25 settembre 2009

LA PRIVATIZZAZIONE DEL MARE


di Gustavo Duch

Prima della creazione della Organizzazione Mondiale del Commercio o dei trattati sul libero commercio, già si contava su uno strumento fantastico per arricchirsi alle spalle delle risorse naturali e dei beni di uso pubblico dei paesi del Sud: le mono coltivazioni. Con esse si poteva estrarre il massimo profitto economico tanto dagli ecosistemi come dai lavoratori locali. Questa è stata la strada per il dominio e la dipendenza durante l’epoca coloniale. Lì ci sono i cicli dorati- e le sue rispettive cadute strepitose- della canna da zucchero, il caffè o il caucciù, sommati adesso a milioni di ettari destinati alla coltivazione della palma di olio o di soia.

Ma tra le mono coltivazioni industriali emergenti, figlie del nuovo colonialismo del mercato, ne esiste uno a base di pesce carnivoro introdotto nelle acque incontaminate del sud del pianeta: la monocoltura intensiva di salmoni nel sud del Cile, la cui produzione nel 98% ha come destinazione i mercati del Giappone, Stati Uniti e UE. Questa industria è cresciuta fino a raggiungere i 2.400 milioni di dollari nel 2008, portando il Cile ad essere il secondo produttore dopo la Norvegia. Però, in meno di due anni, l’ipotetico miracolo del salmone ha mostrato tutta la sua fragilità. Più di 17.000 lavoratori sono stati licenziati, solo il 20% dei 550 centri di coltivazione continuano ad essere operativi, le produzioni sono calate di un 60% e l' industria accumula un debito con le banche che supera i 1.600 milioni di dollari. Cosa ha fatto fallire questo miraggio del falso sviluppo? Qualcosa di sottile come il virus dell' Anemia Infettiva del Salmone.

Con una presenza significativa delle multinazionali norvegesi, giapponesi e spagnole (Pescanova), i pregiati e sconosciuti fiordi, baie e canali interni tra l’arcipelago di Chiloè e la Patagonia cilena si trovano attestati di gabbie circolari di 30 metri per 60 di profondità dove si ingrassano i salmoni. Un sistema di monocoltura intensiva, con alti costi ecologici e sociali, esternalizzati, e miliardi di dollari di profitti privati. Come dice il mio amico e collega veterinario Juan Carlos Cardenas, direttore della ONG Ecoceani, “nel sud del Cile le multinazionali del salmone fanno tutto quello che non gli è concesso nei loro paesi”. Cardenas spiega che il Cile rappresenta per l’industria del salmone straordinari vantaggi comparati al nord Europa. Sia negli aspetti ambientali, come nelle politiche governative d’incentivi all’investimento estero. Questo, assicura l’accesso a fonti di farina e olio di pesce, mano d’opera a basso costo, sussidi ed una legislazione ambientale e sanitaria abbastanza debole. Crescere salmoni come se stesero in barattoli di sardine è l’equivalente a porcili flottanti o l’allevamento industrializzato di galline.

Si trovano così insaccati che, per le stesse fonti del servizio Nazionale della Pesca, rispetto alla produzione di salmoni prodotti in Norvegia l’industria ha usato 600 volte in più antibiotici per tonnellata. Preoccupano anche i salmoni, che impauriti per il loro futuro, riescono a fuggire dalle loro prigioni minacciando la sopravvivenza di varie specie autoctone di pesci e, quindi, la pesca artigianale. Pesca che, dall’altra parte, si è ridotta molto, dato che per alimentare i salmoni a domicilio si usano tracuri, acciughe e sardine. Per produrre un chilo di salmone in confinamento si necessita tra cinque e otto chili di queste specie di pesci silvestri abituali nella dieta umana. Un disastro a livello energetico, un disastro per migliaia di pescatori su piccola scala. Se state pensando che loro almeno potranno pescare i salmoni fuggiti, vi sbagliate. Nel sud del Cile è proibito pescare e vendere i salmoni che si trovano nel mare, perché continuano ad essere proprietà delle multinazionali di salmone prima citate.
Salmoni con codice a barre?

Perché il piatto di salmone costi così poco lo stesso sarà costato il personale che lavora in mare e nelle piante di lavoro. Raul Zibechi, dell' organizzazione Programa de las Américas, scrive sulle cattive condizioni di lavoro delle 50.000 persone impiegate nel settore: “Due terzi delle aziende del salmone violano la legislazione lavorativa. Le donne, che costituiscono il 70% dei lavoratori del settore e l’80% in pianta stabile, soffrono il freddo, l’umidità, il sovraffollamento e ostacoli per andare in bagno”. Dicevo che la mono coltivazione del salmone è molto significativa, perché, con qualche anno d’anticipo, sta attraversando delle fasi che adesso ci sembrano di routine. Nel 2007, prima della crisi finanziaria mondiale, è arrivata la crisi al settore per l’entrata del virus nei centri di produzione e poco dopo il governo cileno si è lanciato nel riscatto dell’industria del salmone attraverso due vie: la consegna senza condizioni di una linea di credito e una polemica modifica della Legge di Pesca e Acquicoltura per permettere la cessione perpetua dei diritti sul litorale alle compagnie dei salmoni ( incluse le multinazionali), permettendo che le compagnie debitrici potessero ipotecare con la banca creditizia le concessioni di acquicoltura. Cioè, beni nazionali di uso pubblico con i quali le banche potranno speculare, comprare e vendere. Le banche principali creditizi sono la BBVA, Rabobank e Itaù. In altre parole, si privatizza una risorsa pubblica, si privatizza il mare. Un' altra monocoltivazione in rapido declino.

Gustavo Duch è ex direttore di Veterinari Senza Frontiere e collaboratore dell’Università Rurale Paulo Freire.

Fonte: http://blogs.publico.es/dominiopublico/1552/la-privatizacion-del-mar/

Tradotto per Voci Dalla Strada da Vanesa

24 settembre 2009

CAMPAGNA DELLA "LOBBY" NUCLEARE TEDESCA


Attivisti antinucleare con falsi fusti di rifiuti radioattivi
nel corso di una protesta a Monaco di Baviera.



Un documento confidenziale spiega come far pressione sui partiti prima delle elezioni federali.


Tutti i lobbisti lavorano intensamente prima delle elezioni come quelle che si svolgeranno in Germania domenica prossima. Poco viene alla luce sulle loro attività, a meno che improvvisamente non sfugga un documento di lavoro. Questo è quello che è appena successo alla lobby nucleare tedesca, che da mesi elabora dettagliatamente la situazione pre-elettorale per far pressione sui politici a favore dei propri interessi.
"L'obiettivo finale di questa strategia è quello di influenzare positivamente il dibattito sulla proroga delle licenze di esercizio della centrale tedesca", dice un dossier di 109 pagine datato 11 novembre 2008, firmato dalla consulenza politica di Berlino PRGS sotto incarico di Eon Kraftwerkw GmbH, la sezione nucleare del gigante energetico tedesco, a cui ha avuto accesso Pubblico.
Il colosso industriale Eon non vuole che si parli di energia durante la campagna elettorale.
Vari giornali web ieri si sono fatti eco dell'esistenza del dossier, che contiene una lista di media e di giornalisti classificati in base alla loro affinità con l'energia nucleare.

Diffusione imbarazzante.
La sua diffusione, 4 giorni prima delle elezioni, risulta molto imbarazzante non solo per Eon ma anche per i partiti pro-nucleare, come l' Unione Democratica Cristiana (CDU) di Angela Merkel e dei suoi alleati del Partito Libero Democratico (FDP), sostenitori del programma di abbandono completo dell'energia nucleare nei prossimi 15 anni.
La maggior parte dei tedeschi rifiuta l'energia nucleare in un momento in cui gli incidenti e i guasti nelle centrali di Krümmel e Brunsbüttel e nel deposito di residui di Asse si sono moltiplicati. Inoltre, la Germania continua senza avere un deposito centrale, dato che la miniera di sale di Gorleben in Bassa Sassonia, si è rivelata inadeguata.

