Introduzione Il capitalismo asiatico, in particolar modo quello della Cina e della Corea del Sud, è in competizione con gli USA per il potere mondiale. Il potere asiatico globale è spinto da una crescita economica dinamica, mentre gli USA applicano la strategia della costruzione dell’impero attraverso mezzi militari.
Lettura di un numero del Financial Times Anche una lettura superficiale di un solo numero del Financial Times- del 28 dicembre 2009- illustra le divergenze strategiche della costruzione dell’impero. Nella pagina uno, l’articolo principale sugli USA, parla circa i conflitti militari in espansione e la loro “guerra contro il terrore” sotto il titolo “Obama chiede una revisione della lista delle organizzazioni terroriste”. In contrasto, ci sono due articoli, nella stessa pagina, uno sulla Cina, che informano dell’inaugurazione, in questo paese, del treno più veloce del mondo e della sua decisione di mantenere la propria moneta vincolata al dollaro come un meccanismo per promuovere il suo dinamico settore di esportazioni. Mentre Obama si focalizza nella creazione di un quarto fronte di battaglia (Yemen) nella “guerra contro il terrore” (dopo l’Iraq, Afghanistan e Pakistan), il Financial Times nella stessa pagina informa che un consorzio della Corea del Sud ha vinto un appalto di 20.400 milioni di dollari per lo sviluppo di centrali nucleari per uso civile negli Emirati Arabi Uniti, superando i concorrenti di Stati Uniti ed Europa.
Nella pagina due del FT c’è un articolo più lungo sulla nuova rete ferroviaria cinese, che mette in risalto la sua superiorità sul servizio ferroviario degli USA. L’ultramoderno treno ad alta velocità cinese trasporta i passeggeri tra due delle città più importanti, a 1.100 km di distanza, in meno di 3 ore, mentre il treno “Express” della compagnia Amtrack, degli USA, “impiega tre ore e mezzo per coprire 300 km tra Boston e New York”. Mentre il sistema ferroviario degli USA si deteriora per la mancanza di investimenti e di manutenzione, la Cina ha speso 17.000 milioni di dollari nella costruzione della sua linea ferroviaria ad alta velocità. La Cina pianifica la costruzione di 18.000 km di nuovi binari del suo ultramoderno sistema per il 2012, mentre gli USA spenderanno una somma equivalente per finanziare la loro offensiva militare in Afghanistan e Pakistan, così come per aprire un nuovo fronte bellico nello Yemen.
La Cina costruisce un sistema di trasporto che unisce i produttori ed i mercati lavorativi delle provincie dell’interno con i centri di fabbricazione e porti costieri, mentre nella pagina 4 del FT si descrive come gli USA ancora si aggrappano alla loro politica di affrontare la “minaccia islamica” in una “guerra senza fine contro il terrore”. L’occupazione e le guerre contro i paesi musulmani hanno sviato centinaia di migliaia di milioni di dollari di fondi pubblici verso una politica militarista senza alcun beneficio per il paese, mentre la Cina modernizza la sua economia civile. Mentre la Casa Bianca ed il Congresso sovvenzionano e soddisfano lo Stato militarista- coloniale d’Israele, con la sua insignificante base di risorse e mercato, allontanandosi da 1.500 milioni di musulmani (FT, pag 7), il prodotto interno lordo (PIL) della Cina si è moltiplicato per dieci negli ultimi 26 anni (FT,pag 9). Mentre gli USA hanno dato più di 1.400 milioni di dollari a Wall Street e ai militari, aumentando il deficit fiscale e di conto corrente, duplicando la disoccupazione e perpetuando la recessione (FT, pag 12), il governo cinese lancia un nuovo pacchetto di stimolo diretto ai settori interni del manifatturiero e la costruzione che ha prodotto una crescita dell’ 8% del PIL, una riduzione importante della disoccupazione e il “rilancio delle economie vincolate” in Asia, America Latina e Africa (TF, pag 12).
Mentre gli USA spendono male il loro tempo, risorse e personale nell’organizzazione delle “elezioni” per i loro corrotti stati satelliti dell’Afghanistan e Iraq, e partecipavano alle inutili mediazioni tra il loro intransigente socio israeliano e il loro impotente cliente palestinese, il governo della Corea del Sud ha sostenuto un consorzio guidato dalla Korea Eletric Power Corporation nel suo tentativo riuscito di 20.400 milioni di euro per l'installazione di centrali nucleari, aprendo così la strada a svariati altri contratti multimilionari nella regione (FT, pag13).
Mentre gli USA spendevano più di 60.000 milioni di dollari per il controllo interno e la moltiplicazione in numero e in misura dei suoi organismi interni di sicurezza in cerca di potenziali terroristi, la Cina investiva più di 25.000 milioni di dollari consolidando i suoi scambi energetici con la Russia (FT, pag13).
Quello che ci raccontano gli articoli e le notizie di una sola edizione, in un solo giorno, del FT, riflette una realtà più profonda che illustra la grande divisione del mondo di oggi. I paesi dell’Asia, con in testa la Cina, stanno raggiungendo lo status delle potenze mondiali, a base di grandi investimenti nazionali ed esteri nell’industria manifatturiera, il trasporto, la tecnologia, l' estrazione e lavorazione dei minerali. Al contrario, gli USA sono una potenza mondiale in declino, con un peggioramento della società risultato della sua costruzione dell’Impero con mezzi militari e della sua economia finanziaria speculativa:
1-Washington cerca clienti militari di minor importanza in Asia, mentre la Cina allarga i suoi accordi commerciali e di investimenti con importanti soci economici: la Russia, Giappone, Corea del Sud e altri.
2-Washington drena la sua economia nazionale per finanziare le guerre all’estero. La Cina estrae minerali e risorse energetiche per fomentare il suo mercato interno del lavoro nell' industria.
