicino possa fermarsi, indossare una felpa nera e gettarsi in una vigorosa e scientifica opera di demolizione. Indubbiamente ciò non incoraggia le persone a partecipare, a impegnarsi e ad esporre le proprie e spesso sacrosante ragioni.
Il corteo è stato spezzato e piazza San Giovanni è stata teatro di altre scene peraltro annunciate sulla “rete”. Cui prodest ? In tutta onestà bisogna ammettere che hanno vinto questa battaglia infliggendo un colpo durissimo alle ragioni degli Indignati italiani. Oggi è successo in Italia, ma domani potrebbe accadere facilmente altrove, perché il Black Bloc opera come una sorta di unità mobile… In un certo senso – mi si consenta l’espressione – si tratti di una guerra combattuta con le armi postmoderne… Una guerra che i poteri economici, finanziari e politici egemoni dichiarano sempre ai movimenti protestatari e contestatori. Una guerra psicologica in cui la posta in palio è la conquista del cuore e delle menti degli individui o, quantomeno, dal punto di vista del Potere, del non dissenso, della rassegnazione e dell’apatia politica.
Una guerra che impiega ogni media e mezzo di comunicazione di massa – dalla televisione ad Internet passando per la stampa – e si manifesta con i bombardamenti di immagini. La violenza visiva – oltre che attrarre “esteticamente – è pagante per il Potere. Mi permetterei di muovere un appunto fondamentale agli Indignati di oggi, una critica che li accomuna ai “no global” di ieri. Non hanno ancora ben compreso che quella guerra psicologica e mediatica di cui parlavo poc’anzi è già in atto e, se ti dichiarano guerra devi essere pronto a combatterla con le stesse armi. Bisogna abbandonare l’abituale ingenuità così come la convinzione che manifestare ed esprimere la propria opinione sia sufficiente, perché le cose stanno in tutt’altro modo.
Il numero e la forza delle proprie ragioni non basta, così come la convinzione che ci sia qualcuno dall’altra parte disposto ad ascoltare. Se non si prende atto di questa semplice realtà questo movimento – come gli altri nel passato – i condannerà in fretta all’estinzione. La posta in palio è l’egemonia culturale che da tempo immemore ha preso la forma delle formule lanciate a loro tempo dal Presidente USA repubblicano ed ex attore hollywoodiano Ronald Reagan (“il tenore di vita del popolo americano non è negoziabile) e del ministro conservatore britannico Margaret Thatcher (“non c’è alternativa (al neoliberismo)”).
La guerra per la conquista delle coscienze – che coinvolge sia la ragione che le emozioni – psicologica, culturale, mediatica e “spettacolare” è certamente impari perché dall’altra parte il grande capitale e la grande finanza dispone delle televisioni, della stampa di opinioni e di molti altri strumenti di “persuasione”, ma questa non è una buona ragione per non impegnarsi e non prendere atto della situazione. Per rilanciare la piattaforma che valorizzi autenticamente la dimensione del “pubblico” e del “collettivo”, ribaltando il paradigma neoliberista dominante, c’è veramente bisogno di esperti nelle tecniche della comunicazione…
Mi sia permesso di spendere ancora qualche parola sui protagonisti – ovviamente virtuali e mediatici – della giornata romana, ossia il cosiddetto Black Bloc e coloro che si sono lasciati trascinare dalla solerti api operaie della devastazione. Già si è detto che è inutile applicare e adoperare le categorie politico ideologiche per definire il “blockers” o vetuste categorie del passato. Siano estremisti “rossi”, “neri” o “verdi”, anarcoinsurrezionalisti, naziskin, ecologisti radicali, frequentatori oltranzisti di centri sociali, militanti dell’Autonomia, casseurs, squatters, punkabbestia, hooligans, ultrà da stadio, appassionati di rave party, semplici cani sciolti, componenti di bande giovanili o teppisti – tanto per completare il panorama -, i “blockers” e le loro modalità di formazione e di organizzazioni dovrebbero essere analizzate soprattutto dal punto di vista antropologico, culturale e anche psicologico. Innanzitutto ciò che apparenta questi soggetti è l’anagrafe, poiché la stragrande maggioranza dei “blockers” è composta da giovani e giovanissimi.