Il dossier raccoglie una serie di esaustivi argomenti a favore del nucleare: un' energia sicura e a basso costo che riduce la dipendenza dalle importazioni. Analizza la posizione dei diversi partiti, uno ad uno, e raccomanda di evitare che l'energia nucleare si trasformi in argomento della campagna elettorale, perchè questo potrebbe mobilitare i potenziali votanti del Partito Social Democratico Tedesco (SPD) e dei Verdi.
La strategia, chiaramente formulata, consiste nell'accentuare il compromesso di Eon con le energie pulite e lavorare di nascosto a favore del nucleare. La consulta raccomanda, per esempio, diffondere la paura "della dominazione russa" per la somministrazione energetica. "Questo argomento geostrategico risveglia vecchie paure storiche", dice. Questo passaggio è specialemente delicato per Eon, che vuole importare gas russo in Germania.
Eon e PRGS ieri hanno dichiarato che il dossier non è altro che un progetto di relazioni pubbliche che la consulta ha proposto, senza successo, al consorzio energetico.

Fonte: http://www.publico.es/internacional/254668/campana/lobby/nuclear/aleman

Tradotto per Voci Dalla Strada da Vanesa

23 settembre 2009

LA RESISTENZA VERSO L'ISURREZIONE CIVILE GENERALIZZATA

Il Brasile porta il caso al Consiglio di sicurezza dell'ONU - 300 persone rinchiuse nello stadio - La resistenza si trasforma in insurrezione civile generalizata - Gli USA devono scegliere tra Zelaya e i gorilla

Tito Pulsinelli
I militari hanno occupato l’area attorno all’ambasciata del Brasile dove si trova il Presidente Zelaya. Hanno sloggiato le case adiacenti ed hanno piazzato sui tetti cecchini con il volto coperto. La sede diplomatica continua ad essere privata di luce ed acqua.
Da New York, Lula ha ammonito i golpisti, mettendoli in guardia ed esigendo il rispetto della vita di Zelaya e delle istallazioni. Ha replicato seccamente alla delirante ingiunzione dei golpisti a consegnare Zelaya o a concedergli asilo politico.

Più tardi, Zelaya ha rivelato che i militari hanno in animo di approfittare delle ore notturne per assaltare l’ambasciata ed assassinarlo, spacciando il crimine come un “suicidio”. Il Brasile porterà questo caso di fronte al consiglo di sicurezza dell’ONU giovedì, per sollecitare un intervento decisivo che metta fine alla sfida dei gorilla honduregni contro la “comunità internazionale” che –già tre mesi addietro- aveva coralemente condannato i golpisti e teso un cordone sanitario per isolarli diplomaticamente.

Non è bastato. Il ritorno di Mel Zelaya è stata una mossa decisiva e totalmente imprevista che ha mandato all’aria le manovre ambigue e dilatorie degli Statu Uniti. La pretesa di incaricare il Costarica di togliere le castagne dal fuoco alla Casa Bianca –seriamente compromessa nel golpe- è fallita, perchè osava mettere sullo stesso piano i golpisti ed un presidente legíttimamente eletto.

La presenza di Mel Zelaya in patria, ha letteralmente colto di sorpresa i golpisti, che stanno reagendo come peggio non si potrebbe. Nonostante il loro isolamento, ritenevano di poter resistere contro la ribellione popolare fino alla fine di novembre. Però con Zelaya a Tegucigalpa e i riflettori che si sono riaccesi sull’Honduras, naufraga la loro illusione di poter organizzare un imbroglio elettorale che lavasse la faccia al potere politico, sporca di troppo sangue.

Zelaya ha fatto la sua mossa nel momento più opportuno e con l’appoggio evidente di vari governi sudamericani e del Centroamérica. Ha sparigliato il gioco truccato, ed ora il re è nudo. Gli Stati Uniti non possono più giocare sulle ambiguità, nè possono nascondersi dietro il loro vassallo del Costarica.

Devono prendere posizione e scegliere: Zelaya o il golpe militar-impresariale. Obama deve decidere se chiudere sul nascere ogni spiraglio di intesa con l’America latina, in tal caso continuerà a reggere il bordone alle elites oscurantiste dell’Honduras. Oppure, delimita le iniziative ultras del Pentagono, e sceglie la difesa della democrazia e dei movimenti civili che sono sorti dalle viscere di società impoverite e saccheggiate dal neoliberismo.

Oggi, le gesta repressive dei gorilla furiosi hanno avuto come scenario anche la cintura periferica della capitale (1), dove scorazzavano con megafoni e minacciavano di morte chiunque avrebbe osato uscire per protestare. Quando hanno sfondato le porte delle case e gettato lacrimogeni all'interno, incuranti dei vecchi e dei bimbi, la gente è scesa in strada e si sono scontrati con i militari. Dapprima in maniera spontanea ed improvvisata, via via in modo più sistematico, e sono comparse le prime barricate.

E' in atto una insurrezione civile che -dopo 87 giorni- ha aumentato di intensità e drammaticità. La dittatura non sa più dove mettere i numerosi giovani detenuti, e ne ha rinchiusi 300 nello stadio della villa olimpica. Nel più autentico e sfacciato "stile Pinochet".

(1) Colonia La Canada, 21 de febrero, Nueva Era, Victor F. Ardon, El Reparto, Centro America, Oeste Villa Olimpica, Colonia El Pedregal, El Hatillo, Cerro Grande, Barrio Guadalupe, Barrio El Bosque, Colonia Bella Vista, Barrio El Chile


Fonte: http://selvasorg.blogspot.com/2009/09/la-resistenza-verso-linsurrezione.html

22 settembre 2009

FAME: IL DILEMMA DEL SISTEMA CON IL "SURPLUS DI POPOLAZIONE"



di Manuel Freytas

Per l’Onu con “meno dell’ 1% dei fondi economici utilizzati dai governi capitalisti centrali per salvare il sistema finanziario globale (banche e aziende che hanno scatenato la crisi economica), si potrebbe risolvere la calamità e la sofferenza di 1 milirdo di persone (quasi la metà della popolazione mondiale) che sono vittime della famein tutto il mondo. E perché non lo fanno? Per un motivo di fondo: I poveri, i senzatetto, il “surplus di popolazione” non sono un “prodotto che produce guadagno” al sistema capitalista.

In mezzo all’euforia scatenata da quello che gli analisti del sistema chiamano “l’inizio della fine della crisi recessiva internazionale", l' ONU ha avvertito mercoledì che la fame nel mondo è aumentata in modo significativo stabilendo un record negli ultimi due anni.

In un primo capitolo, nel 2008, e a causa dell’aumento dei prezzi del petrolio, ci fu un escalation a livello mondiale dei prezzi alimentari che ha accelerato il processo di carestia che regolarmente subiscono le popolazioni più vulnerabili, in Asia, Africa e America Latina.

In un secondo capitolo, con lo sviluppo della crisi recessiva globale, questo processo si è intensificato gettando le persone più diseredate alla marginalità e alla carenza di alimenti per sopravvivere anche solo in modo precario.

Per l' Onu, nel mondo ci sono più di 1.000 milioni di persone che soffrono la fame, la cifra più alta nella storia e in tutto il pianeta ci sono 3.000 milioni di malnutriti, che rappresentano quasi la metà della popolazione mondiale di 6.500 milioni.

I dati sono stati rilasciati quasi simultaneamente dal direttore del World Food Program (WFP), Josette Sheeran, a Londra, e il relatore speciale dell'ONU sul diritto all'alimentazione, Olivier de Schutter, in un forum in Messico.

La direttrice del WFP ha stimato la cifra degli affamati, cioè delle persone che non hanno accesso alle esigenze basiche dell’alimentazione, in 1.020 milioni, ed ha avvertito che il flusso di aiuto umanitario è al suo minimo storico.

Per Sheeran: “Quest’anno ci sono più persone affamate che mai” ed ha sottolineato che “molti si svegliano e non hanno un piatto di cibo”.

"Il problema con la crisi alimentare e la crisi finanziaria è che ha permeato tranquillamente in tutto il mondo, colpendo selettivamente i miliardi che sono alla base del mondo (in termini di povertà), che sono i più vulnerabili", ha detto Sheeran a Reuteurs in una intervista.

Secondo il funzionario responsabile per l'agenzia umanitaria dell' ONU, questa situazione è una “ricetta per il disastro” e sembra essere “critica per la pace, la sicurezza e la stabilità in molti luoghi nel mondo.

