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"LA TERRA CI NUTRE LA TECNOLOGIA CI GUIDA: COLTIVIAMO INSIEME IL FUTURO"
1 aprile 2010
IL FONDO MONETARIO EUROPEO E L'APPROFONDIMENTO DELLA "REGIONALIZZAZIONE"
di Oscar Ugarteche
Per coloro che hanno creduto che il FMI era stato salvato dal suo declino iniziato un decade fa, a inizio di marzo, esattamente a un anno dalle promesse del G20 di Londra di rafforzarlo, i paesi europei stanno pensando di organizzare il proprio fondo di stabilizzazione monetaria.
Ci sono due parti nella notizia del lancio di un fondo monetario europeo. La prima è che per l’Europa continentale avere il FMI che impone politiche di aggiustamento è visto come un intervento diretto del Tesoro degli Stati Uniti, nonostante il loro essere membri e votanti importanti di questa istituzione.
Questa è la miglior esempio di quello che l’Europa pensa di tale istituzione. La seconda parte, più positiva, è che la tendenza iniziata con la crisi asiatica ha portato alla creazione di quello che è oggi un accordo multilaterale di sostegno alla bilancia di pagamenti di Chiang Mai passa adesso all’Europa. Il fondo asiatico è di 120.000 milioni di dollari americani. La proposta europea sbozzata ha come pretesto che il FMI non ha modo di sostenere la zona euro. Questo ha a sua volta varie letture: una è che i montanti richiesti sono tanto vasti che non potrebbero aiutare- e dovresti entrare al Tesoro degli Stati Uniti direttamente come in Messico nel 1994. L’altro è che le politiche il Fondo raccomando e che l’Europa sostiene contro il resto del mondo non sono atti per l’Europa. Questo dimostrerebbe una volta ancora la doppia faccia del FMI e dei suoi membri.
C’è già stato un fondo monetario europeo per il controllo comune delle riserve, tra il 1979 e il 1999, quando si creò la BCE. Quello che ha messo in discussione alla zona Euro con la crisi della Grecia- alla quale mancano l’Irlanda, l’Italia e la Spagna- dentro della zona Euro, è stata la rottura delle mete pattuite a Maastricht quando si è creato l’euro. Gli accordi basici sono stati a un limite del tasso d’inflazione annuale dell' 1,5% dell’anno precedente; deficit fiscali di non oltre il 3% o convergendo verso quella cifra; debito pubblico di non oltre il 60% del PIL; i tassi d’interesse non al di sopra di quelli esistenti nelle economie di minore inflazione; e i tassi di cambio al momento dell’ingresso non avrebbero dovuto essere soggetti a svalutazione unilaterale contro altre moneta del paniere.
Il problema è che i patti dell’unione monetaria si sono rotti e per esempio il deficit fiscale di alcuni membri è intorno al 12.5% del PIL. La Gran Bretagna non è della zona euro ma comunque ruota intorno al 12.5% e gli Stati Uniti lo sorpassano. Un secondo problema è che il debito pubblico ha superato la soglia del 100% del PIB per molte economie dell’Euro. Da lì il suo battessimo come paese riccho altamente indebitato (PRAE).
Il resto dell’Europa non è così disallineato come le economie menzionate ma sono fuori dei limiti pattuiti e sono economie altamente indebitate che se si utilizzassero i criteri di Fitch o Standard&Poor’s per qualificare un paese, sarebbero probabilmente BB. Ciò che è notevole è che con riserve internazionali di pochi giorni vengano prese in considerazione nel mercato internazionale. La norma è di avere 180 giorni d’importazioni in riserve internazionali. In Europa, l’Italia ha due mesi e mezzo ed è quello meglio posizionato in questo ranking.
La questione esposta è che loro emettono i loro strumenti di debito pubblico nella zona dell’euro. L' argomento contro è che forse ci sono banche centrali extra europee che conservano il 25% delle loro riserve in questi strumenti e che se qualcosa va storto questo pone in questione non la Grecia ma alla Banca Centrale Europea che non ha riserve per pagare all’estero. La replica è che siccome pagherebbero in Euro emessi da loro non ci sarebbero problemi.
