23 marzo 2009

IL MONDO SOTTO SORVEGLIANZA (Jean- Claude Paye)

di Silvia Cattori

Le conseguenze delle legislazioni antiterrorismo sul semplice cittadino
Nel dicembre 2005, i media degli Stati Uniti hanno rivelato che la NSA, un’agenzia che ufficialmente ha compiti di spionaggio estero, aveva intercettato le conversazioni telefoniche di cittadini americani. Un anno dopo gli stessi media hanno rivelato che la NSA aveva schedato milioni di comunicazioni e che la CIA sorvegliava tutte le transazioni finanziarie internazionali.
In Europa, nell’indifferenza generale, una legislazione che impone la conservazione dei dati personali è già stata adottata dai parlamenti nazionali. Mentre negli Stati Uniti i media si sono mobilitati e le organizzazione per la difesa della libertà individuale hanno condotto una campagna contro queste norme, senza tuttavia riuscire a suscitare una mobilitazione popolare, in Francia e in Germania progetti di legge analoghi, che permettono alla polizia di introdursi nei computer delle persone sospettate di terrorismo, non hanno praticamente suscitato reazioni.
In questa intervista il sociologo belga Jean-Claude Paye dimostra come le leggi antiterrorismo svuotino di sostanza le normative nazionali ed europee in materia di protezione dei dati personali e rileva la portata delle disposizioni che legalizzano l’intrusione di programmi spia nei computer di privati cittadini.

22 marzo 2009

MADAGASCAR: UN GOLPE CONTRO UNA MULTINAZIONALE


Ricorda (vagamente) quel che successe in Bolivia contro le multinazionali dell'acqua, la situazione in Madagascar. E' che quando la svendita è troppa, è troppa.

La splendida isola africana era non solo un Eden in Terra, ma era anche ricchissima di risorse naturali e minerarie. Il Presidente Ravalomanana, quello cacciato a calci nel sedere, aveva pensato bene di avviare la consueta politica di privatizzazioni selvagge con il premuroso sostegno dei soliti compagni di merende: il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l'Unione Europea (che quando si tratta di andare a depredare gli altri è pochissimo statalista).

Così, mentre il popolo malgascio continuava a fare la fame come tradizione, ecco chi si appropriava dei suoi tesori: il petrolio finiva alla francese Total, la bauxite e l'allumina alla Rio Tinto che malgrado l'esotico nome è inglese, il titanio alla sudafricana Exxaro, il carbone alla Island Minerals australiana, e infine il nichel e il cobalto alla canadese Sherritt. Naturalmente, le estrazioni minerarie avvengono come sempre senza alcun rispetto del ricchissimo ambiente malgascio, devastando allegramente foreste e habitat di specie preziose e in via di estinzione.

Fin qui, tutto normale. Ma alla fine la shock economy esagera sempre: e quando lo scorso novembre il presidente tycoon (sull'Independent lo paragonano apertamente a Berlusconi!) ha deciso di cedere, gratuitamente, l'uso di metà del territorio coltivabile alla multinazionale coreana Daewoo per sfamare Seoul, la popolazione ha deciso di mettere un punto. Si trattava di 1,3 milioni di ettari che alimentavano quattro milioni di persone, e la Daewoo li riceveva in dono limitandosi a ricambiare con "infrastrutture". Si, immaginiamo le grandi opere in programma...

Come dice Grillo, che fu tra i primi a parlarne, un tempo si regalavano collanine di vetro ai colonizzati, oggi neanche quelle. Però, almeno, è stato trovato il coraggio di ribellarsi a tutto ciò e di rovesciare un simile corrotto governo. Si spera ora nel sol dell'avvenir, ma il nuovo leader è un ex dee-jay... non esattamente Salvador Allende.

Fonte: http://petrolio.blogosfere.it/

21 marzo 2009

NOAM CHOMSKY: INDEBOLENDO GAZA...


Sameer Dossani intervista Noam Chomsky
Foreign Policy in Focus

DOSSANI: Il governo israeliano e molti personaggi politici ufficiali, in Israele e negli Stati Uniti, sostengono che l'attacco a Gaza vuole por termine al lancio di missili Qassam su Israele. Ma diversi osservatori sostengono che, se questo fosse il problema, Israele avrebbe fatto maggiori sforzi per rinnovare l'accordo di cessate il fuoco, scaduto a dicembre, che aveva quasi fermato il lancio di missili. Secondo lei, quali sono I veri motivi delle attuali azioni israeliane?

CHOMSKY: Questo è un tema che risale fino alle origini del sionismo. Ed è assai razionale: “Ritardiamo negoziati e diplomazia quanto più possibile, e nel frattempo 'costruiamo fatti sul terreno'. Così Israele crea le basi che un qualche accordo alla fine ratificherà; ma più creano, più costruiscono, migliore sarà per loro l'accordo. Lo scopo è di portar via qualunque cosa abbia valore in quella che una volta era la Palestina, e di scardinare quel che resta della popolazione originaria..
Penso che uno dei motivi per cui negli Stati Uniti questo ha il sostegno popolare è che ricorda molto bene la storia americana. Come si sono costituiti gli USA? La tematica è simile.

20 marzo 2009

IL NUOVO ORDINE MONDIALE DI OGM...


Nessuna barriera in Europa per l'importazione di cibo OGM, al cloro e quant'altro dagli USA.

Una risoluzione del Parlamento europeo del 28 maggio 2008, nascosta dai media ( servi del potere) nazionali, attua una legittimazione del progetto di creazione di un grande mercato transatlantico per il 2015.
Prevede l'eliminazione delle barriere al commercio, d'ordine doganale, tecnico o regolamentare, come pure la liberalizzazione degli appalti pubblici, della proprietà intellettuale e degli investimenti.
L'accordo prevede un'armonizzazione progressiva delle regolamentazioni e soprattutto il riconoscimento reciproco delle norme in vigore dei due lati dell'Atlantico.
Nei fatti, è il Diritto statunitense che sarà applicato.
Questo significa libera importazione di sostanze OGM (Monsanto,Unilever ringraziano), polli al cloro, carni stracariche di ormoni e cibi extravitaminici fino ad ora vietati in UE.

L' accordo sul libero mercato (o libero avvelenamento) è passato grazie ad una organizzazione ONG, la Transatlantic Policy Network composta da una lunga serie di aziende, banche , multinazionali e organizzazioni come ad esempio ASPEN ITALIA (Luigi Abete, Giuliano Amato, Lucia Annunziata, Alberto Bombassei, Francesco Caltagirone, Giuseppe Cattaneo, Fedele Confalonieri, Francesco Cossiga, Maurizio Costa, Gianni De Michelis, Umberto Eco, John Elkann, Pietro Ferrero, Jean-Paul Fitoussi, Franco Frattini, Cesare Geronzi, Piero Gnudi, Gian Maria Gros-Pietro, Enrico Letta, Gianni Letta, Emma Marcegaglia, Francesco Micheli, Paolo Mieli, Mario Monti, Tommaso Padoa Schioppa, Corrado Passera, Riccardo Perissich, Angelo Maria Petroni, Mario Pirani, Roberto Poli, Ennio Presutti, Romano Prodi, Gianfelice Rocca, Cesare Romiti, Paolo Savona, Carlo Scognamiglio, Domenico Siniscalco, Lucio Stanca, Robert K. Steel, Giulio Tremonti, Giuliano Urbani, Giacomo Vaciago).