Inoltre, Sheeran ha avvisato che il WFP affronta “un grave deficit finanziario”, perché quest' anno ha ricevuto solo 2.600 milioni di dollari su un totale di 6.700 milioni di dollari che sono necessari per dare da mangiare a 108 milioni di persone in 74 paesi. In concreto, questa mancanza di fondi si traduce in un ritaglio del programma che si sviluppa in diversi paesi.

Bisogna chiarire, come esempio più chiaro, che i 6.700 milioni di dollari del programma per “combattere la fame mondiale” equivalgono solo ad un 10% della fortuna personale di Bill Gates, l’uomo che è in testa alla lista di milionari a livello globale.

La direttrice del WFP ha osservato che con "meno dell'1%" di iniezioni finanziarie che i governi hanno fatto per salvare il sistema finanziario globale si potrebbe risolvere il flagello di milioni di persone che sono vittime della carestia.

La fabbrica della fame

All'interno del mercato e della società capitalistica dei consumatori, la logica di produzione non è misurata in base alla soddisfazione dei bisogni fondamentali della società (cibo, alloggio, salute, istruzione, ecc). Ma per l'ottimizzazione dei parametri del profitto privato.

La produzione dei beni e dei servizi (essenziali per la sopravvivenza) controllata dal capitalismo è socializzata, ma il suo utilizzo è stato privatizzato. Non risponde a fini sociali di distribuzione equitativa della ricchezza prodotta dal lavoro sociale ma agli obiettivi della ricerca del guadagno capitalista privato.

In questo contesto, e fuori dall’orbita del controllo statale dei governi, le risorse essenziali per la sopravvivenza sono subordinate alla logica del profitto capitalista di un pugno di multinazionali (con capacità informatiche, finanziere e tecnologiche) che le controllano a livello globale e con la protezione militare-nucleare degli Stati Uniti e delle superpotenze.

Per la FAO, dieci corporazioni internazionali controllano attualmente l’ 80% del commercio mondiale degli alimenti di prima necessità, e un numero simile le mega aziende che controllano il mercato internazionale del petrolio, il cui impulso speculativo nutre il processo dell’aumento dei prezzi degli alimenti che è causa della fame che ormai è estesa a tutto il pianeta.

Dietro questo favoloso affare con le risorse primarie per la sopravvivenza umana, si trovano le banche principali e i gruppi finanziari di Wall Street, che giocano un ruolo determinante nella speculazione che si esercita sui mercati energetici e delle materie prime che spingono l’attuale scalata dei prezzi degli alimenti.

Tra le prime piovre transnazionali dell' alimentazione, si trova l’azienda svizzera Nestlè SA, la francese Groupe Danone SA. e la Monsanto CO, che sono leader mondiali nella commercializzazione degli alimenti e che, oltre a controllare la commercializzazione e le fonti di produzioni, possiedono tutti i diritti a livello globale sui semi e prodotti agricoli.

I livelli di produzione non si realizzano rispondendo ai bisogni umani della popolazione, ma rispondendo ai bisogni del mercato e del guadagno capitalista.

Spogliati della loro condizione di “bene sociale” per la sopravvivenza, queste risorse si convertono in merce capitalista con un valore fissato dai mercati speculatori, ed i prezzi non si stabiliscono solo in base alla domanda del consumo generale ma dalla domanda speculativa dei mercati finanziari e agro- energetici.

E i governi, non avendo potere di comando sulle proprie risorse agro-energetiche si trasformano in burattini delle corporazioni che li controllano e che si appropriano del guadagno prodotto dal lavoro sociale in quei paesi.

E come il capitalismo transnazionale (le corporazioni che controllano il petrolio e gli alimenti) producono solo per chi è nelle condizioni di comprare quei prodotti, la mancanza del potere d’acquisto della maggior parte impoverita del pianeta, portando le corporazioni a ridurre la produzione per diminuire i costi e mantenere il guadagno vendendo di meno ma molto più caro.

Il mondo sta vivendo un esubero della domanda di cibo e petrolio, che, a sua volta, produce il guadagno dei gruppi che egemonizzano il potere sulla produzione e la commercializzazione, e sui mercati della speculazione finanziaria delle materie prime.

In questo modo, alle piovre petroliere e alimentari non sono interessate a produrre di più, ma guadagnare di più producendo lo stesso con una riduzione dei costi del personale e delle infrastrutture.

E per quanti appelli possono fare le istituzioni “assistenziali” del sistema capitalista, loro solo producono rispondendo alla legge del guadagno, alla legge del beneficio privato e non rispondendo alla logica del beneficio sociale.

Quindi non esiste una “crisi alimentare” (come sostiene la FAO, l' ONU, la Banca Mondiale e le organizzazioni del capitalismo come il G-8), ma un aumento della fame nel mondo a causa della speculazione finanziaria e la ricerca del guadagno capitalista con il prezzo del petrolio e degli alimenti.

Il controllo delle fonti, della produzione, della commercializzazione internazionale e dell’insieme delle risorse finanziarie emergenti dalle corporazioni transnazionali, rendono impotenti i governi indipendenti (senza alcun potere di governare su tali risorse) per risolvere i problemi della fame che affliggono i loro popoli.

D’altra parte, i fondi che destinano l' ONU, la Banca Mondiale e altre organizzazioni del capitalismo transnazionale, sono briciole rispetto ai profitti multimilionari delle piovre petrolifere e alimentari e alla crescita delle fortune personali dei loro direttivi e azionisti.

Il dilemma del “surplus di popolazione”.

In questo scenario, e nel rispetto dei parametri di funzionamento del sistema capitalistico (impostato su un' "unica civiltà"), il “surplus di popolazione” (i senzatetto e affamati della terra) sono le masse espulse dal circuito dei consumi, come emerge dalle dinamiche di concentrazione della ricchezza in poche mani.

Queste masse nullatenenti, che si moltiplicano nelle periferie di Asia, Africa e America Latina, non soddisfano gli standard di consumo di base (minimo di sopravvivenza) che richiede la struttura funzionale del sistema per generare nuovi cicli di redditività e di concentrazione delle risorse aziendali e fortune personali.

Ma di questa questione strategica, vitale per comprendere la crisi globale e il suo impatto sociale di massa sul pianeta, la stampa internazionale non s' interessa. I media locali e internazionali sono impegnati a spiegare la crisi come il declino delle fortune dei ricchi e la perdita di redditività.

Sia il “miracolo asiatico” come il “miracolo latinoamericano” (la crescita economica senza divisione sociale) sono state costruite con il lavoro degli schiavi e dei salari in nero. Questo porta alla caduta del “modello” per effetto della crisi recessiva globale, la parte più importante della crisi sociale emergente dai licenziamenti in massa si riversa su queste regioni.

Inoltre, il consumo di massa guidata del circuito, richiedono (per dare una parvenza “di compassione” al sistema) di una struttura “assistenzialista” composta dall' ONU e dalle organizzazioni che rappresentano un peso ed un “passivo non desiderabile” nei bilanci dei governi e delle aziende transnazionali a livello globale.

Durante la crisi (come quella che oggi vive il sistema capitalista) le aziende e le banche preservano il loro guadagno “stringendo i costi”.

E le prime vittime, le variabili degli adeguamenti, sono le masse senza stipendio ed i settori più vulnerabili della società che pagano la crisi dei ricchi con licenziamenti e riduzione dei loro stipendi, mentre i settori non prottetti soffrono l’impatto diretto dei tagli dei piani sociali e dell’aiuto alla povertà dati dai governi.

Chi cerca di strappare il controllo delle risorse essenziali alle aziende e alla banche transnazionali, prima dovrà far cadere il potere militare nucleare degli Stati Uniti e delle potenze alleate dell' Unione Europea, poliziotti e riassicuranti politici delle corporazioni capitaliste che hanno trasformato il pianeta in un' economia di enclave al servizio del guadagno privato.

In questa equazione (di un sistema di produzione mondiale orientato soltanto alla ricerca del guadagno) si sviluppano due effetti inversamente proporzionali: Una crescita record delle fortune personali e degli attivi aziendali capitalisti, ed una crescita record (come dice la ONU) dei poveri ed affamati che sono la metà della popolazione mondiale.

Nello svolgimento di questo processo (di concentrazione della ricchezza con la “popolazione che aumenta”) si instaurano le basi e i detonanti di un' “Apocalisse sociale” che il sistema e i suoi analisti ancora non registrano nè prestano attenzione.