3- Gli USA investono in tecnologia militare per lottare contro insorgenti locali che si scontrano agli Stati satelliti degli USA, la Cina investe in tecnologia civile per creare esportazioni competitive.
4- La Cina comincia a ristrutturare la sua economia per sviluppare l’interno del paese, e assegna spese sociali maggiori per correggere i grandi squilibri e disuguaglianze, mentre gli USA riscattano e rinforzano il settore finanziario parassita, che ha saccheggiato l’industria (riducendo i suoi attivi attraverso fusioni e acquisizioni), e specula su obiettivi finanziari senza impatto sul lavoro, produttività o la competitività.
5- Gli USA moltiplicano le guerre e l'accumulo di truppe in Medio Oriente, Asia Meridionale, Corno d’Africa e Caraibi; la Cina offre investimenti e prestiti di 25.000 milioni di dollari per la costruzione di infrastrutture, l’estrazione di minerali, la produzione di energia e la costruzione di costruzione di impianti di assemblaggio in Africa.
6- La Cina firma accordi commerciali di migliaia di milioni di dollari con l’Iran, Venezuela, Brasile, Argentina, Cile, Perù e Bolivia, assicurando l’accesso all’energia strategica e alle risorse minerarie e agricole; Washington da 6.000 milioni di dollari di aiuti militari alla Colombia, ottiene dal presidente Uribe la cessione di sette basi militari (per minacciare il Venezuela), appoggia un colpo militare nel piccolo Honduras, e denuncia il Brasile e la Bolivia per diversificare le loro relazioni economiche con l'Iran.
7- La Cina aumenta le relazioni economiche con le economie dinamiche dell’America Latina che rappresentano più di un 80% della popolazione del continente; gli USA si associano con lo stato fallito del Messico, che ha il peggior ruolo economico dell’emisfero e nel quale potenti cartelli della droga controllano ampie regioni e sono penetrati profondamente nell’apparato statale.
Conclusione
La Cina non è un paese capitalista d’eccezione. Sotto il capitalismo cinese, si produce lo sfruttamento del lavoro, le disuguaglianze di ricchezza e di accesso ai servizi abbondano, i piccoli agricoltori si vedono sfollati per i progetti di mega dighe, e le aziende cinesi estraggono minerali e altre risorse naturali nel Terzo Mondo senza troppe esitazioni. Ma, la Cina ha creato decine di milioni di posti di lavoro nell’industria ed ha ridotto la povertà molto più velocemente e per molte più persone nel lasso di tempo più breve della storia. Le sue banche finanziano soprattutto la produzione. La Cina non bombarda, non invade nè saccheggia altri paesi. Al contrario, il capitalismo degli Stati Uniti è una mostruosa macchina militare globale che drena l'economia nazionale e riduce il tenore di vita del paese per finanziare le sue guerre infinite all'estero.Il capitale finanziario, commerciale, immobiliare mina il settore manifatturiero, beneficiano della speculazione e di importazioni a basso costo.
La Cina investe in paesi ricchi di petrolio; gli Usa li attaccano. La Cina vende vassoi e ciotole per matrimoni afghani, gli USA bombardano le celebrazioni con i loro droni.La Cina investe in industrie estrattive, ma, a differenza dei coloni europei costruisce ferrovie, porti, aeroporti e fornisce crediti a prezzi accessibili.La Cina non finanzia né arma guerre etniche, nè organizza “rivoluzioni di colori” come la CIA statunitense. La Cina autofinanzia la propria crescita, il suo commercio ed il suo sistema di trasporto; mentre, gli USAstanno sprofondando sotto un debito di parecchi miliardi di dollariper finanziare le guerre senza fine, per salvare le loro banche di Wall Street e puntellare non altri-settori produttivi, mentre molti milioni di persone restano disoccupati.
La Cina crescerà ed eserciterà potere attraverso i mercati, gli USA entreranno in guerre senza fine nella loro cammino verso il fallimento e il decadimento interno. La crescita diversificata della Cina è legata a partner economici dinamici; il militarismo degli USA è vincolato a narco-stati, regimi diretti da signori della guerra, supervisori delle repubbliche delle banane, e all’ultimo e peggiore regime razzista e coloniale dichiarato: Israele.
La Cina attrae i consumatori del mondo; le guerre globali degli USA producono terroristi all’interno del paese e all’estero.
La Cina potrebbe trovarsi di fronte ad una crisi e anche ribellioni dei lavoratori, ma ha le risorse finanziarie per risolverli. Gli USA sono in crisi e possono dover affrontare una ribellione interna, ma hanno esaurito il loro credito e le loro fabbriche sono all’estero, mentre le loro basi ed installazioni militari rappresentano passivi, non attivi. Ci sono meno fabbriche negli USA disposte a riassumere i loro lavoratori disperati: uno sconvolgimento sociale potrebbe rivelarsi ai lavoratori statunitensi occupando gli scheletri vuoti delle loro vecchie fabbriche.
Per diventare uno Stato “normale” dobbiamo cominciare dall’inizio: chiudere tutte le banche d’investimento e le basi militari all’estero, e ritornare in America. Dobbiamo cominciare la lunga marcia verso la ricostruzione di un’industria al servizio delle nostre necessità nazionali, a vivere dentro il nostro proprio ambiente naturale e ad abbandonare la costruzione dell’impero a favore della costruzione di una repubblica socialista democratica.
Quando prendiamo il Financial Times, o qualsiasi altro giornale, e leggere della nostra propria linea ad alta velocità che trasporti passeggeri statunitensi da New York a Boston in meno di un’ora? Quando saranno le nostre proprie fabbriche a fornire i negozi di ferramenta? Quando costruiremo generatori di energia eolica, solare e oceanica? Quando abbandoneremo le nostre basi militari per permettere che i signori della guerra, i trafficanti di droghe e i terroristi si trovino di fronte alla giustizia della loro stessa gente?