Nel dettaglio della Transatlantic Policy Network fanno parte:
• ABB (Asea Brown Boveri, il colosso elvetico-svedese dell'elettricità);
• Deutsche Bank
• Pechiney
• Accenture, una costola della Arthur Andersen, prudenzialmente con base nel paradiso fiscale delle Bermuda, che agisce come agenzia di lobby: a questo scopo spendendo nel 2006 oltre 4 milioni di dollari per convincere gli eurocrati.
• Dow Chemical, la più grande multinazionale chimica, produttrice del napalm, che nel 2007 ha speso in lobbying 2,3 milioni di dollari.
• Pfizer International, la farmaceutica, detentrice di brevetti miliardari come il Viagra e Zoloft.
• AOL Time Warner, il più grosso provider di accesso a Internet, e la più grande agenzia dell'industria dello spettacolo-
• EDS o Electronic Data Systems, la più grossa multinazionale di elettronica e telecomunicazioni, anche militari.
• Philips BASF
• Ford Motor Company SAP
• Bertelsmann AG , la grande editrice tedecsa (giornali, riviste, radio, libri).
• AG General Electric SAS
• Boeing
• Honeywell
• Siemens AG
• BP
• IBM- Unilever BT
Merck
• United Technologies Corporation, holding multinazionale che possiede famose industrie dell'armamento, da Sikorsky (elicotteri) a Pratt & Whitney (motori daereo)
• Caterpillar
• Michelin- UPS- Coca-Cola
• Microsoft
• Xerox
• Daimler Chrysler
Nestlé
ISTITUZIONI :
• Aspen Institute - Berlin
• Aspen Institute - Italy
• The Atlantic Council of the United States- Brookings Institution
• Carnegie Endowment for International Peace
• Centre for European Policy Studies (CEPS)
• Congressional Economic Leadership Institute (CELI)
• Council on Foreign Relations
• Center for Strategic and International Studies (CSIS)
• European Policy Centre (EPC)
• The European Round Table of Industrialists (ERT)
• European-American Business Council
• EC Committee of the American Chamber (Brussels)
• European Institute (Washington)
• German Marshall Fund of the United States
• Institut Francais des Relations Internationales (IFRI)
• Trans European Policy Studies Association TEPSA)
• UNICE
• U.S. Chamber of Commerce
• US Council on Competitiveness.

IL PONTE DELLA MAFIA


di Umberto Santino

Durante la campagna per le elezioni politiche e regionali del 13 e 14 aprile 2008 il fantasma del Ponte sullo Stretto di Messina è tornato a materializzarsi assumendo un ruolo centrale sia nei programmi di Berlusconi che in quelli di Lombardo, candidato alla presidenza della Regione siciliana dopo le dimissioni di Cuffaro. Con il trionfo di entrambi si parla di affrettare i tempi per la posa della prima pietra. Ci sono già le date: nel 2010 dovrebbero iniziare i lavori, e dovrebbero essere ultimati nel 2016. Rischiano così di essere spazzate via tutte le osservazioni che sono state mosse alla costruzione della megaopera: il Ponte è inutile, è dannoso, si inserisce in un'area tra le più sismiche del pianeta, è una voragine di soldi che potrebbero essere spesi per promuovere un reale sviluppo della Sicilia e della Calabria.

Il Ponte vogliono farlo, sia Berlusconi che Lombardo, perché sarebbe qualcosa come le piramidi per i faraoni, un monumento con cui consegnarsi alla storia. E, tenendo conto di come sono fatti tali personaggi, l'immagine delle piramidi sembra fatta su misura per loro. Ma è un'immagine che può andare benissimo non solo per la grandiosità del progetto ma soprattutto perché esso è una summa ancora più grande di interessi. Sul ruolo che la mafia, le mafie, potrebbero avere nella costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina sono apparsi in questi ultimi anni articoli, resoconti di ricerche e di inchieste, considerazioni all'interno delle relazioni della Direzione investigativa antimafia. Eppure il quadro che emerge da gran parte di queste prese di posizione può considerarsi inadeguato. Poiché inadeguata è l'idea di mafia che sta alle loro spalle. Una mafia che al più potrebbe esercitare la vecchia pratica dell'estorsione-protezione, rispolverata da analisi di successo, nonostante la loro evidente infondatezza o parzialità; potrebbe accaparrarsi subappalti, fornire materiali, reclutare manodopera, lucrare in mille modi ma comunque limitarsi a un ruolo parassitario-predatorio. Questo libro, sulla base di una documentazione rigorosa, dà un'immagine diversa, poiché parte da un'idea di mafia molto più complessa. Non solo e non tanto la cosiddetta "mafia imprenditrice" di cui si è parlato a partire dagli anni '80, in base a un'analisi frettolosa e superficiale, ma una mafia finanziaria, forte di un'accumulazione illegale sviluppatasi esponenzialmente e quindi in grado di giocare un ruolo da protagonista e non da parente povero dei grandi gruppi imprenditoriali.

La stampa ha parlato di personaggi come l'anziano ingegnere Zappia, ma scorrendo le pagine di questo libro si incontrano gruppi e figure che non lasciano dubbi sulla loro natura e sulle loro intenzioni. In primo luogo la mafia siculo-canadese, dagli storici Caruana e Cuntrera a Vito Rizzuto, poi i signori del petrolio, tutti personaggi indicati con nomi e cognomi e sulle cui disponibilità finanziarie non si possono nutrire dubbi. E questo campionario non è il frutto di una sorta di chiamata di correo general-generica ma poggia sulla base di relazioni ricostruite con puntigliosa precisione attraverso una documentazione che privilegia le fonti giudiziarie, anche se non definitive. La fonte più significativa è l'inchiesta Brooklyn, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma, al cui centro è un'operazione orchestrata dalla mafia siculo-canadese per investire 5 miliardi di euro provenienti dal traffico di droga. Giuseppe Zappia e la sua cordata nel 2004 sono stati esclusi dalla gara preliminare per il general contractor e l'ingegnoso professionista si è affrettato a indicare una fonte finanziaria insospettabile: una società in mano alla famiglia reale dell'Arabia Saudita che prenderebbe i soldi dal business del petrolio. Il quadro che emerge dall'inchiesta è uno spaccato significativo del capitalismo reale contemporaneo, in cui l'accumulazione illegale convive con quella legale, accomunate da processi di finanziarizzazione speculativa per cui diventa sempre più difficile distinguere i due flussi. È una prospettiva indicata da tempo da chi scrive, per anni in sostanziale isolamento, e che a lungo andare si è presentata come la più adeguata per capire l'evoluzione dei fenomeni criminali e la permeabilità del contesto economico, politico e istituzionale.

Il quadro si amplia ulteriormente se si considerano le vicende belliche recenti e in corso, che hanno fatto degli ultimi anni una micidiale mistura di violenze che consegnano un tragico testimone al nuovo millennio. Se il Novecento è stato il secolo, tutt'altro che breve per chi l'ha vissuto, che ha visto rivoluzioni abortite e totalitarismi tra i più feroci, ma pure tra i più legittimati dal consenso delle folle, della storia dell'umanità, il Duemila nasce all'insegna della contrapposizione tra guerra e terrorismo, entrambi elevati a religione identitaria, in un duello barbarico che impropriamente si definisce "scontro di civiltà" mentre sarebbe più congruo parlare di morte delle civiltà. Cosa c'entra tutto questo con il Ponte? Nelle pagine del libro troviamo vecchi e nuovi personaggi, alcuni notissimi, altri meno, che all'interno del mondo finanziario si incontrano e danno vita a un carosello che sembra fatto per confondere le acque ma in cui tutto sommato è possibile seguire il filo degli interessi e ricostruire il gioco delle parti. I dignitari arabi chiamati in causa da Zappia sarebbero personaggi che direttamente o indirettamente sono legati agli strateghi del terrorismo internazionale. Qualche esempio: risulta che il Saudi Binladin Group opera congiuntamente con Goldman & Sachs che ha una partecipazione del 2,84 % in Impregilo, la società che si è assicurata la costruzione del Ponte, mentre un altro gruppo, l'ABN Amro, sempre in collegamento con la società della Famiglia Bin Laden, ha il 3%. Si dirà: i familiari di Osama non sono direttamente coinvolti nel terrorismo islamico, ma i movimenti islamisti radicali che si ispirano al wahhabismo contribuiscono a costruire e diffondere un credo identitario che costituisce il contesto ospitale per scelte che portano in quella direzione. E gli affari sono affari per tutti, anche se ci si trova ad operare in schieramenti contrapposti. Al di là di credi religiosi, di fedi politiche, il business è una sorta di dio unico di un monoteismo devotamente praticato da chi ha capitali da investire e interessi da far valere.