Ma in ultima istanza tutti sappiamo di cosa stiamo parlando quando si parla di crisi delle finanze pubbliche. Emettere moneta senza sostenere la produzione causerà inflazione e questa è la debolezza principale del dollaro statunitense. In America Latina conosciamo questo molto bene ed abbiamo la memoria fresca, anche se dicono negli USA ed in Europa che non ha nulla a che vedere la cosa con l’altra.
Con il panorama descritto, l’Europa emittente di euro- con o senza riserve internazionali importanti- ha problemi che dureranno almeno un altro anno e peggio ancora, deve salvare all’Euro ad ogni costo perché essendo il 25% delle riserve mondiali, non ci si può permettere il lusso di farlo cadere, anche se gli Stati Uniti ed alcuni economisti statunitensi sognano questo. Al contrario, la regionalizzazione è la strada per rafforzare il fondo monetario europeo nella sua versione dura e nella in versione sportello della BCE.
L’accordo multilaterale di sostegno alla bilancia dei pagamenti dell’ASEAN permette ai “partecipanti di cambiare le loro rispettive divise con i dollari statunitensi per una quantità equivalente al contributo dei partecipanti al fondo comune moltiplicato per il moltiplicatore della capacità di acquisto rispettivo conforme all’accordo”. Il fondo è la somma di sportelli nazionali delle banche centrali essendo un'aggregato un fondo monetario asiatico, ai fini del caso.
Il primo antecedente del fondo monetario europeo e del fondo monetario internazionale è stato il fondo di stabilizzazione economica tra gli USA-Gran Bretagna e la Francia nel 1935 che iniziò ad operare nel 1936. Il fondo è registrato nelle finanziarie nazionali come una categoria. Quando è stato istituito questo fondo di stabilizzazione si è deciso un riferimento monetario stabile che fu l’oro ad un prezzo in dollari- In seguito fu la libra quella che aveva gravi problemi di cambio ed essendo la Gran Bretagna l’economia dominante nel commercio e nelle finanze internazionale, se cadeva, colpiva l’economia internazionale nel suo insieme.
Questa volta la questione è come si relazionerà il dollaro come l'economia con la più grande deficit esterno sono gli Stati Uniti che trasformano paradossalmente in questo scenario, il dollaro in moneta debole. Peggio, essendosi svalutato contro la maggior parte delle monete del mondo tra il 2000 e il 2010, gli resta la svalutazione di fronte allo yuan, cosa che sta cercando di fare attivamente e che è motivo di conflitto con la Cina che preferisce mantenere il suo tasso di scambio stabile di fronte alla divisa storica. Inutile dire che i 18 giorni di riserve internazionali che hanno gli USA non contano perché è l’emittente della divisa, ma si può contro argomentare che la divisa per continuare ad esserlo deve essere una divisa di valore stabile cosa che il dollaro ha smesso di essere ormai da tre decenni. Il riflesso di questo si vede nel prezzo dell'oro.
C’è chi parla di paradosso della debolezza del dollaro che quando c’è crisi nelle borse “il denaro” esce correndo verso il dollaro e lo fortificano. Questa è un’interpretazione sbagliata di come funzionano i mercati quando ci sono dieci grandi banche d’investimento che dominano il mercato internazionale di capitali, e che fanno rientrare i suoi investimenti all’estero a casa, a New York, quando c’è instabilità forte nei mercati internazionali. In alcuni casi loro stessi creano instabilità, come ha segnalato Angela Merkel rispetto all’attacco contro l’Euro [IV].
Oscar Ugarteche, economista peruviano, lavora nell’Istituto di Ricerche Economiche della UNAM, in Messico. E’ presidente dell’ALAI e integrante dell’Osservatorio Economico dell’America Latina (OBELA)
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