Arriveremo a leggere tutto questo sul Financial Times?
In Cina, tutto è iniziato con una rivoluzione...
Lo scrittore statunitense James Petras è professore di Sociologia nella Binghamaton University, State University di New York.
Entriamo in un anno che, per i lavoratori e i settori popolari di tutto il mondo, porterà ancora più difficoltà, penurie e disgrazie. I guadagni delle banche e le borse non vogliono dire che la crisi è finita, ma che il loro salvataggio sulle spalle dei contribuenti, ha mantenuto la bolla finanziaria, facendo si che gli investimenti in questo settore speculativo sia più attraente dell' investimento nella produzione di beni industriali. Le politiche di rianimazione industriale che la prima potenza mondiale applica- gli USA- aggravano la stessa crisi. In effetti, mantenere e aumentare la produzione sovvenzionata di automobili equivale ad un maggiore sperpero di materie prime, con un aumento della produzione di gas ad effetto serra che aumenterà il riscaldamento globale. E sia la produzione di energia nucleare come quella di biocarburanti eserciteranno una pressione molto più grande sulle risorse idriche, sempre più scarse e minacciate dalla privatizzazione e a questo si dovranno aggiungere i costi della distruzione dei suoli, in competizione con l’alimentazione o la contaminazione da rifiuti radioattivi.
Interi paesi africani si priveranno della loro terra- come fa l’Etiopia- per darla alla Cina, Corea del Sud, India che semineranno in esse gli alimenti di cui hanno bisogno, ovviamente a costo della fame dei paesi ospitanti. L’impossibilità di arrivare ad un accordo a Copenaghen sul problema climatico perchè ogni potenza difende ai “suoi” capitalisti a spese del futuro umano (inclusa la Cina) avrà anche enormi conseguenze a causa dell’innalzamento dei mari, minaccerà tutte le zone e città costiere (sia dei paesi meno industrializzati come delle metropoli), la desertificazione di intere regioni e la crescente carenza di acqua è unita in altre zone a grandi inondazioni e aumenteranno l’intensità ed il numero dei sempre più distruttivi uragani tropicali.
Dall’altra parte, continuerà la debolezza del dollaro ma tutti quelli che annunciano la fine del biglietto verde e la sua sostituzione per un altro equivalente, così come quelli che credono in un crollo del sistema capitalista, sono pessimi analisti e non tengono conto nè dei fatti nè della storia. La Cina, in effetti, sta cercando disperatamente un accordo a lungo termine con gli Stati Uniti, la cui economia è sostenuta con l'acquisto di buoni e i suoi investimenti e da cui dipende il mercato delle esportazioni. Gli Stati Uniti, inoltre, hanno un potere militare che supera di di gran lunga quello degli altri concorrenti (Cina, Russia,India, Giappone, UE e Brasile) messi insieme e, anche se dalla Seconda Guerra Mondiale ha perso (o “pareggiato”) tutte le guerre (Corea, Vietnam, Iraq, Afghanistan) continua a subordinare alla sua politica bellica gli europei, come dimostra la trasformazione della Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), nata per affrontare l’Unione Sovietica, in un apparato militare che agisce in Medio e Estremo Oriente in funzione della geopolitica di Washington.
L’egemonia statunitense è in crisi ma non è in discussione e la Cina, che ha bisogno di crescere economicamente al meno di un 8% annuo per mantenere i suoi posti di lavoro, sente già gli effetti della crisi negli USA e in Europa ( i suoi mercati di export), ai quali è strettamente legata e comincia ad avere gravi problemi sociali, in modo che non può nè vuole aspirare ad essere il nuovo Egemone. In quanto al BRIC (Brasile, Russia, India, Cina) non bisogna vedere le etichette “made in Cina” o “feito em Brasil” ma chi produce ed esporta. Robert Reich, ex ministro del Lavoro di Bill Clinton, ha scritto al riguardo ne "Il lavoro delle nazioni" che “il cittadino statunitense che, ad esempio, compra una macchina della General Motors entra senza saperlo in una transazione internazionale. Dei 10.000 dollari pagati alla GM, circa 3000 vanno alla Corea del Sud per il montaggio, 1750 al Giappone per i componenti avanzati, motori, albero di trasmissione, elettronica; 750 alla Germania per la progettazione stilistica; 400 a Taiwan e Singapore per i piccoli componenti; 250 al Regno Uniti per servizi pubblicitari e marketing e 50 all’Irlanda e alle Barbados per l’elaborazione dei dati”. Non esportano, in effetti, “i paesi” ma le grandi transnazionali che in esse sfruttano la mano d’opera in modo che non è possibile ignorare nè la lotta di classe tra gli sfruttati, oppressi e sfruttatori capitalisti, nè la lotta delle transnazionali con i governi e il capitale nazionale.
Questo è il grande problema: il capitalismo non crollerà se nessuno lo seppellisce e se le sue vittime non sono capaci di usare la crisi per unirsi in un ordine chiuso, per affrontarlo su scala regionale, continentale, internazionale, per rompere con la politica criminaledi continuare a produrre lo stesso per i consumi inutili a scapito di tutto e tutti, e se è possibile, in cambio, imporre direttamente, in autonomia, una produzione alternativa e un consumo socialmente responsabile. Più disoccupazione- per il capitalismo- significa più offerta di mano d’opera a basso costo, meno sindacati, più disunione dei lavoratori. Cioè, poter alzare il tasso di guadagno per uscire da questa crisi, fino alla prossima. Per questo non basta preservare le attuali fonti di lavoro: se vogliamo uscire dal disastro, inoltre, bisogna ri-orientare la produzione ed il consumo e lottare per costruire un altro sistema sociale.