Nulla di cui stupirsi, la giovinezza è fase della vita in cui si manifestano le grandi pulsioni e passioni e, per questo motivo, la società ha sempre guardato con timore e sospetto a certe intemperanze giovanili ed è sempre esistita una letteratura dai connotati più o meno sociologici sui problemi legati a questa fase del ciclo di vita. I “blockers” sono figli dell’età della Crisi, l’era della precarietà e dell’incertezza che rendono ardua qualsiasi prospettiva di un futuro. Sono, però anche figli di una cultura del piacere e del desiderio generata dalla società edonista dei consumi e del benessere e di una cultura della visibilità e dell’esibizione tipica di quella società dello spettacolo che, non di rado, cede alle lusinghe di un’”estetica” del cattivo gusto che ammanta il mercato delle emozioni di violenza, teppismo e orrore. Inoltre la giovane generazione del Black Bloc è la prima che si forma e socializza tramite le nuove tecnologie comunicative e multimediali (Internet, IPod, MP3, cellulari, ecc…) incentrate sull’interattività, quindi sul coinvolgimento diretto del consumatore – fruitore.
I nuovi media – che forse non a caso si impongono e sviluppano assieme ai realities e ai talent show televisivi – creano l’illusione di sentirsi protagonisti alimentando un individualismo narcisista e quasi “autistico”. Se nel passato ancora molto prossimo lo spettatore si doveva accontentare di un ruolo passivo, adesso, apparentemente ognuno può essere protagonista scaricando filmini e foto su Youtube. Siamo dalle parti dell’illusione della democrazia mediatica… Come giudicare, altrimenti, i ragazzi che, fieri delle proprie gesta, si filmano e fotografano con i loro nuovissimi cellulari di ultima generazione davanti a qualche carcassa di camionetta dei carabinieri ? A ciò si aggiunga la dissoluzione e la frammentazione di codici e linguaggi che impediscono una formulazione realmente politica.
Si scambia per “rivoluzione” e per “insurrezione” un contesto da guerriglia che, comunque, coinvolge minoranze equivoche. Lo slogan “Non chiediamo futuro perché ci prendiamo il presente” – che riecheggia peraltro il “no future” del Movimento del Settantasette – denota questa mancanza di reale prospettiva politica, perché all’elisione del futuro corrisponde una concezione del tempo presente piuttosto effimera, la frazione di un mero secondo… Dietro il preteso “insurrezionalismo” dei giovani “blockers” l’impressione neanche tanto vaga del Nulla. La distruzione per la distruzione… Sono la frustrazione, la rabbia, ma anche la scintilla del piacere e del desiderio a spingere questi ragazzi a rompere vetrine, bruciare macchine, devastare i simboli del neocapitalismo e del potere finanziario, a scontrarsi con gli “sbirri”, a filmare e scaricare il risultato delle proprie gesta vandaliche, a rubare e saccheggiare i beni di lusso e voluttuari, ecc… Fateci caso che, si tratti di Los Angeles, Parigi o Londra, queste esplosioni di violenza e vandalismo giovanile hanno sempre esiti controproducenti.
In questo contesto l’invenzione del Black Bloc costituisce un’ingegnosa trovata che offre, paradossalmente, a giovani tendenzialmente individualisti ed egocentrici – come tutti del resto ! – una disciplina e l’opportunità di apprendere l’arte della demolizione in maniera scientifica e pianificata. Sembra una contraddizione, invece il “blocco nero” struttura e organizza militarmente i ragazzi “anarcoidi” e insofferenti alle regole, inoltre cementa nei gruppi di affinità un certo spirito di corpo e collettivo, incoraggiando la relazione e la collaborazione, beninteso sempre finalizzata alla sistematica opera vandalica. Colpisce l’efficienza di questa struttura mobile che si divide per nuclei di pochi “soldati” suddivisi a loro volta in base alla specializzazione allo scopo di aggredire gli spazi “a sciami”.