E’ un dilemma che non figura nè in un dibattito, nè in una discussione internazionale semplicemente, perché il povero, il famelico, non è merce di guadagno, è fuori il circuito del consumo e non crea dividendi.

E il risultato, non è profetico ma matematico: Cosa succederà quando metà dell’umanità che non mangia avanza sui suoi carnefici?

La piaga della fame che si estende come un' epidemia nelle zone impoverite del pianeta provocano le condizioni per una Apocalisse sociale.

Quasi la metà della popolazione del pianeta- per l’ONU- sopravvive in uno stato di povertà o al di sotto del livello di sopravvivenza, senza poter soddisfare i suoi bisogni primari di alimentazione.

Non bisogna avere molta immaginazione (il fenomeno si sta già verificando nella realtà) per considerare il fattore apocalittico che la massa rappresenterebbe per il sistema l’avanzata di eserciti di famelici che cercano cibo per sopravvivere nelle grandi città, affrontando con la violenza della repressione militare o della polizia.

Cosa potrebbe fermare un affamato? Cosa può perdere un uomo che ha fame aldilà della sua vita che quasi non ha neanche più? Si tratta dell’istinto della conservazione, il primo sistema di segnali che guidano la condotta di un essere umano in situazioni estreme di lotta per la sopravvivenza.

Per caso si userebbero carri armati, aerei o arsenali nucleari per fermare i miliardi di poveri presi da “fame cellulare” che si riverserebbe in massa sulle città per trovare alimenti con qualsiasi mezzo?

Con quale discorso politico del sistema potrebbero fermare i sofferenti di incontinenza alimentare e riorientarli sulla strada della “civiltà” e della “governabilità democratica” capitalista?

Quanta proprietà privata concentrerebbe un “manager” capitalista prima che le moltitudini di famelici saccheggino le loro case e distruggano tutto ciò che trovano sulla sua strada, anche la loro vita e quella della loro famiglia?

Quanti proiettili o missili basterebbero per dissipare gli eserciti militari prima di essere distrutti dalla moltitudine inferocita dalla fame e la reazione istintiva della lotta per la sopravvivenza ad ogni costo?

Non si tratta di una rivoluzione razionale e pianificata per prendere il potere politico, si tratta della “barbarie “ nella sua scala originale, una regressione all’uomo preistorico, senza nessun modello di “civiltà” o di “convenzione sociale” che lo contenga nella sua ricerca di alimenti per sopravvivere nell’immediatezza.

Si tratta, in ultima analisi, di una reazione incommensurabile della massa immensa di "surplus di popolazione", che lo stupido, irrazionale e criminale sistema capitalista ancora non registra.

Fonte: http://www.iarnoticias.com/2009/secciones/contrainformacion/0063_hambre_mercancia_17sept09.html

Tradotto per Voci Dalla Strada da Vanesa

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21 settembre 2009

IL MICROSCOPIO DELLA DISCORDIA

di Marco Cedolin
Fra gli argomenti più dibattuti in rete nel corso delle ultime settimane, si può annoverare sicuramente la vicenda concernente il microscopio FEG-ESEM, usato fino ad oggi dal Dott. Montanari per gli studi sulle nanoparticelle e nanopatologie e donato, per decisione della Onlus Bortolani proprietaria legale dello strumento, all’Università di Urbino, privando di fatto lo scienziato modenese della possibilità di continuare nelle sue ricerche.

19 settembre 2009

PERCHE' IL CAPITALISMO FA LA GUERRA E NON L'AMORE


Contrariamente a quanto viene predicato da analisti e moderni sacerdoti pacifisti del sistema, l’ immaginario di realizzazione della civiltà imperiale capitalista non si basa sulla ricerca della (idilliaca) “pace sociale”, ma nella ricerca della (pragmatica) guerra militare come fattore primario di dominio e di controllo su scala globale. Il capitalismo fa la “pace” solo quando ha vinto la guerra.


di Manuel Freytas
manuelfreytas@iarnoticias.com


La “pace sociale” ( sostanza matrice del “sistema democratico” di dominio vigente) non sorge a priori come un obiettivo, ma come un risultato di successo del controllo militare sulle resistenze sociali che il sistema capitalista stabilisce per mantenere le sue strategie di sfruttamento dell’uomo per l’uomo e della concentrazione della ricchezza in poche mani.


“Fare l’amore e non la guerra”, è un mito pacifista che si sovverte nel il bisogno storico del sistema capitalista di lanciare guerre militari permanenti come metodo di conquista e appropriazione primaria dei mercati e delle risorse primarie per sostenere la sua struttura economica produttiva imperiale.


Il sistema capitalista (prodotto storico di dominio dell’uomo sull’uomo) non si alimenta della pace ma della guerra concepita come il primo scalino delle politiche e strategie di dominio (sostento nello sfruttamento economico) su scala globale.

Anzi, i propri processi storici hanno incorporato l’ “economia della guerra” (emergente dall’industria della guerra) come un segmento chiave dell’economia capitalista che in questo caso se collassa si porta via tutto il sistema a livello globale.



La guerra e il dominio

La storia dell’umanità, è la storia della conquista e della dominazione dell’uomo sull’uomo in diverse tappe e gradi di evoluzione trasformazionale che vanno dal semplice al complesso.

Il controllo degli avversari è alla base della dominazione, a livello dell’uomo e del suo ambiente circostante prima, e dei sistemi (politici, economici e sociali) che reggono le società, dopo.

Quando il primo uomo primitivo ha controllato e dominato attraverso la forza un altro uomo, stava stabilendo il principio del dominio dell’uomo sull’uomo che ha retto lo sviluppo di tutte le società imperialiste conosciute fino ad ora, e la cui massima espressione di sviluppo strategico si ha con il sistema capitalista.

La ricerca del controllo e del dominio, a sua volta, definiscono il carattere imperialista delle diverse civiltà (anche quella capitalista) che hanno segnato l’evoluzione ed il tracciato della storia dell’umanità a partire del dominio egemonico.

Le diverse “civiltà” nel corso della storia non sono state un prodotto della libera creazione dello spirito e della mente umana ma strategie emergenti e politiche orientate alla conquista (militare, economica, politica e sociale) delle classi più potenti sulle classi più deboli della popolazione umana.

La guerra, l’uso del controllo militare, la capacità di distruzione di massa, furono il fattore primario che ha reso possibile (per mezzo della conquista) a gruppi ridotti di individui (le “classi dominanti”) di imporre la loro volontà sulla maggioranza e le condannasse alla servitù e alla schiavitù.

Dall’antichità, passando da Grecia e Roma fino al “sistema capitalista”, le guerre furono strumenti strategici (chiave) per la costruzione di diversi sistemi di dominio basati sul controllo di massa delle popolazioni per concentrare (attraverso lo sfruttamento del lavoro sociale) potere e ricchezza economica.

Storicamente, i “ricchi” (la concentrazione del potere economico) non sono nati sotto un cavolo ma sono il risultato evolutivo e trasformazionale del dominio dell’uomo sull’uomo (il controllo ed il dominio sui “poveri”) che riposa in ultima analisi nella concentrazione del potere militare e nella capacità di fare la guerra.

Se gli Stati Uniti non contassero con la macchina nucleare militare del Pentagono, cinque flotte (aerei, barche e sottomarini) con potere nucleare e 800 basi militari distribuite in tutto il pianeta con la capacità di distruggere varie volte la terra, la loro potenza imperiale economica finanziaria non avrebbe potuto esistere.

Il dollaro non è la “moneta patrona” del sistema capitalista per meriti propri ma perché dietro di sé si incolonna il potere nucleare militare degli Stati Uniti che opera da gendarme armato per sostenere il sistema.

In uno scenario sempre mutante e costante, le guerre (imperiali) si sono evolute dalla colonizzazione militare alla colonizzazione dei cervelli, senza perdere il loro obiettivo primario di conquistare e controllare per dominare.

Per questo la dinamica funzionale della storia umana (in tutte le sue fasi) è retta dalle strategie di controllo e dominazione, sviluppate attraverso le guerre imperiali.

E contrariamente a quanto predicano i moderni “pacifisti” ad oltranza, le guerre non si fanno per uccidere ma si fanno per controllare e dominare. I massacri militari non sono un obiettivo a priori ma il risultato dell’obiettivo a priori della ricerca del controllo e del dominio militare.