Le grandi opere sono uno dei terreni principali in cui si cementano i blocchi sociali e si formano e consolidano le borghesie mafiose. Non è una novità. Tra le grandi opere spicca per la sua emblematica esemplarità l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, un vero e proprio crocevia in cui si incontrano tutti: grandi imprese, famiglie mafiose, storiche ed emergenti, politici e amministratori di varia estrazione, ormai tutti, o quasi tutti, accomunati dal credo del business a portata di mano. E anche in questi casi non si tratta solo di pagare pizzi, "rispettare" competenze territoriali, ma di cointeressenze, proficue per tutti. Più che di accoppiamenti forzati si deve parlare di matrimoni consensuali. Tutto questo si consuma in un contesto, come quello in cui viviamo, in cui l'illegalità è una risorsa, la sua legalizzazione è un programma, l'impunità è una bandiera e uno status symbol. E il consenso non manca. Un'opera come il Ponte, nonostante le voci contrarie, coniuga perfettamente interessi mirati e diffusi. Fa da collante per una formazione sociale che ha radici storiche e ottime prospettive di futuro. Il libro di Mazzeo delinea questo percorso e rilancia l'allarme. Come tale si inserisce in un dibattito che ha conosciuto momenti significativi ma che da qualche tempo si è assopito. Ed è assente, o quasi, proprio ora che ci si prepara alla liturgia della prima pietra. Quel che mi sembra vada sottolineato è che non si tratta di sposare una visione secondo cui qualsiasi opera, grande o piccola che sia, vada esorcizzata, in nome di un fondamentalismo ambientale che vuole, riuscendoci o meno, sbarrare il passo a qualsiasi intervento umano su una natura che da millenni è ben lontana dall'essere incontaminata.

L'ambientalismo non può essere ridotto a una sequela di no, ma dovrebbe essere capace di porsi come alternativa, praticabile e concreta. Ed è proprio questa alternativa che, dopo il crollo delle grandi narrazioni, è venuta a mancare, anche se non mancano proposte credibili. Ma è il quadro generale che non c'è. E non vuol dire neppure bloccare i lavori non appena si sente odore di mafia. Un'opera pubblica, piccola o grande che sia, se è utile, se è necessaria, va fatta e se la mafia cerca di metterci le mani bisogna fare di tutto per tagliargliele. Se c'è la volontà di farlo, è possibile: dovrebbe essere chiaro che non esiste nessuna Piovra, inconoscibile e imbattibile. Ci sono mafie, con uomini in carne e ossa, che è possibile individuare, combattere e sconfiggere. Non certo inviando eserciti, che servono soltanto a simulare un controllo del territorio meramente simbolico e spettacolare. Le mafie si sconfiggono solo se si spezzano i legami che le hanno fatto e le fanno forti. E l'inchiesta in corso di svolgimento sugli interessi mafiosi legati al Ponte può andare a segno solo se non è un fatto isolato, frutto di un atto pilatesco che delega ancora una volta ad alcuni magistrati quello che dovrebbe essere l'impegno di uno schieramento più ampio. C'è da chiedersi se il cantiere per costruire un ponte culturale, sociale e politico, lanciato verso un futuro diverso, sia aperto e operante o faccia parte di un desiderio destinato a rimanere tale.

Titolo originale: IL PONTE E LE MAFIE: UNO SPACCATO DI CAPITALISMO REALE

Fonte: http://www.imgpress.it/

19 marzo 2009

UE: CAMBIALE ISLANDESE PER ELUDERE I "NO" REFERENDARI


di Maurizio De Santis

Quindi ci siamo. Olli Rehn, commissario preposto all'allargamento dell'Unione europea, s'è detto pronto ad organizzare una procedura d'adesione rapida, per l'isola attraversata da una crisi economica e finanziaria senza precedenti.
La notizia è stata annunciata dal portavoce del commissario, la sig.ra Krisztina Nagy.
La situazione particolare dell' Islanda, fino a poco fa acclamata per il suo miracolo economico, membro dello Spazio economico europeo, sarebbe facilitata dal fatto che una grande parte della sua legislazione è già armonizzata con quella UE.
Va tuttavia detto che, a livello politico, non è affatto detto che l'Islanda chieda di raggiungere l'Unione europea. Difatti, non bastasse il disastro economico e finanziario, il panorama politico del paese è alquanto sconfortante. Dopo le dimissioni del primo ministro, l’intero arco costituzionale si è trovato diviso sul paventato progetto di adesione.
Ricordo che le maggiori perplessità degli islandesi erano di carattere squisitamente economico, per lo più legate al timore di vedersi imporre quote di pesca troppo restrittive da parte dell’Ue.
Ma tali riserve appaiono oggi piuttosto anacronistiche.
Nel frattempo, infatti, la corona è crollata a seguito del fallimento del sistema finanziario del paese. Già lo scorso mese di ottobre, La banca centrale islandese aveva alzato intanto il costo del denaro di 6 punti percentuali, portandolo al vertiginoso livello del 18%, il più alto in Europa
E pensare che, come già accennato, nel 2007, l'Islanda era stata classificata quale nazione più sviluppata nell'Indice di Sviluppo Umano dell'ONU.
I recenti fatti ci dimostrano che la straordinaria ricchezza islandese era stata costruita sul nulla della bolla mondiale del credito.
Lo scoppio di questa bolla e la conseguente contrazione del credito, hanno generato una vera e propria catastrofe finanziaria che ha posto la parola “fine” alla fiaba islandese.
Forse, quattro cifre potrebbero aiutare a comprendere la situazione che l’UE andrebbe a caricarsi sul già oberato groppone: il collasso delle banche islandesi, maturato tra settembre ed ottobre dell'anno scorso, ha generato l'incredibile debito di 14 miliardi di Euro. Cifra che, rapportata all’Italia farebbe sorridere, ma commisurata ad una popolazione di 320.000 abitanti (diciamo mezza Firenze) assume una sfumatura differente. In pratica equivale a sei volte il PIL annuale islandese!
Il debito estero (quello appostato in partite da corrispondere nel breve periodo), ammonta a 15 volte il valore posseduto dalla Banca Centrale Islandese in valute estere alla fine del 2007, o in altri termini, al 200% del PIL.
Ora, è evidente che l'isola dovrebbe riequilibrare il proprio sistema finanziario e stabilizzare la valuta prima del di sperare di soddisfare i criteri d' adozione della moneta europea.
La questione dovrebbe in tutti i casi occupare i dibattiti in occasione della campagna per le elezioni previste in maggio prossimo.
Ma, per modificare la costituzione in Islanda, occorre sciogliere il Parlamento ed indire, contestualmente, nuove elezioni. Queste elezioni, che dovrebbero avere luogo in aprile, permetterebbero al popolo islandese di esprimersi non soltanto su un nuovo governo, ma anche sul desiderio, o no, di entrare nell’Ue.
Complicato, ma non impercorribile.
I vari rovesci referendari di Bruxelles, in termini di accettazione della Costituzione, hanno indotto la corrente europeista ad accettare di buon grado la “cambiale” islandese. Soprattutto quando si è intuito che questo invito potesse risultare politicamente vantaggioso.
Difatti, mentre la procedura di adesione all'UE della Croazia si è impantanata, Bruxelles ha iniziato a caldeggiare l'adesione dell'Islanda.
Perché?
Perché la candidatura del paese artico permetterebbe a Bruxelles di modificare il Trattato di Lisbona, in attesa di ottenere un risultato positiva al secondo referendum irlandese, previsto per ottobre.
Quindi, nonostante il fatto che l'economia dell'Islanda sia stata danneggiata da un tracollo finanziario di proporzioni bibliche, l'UE non annovera il paese artico nel club dei paesi poveri.
D’altronde, per Olli Rehn tutto è chiarissimo: Si. Il paese attraversa un periodo difficile, ma possiede molte ricchezze naturali ed è, senza dubbio, un paese di cultura spiccatamente europea, con una base democratica molto solida.
Olli Rehn dev’essere stato discepolo del sublime Dalai Lama. Proprio quello che disse: “dobbiamo imparare bene le regole, in modo da infrangerle nel modo giusto”.

Fonte: http://www.giustiziagiusta.info/

18 marzo 2009

GLI SQUADRONI DELLA MORTE DI ISRAELE: STORIA DI UN SOLDATO

di Donald Macintyre
© Copyright Donald Macintyre, The Independent, 2009

Un ex membro di uno squadrone della morte israeliana ha rotto il silenzio per la prima volta: storia di un soldato.
La politica militare di Israele di assassini selettivi è stata descritta dall'interno per la prima volta. In un'intervista con l'Indipendent on Sunday, e nella sua testimonianza ad una organizzazione di ex soldati, Breaking the Silence (Rompendo il silenzio), un ex membro di uno squadrone della morte, ha parlato del suo ruolo in un'imboscata fallita nella quale morirono due passanti palestinesi così come i due combattenti attaccati.


L'operazione, che ebbe luogo poco più di otto anni fa, all’inizio dell'attuale Intifada, causò traumi psicologici all'ex tiratore scelto. Fino ad oggi non ha mai raccontato ai genitori la sua partecipazione a quello che chiamò "il primo assassinio faccia a faccia dell'Intifada".