Un problema da non sottovalutare perché, consapevolmente o inconsapevolmente strumentalizzati, i giovani e giovanissimi “blockers” vanno a formare una massa di manovra “naturalmente” disposta al vandalismo, allo scontro e alla violenza da utilizzare per raffinate operazioni di provocazione. Forse il tempo dei “classici” infiltrati e provocatori è finito ed occorre guardare direttamente in alto…
Preme ancora una volta parlarvi – ma poco poco – del declinante Berlusconi, già tycoon di successo, venditore e showman senza pari, proprietario e quasi monopolista di canali televisivi, della maggiore casa editrice del paese, della principale società di distribuzione e produzione cinematografica, di una squadra di calcio blasonata e ammirata in tutto il mondo, ecc… Il Cavalier Berlusconi ancora ammirato da una parte di giovani e giovanissimi e, magari, sotto sotto, da qualche imberbe “blocker”. Qualcuno fra voi ricorda ancora l’inquietante e perturbante finale del “Caimano” di Nanni Moretti, finale che vale l’intero film e nel quale un “Berlusconi” interpretato dallo stesso Moretti, condannato da una sentenza comminata in un regolare processo, incita e persuade la folla ad attaccare con bottiglie molotov e sassi i magistrati perché hanno osato colpire chi personifica la volontà popolare ?
Il buon regista romano aveva fatto centro ! Dagli atti dell’inchiesta del Tribunale di Pescara sui fondi al giornale “Avanti” diretto da Valter Lavitola risulta una conversazione telefonica fra il direttore del giornale “socialista” e l’eterno Presidente del Consiglio il quale si sfoga a causa delle vicissitudini giudiziarie causate dalla solita magistratura milanese “di sinistra” appoggiata dalla solita stampa “giustizialista” di “Repubblica”. Certamente un’esternazione istintiva, ma poco consona a chi ricopre un determinato incarico, e preoccupante quando Berlusconi vede come unica possibilità di uscita una “rivoluzione” con tanto di assedio al Palazzo di Giustizia di Milano e alla sede di “Repubblica”.
Il dialogo telefonico dimostra una volta di più che il paese è fossilizzato sul confronto e scontro fra i grandi colossi editoriali, dell’informazione, dei media e dello spettacolo controllati da Silvio Berlusconi e da Carlo De Benedetti – con la “confindustriale” RCS – “Corriere della Sera”, in mezzo, a guardare… - ma anche come la mentalità del Cavaliere non si discosta mica tantissimo da quella di un “blocker”. Ancora una volta il riferimento ad un’ipotetica “rivoluzione” è fuori misura, spropositato e senza alcun aggancio con la realtà. E’ usuale utilizzare la parola “ragazzate” in riferimento a bravate che sono tipiche dell’età giovanile, quando si possiedono pulsioni ed energie per tenere certe condotte. Quando si cresce e si diventa vecchi ci si deve accontentare dell’aggressività verbale e della volgarità.
Il panorama attuale della politica è desolante soprattutto a partire dalle forze che sostengono la maggioranza di governo. Guardando a un certo passato viene da chiedersi se tipetti come il berlusconiano ex comunista (e craxiano di ferro) Giuliano Ferrara o il berlusconiano ex fascista Ignazio La Russa fossero nati a partire dagli anni Ottanta non si sarebbero trovati a loro agio nel Black Bloc. Per tacere naturalmente di Umberto Bossi…
Ai vertici di questa curiosa congrega, con la sua volontà di demolire e distruggere financo le fondamenta istituzionali, Berlusconi appare un maestro del Black Bloc. Pretende che milioni lo seguano per attaccare il Palazzo di Giustizia di Milano e la sede di “Repubblica”, ma chi mai sarebbe disponibile, nel suo elettorato, a mettersi sulle barricate ? Le casalinghe che seguono le soap opera su Retequattro ? I commercianti o i piccoli industriali che si sentono oppressi dal fisco ? Le escort, le veline o i giovani fighetti ?
No, la manodopera si recupera altrove…
Meditate gente, meditate…
FINE
HS
PS: vorrei concludere questa mia riflessione ribadendo che non è certamente mia intenzione denigrare o criminalizzare i giovani che, comunque, sono i primi a pagare il prezzo di una Crisi pilotata da chi detiene i cordoni delle Borse. Inoltre sono consapevole che le modalità espressive e di impegno giovanile sono variegate e non possono essere liquidate in poche righe o poche pagine. Il problema rimane quello di convogliare energie positive verso finalità concrete e misurabili.
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