Cioè, in primo luogo, e d’accordo a quanto sorge come prova di fatto e statistica di qualsiasi studio strategico, le guerre imperiali non si fanno per uccidere ma per controllare e dominare.

In secondo luogo, la distruzione materiale e i genocidi umani che le guerre producono ( guerre di controllo imperiale) sono conseguenza della ricerca del controllo e del dominio su un avversario che si oppone, e non al contrario.

Quindi, le guerre (di conquista imperiale) non si pianificano per uccidere ma per appropriarsi di un obiettivo strategico seguendo la motivazione imperialista centrale di controllare per dominare, e il suo concetto di applicazione va da territori fino a società e uomini.

Ogni azione di dominio dell’uomo sull’uomo (implicita nella guerra di conquista imperiale) ha alla base un assioma strategico: per dominare, prima bisogna controllare con la guerra.

Chi pianifica una guerra di conquista non lo fa per distruggere ma lo fa con l’obiettivo strategico di controllare e di dominare bersagli da far propri, tracciati dapprima, siano territori (guerre militari), risorse economiche e mercati (guerra economica), paesi e società (guerre sociali) o menti (guerre psicologiche).

Contrariamente a quanto crede la maggior parte,il buon esito delle guerre non si misura dalla distruzione militare, ma dall' aver raggiunto gli obiettivi con il minor costo di distruzione o di vite umane.

Vale come esempio l’operazione militare Piombo Fuso che Israele ha lanciato su Gaza lo scorso gennaio, lanciata per controllare e /o sterminare Hamas ma finì in una sconfitta e in un fallimento internazionale per lo stato ebraico a causa del massacro di civili innocenti e la distruzione di infrastrutture nella quale sboccò.


La guerra per altre vie.

Dalla preistoria ai giorni nostri, tutte le civiltà dominanti si sono servite della guerra imperialista per controllare e dominare.

A) Territori (conquista territoriale) = Controllo politico


B) Risorse naturali ( conquista di risorse) = Controllo economico


C) Società (conquista delle società) = Controllo sociale

D) Individui (conquista delle menti) = Controllo ideologico

Gli imperi antichi (Grecia, Roma) erano solo arrivati alla conquista territoriale (guerra militare) e alla conquista delle risorse (guerra economica) e avevano appena toccato il primo gradino della guerra sociale (conquista della società), imponendo le loro lingue o le loro fedi religiose nei territori conquistati (caso del latino con Roma o caso della religione cattolica con gli imperi del Medio Evo).

Con l’Impero del sistema capitalista, la guerra per il dominio ed il controllo completa il ciclo evolutivo con la guerra sociale (conquista delle società) e la guerra psicologica (conquista delle menti).


Questo aspetto della guerra per il controllo ed il dominio delle società e delle menti, è reso possibile con l'avvento della Rivoluzione Industriale nel XIX secolo, che ha portato alla Rivoluzione Tecnologica e Informatica del XX secolo.

Significa che la guerra per il dominio ed il controllo delle società e delle menti si è prodotta solo a partire dell’interazione funzionale della tecnologia mediatica (mezzi di comunicazione) e dell’informatica (elettronica e computer) orientata ad un obiettivo di controllo e di dominio attraverso una strategia di comunicazione.

Questi tre fattori (mezzi di comunicazione, elettronica ed informatica e strategie delle comunicazioni) hanno reso possibile che la guerra per il controllo ed il dominio imperiale capitalista toccasse il suo picco massimo di sviluppo strategico: La Guerra di Quarta Generazione.



Perché il capitalismo non può prescindere dalla guerra militare.

Lo sviluppo tecnologico ed informatico, la globalizzazione del messaggio e le capacità d’ influenzare l’opinione pubblica mondiale hanno convertito la Guerra Psicologica mediatica nell’arma strategica dominante della 4GW (Guerra di Quarta Generazione), alla quale si aggiunge una variante “controterrorista” dopo gli attentati dell’11 settembre negli Stati Uniti.

In questo modo la Guerra Psicologica (con la sua variante la “Guerra Controterrorista”) costituisce la spina dorsale strategica della Guerra di Quarta Generazione, con i mezzi di Comunicazione convertiti in nuovi eserciti di conquista.

La Guerra Psicologica definisce la fase superiore delle strategie di controllo e di dominio provate fino ad ora dai sistemi imperialisti (dominio dell’uomo sull’uomo) che si sono succedute fino ad arrivare al sistema capitalista.


E perché in questa fase avanzata di controllo sociale senza l’uso di armi il capitalismo non può prescindere dall’uso della guerra militare?


Per tre ragioni precise che la giustificano:

A) Le guerre e i conflitti militari alimentano i complessi militari e l’industria bellica (con fatturazione milionaria) costituita sul lato complementare del guadagno capitalista transazionale.


B) I conflitti intercapitalisti per il petrolio e le risorse strategiche primarie per la sopravvivenza futura delle potenze si risolvono solo in ultima istanza (e a livello di sviluppo) con la guerra militare.


C) Soltanto l’apparato e l’arsenale militare nucleare garantiscono effettivamente la sopravvivenza dello Stato imperiale e delle potenze centrali, che senza la supremazia del potere militare sarebbero inghiottiti e distrutti dal resto dei paesi che integrano il sistema a livello planetario.


Questa realtà di fatto, tra una moltitudine di fattori interattivi, spiegano perché il capitalismo (fino alla sua scomparsa) è centralmente determinato dalla guerra militare come fattore primario di dominio e di preservazione del suo sistema economico di sfruttamento dell’uomo sull’uomo.


In questo scenario, segnato dalle leggi e dalle contraddizioni della sua stessa sopravvivenza, il sistema capitalista è condannato a vivere in “guerra permanente” e, conseguentemente, c’è “pace” solo nel microchip installato nel cervello dei colonizzati mediatici che alimentano la ruota del dominio senza l’uso delle armi.


Fonte: http://www.iarnoticias.com/2009/secciones/contrainformacion/0051_capitalismo_guerra_amor_04agos09.html


Tradotto per Voci Dalla Strada da VANESA

18 settembre 2009

UE: BARROSO LA SPUNTA DI NUOVO

di Andrea Perrone

Il fautore di politiche sempre più mercatiste, il portoghese José Manuel Barroso (nella foto), è stato riconfermato dall’Europarlamento, riunito in seduta plenaria, alla guida della Commissione Ue. La votazione è stata segreta e la maggioranza necessaria dei votanti era quella semplice così come previsto dal Trattato di Nizza, attualmente in vigore. Barroso è così stato eletto per un secondo mandato quinquennale nonostante la sua incapacità nel gestire l’attuale crisi economica che attanaglia il Vecchio Continente. I voti favorevoli sono stati 382, 219 quelli contrari e 117 gli astenuti.

Il non ancora ratificato Trattato di Lisbona prevede la maggioranza assoluta degli eurodeputati a 369 voti. Barroso ha ampiamente superato questa soglia anche se il trattato di Nizza, prevede che l’elezione del presidente della Commissione avvenga a maggioranza semplice. Le astensioni sono state comunque molto elevate nonostante le promesse fatte ai vari gruppi che siedono a Strasburgo dal presidente di Bruxelles per riottenere il mandato.
La Commissione europea presieduta da Barroso ha avuto in questi anni una sfumatura maggiormente neoliberista rispetto a quelle che l’hanno preceduta. Inoltre non sono state fornite risposte ai problemi sociali che attualmente attanagliano l’Unione europea: danneggiata proprio dalla cosiddetta “libera circolazione di industrie e di capitali”.

Il processo neoliberista ha favorito così la formazione di aree industriali moderne negli Stati poveri dell’Europa dell’Est, con salari leggermente superiori rispetto alla media nazionale, ma con la presenza in questi stessi Paesi di un alto tasso di disoccupazione. In cambio - si fa per dire - di tutto questo si è verificata una caduta dei salari, il peggioramento dei diritti dei lavoratori, l’estensione della giornata lavorativa e della disoccupazione nei Paesi più sviluppati del continente europeo. Tuttavia dalla crisi iniziata alla fine dello scorso anno in alcune aree dell’Europa centro-orientale la situazione è nettamente peggiorata tanto da provocare, nei mesi scorsi, rivolte in Bulgaria, Romania e Stati baltici.

