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"LA TERRA CI NUTRE LA TECNOLOGIA CI GUIDA: COLTIVIAMO INSIEME IL FUTURO"

21 dicembre 2009

IL BIGLIETTO VERDE RINASCE DALLE SUE CENERI

La paura di un collasso finanziario europeo
rafforza
il dollaro e sgonfia l’euro




Questo giovedì l’euro continuava a perdere posizioni rispetto al dollaro di fronte al timore generale che alcuni paesi dell’eurozona possano cadere in un’insolvenza dei pagamenti prodotta dal deficit della caduta delle entrate. Ma l’incertezza sulla cancellazione degli impegni sul debito non è l’unico fattore che dà un impulso al dollaro: La moneta statunitense beneficia anche del timore che il riscatto statale delle banche e aziende crei una ricaduta della crisi finanziaria.

Come è stato già dimostrato dalla storia e dalla realtà, il dollaro USA è il rifugio “sicuro” del capitalismo finanziario speculativo transnazionale (statale e privato) in epoca di cataclismi.


Dopo il collasso di Dubai, gli speculatori internazionali su vasta scala si sono rifugiati nei mercati europei, nel dollaro in mezzo a timori che questa condotta possa trasformarsi in una tendenza generalizzata a livello mondiale, secondo il
Wall Street Journal.

L’euro, che fino a qualche settimana fa faceva la sua una scalata spiazzando il dollaro, è sceso negli ultimi 15 giorni e potrebbe continuare a cadere con forza di fronte ad una fuga in massa degli speculatori verso l’acquisto di attivi più “sicuri” in moneta statunitense.


La situazione torna a ripetersi con il debito regionale che cresce e si propaga per tutta l’eurozona, con epicentro in Grecia, mentre crescono i timori degli speculatori ad un’insolvenza di pagamento generalizzata e ad un crollo a catena delle economie più deboli che vede in testa alla Spagna.


In generale, l’ombra di una insolvenza dei pagamenti generalizzata (a causa del deficit e delle basse entrate fiscali)
fa temere una rinascita della crisi finanziaria, e continua a favorire il sorpasso del dollaro sull’euro, nonostante che la Federal Reserve degli USA ha deciso questo martedì di mantenere i tassi d’interesse, vicino allo zero, ribadendo che rimarranno a questo livello per qualche tempo.

Il dollaro è salito giovedì ai suoi massimi livelli in tre mesi di fronte ad un paniere di monete, favorito da un tono più “ottimista” della Riserva Federale statunitense, mentre l’euro cadeva colpito da
nuove preoccupazioni sui problemi fiscali della Grecia e l’incertezza finanziaria nell’eurozona.

L'euro è sceso a Giovedi per la quarta sessione consecutiva
ieri, dopo l'adesione S & P e Fitch che hanno deciso di tagliare il rating del debito della Grecia, il paese dell'Unione europea con il più alto deficit di bilancio.

In un mercato con poco volume prima delle feste di fine anno, l’euro è affondato al suo livello minore contro il dollaro dall' inizio di settembre,
dopo aver superato la forte barriera di 1,4500 dollari e generando ordini di vendita per sospenderne le perdite ben al di sotto 1,4400.

Le preoccupazioni degli speculatori sull’insolvenza di alcuni paesi della zona euro hanno preso forza dopo che mercoledì la Grecia
ha subito il suo secondo declassamento creditizio in una settimana.

Gli esperti e le pubblicazioni specializzate considerano che
il declassamento delle economie più deboli dell’eurozona imbarazza e guida il crollo dell'euro.

“L’euro sta soffrendo come risultato dei problemi del debito vincolato ai
paesi della periferia della zona euro, che potrebbero rappresentare una gravissima tensione regionale, mentre la sterlina è sotto pressione a causa di un’economia povera” ha commentato Steve Barrow, stratega del cambio della Standard Bank. Barrow ha pronosticato che l’euro potrebbe scendere ai 1,42 o 1,41 dollari.

L’euro sarebbe sceso di due centesimi rispetto al dollaro alla chiusura di New York, mercoledì, a 1,4330 dollari, secondo i dati della Reuters, il suo livello minore da settembre.


Il dollaro forte, a sua volta, porta ad ulteriore debolezza del petrolio e materie prime sul mercato,
la cui quotazione è pesata anche mercoledì sul calo delle scorte negli USA.
“Se il dollaro si mantiene forte, il petrolio potrebbe continuare a scendere”, segnala l’agenzia Bloomberg.

L’indice del dollaro,
che misura le sue prestazioni di fronte ad altre sei valute di riferimento, è salito fino ai 77,823, la sua quotazione più alta da settembre, dando agli investitori la fiducia che il dollaro ha già rotto il trend al ribasso che ha avuto inizio nel mese di marzo.

Secondo le stime degli esperti, l’economia greca, il centro (insieme alla Spagna) del caos finanziario che minaccia la zona dell’euro e fa si che gli speculatori cerchino rifugio nel dollaro,
è sull'orlo del precipizio.

Si calcola che la scalata del dollaro di fronte all’euro continuerà ad intensificarsi
guidata da nuovi ribassi della quotazione delle agenzie di rating per la Grecia ed il Portogallo, e di fronte al timore di una caduta a catena delle economie più deboli dell’eurozona, tra le quali si trova quella spagnola.