17 marzo 2009

L' ETICA DEL MICROCHIP

Quello che era eticamente inaccettabile cinquant’anni fa oggi è assolutamente nella norma e quindi, secondo il principio etico-evoluzionistico, quello che oggi consideriamo fuori da ogni logica morale, fra alcuni decenni potrebbe essere del tutto normale e socialmente accettato.Per la celebrazione dei primi 40 anni di vita di Intel, Justin Rattner, direttore tecnico dell’azienda, ha espresso alcune congetture sul futuro dell’umanità: entro il 2012 la linea che divide gli esseri umani dalle macchine potrebbe diventare quasi impercettibile.

Nella visione del futuro di Rattner i microchip potrebbero essere integrati nei nostri corpi.

Le grandi multinazionali come Coca Cola, Kraft, CVS, Proctor and Gamble, Kellogs, Best Buy, Home Depot, Colgate-Palmolive, GlaxoSmithKline, Nestle, PepsiCo, stanno già sostenendo l'operazione, ed hanno già cominciato su vasta scala (e all'oscuro di milioni di cittadini), ad immettere sul mercato etichette RFID.
Anche in Italia, ma sempre all'insaputa dei cittadini alcune marche famose hanno prodotto etichette con microchip, come ad esempio la Benetton, che nel 2003, dopo aver fatto dei "test interni" sulla tecnologia R-Fid, poi ha dichiarato in un comunicato stampa che non sarebbero stati applicati a livello industriale. Nel frattempo anche Prada, Iceberg e Levi's si sono interssati alle etichette R-fid. La Levi's le ha applicate su diversi stock in tutto il mondo senza però informare i cittadini.

Fin qui nulla di nuovo, perchè qualche ben informato sa che i microchip sono una realtà, anche quando viene nascosta. Ora però anche in Italia, si cominciano a propagandare i benfici (?) di un R-Fid. Circa un mese fa la Banca Marche, in collaborazione con MasterCard e
CartaSi, ha lanciato un’iniziativa nelle città di Pesaro, Fano, Cattolica e Gabicce
Mare per gestire in modo nuov i cosiddetti “micro pagamenti”, cioè i pagamenti fino a 25 euro.
La carta di credito, emessa per Banca Marche da CartaSi su circuito MasterCard, in collaborazione con Quercia Software, oltre alle normali funzioni di carta di credito è dotata della tecnologia contactless.
Il tutto viene propagandato mettendo l'attenzione sulla velocità dei pagamenti che avverrebbero in circa un secondo, semplicemente accostando la carta al display.
Solo pochi mesi fa la IBM ha fatto uno spot, andato in onda in Usa, dove pubblicizzava il suo microchip. Ricordiamo che proprio la IBM nel 2001 lo ha brevettato.

Quanto tempo passerà prima che vediamo in TV la pubblicità di un impianto R-Fid sull'uomo, anche in Italia? Hanno già prodotto "braccialetti" per pazienti, che "eliminerebbero" errori nella somministrazione di farmaci. E' questa la soluzione alla malasanità?
Prossimamente vedremo braccialetti per chi viola la legge, diranno che è per la nostra sicurezza, ma dopo qualche anno non saranno sufficienti, e dovremo fare tutti un bell'impanto R-Fid!

16 marzo 2009

BCE: MEZZA EUROPA AD OLTRE IL 3% DI DEFICIT NEL 2009

di Diana Pugliese

L’Europa conferma l’aggravarsi della recessione ma non rinuncia a tentare di imporre le solite ricette liberiste ai governi del Vecchio Continente, Italia compresa. Dopo il monito lanciato nei giorni scorsi all’Italia sulla necessità di fare una nuova (l’ennesima!) riforma delle pensioni - a ben vedere già ampiamente tagliate in termini di diritti - l’esecutivo Ue non ha rinunciato ad ammonire i Paesi membri sull’importanza di mantenere i saldi di bilancio entro i limiti previsti dal Trattato di Maastricht. Su sedici Paesi di Eurolandia, si legge nelle previsioni della Commissione, ben dieci si attesteranno al di sopra del 3% nel rapporto deficit-Pil nel 2010. “Il deterioramento dei conti pubblici è diffuso nei Paesi dell’area euro”, ha ammesso la Commissione: secondo le attuali stime Irlanda, Grecia, Spagna, Francia, Italia, Portogallo e Slovenia supereranno già da quest’anno “il valore di riferimento del 3% del Pil, rimanendone al di sopra nel 2010 (ad eccezione della Slovenia)”. Nel 2010 si uniranno ad essi Belgio, Germania, Austria e Slovacchia e, come prevede il Bollettino della Bce, a sforare il tetto entro il 2010 potrebbero essere ben dieci dei sedici Paesi membri dell’area dell’euro. Una prospettiva che finisce per supportare il gioco di sponda tra Bruxelles e Francoforte sulla necessità di “scadenze chiare” per la correzione dei disavanzi eccessivi, in barba all’evidente straordinarietà della crisi in atto e richieda alla necessità di misure e logiche fuori dalla norma. Il Consiglio direttivo, si legge infatti nel bollettino della Banca centrale europea, “sostiene la Commissione europea nell’intento di avviare procedure per disavanzi eccessivi nei confronti di diversi Paesi” e ritiene importante, “al fine di preservare la credibilità del quadro per la sorveglianza dei conti pubblici nell’Ue”, che vengano “fissate scadenze chiare per la correzione dei disavanzi eccessivi e che i piani di risanamento si fondino su misure strutturali incisive e ben definite”. Una perifrasi che, in sostanza, significa riforma delle pensioni, privatizzazioni e via discorrendo.
Commentando gli effetti della crisi sulle politiche di bilancio, la Bce evidenzia nel documento che “gli aggiornamenti dei programmi di stabilità dei Paesi dell’area dell’euro e gli addenda recenti” confermano “la prospettiva di un brusco deterioramento generalizzato delle finanze pubbliche all’interno dell’area” e invita i governi a “compiere un percorso di risanamento per il ripristino di solide posizioni di bilancio, nel pieno rispetto del Patto di stabilità e crescita”. Per i banchieri di Francoforte, ciò è necessario per “mantenere la fiducia del pubblico nella sostenibilità dei conti, importante sia per la ripresa economica, sia a beneficio della crescita nel lungo periodo”.
Che la situazione sia molto difficile e che quindi anche i conti peggioreranno inevitabilmenteè dunque chiaro, sia per la Commissione sia per la Bce. Secondo le stime contenute nel Bollettino, il Pil di Eurolandia dovrebbe registrare nel 2009 una caduta compresa tra il 3,2% e il 2,2%, per poi migliorare nel 2010, anno in cui nella zona euro è attesa “una graduale ripresa” e una crescita compresa fra il meno 0,7% e il più 0,7%. “In entrambi gli anni - si legge nel documento - il tasso di incremento del Pil subirà una riduzione significativa per gli effetti negativi di trascinamento dell’anno precedente”.
Per gli economisti di Francoforte, però, la ripresa del 2010 dipenderà dagli “effetti delle ingenti misure di stimolo macroeconomico in atto” (tutti ancora da vedere…) nonché dagli “interventi” attuati sia all’interno che all’esterno di Eurolandia per ripristinare il funzionamento del sistema finanziario. A sostenere nel prossimo futuro i consumi e il reddito disponibile reale, per Francoforte, contribuirà invece (solo) il calo dei prezzi delle materie prime.
La logica degli euroburocrati è chiara: mentre i cittadini europei devono fare sacrifici per rispettare il Patto di Stabilità - un vincolo che peraltro nemmeno gli Usa si auto-impongono a sostegno della credibilità del dollaro con la conseguenza di esportare i loro debiti in Europa e nel resto del mondo - gli economisti della Bce possono tranquillamente dimostrarsi impotenti di fronte alla crisi, ammettendo di non possedere strumenti adeguati di contrasto.
Preoccupati più di salvare il ‘lavoro’ svolto finora sul fronte dell’inflazione e dell’apertura dei mercati e della concorrenza - politiche dimostratesi fallimentare rispetto agli scopi perseguiti - i banchieri di Francoforte sembrano auspicare infatti il perpetrarsi della crisi piuttosto che una rapida ripresa dell’economia. “È essenziale che le misure di sostegno adottate dai governi non distorcano la concorrenza e non ritardino l’adeguamento strutturale necessario ed è fondamentale evitare misure protezionistiche”, si legge nel bollettino della Bce, nel quale si ribadisce anche che “nel settore delle politiche strutturali resta importante perseguire politiche economiche in linea con il principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza”. “Astenersi dal protezionismo sarà indispensabile per consentire all’economia mondiale di superare con maggiore rapidità la crisi”, sostengono i tecnici della Bce, rilanciando i negoziati del Doha Round come “tappa saliente verso la maggiore integrazione e apertura dell’economia mondiale a beneficio di tutti”.
Commentando l’ultimo taglio del costo del denaro del 5 marzo scorso, inoltre, il Consiglio direttivo dell’istituto ha ammesso candidamente che l’obiettivo della misura non era di stimolare la crescita ma di mantenere la stabilità dei prezzi e il potere d’acquisto delle famiglie nel medio periodo, come prevede lo stesso statuto della Bce che mira ad un tasso di inflazione inferiore al 2%. E stando alle stime della banca centrale, intorno alla metà del 2009 l’inflazione dovrebbe scendere temporaneamente sotto lo zero, con un tasso di incremento annuo compreso fra lo 0,1 e lo 0,7%. Poco conta per Francoforte che la flessione è legata più alla caduta dei prezzi dei beni energetici e del reddito… e dunque alla crisi. Continueremo ad “assicurare il saldo ancoraggio delle aspettative di inflazione a medio termine, che favorisce la crescita sostenibile e l’occupazione e contribuisce alla stabilità finanziaria”, recita il bollettino, ignorando bellamente gli effetti dello stillicidio occupazionale, la crisi del sistema produttivo e il conseguente grave calo del reddito disponibile.
Contro la crisi, ha ammesso al contempo la Bce, sul fronte della politica monetaria “non vi è margine di manovra per adottare ulteriori misure di stimolo” poiché, “allo stato attuale, potrebbero nuocere al clima di fiducia”. Non resta dunque che la politica fiscale, sulla quale però, parlando dei piani di stimolo fiscale, ha ammonito i governi a tener presente i considerevoli stabilizzatori automatici dell’area euro e gli impegni “considerevoli” già presi a sostegno del sistema bancario, che non rientrano nei calcoli del disavanzo o del debito ma che avranno “un impatto diretto su entrambi, nel momento in cui si rendesse necessario dar loro seguito”. Le misure fiscali comunque – ed ecco l’ennesimo consiglio ‘vincolante’ della Bce - saranno più efficaci “se tempestive, mirate e temporanee”…
Pur avendo armi spuntate contro la crisi del secolo, insomma, gli euroburocrati di Francoforte confermano ancora una volta che ciò che conta di più per loro è che venga fatto un risanamento “più ambizioso” laddove le pressioni sui mercati finanziari sono più “forti”. Come a dire: l’economia salvi la finanza, tramite lo Stato!