Fonte: http://www.rinascita.info/

17 settembre 2009

LISBONA, PROFANANDO I TEMPI

Referendum sul Trattato di Lisbona in Irlanda: Ancora?



di Manoel Santos


Il tempo gioca, con sorprendente freddezza, a favore del potere. Qualsiasi lotta cittadina senza distinzione affronta questo fattore insalvabile che sempre finisce con il proteggere gli interessi economici. Mantenere l’intensità di queste mobilitazioni sociali, per giuste che siano, durante un lungo tempo è impossibile per la cittadinanza, principalmente perché senza volerlo finanzia il suo nemico, che in questo modo ha risorse in abbondanza per proseguire fino lì. Fino a che cedano.

Un esempio di questo è quello che succede con il Trattato di Lisbona (1), una costituzione(2) travestita che deve essere approvata si o si, se è necessario- e lo è- passando sopra quella chimera della sovranità popolare, che in genere è sempre rispettata- almeno sulla la carta- durante 4 o 5 anni, quello che durano le legislature nei governi negli Stati Uniti. Ma in questo caso anche il tempo viene profanato.

Se nel 2005 i popoli della Francia e Olanda dopo una riuscita attività informativa dei movimenti sociali, sotterravano la “costituzione” europea, in meno di due anni, i capi di Stato e del governo dell' UE si sono visti legittimati per ritornare alla carica con il trucco del Trattato di Lisbona, ma questa volta senza dare voce alla cittadinanza. Non si sa mai. Ed i popoli, esausti, si sono zittiti. Se a giugno del 2008, gli irlandesi dicevano NO al citato Trattato, in meno di un anno, il potere rinnova il suo impegno e convoca una nuova consultazione per il prossimo 2 ottobre. Finchè non dicano SI. L’opposizione dei movimenti sociali e politici irlandesi che si oppongono al Trattato questa volta è stato molto debole. Era questione di tempo. Di poco tempo (3).

Tutto quello che circonda l’approvazione del Trattato di Lisbona (4) è una barbarie che sfiora la dittatura. E lo è perché se fosse spiegato minuziosamente alle persone e dare a questa il potere decisionale, il rifiuto sarebbe unanime. Nella sua concezione globale, il Trattato pretende soprattutto di entrare in profondità nell' UE ultraliberale, depredatrice, nella quale la crescita sia il grande obiettivo ( ART 3) e la competizione il principio guida (PROTOCOLLO 6), anche nel campo dei servizi pubblici (ART 86 e 87). Un' Europa che investe nella libera circolazione di capitali ( ART 56 e 57), che scommette, per mantenere la sua degna opulenza, per sottomettere altri paesi ai trattati del libero commercio (5) e militarizzata in cui il "sogno europeo", con aumento dei bilanci per le armi, potenziando la NATO e l’appoggio a questa con “attacchi preventivi”- dottrina di Solana- di così nefasto ricordo in qualsiasi luogo del pianeta (art 27 e 28). Ecologisti in azione (6) e reti come Seattle to Brussels (7) hanno buona documentazione e analisi su questi aspetti.

Nascondendo cinicamente qualsiasi tipo d’informazione alla cittadinanza, evitando qualsiasi tipo di dibattito e sprezzando la capacità di questa per mettersi davanti a decisioni che avranno conseguenze – gravissime- sulle vite delle persone, il Trattato è stato già ratificato dai 26 parlamenti degli stati membri, nonostante che i presidenti della Repubblica Ceca e della Polonia non lo abbiano ancora firmato, nell’attesa di quello che succederà in Irlanda il 2 ottobre, dato che è sorprendentemente l’unico Stato membro la cui Costituzione esige un referendum.

Per assicurarsi il “si” nella vecchia tigre celta – che è stato il primo paese europeo in entrare in recessione, e questo cambia il panorama totalmente- il Trattato include annessi che garantiranno a questo paese e solo a questo paese, che non sarà toccato dagli argomenti come l’aborto, la neutralità militare o il fisco. Così, a giugno del 2008 il 53 % degli irlandesi hanno detto di “NO” al Trattato, adesso i sondaggi danno un 46% a 25% a favore del “si”, nonostante che il “no” avanza e non si esclude una sorpresa. Ma lì c’è il tempo, perché finalmente vinca Lisbona.

1- Testo completo del Trattato: http://europa.eu/lisbon_treaty/full_text/index_it.htm
2- Trattato che istituisce una costituzione per l'Europa: http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cmsUpload/cg00087-re02.es04.pdf
3- http://tratadolisboa.blogspot.com/
4- http://europa.eu/lisbon_treaty/index_it.htm
5- Santos, Manoel. Parar a Europa Global. http://www.altermundo.org/content/view/1899/411/
6- http://www.ecologistasenaccion.org/spip.php?article10899
7- http://www.s2bnetwork.org/
8- Yuste Cabello, Chesús. http://www.rebelion.org/noticia.php?id=91148&titular=el-s%ED-a-lisboa-retrocede-aunque-ganar%EDa-

Fonte: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=91516&titular=lisboa-profanando-los-tiempos-

Tradotto per Voci Dalla Strada da Vanesa



16 settembre 2009

ASPETTANDO LA SECONDA ONDATA DELLA CRISI

di Domenico Moro

Il signor Thomas Mirow deve essere un menagramo di professione o quantomeno un inguaribile pessimista. Secondo Berlusconi, “uomo del fare” e inguaribile ottimista, la crisi si sarebbe ormai “sfogata”, come una febbre seguita ad un fastidioso raffreddore, mentre la borsa di Wall Street, dopo i crolli del 6,3% e del 5,5% del Pil rispettivamente nel quarto trimestre 2008 e nel primo trimestre 2009, accoglie con giubilo il terzo calo consecutivo, nel secondo trimestre 2009, che è “solo” dell’1,5%, tanto da parlare di una prossima uscita dalla crisi.

Il signor Mirow, che non è uno qualsiasi ma è il presidente della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, ha invece avvertito venerdì scorso i paesi dell’Europa dell’Est che è possibile l’arrivo di una seconda ondata della crisi finanziaria. Mirow ha messo, con la sua dichiarazione, il dito sulla piaga purulenta che continua a infettare l’economia europea e mondiale.

Infatti, i paesi dell’Europa orientale, già scossi duramente dalla prima ondata della crisi (tanto da aver già ottenuto dal Fondo Monetario internazionale prestiti consistenti per evitare la bancarotta), stanno facendo fronte ad una vorticosa crescita dei fallimenti societari e dei crediti insolventi, che potrebbero destabilizzare il loro traballante sistema bancario. I crediti insolventi sono raddoppiati nell’ultimo anno in Turchia, Romania, Ucraina e Albania. In Romania, in particolare, le banche non riescono più a percepire interessi dall’8% dei prestiti accordati.

In Turchia i crediti insolventi sono il 5%, mentre i fallimenti delle carte di credito stanno crescendo con un ritmo percentuale a doppia cifra. Sono proprio le carte di credito, oggi, ad essere uno dei maggiori fattori di criticità dell’economia internazionale. La politica del credito facile, a sostegno dei consumi (e dei profitti) declinanti per il calo decennale dei salari reali, è stata praticata non solo accordando mutui senza garanzie ma anche elargendo generosamente carte di credito, in specie del tipo “revolving” (che rateizzano la spesa a fronte di alti tassi d’interesse).

Così, negli Usa, alla crisi dei mutui si è accompagnata quella delle carte di credito. Banche come Citigroup e Bank of America e società specializzate in carte di credito come American Express hanno già perso miliardi di dollari. Ora si paventa, come fa il Financial Times di lunedì, il trasferimento della crisi delle carte di credito dagli Usa all’Europa. Con la differenza che, mentre negli Usa il debito al consumo è di 1.914 miliardi di dollari, in Europa raggiunge i 2.467 miliardi, dei quali il 7% di potrebbe andare perduto.

La maggior parte di queste perdite sarebbe concentrata nel Regno Unito, il paese che ha seguito maggiormente le orme degli Usa nella finanziarizzazione dell’economia e nell’indebitamento, e dove le insolvenze sono arrivate a 29.774 nel primo trimestre del 2009. Le perdite, inoltre, saranno sostenute interamente dai Lloyds (le assicurazioni britanniche), dal momento che le banche non sono riuscite a includere le carte di credito tra i 260 miliardi di sterline di titoli tossici assicurati col governo britannico.