Il presidente Obama, con il generale USA McChrystal
di Webster G. Tarpley
Così come ha spiegato nel suo discorso a West Point, il presidente Obama è disposto ad usare il conflitto bellico in Afghanistan come scusa per lanciare una nuova offensiva contro il Pakistan. Da quando ha preso il potere ha aumentato significativamente il numero e l’intensità degli attacchi aerei contro il nord del Pakistan mentre riceve pressioni perché li estenda al Beluchistan. Per Webster G. Tarpley, l’obiettivo immediato della strategia del Grande Gioco, diretto da Obama nella regione, è smembrare sia l’Afghanistan quanto il Pakistan attraverso il fomento di rivolte secessioniste tra i gruppi etnici su entrambi i lati del confine.
Il discorso di Obama il 1 dicembre in (l’accademia militare di) West Point, rivela niente meno che l' offensiva brutale contro l’Afghanistan non è altro che un modo per fomentare e portare la guerra degli USA nel vicino Pakistan [1].
Le frontiere nordiche del Venezuela sono quelle marittime dei Caraibi, che lo mettono in contatto con la NATO: Portorico appartiene agli Stati Uniti, e Aruba e Curazao stanno sotto la bandiera del Regno d’Olanda.
La Martinica e Guadalupe è “territorio d’oltremare” della Francia che Sarkozy ha ricondotto nell’alleanza militare atlantista (De Gaulle si sarà rivoltato parecchio nella sua tomba). Con Monserrat il contatto è con la Gran Bretagna. Aruba e Curazao stanno a un tiro di sputo dalle coste venezuelane e dai ricchi giacimenti del lago di Maracaibo.
Durante il fallito vertice di Copenhagen, Chàvez ha per la prima volta chiamato l’attenzione internazionale a posare il suo sguardo sul possedimento coloniale olandese di Aruba. L’isola non è più un esotico paradiso turistico ma anche il centro di una intenso sviluppo di infrastrutture militari aeroportuali degli Stati Uniti.
Le sue quiete acque spumose sono solcate da barche a vela e fuoribordo, però cominciano ad essere affiancati da corvette, guardacoste e navi militari della resuscitata IV Flotta degli Stati Uniti. Alcuni settori della popolazione dell’isola denunciano anche il transito di unità navali a propulsione nucleare.
Il concerto mediatico “occidentale” si affrettò ad usare le consuete tinte monocramatiche per far risaltare l’ennesima “stravaganza” del presidente del Venezuela. Sarà, però le autorità di Aruba si affrettarono a dire che la questione era stata chiarita e risolta. Caracas, però, ribadisce la sua denuncia, e sottolinea la aumentata frequenza del traffico militare nordamericano e la specificità delle tecnologie militari in arrivo –o transito- nell’isola. E’ bene ricordare che il Venezuela possiede un satellite, quindi il monitaraggio ha una certa attendibilità.
Le autorità olandesi stanno assecondando generosamente lo sforzo militare di Washington per ri-posizionarsi nel continente americano (FOLs). Sette basi concesse dalla Colombia, un numero imprecisato ceduto dal Panama del neoliberista Martinelli, completano l’operazione di avvicinamento operativo agli idrocarburi e l’accerchiamento del Venezuela.
Dagli Stati Uniti rispondono con sdegnati dinieghi, e rilanciano “pettegolezzi” volti ad alimentare il canovaccio-fantasy di imprecisate complicità venezuelane nel narcotraffico. Lascia increduli che la alleanza militare tra il primo produttore mondiale di cocaina ed il primo mercato di consumo sia tanto avara di risultati positivi, da dover sempre addossare la responsabilità ai….paesi confinanti (sic) o che hanno la disgrazia di trovarsi nelle rotte tra Colombia e Stati Uniti.
E’ un fatto, però, che il viceconsole degli USA James E. Hogan, il 24 settembre scorso, uscì dalla sua casa di Curazao e non vi fece più ritorno. Si elaborarono molte ipotesi e moventi che non hanno retto alla prova del tempo. Tra queste, spiccavano le denunce sul narcotraffico che investe Curazao con fuoribordo provenienenti –of corse- dalle vicine coste venezuelane.
Non è casuale, però, che poi viene a galla che il viceconsole era in realtà un quadro della DEA (Drug Enforcement Administration), già attivo in Africa come “addetto commerciale”. Perchè –e da chi- è stato ucciso?
Un altro omicidio eccellente è quello eseguito in Honduras contro il massimo responsabile della repressione del narcotraffico –generale Julián Arístides González- che viene assassinato in pieno regime post-golpe, alla vigilia dell’elezione presidenziale-farsa. Era stato incaricato dal deposto presidente Zelaya.
Cè del marcio nei lidi caraibici olandesi ed il tentativo di alzare un polverone per sviare l’attenzione dal connubio DEA-Pentagono, droga e basi militari, è reiterativo e scontato. Molti ricordano una operazione di smantellamento di un cartel di narcos a Curazao avvenuta nello scorso aprile. Si trattava di una base operativa per le rotte marine verso l’Olanda, Belgio e Danimarca.
Furono arrestate una quindicina di persone: diversi colombiani, surinamesi, gente di Aruba e Curazao, alcuni venezuelani. La DEA parlava solo di questi ultimi e chiamava in causa Cuba e il Venezuela come responsabili. Vennero arrestati anche 4 cittadini libanesi e la DEA ripiegò a sfruttare propagandisticamente questi ultimi. Chiamò in causa Hezbollah, sulla base di un’equazione meccanica che trasforma in guerriglieri sciiti qualsiasi cittadino del Libano, anche se cristiano-maronita.
Durante sei anni la DEA non riuscì a dimostrare nessun nesso -neppure indiretto- tra il governo di Caracas e le narcomafie colombiane, ma da quando venne espulsa dal Venezuela non desiste dal montare raffazzonate provocazioni, come quella malriuscita di Curazao. La chiamata di correo in narcotraffico è un teorema difficile da dimostrare, finora la ciambella rimane senza buco.