Fonte: Rinascita.info

15 marzo 2009

LA CRISI ECONOMICA E L'ETICA DEL CAPITALISMO


di Jean Paul Fitoussi

Viviamo un’epoca nella quale l’etica sembra aver invaso tutto. La finanza è etica, le imprese adottano codici etici, il commercio è etico. Eppure il capitalismo sembra finito nel pallone. Mai «l’amore per il denaro», come avrebbe detto Keynes, lo avrebbe condotto agli eccessi che conosciamo: retribuzioni stravaganti, rendimenti da sogno, esplosione dell’ineguaglianza e della miseria, degrado dell’ambiente. L’emergenza etica, forse, è una reazione allo spettacolo desolante delle conseguenze di un’economia che non si è mai preoccupata dell’etica. Non si può rifiutare con leggerezza l’ipotesi che l’abbandono della morale abbia portato il sistema alla crisi. «I vizi specifici dell’economia che viviamo - scriveva Keynes - sono due: il lavoro non è assicurato a tutti e i profitti sono divisi in modo arbitrario e iniquo». L’economia, come la scienza, non è un ambito per eccellenza disgiunto dalla morale? Certo lo scivolamento irrefrenabile dell’economia-politica verso l’economia-scienza si è cristallizzato nel concetto di «economia di mercato», sciolto da preoccupazioni storiche o istituzionali. Eppure il capitalismo è una forma di organizzazione storica, un modo di produzione, diceva Marx, nato con sulle macerie dell’Ancien regime. Dunque il suo destino non è scritto nel marmo.

È l’interdipendenza tra stato di diritto e attività economica che dà al capitalismo la sua unità. L’autonomia dell’economia è un’illusione, come la sua capacità di autoregolarsi. E se siamo arrivati al disastro di oggi è proprio perché la bilancia pendeva un po’ troppo verso questa illusione. Questo sbilanciamento corrisponde a un capovolgimento di valori. Si fa un servizio migliore all’etica - si pensava - regolando di più gli Stati e di meno il mercato. L’ingegnosità dei mercati finanziari ha fatto il resto. Lo scandalo del capitalismo contemporaneo sta nella mondializzazione della povertà, perfino nei Paesi più ricchi. E ancora di più sta nell’aver accettato un circolo di illegalità insostenibile nei Paesi democratici. Perché il sistema vive nella tensione tra due principi: quello del mercato e dell’ineguaglianza da una parte (un euro, una voce) e quello della democrazia e dell’uguaglianza dall’altra (una persona, una voce), obbligati alla ricerca permanente di un compromesso.

Questa tensione permette al sistema di adattarsi e di non rompersi come succede ai sistemi basati su un principio solo, com’è accaduto a quello sovietico. La tesi secondo cui il capitalismo avrebbe vinto come organizzazione economica grazie alla democrazia, piuttosto che a suo scapito, sembrava la più convincente. Oggi ne abbiamo una rappresentazione efficace. Lo spettacolo dei soldi facili cancella gli orizzonti temporali. Rendimenti finanziari troppo alti contribuiscono al disprezzo del futuro, a impazienza nel presente, al disincanto sul lavoro. Non è più necessario citare l’Antico Testamento per capire che a questo punto il rapporto tra denaro ed etica va in crisi. Anche Adam Smith ne aveva parlato nella sua Ricerca sulla natura e le cause della ricchezza dei Paesi (Gallimard, 1796). Il disprezzo del futuro va in contrasto con l’orizzonte di lungo periodo necessario alla democrazia. Una delle chiavi del compromesso tra il benessere delle generazioni presenti e quelle future è l’arco temporale determinato dal dibattito politico. Un orizzonte limitato, come l’ assenza di giustizia sociale, aggrava il conflitto.

Quando le diseguaglianze sono forti una parte importante della società non può proiettarsi nel futuro nero che l’aspetta. E se si formula l’ipotesi che l’altruismo tra una generazione e l’altra è una forma di sentimento morale spontaneo, come sembrerebbe dire l’attenzione che tutti hanno per il destino dei bambini, si capisce bene che una maggiore equità sociale potrebbe riconciliare il capitalismo con il lungo termine. Per restituire etica al capitalismo, bisogna rompere con la dottrina del passato che ci ha portato alle turbolenze finanziarie di questi mesi. Bisognerebbe «deregolamentare le democrazie», fare più posto alla volontà politica, e regolare meglio i mercati. Bisognerebbe prendere più sul serio le decisioni sulle regole della giustizia e rendere oggetto di una deliberazione dei Parlamenti annuale un calo accettabile della diseguaglianza. La pubblicità di queste discussioni permetterebbe di rompere con la concorrenza sociale e fiscale che spinge le persone verso il basso, dando la speranza di una concorrenza che spinga verso l’alto.

Fonte: http://www.lemonde.fr/archives/article/2009/03/02/la-crise-economique-et-l-ethique-du-capitalisme-par-jean-paul-fitoussi_1162084_0.html

14 marzo 2009

DISORDINI CIVILI IN AMERICA?

di José Miguel Alonso Trabanco

L'EurAsia sta attraversando gravi problemi derivanti da difficoltà economiche e finanziarie, come la disoccupazione, la crescita negativa del PIL, la svalutazione monetaria, il rallentamento economico globale, e così via. Diversi membri dell'Unione Europea e della NATO (ricordiamo Polonia, Ungheria, Islanda) sono già di fronte ad una notevole mole di malcontento interno. Alcuni membri della ex-Unione sovietica (in particolare l'Ucraina, la Bielorussia e le repubbliche dell'Asia centrale) e anche la Russia si sono confrontati con problemi simili. Anche i funzionari del governo cinese accusano proteste nella Cina continentale, come sottolineato dal professor Michael Klare, il che significa che l'Asia orientale non è affatto un'eccezione. Come vedremo, condizioni finanziarie ed economiche sono altrettanto gravi nel emisfero americano, se non di più.