La cosa più strabiliante e paradossale, ma solo in apparenza, è che né gli Usa né il Regno Unito sembrano aver tratto alcuna lezione dalla crisi dei subprime, legata agli effetti nefasti della mancanza di regolamentazione. Infatti, i due paesi stanno facendo pressioni affinché hedge fund e private equity non vengano sottoposti a regolamentazioni troppo strette da parte della Ue, che, sostengono, danneggerebbero il settore finanziario e chiuderebbero i fondi Usa agli investitori europei. A queste pressioni si oppongono Francia e Germania, che vorrebbero introdurre, come previsto dalla proposta contenuta nella “Direttiva sui fondi di investimento alternativi”, limiti all’indebitamento dei fondi, l’obbligo di tenere capitale sufficiente a coprire perdite e smobilizzi, e la divulgazione degli investimenti nel portafoglio dei private equity.

Come dicevamo, la mossa degli anglosassoni è solo apparentemente paradossale. Chi pensava che l’avvento di Obama e la pubblica gogna di qualche amministratore delegato di banca disonesto avrebbe cambiato d’un colpo i meccanismi di un sistema ormai consolidato (e conveniente per l’aristocrazia finanziaria e industriale) ha peccato d’ingenuità. La verità è che le misure anticrisi dell’amministrazione Obama (infarcita di quegli economisti clintoniani che diedero avvio al presente sistema) si basano sull’immissione di una enorme liquidità e denaro a basso costo. Niente di nuovo, rispetto all’ultimo quindicennio. O, per dire meglio, sono nuove le dimensioni ancora più spropositate della spesa statale Usa.

Secondo la dichiarazione shock dell’ispettore generale del governo statunitense, ammonterebbe a 27.700 miliardi di dollari la spesa totale per rimettere in funzione il sistema finanziario. È solo grazie a questa immane liquidità che le banche e le multinazionali nordamericane sono tornate in utile. Per questo gli Usa (e il Regno Unito) hanno bisogno di mantenere in funzione il sistema e rastrellare liquidità dovunque, così come hanno bisogno che la Cina continui a comprare titoli del tesoro Usa e a finanziare indirettamente il loro debito commerciale e statale.

Altro discorso è quello della Germania e della Francia (e aggiungerei dell’Italia), che non sono debitori (non hanno debito del commercio estero) e scontano, viceversa, una forte esposizione delle loro banche verso i paesi dell’Europa orientale (non solo finanziariamente ma anche industrialmente molto integrata con quella occidentale) e verso le maggiori aree mondiali in via di sviluppo. È loro interesse proteggere il proprio sistema bancario dai contraccolpi della finanza Usa, che già gli ha trasmesso l’infezione dei subprime, e da quelli della traballante Europa orientale.

Intanto, la disoccupazione cresce in Europa (in Spagna il record del 18%) e in Giappone (6 milioni di lavoratori dichiarati in esubero), con un impatto negativo sulla domanda di merci facilmente immaginabile nel prossimo periodo.

Difficile dire se è alle porte una seconda ondata della crisi finanziaria. Certo è che i fattori di criticità che hanno portato alla crisi non sono stati risolti, anzi in molti casi si sono aggravati, mentre si continua imperterriti a perseguire nella stessa direzione: mancanza di regolamentazione nella circolazione dei capitali e interventi statali massicci ma del tutto subalterni alle banche e alle grandi imprese.

Fonte: http://www.resistenze.org/

15 settembre 2009

LA SELEZIONE NATURALE, I MILIONARI E LO "STATO DI CALAMITA' PUBBLICA"

Nel sistema capitalista la logica di produzione non è misurata in base alla soddisfazione dei bisogni fondamentali della società (cibo, alloggio, salute, istruzione, ecc). Ma per l'ottimizzazione dei parametri di redditività privata capitalista. Pertanto, e seguendo il rigoroso ordine capitalistico, chi non può pagare per il cibo non sarà in grado di consumarlo. E 'la nuova teoria della selezione naturale della specie", non formulata da Darwin, ma dalle corporazioni transnazionali e le potenze imperialiste centrali che hanno trasformato il pianeta in un grande mercato. Con una logica prevalente: La sopravvivenza è riservata solo a quelli che hanno i soldi per pagarla.

Di Manuel Freytas (*)


Questo martedì il presidente del Guatemala, Alvaro Colom, ha dichiarato lo stato di "calamità pubblica" come una misura per affrontare la crisi alimentare e nutrizionale che interessa 54.000 famiglie e ha ucciso circa 25 bambini, dice un rapporto pubblicato dalle agenzie internazionali.
Circa 54.000 famiglie soffrono la fame secondo le autorità del Guatemala, e si teme che altre 400.000 potrebbero essere interessate entro la fine dell'anno. Secondo l'agenzia di stampa AFP, uno studio del Ministero della Salute Alimentare (Sesan), presentata il 16 agosto "ha indicato che il numero delle comunità a rischio di fame è aumentato del 113% negli ultimi tre mesi." Secondo la stessa Agenzia, 462 persone sono morte per questa causa, tra gennaio e luglio di quest'anno. "Ho deciso di utilizzare la legge di ordine pubblico e dichiarare lo stato di calamità pubblica su tutto il territorio nazionale, dal momento che le conseguenze dell'insifficenza alimentare e la nutrizionale non riguarda solo il dipartimento del Corredor Seco, ma l'intero paese" , ha detto Colom.
Nel mese di aprile 2009, l'UNICEF ha lanciato un avvertimento relazione in cui avvertiva che uno su due bambini guatemaltechi soffriva di denutrizione cronica e che l' 80% dei bambini indigeni sotto i 5 hanno seri problemi di origine alimentare. Pur essendo lontano dalla situazione economica di Haiti (il paese più povero dell'America Latina), il Guatemala raddoppia i casi di malnutrizione presenti nel paese caraibico. Dei 13,3 milioni di guatemaltechi, più della metà vive in condizioni di povertà e il loro sostentamento principale è l'agricoltura, colpiti ogni anno da siccità e inondazioni che causano perdite di raccolto di mais e fagioli, il loro sostentamento principale.


E allora? ", Come ce la passiamo da milionari in Guatemala e l'America Latina? Ovviamente di questo non parla nessun media o agenzia internazionale del sistema, che descrivono (come al solito), la povertà e la ricchezza separatamente, mostrando il fenomeno, ma non le cause.
Il confronto numerico e statistico delle cifre di ricchezza concentrata in poche mani, con la povertà, la fame e l'emarginazione umana in tutto il mondo, sono infinite, e rivelano più di qualsiasi immagine o parola, la vera natura della sistema capitalistico instaurato come "unica civiltà" possibile nel mondo.
Secondo i dati della Banca Mondiale e dell'ONU, più di 1 miliardo di persone sul pianeta vivono in estrema povertà e non possono coprire i loro bisogni alimentari di base. Si tratta del segmento compreso in quello che il presidente del Guatemala qualifica "stato di calamità pubblica."Con soli due dollari al giorno, 2,800 milioni di persone, quasi la metà dell'umanità vive oggi senza le risorse elementari per sopravvivere ai livelli più precari.
Ma se questo fenomeno statistico contastante sorprende, è stato chiaro da un ancor più brutale e crudo che emerge dal nuovo modello di sfruttamento e accumulo capitalista a livello mondiale: La crescita più elevata della ricchezza personale (i miliardari) si verifica nei paesi più poveri, i quali registrano livelli molto più alti di super-milionari, rispetto a quelli registrati negli Stati Uniti e paesi centrali.Secondo il rapporto annuale Global Wealth del 2007, realizzato da Merrill Lynch consulenza Capgemini, pubblicata su The Wall Street Journal, la popolazione dei milionari nei paesi emergenti è cresciuto quasi cinque volte di più rispetto agli Stati Uniti, la più grande economia mondo.
I mercati emergenti, inclusa l'America Latina, secondo il rapporto, stanno marcando il ritmo della crescita economica globale e cittadini benestanti stanno diventando collezionisti entusiasti, soprattutto di opere d'arte e oggetti che riflettono la loro identità culturale.