In America latina stanno avvenendo molte morti sospette tra i dirigenti della lotta al narcotraffico, soprattutto in Messico, dove la situazione è diventata esplosiva e Washington punta a marchiarlo come "Stato delinquente". Dappertutto si riscontra un intreccio perverso dove converge l’economia criminale delle narcomafie con l’operato della DEA. Unite, agiscono come testa d’ariete che sconquassa tessuto sociale ed istituzionalità nazionali, e legittima differenti livelli di intervenzionismo esterno.
Con la finalità di restaurare un egemonismo continentalein affanno, sulla base di metodi illegali, colpi di stato camuffati a posteriori con simulacri di elezioni, eliminazioni fisiche selettive, guerra civile strisciante. Le intenzioni degli Stati Uniti verso l’America indolatina permangono invariate: non sono affatto buone, come prima e più di prima (di Obama). La DEA sembra sempre più un comparto complementare, subordinato o interno al Pentagono.
Valutando la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico a Copenaghen - con più di 15.000 partecipanti da 192 paesi, e più di 100 capi di Stato, così come 100.000 manifestanti per strada- è importante chiedersi: come è possibile che l' inquinante peggiore del biossido di carbonio e altre emissioni tossiche nel pianeta non sia oggetto di nessuna discussione, proposte o restrizioni, durante la conferenza?
In ogni caso, il Pentagono è il più grande utilizzatore istituzionale di prodotti petroliferi e energetici. E, nonostante questo, il Pentagono è esente da ogni accordo climatico internazionale.
Le guerre del Pentagono in Iraq ed in Afghanistan; le sue operazioni segrete nel Pakistan; il suo equipaggiamento in oltre 1.000 basi statunitensi in tutto il mondo; le sue 6.000 installazioni negli USA; tutte le operazioni della NATO; le sue portaerei; aerei jet; sperimentazione; formazione e vendita di armi, non saranno prese in considerazione per quanto riguarda i limiti dei gas ad effetto serra degli USA o inclusi in alcun conteggio.
Il 17 febbraio, l’Energy Bulletin aveva dettagliato il consumo di petrolio del Pentagono solo per aerei, barche, veicoli terresti e installazioni che lo hanno reso il consumatore singolo di petrolio più grande del mondo. Fino ad allora, l’Armata degli USA aveva 295 navi da combattimento e ausiliarie e circa 4000 velivoli operativi. L’esercito degli USA aveva 28.000 veicoli blindati, 140.000 High-Mobility Multipurpose, più di 4.000 elicotteri da combattimento, varie centinaia di aerei di ala fissa ed una flotta di 187.493 veicoli. Fatta eccezione per 80 sottomarini e portaerei nucleari, che propagano inquinamento nucleare, tutti gli altri veicoli sono a petrolio.
Secondo il CIA World Factbook del 2006, solo 35 paesi (su 210 al mondo) consumano più petrolio, al giorno, del Pentagono.
Le forze armate degli USA usano ufficialmente 320.000 barili di petrolio al giorno.Tuttavia, questo totale non comprende il combustibile utilizzato dalle imprese appaltatrici o il combustibile consumato nelle strutture in affitto e privatizzate. Nè include l’enorme quantità di energia e di risorse utilizzate per produrre e mantenere il suo equipaggiamento di morte o le bombe, granate o missili che utilizza.
Steve Kretzmann, direttore dell’Oil Change International, informa che : “La guerra in Iraq ha prodotto almeno 141 tonnellate di biossido di carbonio (MMTCO2e) da marzo del 2003 a dicembre 2007….La guerra emette più del 60% di tutti i paesi. ...Queste informazioni non sono facilmente disponibili….perché le emissioni di militari all'estero sono esenti da obblighi di comunicazione nazionale, per la legge degli USA e della Convenzione quadro dell’ONU sui Cambiamenti Climatici (www.naomiklein.org, 10 dicembre). La maggior parte degli scienziati danno la colpa alle emissioni di biossido di carbonio per i gas ad effetto serra e al cambiamento climatico.
Bryan Farrell nel suo nuovo libro “The Green Zone: The Environmental Costs of Militarism”, dice che “il più grande attacco contro l’ ambiente, contro tutti noi nel globo, viene da un’agenzia…le Forze Armate degli USA”.
Come è riuscito il Pentagono ad essere esente dagli accordi climatici? Durante le negoziazioni degli Accordi di Kyoto, gli USA hanno chiesto (esigendo) come condizione per la loro firma che tutte le loro operazioni militari nel mondo e tutte le operazioni nelle quali partecipano con l’ONU e/o con la NATO fossero totalmente esenti dalle misure di riduzioni.Dopo aver ottenuto questa gigantesca concessione, il governo Bush rifiutò di firmare l’accordo.
In un articolo del 18 maggio del 1998, intitolato “National security and military policy issues involved in the Kyoto treaty” (Sicurezza nazionale e questioni politiche-militari coinvolte nel trattato di Kyoto) il direttore Jeffrey Salmon descrisse la posizione del Pentagono. Cita il documento annuale del 1997 al Congresso dell’allora segretario della Difesa William Cohen: “Il dipartimento della difesa raccomanda energicamente che gli USA insistano su una clausola di sicurezza nazionale nel protocollo sul cambiamento climatico che si sta negoziando”.
Secondo Salmon, questa disposizione nazionale per la sicurezza è stata avanzata in un progettoche specificava “esenzione militare totale dei limiti di emissioni di gas ad effetto serra. Il progetto comprende operazioni multilaterali come attività approvate dalla NATO e dall' ONU, ma include anche azioni legate ampiamente con la sicurezza nazionale, che sembrerebbe comprendere tutte le forme di azioni militari unilaterali e la formazione di tali azioni.”