Zbigniew Brzezinski, ex National Security Advisor e primo sostenitore di Barack Obama nella campagna presidenziale, ha avvertito che disordini civili sul suolo americano sono una possibilità che non deve essere esclusa. Brzezinski spiega che "[gli Stati Uniti] avranno milioni e milioni di disoccupati, le persone si troveranno veramente di fronte ad una stretta. Saremo per un certo periodo di tempo in questa situazione prima che le cose possano migliorare. E allo stesso tempo c'è la sensibilizzazione dellla gente su questa straordinaria ricchezza che è stata trasferita a poche persone ai livelli più alti senza precedenti storici in America... Brzezinski si conclude con questa annotazione degna di nota "... maledizione, ci potrebbero essere anche disordini".
Questo significa che la parte superiore dell'èlite ai livelli più alti della politica americana hanno capito che l'attuale turbolenza finanziaria ed economica è molto peggiore di quello che molti esperti avevano previsto, e che le cose potrebbero davvero sfociare in una spirale fuori controllo, se l'attuale situazione degenerasse ulteriormente. Infatti, segni di ottimismo non si trovano da nessuna parte. Piuttosto il contrario.

La piena dimensione finanziaria del maremoto si riflette chiaramente in un pezzo scritto da Barry Ritholtz, che stabilisce che il piano di salvataggio promosso da ex Segretario del Tesoro Henry "Hank" Paulson è pari ad una somma di denaro che è superiore a quello stanziato per la Louisiana Purchase , il New Deal, il piano Marshall, il progetto lunare Apollo, la Guerra di Corea, la guerra del Vietnam, l'invasione dell'Iraq e di altri grandi spese pubbliche - combinate (!). Ciò dimostra che l'èlite dei politici statunitensi (sia democratici e repubblicani) hanno gravi preoccupazioni circa la salute del sistema finanziario americano e dell'economia americana.

Il fallimento della Lehman Brothers' (il più grande nella storia americana), è stato soltanto la punta di un iceberg e le condizioni economiche e finanziarie hanno drammaticamente peggiorata da allora. Il 22 gennaio 2009, il Christian Science Monitor ha pubblicato che le quattro maggiori banche degli Stati Uniti "hanno perso metà del loro valore dal 2 gennaio." Inoltre, nel periodo estivo dal 2008 al marzo 2009, l'indice Dow Jones Industrial Average è diminuito più del 50%. Inoltre, solo in febbraio 2009, più di 651 000 posti di lavoro sono stati persi negli Stati Uniti, e il tasso di disoccupazione ha raggiunto 8,1%, il più alto in 26 anni. Inoltre, alcuni costruttori di automobili degli Stati Uniti (come Ford, General Motors e Chrysler), una volta l'orgoglio d'America, l'industria, devono praticamente essere sovvenzionati per vivere.

Steve Lohr, dal New York Times, scrive che "Alcune delle grandi banche negli Stati Uniti, secondo gli economisti e altri esperti di finanza, sono come uomini morti che camminano". In effetti, vi erano solo due banche d'investimento a sinistra: Morgan Stanley e Goldman Sachs e la loro condizione non è esattamente solida perché sono riusciti a sopravvivere, solo diventando normali banche commerciali. The Guardian riproduce una valutazione da Bill Isacco, è un esperto finanziario, egli sostiene che la trasformazione sia Morgan Stanley e Goldman Sachs, è "un peccato, perché questo paese [gli USA], è stato costruito, in parte, con l'assunzione di rischi da Goldman e Morgan e da un intero gruppo di imprese prima di loro." Karl-Ovest, dal Daily Mail che cita finanziari specialisti avvertono che il colosso-banca Citigroup "potrebbe crollare".

Tutti ciò indica che il tanto temuto tracollo finanziario non è più una lontana e remota possibilità, perché in realtà è già in atto. Tuttavia, questo potrebbe scatenare un caos molto grave con conseguenze preoccupanti. Al fine di avere una chiara comprensione di queste implicazioni, è di vitale importanza tener conto di alcune relazioni a cui non è stata data l' attenzione che meritava, quando sono state pubblicate per la prima volta.

Il professor Michel Chossudovsky ha osservato che la 3° Divisione di Fanteria della I Brigata Combat Team dell’esercito Usa, è tornata dall' Iraq alcuni mesi fa. Tale informazione è molto preoccupante perché tali unità militari "possono essere chiamati a contribuire in caso di disordini civili e per il controllo della folla", secondo fonti ufficiali. Ora, quale scenario potrebbe eventualmente richiede l'implementazione operativa di tali unità sul territorio americano? Professor Chossudovsky puts forward an intriguing hypothesis that must be borne in mind. . Il professor Chossudovsky deduce un intrigante ipotesi che dev' essere tenuta in considerazione. Egli sostiene che "una sommossa civile risultante dalla fusione dal punto di vista finanziario è una distinta possibilità, dato l'ampio impatto del crollo finanziario sui risparmi a vita, fondi pensione, proprietà immobiliari, ecc".
Poco tempo dopo, il Centro per la ricerca sul sito Centre for Research on Globalization, ha pubblicato un articolo scritto da Wayne Madsen. Il sig. Madsen afferma che un rapporto altamente riservato, ma ufficiale sta circolando tra gli alti membri del Congresso degli Stati Uniti e dei loro consulenti ai livelli più alti. La relazione è stata presumibilmente soprannominata come il "Documento C & R". L'autore precisa che tali lettere significano nient' altro che "Conflitto" e "Rivoluzione" in quanto tali scenari sono presumibilmente considerati dai politici statunitensi come plausibili conseguenze innescate da un tracollo finanziario. Secondo il Sig. Madsen, il contenuto del documento che rivela che il grave caos finanziario potrebbe essere la scintilla per una grande guerra, se Washington si rifiutasse di onorare il suo debito estero e / o disordini nelle città degli Stati Uniti se la popolazione americana non accettasse il considerevole aumento delle imposte.

Per decenni, nel complesso la stabilità politica negli Stati Uniti è stata data per scontata. Tuttavia, come è stato sottolineato, anche alti statisti americani stanno prendendo in considerazione il fatto che la volatilità finanziaria potrebbe essere il combustibile per un'ondata di malcontento che potrebbe facilmente raggiungere proporzioni preoccupanti. Sembra che l'America non è immune dal "regime-threatening instability"(regime-pericolo di instabilità), come la definiscono il Pentagono e la comunità di intelligence Usa. È probabile che i funzionari del governo americano non hanno escluso lo scenario peggiore. Infatti sembra che si stiano preparando di conseguenza.

Pertanto, da ciò che è stato esaminato qui, una volta che si procede a collegare i puntini comincia ad emergere un'immagine molto cupa, per usare un eufemismo. Un onnicomprensiva nube di incertezza ci impedisce di formulare una previsione accurata degli sviluppi per quanto riguarda ciò che si verificherà e il modo in cui si svolgerà la situazione prossimi mesi, per non parlare di anni. L'unica cosa che può essere data per scontata e che si può essere certi che l'impensabile è ora diventato possibile.

José Miguel Alonso Trabanco è uno scrittore indipendente con sede in Messico, specializzato in geopoltica e affari militari. Ha una laurea in Relazioni Internazionali della Monterrey Institute of Technology e Studi Superiori, Città del Messico. La sua attenzione si concentra sulla geopolitica contemporanea e storica, il mondo della bilancia del potere, il sistema internazionale di architettura delle nuove competenze emerghenti.

Fonte: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=12619

Tradotto per Voci Dalla Strada da Loris

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13 marzo 2009

NOAM CHOMSKY: "NON SONO UN DON CHISCIOTTE, PERCHE' I MIEI MULINI A VENTO SONO REALI"

Linguista rivoluzionario, attivista e perenne tenace idealista. Noam Chomsky (Philadelphia, 1928) è uno dei più famosi americani intellettuali e meglio apprezzati all'estero. Ma solo negli Stati Uniti, dove sono legati a circoli politici di sinistra, non conoscono il suo nome.