Secondo la definizione di Wikipedia, si chiama "paese emergente" il paese che, con un'economia sottosviluppata, per motivi economici della comunità internazionale, solleva una promozione in base al loro livello di produzione industriale e vendite all'estero, collocandosi come concorrente di altre economie più prospere e stabili per i bassi prezzi dei loro prodotti.
Ma, secondo dati della Banca Mondiale e dell'ONU, nelle nazioni "emergenti" emblematiche come la Cina, l'Asia e il Brasile (paradigmi del report) sono concentrati circa 700 milioni di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà (più dell' 11% della popolazione mondiale).
Pertanto, e per precisare, un paese "emergente" è l'esempio più emblematico della concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi capitalisti (crescita economica), con l'impoverimento di massa della maggioranza della società.
Secondo la Relazione Annuale Global Wealth (2007), le cifre dell'esodo dei milionari alle nazioni emergenti è la divergenza maggiore tra gli Stati Uniti e le principali economie in via di sviluppo da quando è iniziata l' elaborazione dei dati nel 2003.
Il numero di milionari in Brasile, Russia, India e Cina è saltato al 19% nel 2007 rispetto ad una crescita del 3,7% negli Stati Uniti, la minore espansione dal 2002, secondo il rapporto. Eppure, gli Stati Uniti continuano a dominare l'economia milionaria del mondo. Questo paese ha più di tre milioni di milionari finanziari, definiti come quelli con attività idonee ad investire 1 milione di $ o più.
Ciò significa 100.000 in più rispetto al 2006. Ma, secondo il Global Wealth Annual Report 2007 - I mercati emergenti hanno catturato la maggior parte della crescita milionaria lo scorso anno, con il Brasile, Cina, India e Russia, l'aggiunta di 133.000 nuovi milionari.
È opportuno dire che nell'altro estremo del mondo "emergenti", secondo dati della Banca Mondiale, 1,100 milioni di persone sul pianeta sono ufficialmente poveri. Ciò significa che una persona su cinque vive con meno di un dollaro (meno di 70 centesimi di euro) al giorno.
Con la soglia di due dollari al giorno sono 2.800 milioni di persone, quasi la metà dell'umanità, che vivono senza le risorse necessarie per la sopravvivenza.
Nei paesi poveri, secondo i dati delle Nazioni Unite, a 120 milioni di persone manca l'acqua potabile, 842 milioni di adulti sono analfabeti, 766 milioni non hanno servizi sanitari, 507 milioni hanno una aspettativa di vita di soli 40 anni, 158 milioni di bambini soffrono un certo grado di malnutrizione e 110 milioni in età scolare che non frequentano la scuola.
Secondo la Relazione Annuale della Ricchezza menzionata, il grande vincitore in termini di crescita dei milionari nel 2007 è stato l'India (300 milioni di poveri), la cui popolazione di milionari è cresciuto del 23% nel 2007 rispetto ad una crescita del 21% nel 2006 , la più grande espansione nel mondo. La Cina ha registrato una crescita del 21%, seguita dal Brasile con il 19% e la Russia con il 14%.
Dopo anni di ascesa, la partecipazione statunitense nel mercato dei milionari milionari del mondo è leggermente diminuita dal 31% nel 2006 al 30% nel 2007.
Inoltre, la loro partecipazione al patrimonio milionario è scesa dal 31% nel 2006 al 29% nel 2007 e si prevede un costante calo nel corso dei prossimi cinque anni, secondo il rapporto.
La partecipazione dell'Europa nel mercato dei milionari è ulteriormente diminuita, passando dal 36% nel 2002 al 31% nel 2007. Nel frattempo, la percentuale di milionari che appartiene ai mercati emergenti di India, Brasile, Russia e Cina è aumentato del 6% cinque anni fa, l'8%. I numeri della Relazione Annuale della Ricchezza menzionata fa il punto di una nuova realtà economica, i ricchi di domani molto probabilmente proverranno più da Oriente che da Occidente.


L'aumento del prezzo del petrolio e delle materie prime, il cambio di direzione dei flussi finanziari verso i mercati emergenti in rapida crescita, l'aumento tassi di risparmio al di fuori degli Stati Uniti e la caduta del dollaro stimolano la nascita di nuovi milionari e miliardari nei paesi un tempo noti per le loro condizioni di estrema povertà.
Secondo il Report 2007, la crescita della ricchezza nell'Est potrebbe cambiare i modelli di investimento e delle spese negli Stati Uniti, così come le donazioni e la creazione di imprese.
Più di 40 trilioni di $ (milioni di milioni di euro) nelle mani dei milionari del mondo si allontaneranno sempre più dagli Stati Uniti e altre grandi economie, perché i nuovi milionari preferiscono investire nei loro paesi.
Per avere un'idea di questa cifra, dobbiamo considerare che il PIL mondiale (il prodotto annuale del lavoro umano su scala globale) è di 60.000 miliardi di $, quindi l'importo concentrato nelle mani dei milionari equivale al 66% del PIL mondiale.
Ma le cifre sono ancora più agghiaccianti, secondo il Wall Street Journal, l'attività finanziaria globale (il denaro speculativo senza frontiere), è pari a circa 59,4 mille miliardi di $ (milioni di milioni di euro), equivalenti a quasi l'intero PIL mondiale.
Nell'altro estremo del "mondo dei milionari", e secondo la Banca mondiale, in Asia meridionale si concentra il maggior numero di persone che vivono con 1 $ pari a 515 milioni di persone. Seguita da Asia orientale e Pacifico Sudorientale dove 446 milioni di persone vivono in queste condizioni. 219 milioni in Africa al sud del Sahara. In America Latina e nei Caraibi (con 200 milioni di poveri) 110 milioni di persone vivono con 2 $ al giorno. In Europa orientale e Asia centrale 120 milioni di persone vivono con 4 $ al giorno.
In un capitolo speciale dedicato al tema della fame, in collaborazione con il World Food Program (WFP), CEPAL stima che l'11% della popolazione latino-americana è denutrita.
Secondo il rapporto annuale Global Wealth, la ricchezza è sempre più concentrata tra i ricchi, in particolare i "super-ricchi. La polazione dei super-ricchi o di quelli con 30 milioni di $ o più delle attività idonee per gli investimenti, è aumentata dell'8 ,8% di tutto il mondo lo scorso anno, mentre la sua sproporzionata fortuna è cresciuta del 14,5%.
I super-ricchi in India (con 300 milioni di poveri) già occupano quattro dei primi otto posti nella lista dei miliardari della rivista Forbes, mentre il messicano Carlos Slim ha superato Bill Gates posizionandosi al secondo posto. Il numero uno è il miliardario Warren Buffett, mentre Gates è terzo.
Si prevede che nel 2009 gli investimenti dei miliardari del mondo in Nord America caleranno al 39% , contro il 42% del 2007, dice il rapporto. E 'anche probabile che il cambiamento accelleri la disuguaglianza economica globale", dice, perché la crescita maggiore di milionari e miliardari sta avvendo nei paesi con ampi divari tra ricchi e poveri.
Secondo la relazione, il flusso di denaro in mercati azionari ha creato un boom nelle offerte pubbliche iniziali (IPO) e le azioni che possono portare a fusioni. Questo ha guidato la cresita di quello che i banchieri privati chiamano "eventi di liquidità", quando il proprietario o amministratore delegato di una società capitalizza le sue partecipazioni, diventando così un miliardario o milionario.
"I mercati finanziari stanno prendendo piede in questi paesi, e questo consente loro di capitalizzare sulla loro attività", spiega Kenneth Rogoff, economista dell'Università di Harvard.
"La globalizzazione della creazione di ricchezza si è accelerato", ha detto Bertrand Lavayssiere, direttore dei servizi finanziari del gruppo Capgemini. "Se il 2005 è stato caratterizzato da un flusso di investimenti per i fondi internazionali da parte delle persone con elevati patrimoni, il 2006 ha inaugurato una nuova era in cui le economie emergenti sono avanzate con forza, grazie agli investimenti stranieri, una forte domanda interna e grandi guadagni dei mercati azionari.

Manuel Freytas è un giornalista, ricercatore, analista di strutture di potere, specialista di intelligence e comunicazione strategica. Si tratta di uno degli autori più diffusi e referenziati nel web. Vedi il suo lavoro in Google e IAR News

Fonte: http://www.iarnoticias.com/2009/secciones/contrainformacion/0060_seleccion_natural_09sept09.html
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