Salmon ha citato anche al sottosegretario di Stato, Eduard Eizenstat, che diresse la delegazione degli USA a Kyoto. Eizenstat ha informato che “il Dipartimento della Difesa e i militari in divisa che sono stati insieme a me a Kyoto, hanno ottenuto tutte le richieste che avevano detto di volere. Cioè, autodifesa, mantenimento della pace, aiuto umanitario”.
Anche se gli Stati Uniti avevano già ricevuto queste garanzie durante le negoziazioni, il Congresso degli Stati Uniti approvò una clausola esplicita garantendo l’esenzione militare degli USA. L’Inter Press Service, ha riferito il 21 maggio 1998: “I legislatori degli Stati Uniti, nel loro più recente golpe conto gli sforzi internazionali per contenere il riscaldamento globale, hanno esentato oggi le operazioni militari degli USA dall’accordo di Kyoto che specifica gli impegni vincolanti per ridurre emissioni di “gas effetto serra”. La Camera dei Rappresentanti ha approvato un emendamento alla legge dell’autorizzazione militare che l’anno prossimo “proibisce la restrizione delle forze armate sotto il Protocollo di Kyoto”.
Attualmente, a Copenaghen, continuano a valere gli stessi accordi e linee direttive sui gas ad effetto serra- Ma, è estremamente difficile trovare la più minima menzione di questa omissione manifesta.
Secondo la giornalista e ambientalista, Johanna Peace, le attività militari continueranno ad essere esenti da un ordine esecutivo firmato dal presidente Barack Obama che prevede che le agenzie federali riducano le loro emissioni di gas d’effetto serra fino al 2020. Peace segnala che: “Le forze armate rappresentano un 80 % dei bisogni energetici del governo federale”. ( http://solveclimate.com/ , 1 settembre)
L’esclusione generale delle operazioni globali del Pentagono fanno sembrare le emissioni di anidride carbonica degli USA appaiono molto meno di quello che in realtà sono. Ma, anche senza contare il Pentagono, gli USA hanno le maggiori emissioni di biossido carbonio del mondo.
Più che emissioni
Oltre ad emettere biossido di carbonio, le operazioni militari degli USA liberano nell’aria, nell’acqua e nel suolo, altri materiali altamente tossici.
Armi statunitensi fatte con uranio impoverito hanno scaricato decine di migliaia di chili di microparticelle di rifiuti radioattivi altamente tossiche in tutto il Medio Oriente, Asia Centrale e Balcani.
Gli Stati Uniti vendono mine antiuomo e bombe a grappolo che sono una delle principali cause di esplosioni ritardate, di mutilazioni e di disabilità soprattutto dei contadini e le popolazioni rurali in Africa, Asia e America Latina. Ad esempio, Israele ha lanciato più di un milione di bombe a grappolo fornite dagli USA nel Libano durante l’invasione del 2006.
La guerra degli Stati Uniti in Vietnam lasciato vaste aree così contaminata con l'erbicida Agente Orange che attualmente, più di 35 anni dopo,la contaminazione da diossina è di 300 a 400 volte superiore rispetto ai livelli di “sicurezza”. Gravi malformazioni alla nascita e alti tassi di cancro derivanti dalla contaminazione ambientale stanno continuando in una terza generazione.
La guerra del 1991 degli USA in Iraq, seguita da 13 anni di crudeli sanzioni, l’invasione del 2003 e l’occupazione seguente, hanno trasformato la regione- che ha una storia di 5000 anni come granaio del Medio Oriente- in una catastrofe ambientale. La terra coltivabile e fertile dell’Iraqè diventata una landa desolata del deserto dove il minore dei venti causa una tempesta di sabbia. L’Iraq, che era esportatore di alimenti, adesso importa l’80% dei suoi alimenti. Il Ministro dell’Agricoltura irachena stima che il 90% della terra soffre una severa desertificazione.
Guerra ambientale negli USA
Inoltre, il dipartimento della difesa si è opposto sistematicamente ad ordini dell’Environmental Protection Agency (Agenzia Protezione Ambientale-EPA) di ripulire le basi statunitensi contaminate. (Washington Post, 30 giugno 2008). Le basi militari del Pentagono sono in testa alla lista dei siti più inquinati del Superfund, e gli inquinanti penetrano nelle falde acquifere di acqua potabile del suolo.
Il Pentagono si è anche opposto agli sforzi dell’EPA di stabilire nuovi standard di inquinamento per due prodotti chimici che si trovano ampiamente nei siti militari: perclorato, trovato nel propellente di razzi e missili; e tricloroetileno, uno sgrassante per parti di metallo.
Il tricloroetileno è l’inquinante d’acqua più diffuso nel paese ed è assorbito dalle falde acquifere in California, New York, Texas, Florida e altrove. Più di 1.000 siti militari negli USA sono contaminati con questa sostanza chimica. Le comunità più povere, in particolare comunità di gente di colore, sono le più colpite da questo avvelenamento.
I test statunitensi di armi nucleari nel sud-ovest e nelle isole del sud del Pacifico hanno contaminato con radiazioni milioni di ettari di terre ed acqua. Montagne di scorie radioattive e tossiche di uranio sono state abbandonate in terre indigene nel sud-ovest. Più di 1000 mine di uraniosono state abbandonate in riserve navajo in Arizona e New Mexico.
In tutto il mondo, in vecchie basi ed altre ancora operative in Porto Rico, Filippine, Corea del Sud, Vietnam, Laos, Cambogia, Giappone, Nicaragua, Panama e la vecchia Jugoslavia, barili arrugginiti di prodotti chimici e solventi e milioni di proiettili sono criminosamente abbandonati dal Pentagono.
Il miglior modo per pulire drammaticamente l'ambiente è chiudere il Pentagono. Quello che serve per combattere il cambiamento climatico è un completo cambiamento del sistema.