Non è sorprendente: perchè non a caso è l'autore di libri come "I guardiani della libertà". E ', insieme a Edward Herman, sbriciola negli anni Ottanta il modello di propaganda che prevale nei principali media americani, analizzando come e perché un certo numero di informazioni e opinioni come le vostre sono sistematicamente messe a tacere. Ora, quando ha appena compiuto 80 anni, nelle librerie spagnole escono suoi libri, "Sobre el anarquismo" (Laetoli) e "Entrevista a Noam Chomsky", de Vicenç Navarro (Anagrama).

Anarchico dichiarato e ottimista nel continuare a scommettere per un futuro in cui il socialismo libertario di nuovo può diventare realtà, come è accaduto durante la guerra civile spagnola, occupa ancora un ufficio al MIT (Massachusetts Institute of Technology), dove è stato professore di lingua dagli anni Cinquanta. Ufficialmente in pensione nei primi mesi del XXI secolo, ma continua a recarsi giornalmente nell'edificio dalle forme sinuose e colori stridenti disegnato da Frank Gehry dove risiede il dipartimento di filosofia e linguistica del MIT a Cambridge (Massachusetts). Si direbbe che la sua luminosa "abitazione", piena di libri e capeggiata da una enorme foto di Bertran Russell, sia la sua seconda casa.

L'altra parte della sua vita, l'attivista politico, non punta verso il pensionamento. Dopo aver pubblicato decine di libri, soprattutto per criticare la politica estera degli Stati Uniti, continua a scrivere viaggiando per il mondo dando conferenze. La risposta nulla di Obama all' invasione israeliana di Gaza, la pioggia di milioni per salvare le banche del suo paese o il risultato delle recenti elezioni americane sono questioni che continuano a far pensare, questo sereno presidente che non dimostra la sua età, e riceve EL PAIS in jeans e scarpe da ginnastica.

Domanda. Il modello economico della stampa tradizionale sta attraversando il suo momento peggiore. Lei pensa che i cambiamenti che stanno avvenendo, motivati in parte dal peso che internet ha preso, favoriscono l'emergere di gruppi sociali con minore potenza nel settore della comunicazione?

Risposta. Le fonti d'informazione sono ancora la stampa tradizionale. Internet offre una maggiore varietà di opinioni, ma se volete veramente conoscere i fatti, ciò che sta accadendo nei siti, le opzioni rimangono le stesse. Ci sono molte fonti di informazione come sembra. Credo che i media tradizionali sopravviveranno. Troveranno un modo per capire e usare la rete a proprio vantaggio.Tuttavia, la qualità continua a diminuire. L'informazione è più omogenea che mai.

Domanda. Non pensa che la porta che hanno aperto alla rete costituisce una minaccia per il sistema di potere di cui lei ha parlato ne "I guardini della libertà"?

Risposta. Internet è un grande valore, ma è anche minacciato. La prossima battaglia sarà la lotta per la neutralità della rete. L'accesso a Internet è limitato, perché si deve pagare per questo, ma ora le imprese vogliono rendere più agevole raggiungere alcuni siti rispetto ad altri, a scapito di coloro che non possono permettersi di avere l'accesso veloce. Dobbiamo evitare che ciò accada.

Domanda. Lei è uno dei più critici della politica estera del suo paese, ma, stranamente, il suo punto di vista raramente appare sulla stampa americana.

Risposta. Gli Stati Uniti sono probabilmente il paese con il più alto grado di libertà di espressione nel mondo, la capacità dello Stato è molto limitata perchè nel 1964 ha abolito il cosiddetto atto di sedizione. Ma la libertà ha molte dimensioni e altre forme di controllo, per esempio attraverso l'impatto della raccolta di capitali. Quindi vedete i miei articoli a Johannesburg, ma non sul The New York Times.

Domanda. L'Europa ha seguito la ultime elezioni presidenziali, con attenzione. Perché pensi che gli Stati Uniti continuano ad affascinare gli Europei?

Risposta. Il mondo delle relazioni internazionali è molto simile alla mafia. E se avete un piccolo negozio, siete preoccupati per ciò che pensa il padrino, perché è pericoloso. L'Europa è preoccupata per quello che pensa il padrino, ma non credo davvero che continueranno la campagna. Segue tutto ciò che è superficiale, senza entrare nei programmi.

Domanda. Lei pensa che la crisi economica potrebbe causare una crisi di valori che porteranno ad un cambiamento nella forma di organizzazione sociale e politica?

Risposta. Sta già succedendo, penso che sia sotto la superficie, e la maggior parte delle persone stanno iniziando a sentirlo istintivamente. Nella letteratura popolare del XIX secolo, uno dei principali problemi è che coloro che lavorano il mulino dovrebbero possederlo. Molti scritti della rivoluzione industriale di contadini dicono: 'Il sistema industriale ha portato via la nostra cultura, la nostra individualità, siamo diventati strumenti nelle mani di altri. Quelle cose le ha scritte gente che non aveva mai sentito parlare di anarchismo e marxismo, ma lo hanno pensato istintivamente.Questa crisi torna a dare forza a queste idee.

Domanda. Secondo i politici, la più grande minaccia per la sicurezza del mondo non è il terrorismo, ma l'instabilità causata dalla crisi. Come interpretare questo messaggio?

Risposta. L'instabilità ha un significato tecnico: subordinazione agli Stati Uniti. Obama cosa farà per far fronte alla minaccia? Circondarsi di persone che hanno contribuito a creare questa crisi, come Timothy Geithner, Laurence Summers, banchieri, e trovare una formula per il salvataggio del sistema di controllo del dominio. Tutto l'Occidente è volta a salvare le istituzioni finanziarie ma non sono di alcuna utilità nei confronti di una crisi molto più grande: ci sono un miliardo di persone sull'orlo della morte per fame. Si tratta di una grave crisi, e il denaro non fa nulla per loro. È interessante notare, che non ho letto un giornale americano, ma uno del Bangladesh. Ciò che mi colpisce di più, inoltre, è che i giornalisti non ricordano che tutte le misure adottate da Obama sono esattamente il contrario di quello che la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) hanno raccomandato ai paesi poveri in momenti di crisi .

Domanda. Hai appena compiuto 80 anni, che cosa ti fa continuare a lottare?

Risposta.[Chomsky mostra una immagine nel suo ufficio dove l'angelo sterminatore col Cardinale Romero e sei gesuiti e intellettuali uccisi in El Salvador negli anni Ottanta dagli squadroni della morte]. Uno dei miei fallimenti è che nessun statunitense sappia cosa questo significhi.

Domanda. C'è sempre un senso di Don Chisciotte?

Risposta. No, perché i mulini sono reali e alcuni li abbiamo anche abbattuti. "La stampa dovrà trovare il modo tradizionale di utilizzare la rete a proprio vantaggio" "La qualità delle informazioni continua a decadere: è sempre più omogenea"