Sara Flounders è co-direttore delL' International Action Center
di Alberto Müller Rojas Il generale Alberto Müller Rojas cha chiarito che non parla come portavoce del Partito Socialista Unito del Venezuela o del Presidente Chávez. Lo fa come referente nazionale. Per anni ha studiato le nuove dottrine di guerra.Ha scritto un documento che ha inviato a Miraflores ed il prossimo 10 dicembre darà, come ospite d’onore, una conferenza nella Forza Aerea. Müller afferma che il conflitto in Colombia non ha un carattere binazionale. Si tratta di una crisi tra l’impero, inteso come entità che si basa sul complesso militare industriale, che non è nordamericano ma transazionale, ed il potere costituente organizzato in tutti i paesi che si oppongono a questa forma di dominazione globale.
Di Nils Christie, Direttore dell'Istituto di Criminologia dell'Universita' di Oslo. Tra i suoi libri e saggi tradotti in Italia ricordiamo "Abolire le pene" (Gruppo Abele ed.) e "Il business penitenziario - la via occidentale al gulag" (Eleuthera ed.) intervista di Roberto Valencia Nils Christie ha trascorso tutta la sua vita denunciando le varie politiche carcerarie che "ormai nessuno crede servano per rieducare i prigionieri". Autore di vari libri, e' diventato insieme al Prof. Louk Hulsman e a pochi altri, un referente mondiale del movimento abolizionista.
Gli Stati Uniti sono il modello da evitare. Il paese "delle liberta'" ha allo stesso tempo la percentuale piu' alta di prigionieri giacche', secondo Christie, "la Giustizia e' diventata un business". L'Europa dovra' adesso decidere se seguire il modello nordamericano oppure optare per sistemi nei quali la prigione non abbia cosi' tanto peso.
In poche parole, cosa e' e cosa chiede l'abolizionismo?
“La bandiera segue il dollaro, i soldati la bandiera”, ha dichiarato l’ex maggior generale statunitense, Smedley D. Butler, nel suo libro “War is a Racket”. Nasceva la filosofia con la quale l’impero statunitense interveniva con la sua marina di guerra in quasi tutto il continente. Assicurava così l’incipiente espansione delle sue transnazionali in America Latina durante la prima metà del XX secolo.
"Perché il Primo Ministro Wen ci tiene a dire che il lavoro si relaziona con la dignità della persona?" Mi diceva un professore universitario dalla sua poltrona. “Questo non è un momento per parlare di dignità. Il diritto alla sopravvivenza è fondamentale. E la dignità è qualcosa che verrà naturalmente, quando sarà il momento”. Ma come si può parlare di diritto alla sopravvivenza senza dignità, mi chiedo. Stringere la cintura non è qualcosa di nuovo per i cinesi. Hanno rispondendo all' appello di consumare meno alimenti durante il “disastro naturale” del 1958-1961. I contadini, in particolare, hanno stretto la cintura in vista dell' industrializzazione socialista, per permettere il trasferimento della ricchezza verso le città attraverso ciò che è stato chiamato forbice dei prezzi. Ma, questa volta succede qualcosa di insolito. Economizzarono e risparmiarono per prestare denaro al paese più ricco del mondo, ed ottenere lavori mal pagati, stimolando i consumatori di quel paese. Grazie al fallimento finanziario, c’è un fatto che comincia a farsi chiaro nella testa di molti cinesi: La Cina è il maggiore creditore degli USA, e nonostante questo i cinesi continuano ad essere poveri.
L’esportazione, l’investimento e il consumo sono stati proclamati come i tre cavalli che portano il carro della crescita cinese. I cavalli erano già malati ed il carro consumato anche prima della crisi economica. Nonostante che le importazioni hanno fatto della Cina “la fabbrica del mondo”, si tratta di una fabbrica con stipendi magri, a scapito dei lavoratori e dell'ambiente. L’investimento ha creato strade, ferrovie e città brillanti, così come la gigantesca bolla immobiliare. Il prezzo medio delle case in relazione al reddito in Cina era di 1 a 15 nel 2007. La cifra è arrivata 1 a 23 in Beijing (Libro di Statistiche Annuali della Cina, 2008)- La maggior parte della popolazione sono osservatori che non possono condividere la prosperità delle città. Il contributo dei consumi rispetto al PIL non ha mai superato il 40%, mentre quello di India è al 60%. Le fabbriche stanno chiudendo. I migranti si muovono da e verso i popoli. Milioni di universitari sono preoccupati per i loro posti di lavoro, anche se questa non è una novità dato che i segni di problemi economici erano evidenti negli ultimi anni. Di fronte alla crisi finanziaria, quando le ombre si chiudono sull’economia cinese orientata all’estero, la domanda interna diventa fondamentale. Molti si affrettano a segnalare con orrore che il tasso di risparmio del paese è di circa il 50% più alto del mondo.
Ma non dicono che i conti di risparmio delle famiglie rappresentano appena un 30 o 40 % del totale, mentre il resto appartiene al governo e alle aziende di proprietà dello Stato. In altre parole, la domanda di consumo insufficiente ha la sua origine dalla caduta persistente della percentuale delle entrate nazionali disponibili in mano delle famiglie (He& Cao, 2007). La ricchezza si concentra nello Stato, non nelle persone, e lo Stato usa i suoi risparmi per reinvestirli. E’ cosi che si arriva ad un PIL di due cifre. Questo mostra inoltre che la domanda interna è stata sempre spinta dall’investimento più che dal consumo. E’ vero che i cinesi tendono al risparmio e non al consumo, ma quello che succede non si può spiegare semplicemente per la “virtù tradizionale” del popolo cinese. In un paese dove lo Stato non trasferisce i benefici della crescita e non c’è una rete di sicurezza sociale, stringere la cintura sembra essere una misura ragionevole nonostante i tassi d’interesse “di fatto” negativi.