Fonte: http://www.cgtandalucia.org/spip.php?article1611

12 marzo 2009

IL NAUFRAGIO DELL'EUROPA : UCRAINA QUASI IN DEFAULT


di Carlos Enrique Bayo

Gli assalti ai comandi del Servizio di Sicurezza di Ucraina (SBU) alle sedi di Kiev del monopolio del gas Naftogaz e dell'autorità che controlla i gasdotti del paese Urkrtransgaz, hanno colpito la nostra attenzione negli ultimi giorni. Ma senza ombra di dubbio è molto più importante e preoccupante l'assalto cittadino che si sta protraendo di fronte alle succursali ucraniane della Banca Rodovid, che ha limitato il prelievo di soldi a meno di 28 euro giornalieri perchè è sul bordo della bancarotta.
In realtà, ciò che è in bancarotta è lo stesso stato di Ucraina, dove città intere, per interi giorni, sono rimaste senza riscaldamento e acqua corrente perchè le istituzioni non possono pagare le bollette; il servizio della metropolitana di Kiev è vicina al collasso per mancanza di fondi; gli stabilmenti siderurgici e l'industria chimica, motori economici del paese, stanno licenziando a migliaia di operai e il valore della moneta nazionale, l'hryvnia, è crollato.
L'Ucraina è il paradigma del fallimento dell'Europa Centrale come conseguenza della crisi globale e deve metterci all'erta su quello che è sul punto di succedere negli altri paesi ex-sovietici della regione che sono membri dell'UE ma che vedono rifiutati le loro richieste di aiuto. Il primo ministro ungherese, Ferenc Gyurcsany ha messo in guardia i suoi colleghi che una "nuova cortina di ferro divida l'Europa", ma è stato inutile. Aveva richiesto un fondo speciale di 190.000 milioni di euro per proteggere i membri più deboli dell'UE, e il suo governo ha fatto circolare un documento che riportava la cifra di 300.000 milioni di euro come preventivo per coprire il vero bisogno che quest'anno per la ri-finanziazione dell'Europa centrale.
Questa cifra è uguale a quella che hanno sborsato i governi dell'Ue per ri-capitalizzare le banche oltre ad aver dato garanzie di credito per 2.5 mille milioni di euro.
Ma i crediti continuano a non arrivare alle aziende e ai privati che dovrebbero riattivare l'economia. In questo modo i paesi ricchi, cominciando dalla Germania (dove il cancelliere, Angela Merkel, affronterà le elezioni generali a settembre), negano questo carissimo salvagente ai membri più orientali, che presto dovranno dichiarare la sospensione dei pagamenti: Ungheria, Romania e i paesi baltici.
Queste nazioni sono sul punto di naufragare perchè alla crisi economica mondiale si è aggiunto la caduta delle sue divise(moneta) di fronte all'euro, e si vedono impossibilitati a ridare i crediti alle banche dell'eurozona(che sono i loro principali creditori) in un momento di una forte riduzione della domanda dei suoi prodotti in Europa occidentale. Il nucleo duro dei 16 paesi che condividono l'euro (con un economia nel suo insieme tanto importante quanto quella degli Usa) ha la pretesa di salvarsi escludendo ai suoi soci più recenti. Ma le misure protezionistiche non manterranno a galla potenze come la Germania, la cui prosperità dipende dalle esportazioni a mercati che non hanno una capacità d'acquisto.
Il rischio non è solo economico, ma anche geopolitico, dato che quei soci orientali hanno vissuto la recente esperienza di rinunciare ai loro sistemi economici centralizzati e super regolati, attraversando una terapia d'urto che li ha sottomessi a grandi penurie quando avevano appena cominciato a recuperare e stabilizzarsi.
Proprio quando erano a punto di degustare il miele del capitalismo prospero, questo affonda e nega loro l'ancora di salvezza.
Il caso dell'Ucraina è da esempio e la sua stabilità è fondamentale per il continente perchè la Russia non solo approfitterà del suo crollo per dominarla attraverso il suo predominio etico e linguistico nell'est e nel sud del paese, ma il Cremlino presenterà questo fallimento come paradigmatico di ciò che succede quando le economie ex-sovietiche si sommergono nel libero mercato.
L'Ue non può permettere che la crisi affoghi i suoi membri più deboli, neanche i suoi vicini orientale, perchè non è sufficiente con il non saperne nulla per evitare che chi affonda ,disperato, trascini anche noi nel fondo.

Fonte: http://blogs.publico.es/elmapadelmundo/376/el-naufragio-de-la-europa-central/

Tradotto per Voci Dalla Strada da Vanesa

11 marzo 2009

IL NUCLEO DELL'IGNORANZA...

di Monia Benini

1987: il 65% degli italiani va a votare per 3 referendum che prevedono:

*la cancellazione dell'intervento statale se il Comune non concede un sito per la costruzione di una centrale nucleare;

*l’abrogazione dei contributi di compensazione agli enti locali per la presenza sul proprio territorio di centrali nucleari;

*l’esclusione della possibilità per l'Enel (allora unico ente per l’energia elettrica, di proprietà statale) di partecipare alla costruzione di centrali nucleari all'estero.

I primi due quesiti ottengono il consenso di circa l’80% dei votanti; per l’ultimo si esprime a favore il 71% degli elettori.

2008: il Governo calpesta la volontà espressa nell’87 dagli Italiani, rendendolo carta straccia e violando la Costituzione laddove riconosce la sovranità ai cittadini.

2009: il Primo Ministro italiano sigla con la Francia un accordo palesemente fuori legge.

Giorno dopo giorno si susseguono sondaggi relativi all’opinione italiana in merito al ritorno al nucleare, mentre i media profondono i loro sforzi nello spaccio delle “verità di stato” necessarie: il nucleare è necessario; il nucleare è sicuro; il nucleare renderà autonoma l’Italia dal punto di vista energetico; tutti paesi stanno investendo nel nucleare, mentre solo l’Italia resta al palo, ecc... Così, siccome la propaganda televisiva, per gli Italiani anestetizzati, è “la realtà”, si assiste ad un’esplosione di consenso (per cosa o per chi?).

Vediamo di chiarire alcuni punti:

  1. L’energia nucleare è necessaria per poter garantire al nostro paese una maggiore indipendenza energetica.
    L’Italia, così come gli atri paesi europei, non possiede riserve significative di uranio. Se anche le avesse, immaginando di poter produrre con il nucleare tutta l’elettricità, potrebbe soddisfare circa un quarto del proprio fabbisogno energetico: i restanti tre quarti degli attuali consumi energetici sono infatti costituiti da combustibili, non generabili con le centrali nucleari.
  2. Le impennate del costo del petrolio vengono contrastate dal nucleare.
    Il petrolio serve per derivarne prodotti chimici e soprattutto per produrre combustibili liquidi per i trasporti, mentre l’energia nucleare è unicamente elettricità. Ad esempio, la Francia che produce il 78% dell’elettricità che consuma per via nucleare, utilizza più petrolio dell’Italia, che, pur avendo una popolazione simile, non ha centrali nucleari.
  3. L’Italia è costretta ad importare energia elettrica dalla Francia con prezzi elevatissimi.
    Il problema non è nostro: è un’esigenza dei Francesi. Le centrali nucleari devono funzionare a ciclo continuo e di notte, quando la domanda è minore, il sistema elettrico d’oltralpe ha la necessità tecnica - per garantire la propria stabilità - di smistare elettricità ai Paesi confinanti. Si tratta di una vendita a prezzi molto bassi, estremamente gradita dalle società energetiche italiane.
  4. Le centrali a fissione di nuova generazione e la fusione nucleare risolveranno presto e per sempre il problema energetico.
    La fattibilità e la convenienza economica delle centrali nucleari di quarta generazione sono ancora da dimostrare: nella migliore delle ipotesi, se ne prevede la commercializzazione fra 30-40 anni.
  5. Tutti gli altri Paesi investono nel nucleare; solo l’Italia resta a guardare, lasciandosi sfuggire un approvvigionamento energetico sicuro e conveniente.
    Da vent’anni il numero di centrali nel mondo è stabile (circa 440 impianti), e la stragrande maggioranza è costituita da vecchie centrali di seconda generazione (tipo Chernobyl e Three Mile Island). Il tempo di ritorno (ovvero il cosiddetto payback time, il tempo che occorrre all’impianto per restituire l’energia che è stata necessaria per costruirlo) è piuttosto lungo: alcuni ricercatori australiani hanno dimostrato che, con le tecnologie attualmente più avanzate nel loro paese, occorrerebbero ben 7 anni per il pareggio. Nella stessa Australia, dove sono localizzati i maggiori giacimenti di uranio al mondo, non è mai stato costruito alcun impianto nucleare. Per il funzionamento standard annuale di una centrale nucleare servono 160.000 tonnellate di materiale, che andrà riprocessato, in modo da poterne ricavare le 160 tonellate di uranio necessarie. Le 159.840 tonnellate di scarto saranno impregnate di prodotti chimici utilizzati per il riprocessamento e conterranno ovviamente isotopi radioattivi. Il costo dell’uranio e del plutonio, fonti esauribili, ha subito una notevole impennata, rendendo tutt’altro che economico l’approviggionamento. La pericolosità di queste sostanze è molto elevata: ad esempio, basta inalare meno di un milionesimo di grammo di plutonio per sviluppare un cancro al polmone.
  6. Le scorie degli impianti non costituiscono un problema: saranno racchiuse in cassoni di cemento armato e seppellite (terra o mare).
    Il tempo di dimezzamento della radioattività del Plutonio è 24.000 anni. Per quanto riguarda il materiale primario (il plutonio è prodotto dalle centrali elettronucleari: sino ad oggi ne sono state create circa 1550 tonellate). L’Uranio-235 ha un tempo di dimezzamento di 704 milioni di anni e l’Uranio-238 di 4,5 miliardi di anni.

Cemento armato? Non c’è cemento che tenga e di “armato” dovrebbe esserci solo il cervello degli Italiani, in modo da non bersi più certe esplosioni di ignoranza.

Fonte: http://www.perilbenecomune.org/

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