Per questo la maggior parte dei cinesi stianno semplicemente sopravvivendo, come lavoratori che producono “Made in Cina”, come osservatori che vedono le loro case dare spazio a strade e a condomini irraggiungibili, e come creditori che sono obbligati a risparmiare a nome proprio e pagare per conto di altri. E adesso gli si chiede di essere consumatori. Forse la formula di 4 bilioni di RBM più il tasso di crescita dell’8% più i 10 settori industriali, di mano d’opera a basso costo trasformerà i cinesi in orgogliosi consumatori? La composizione dei 4 bilioni è la seguente: 38 % infrastruttura, 25% ricostruzione post-disastro, 10% costruzione per la vita urbana (cioè case popolari e riforme delle case) 9% progetti di costruzione per gli insediamenti rurali (acqua potabile, elettricità, strade) 9% miglioramento tecnologico, 4% educazione, salute e cultura e 5% protezione dell' ambiente. Ovviamente si continua col vecchio schema: convertire tutte le città in cantieri edili. Forse la differenza è che i villaggi possono avere l'aspettativa di avere le loro opere di costruzione. Oltre al rischio di esacerbare le contraddizioni esistenti strutturali dell'economia, anche se la formula funziona per stimolare l’economia, quale utilità avrebbe un tasso di crescita dell’8% senza che si risolva adeguatamente lo squilibrio tra l’investimento ed il consumo, senza che si abbandoni il PIL come l’unico grande indicatore di sviluppo, e senza che la popolazione sia considerata come esseri umani che godono di salute e di educazione di qualità? Come si può sperare che le persone consumino senza sentirsi sicure nello spendere?
In tempi di crisi è comprensibile a mantenere i tassi di investimento elevati per attutire gli effetti e stabilizzare la società. Ma cosa si fa dopo due anni quando si sono spesi i 4 bilioni? Incoraggiare la domanda interna non è un nuovo slogan. Era stata presentata nel decimo Orientamento Quinquennale prima nel 2005. Ma semplicemente è stata la domanda d’investimento e non la domanda delle famiglie quella che è cresciuta. Se percaso, questa crisi offre una possibilità, è che lo sviluppo con tassi di crescita elevati e gli investimenti e costi elevati, non può e non deve continuare. A lungo termine si deve scommettere sul ridare ricchezza alla gente e così si potrebbe stimolare il consumo delle famiglie.
La Cina è un paese dove la metà della popolazione rurale non può accedere a servizi sanitari e quasi il 70% delle persone non hanno la pensione. E’ la terza economia del mondo, ma la spesa in educazione non raggiunge ancora il 4% del PIL- il livello medio dei paesi in via di sviluppo. La spesa pubblica sanitaria è intorno al 4% del PIL, senza assistenza sanitaria universale. Il sistema di sicurezza sociale (cioè, pensioni, assicurazione contro la disoccupazione, assicurazione contro gli infortuni del lavoro, ecc.) è quasi inesistente. La Cina ha sorpreso il mondo con la sua efficienza, ma è la giustizia quello che il paese dovrebbe cercare. Se la Cina ha il coraggio di dire alla sua gente che il paese è riuscito a venire fuori velocemente dalle ombre della crisi, deve avere anche il coraggio di ridistribuire la ricchezza, aumentare la spesa pubblica in salute ed educazione, sviluppare sistemi di welfare e dare facoltà al suo popolo perché siano cittadini attivi e non lavoratori, osservatori, consumatori o creditori passivi.
Quando parlavo con il professore che distingueva tra il diritto alla sopravvivenza e la dignità, tre persone mi sono venute in mente. Le ho conosciute nella zona rurale di Sicuani, nella regione sud occidentale della Cina. La prima, un uomo che era un lavoratore migrante dalla città. E’ tornato a casa sua per aiutare i suoi genitori con un’iniziativa di fattoria organica iniziata tre anni fa con la speranza di cambiare per una vita “sana, verde e armoniosa”. Non sa quanto altro tempo potranno restare lì, poichè ci sono voci che il suo paese si trasformerà in una zona di “sviluppo”, e nessuno sa esattamente cosa significa. Il secondo, un lavoratore in una fabbrica di cemento, che fa turni diversi ogni giorno, e negli intervalli aiuta sua moglie con un banchetto di alimentari nel centro. La sua fabbrica non è solo inquinante, ma si è anche appropriata delle terre dei suoi compagni contadini per ampliarsi, che ha sollevato le proteste degli abitanti del villaggio. “Io non ho partecipato in nessuna protesta”, mi disse sorridendo. Il terzo, l’ho conosciuto in un cantiere. Quando gli ho chiesto cosa stava facendo mi rispose: “faccio crescere la domanda interna”. Guadagna 40 RMB (circa 6 $) al giorno. Più tardi ho imparato che il lavoro in questione era stato previsto nel 2007, prima del pacchetto stimolo, ma in quei giorni tutta la costruzione era vista come uno “stimolo alla domanda”, nonostante che questo sia stato il settore principale di investimento dper anni. Riconoscere il diritto alla “sopravvivenza” non deve essere la scusa per spremere fino all’ultima goccia di sudore dei lavoratori cinesi. Siamo esseri umani. Se mi dessero il privilegio di aggiungere note a piè delle risposte del Primo Ministro Wen, direi che il lavoro si relaziona con la dignità dell’essere umano,la dignità che consente alle persone di scegliere il lavoro autonomo e consumare i prodotti delle loro terre,la dignità di rifiutarsi di lavorare come mano d’opera a basso costo in una fabbrica che inquina l’aria che respiriamo, e la dignità di sapere per cosa lavoriamo. Questo dipende da quale tipo di economia la Cina stimola e a quale tipo di sviluppo sta andando il paese.
Tu Wenwen è ricercatrice di Focus on the Global South. Ha realizzato questa ricerca di campo in Cina durante gli ultimi due mesi.