Martedì l’agenzia
Fitch ha ribassato ancora di più il rating della Grecia ad un livello di “BBB+” per i suoi dubbi su come far fronte ai propri obblighi finanziari, essendo il primo paese dell' eurozona che si avvicina al livello di “buono spazzatura”. Allo stesso modo, il Portogallo ha recentemente subito un taglio che Standard & Poor’s annota questo paese ad un “A+”.

Standard &Poor’s
ha anche ribassato il rating della Grecia da un grado di “BBB+” a “A-”, dato che è poco probabile che le misure di austerità annunciate dal primo ministro George Papandreou , questa settimana, producano una riduzione “sostenibile” del debito pubblico.

Secondo alcuni analisti europei, la Spagna e l'Italia potrebbero essere i prossimi a sperimentare tagli
ai loro livelli di qualifica del debito dato che continuano con un outlook negativo. Mercoledì, Standard &Poor’s ha pubblicato un documento nel quale prevede un nuovo ribasso della qualifica del debito spagnolo “se non ci sono misure più aggressive per far fronte allo squilibrio fiscale”.

La Spagna è la quarta maggiore economia dell’eurozona, e
quasi una quinta parte della popolazione è senza lavoro. La sua economia sta sfiorando la deflazione e, contro ciò che succede nell’eurozona, potrebbe restringersi ancora di più.

Sebbene altri paesi della periferia dell’Europa, come l’Irlanda e la Grecia, appaiano al centro dei timori per l’insolvenza dei pagamenti, l’economia spagnola è cinque volte superiore a quella di questi paesi e, quindi, i suoi problemi sono anche molto maggiori.


Per molti esperti,
tra cui il Financial Times, la Spagna segna il centro dell’ “incertezza” e nuove cadute di rating della sua economia potrebbero innescare un collasso finanziario incatenato dei paesi che si mantengono nella “linea rossa” per affrontare l' insolvenza dei loro debiti pubblici.

Fonte:
http://www.iarnoticias.com/2009/secciones/europa/0019_dolar_arriba_euro_se_desinfla_17dic09.html

Tradotto e segnalato per Voci Dalla Strada da
VANESA

20 dicembre 2009

LA MONETA VIRTUALE "ALBA" ENTRERA' IN VIGORE A GENNAIO


Il Sistema Unico di Compensazione Regionale dei Pagamenti, la valuta virtuale SUCRE, entra in vigore il prossimo gennaio per le transazioni commerciali nei paesi membri dell'Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA).

Nata a novembre del 2008, durante il Summit dell’ALBA realizzata a Caracas, il progetto della nuova moneta virtuale, proposta dal presidente ecuadoriano Rafael Correa, è promossa dal Venezuela, Bolivia, Ecuador e Cuba.

Secondo quanto annunciato, la prima operazione attraverso l’utilizzo del SUCRE si realizzerà a gennaio prossimo, quando un’azienda cubano-venezuelana esporterà all’isola riso per una cifra non ancora stabilita.

Il coordinatore e rappresentante della Banca Centrale di Cuba, Benigno Regueira, ha spiegato che la nuova divisa, non ha un disegno fisico predeterminato, ma ha una struttura “molto ben definita informaticamente e tecnicamente, da attuare come una comune unità di conto”.

Questo significa che in un primo momento si attuerà solo come mezzo di pagamento tra le banche centrali dei paesi membri del Sistema Sucre, ancora non può essere una riserva di valore o mezzo di pagamento.

Questa moneta è valutata sulla base di un paniere di valute locali di ogni paese membro e anche di un paniere di valute”, dice Regueiro.

Secondo l’esperto, sarà usata dalla Camera Centrale di Compensazione, Banche Centrali e il Fondo di Riserve e Convergenza Commerciale, cercando di rimanere il più stabile possibile "per generare il più alto livello di fiducia".

Ha osservato che all’inizio il SUCRE avrà un valore simile al dollaro, anche se la volontà espressa dai paesi membri sarebbe quello di “allontanarsi progressivamente dalla moneta statunitense, riuscendo a realizzare le operazioni commerciali senza doverlo usare”.

Approfondisce dicendo che che per un lungo periodo di tempo, “nessuno vedrà fisicamente il SUCRE” che esiste solo per scopi commerciali, come successe con l’ ECU nell’UE.

Spiega che non sostituirà la moneta locale nazionale, dato che “ogni stato continuerà con la sua moneta locale, ognuna con un tipo di cambio di fronte al SUCRE e, a sua volta, di fronte al dollaro”.

“Qualsiasi moneta di conto è qualcosa che un gruppo di paesi accordano per sviluppare il commercio con lo scopo di scambiare beni e servizi”, ha detto l' esperto chiarendo che si tratta di un’operazione amministrativa che parte da una selezione di prodotti, in base a quello che le nazioni decidono tra di loro”.

Regueira ha spiegato che il Consiglio Monetario Nazionale è il massimo organo del sistema, con un comitato esecutivo in cui i paesi membri sono rappresentati, con un solo voto ciascuno, e in cui le decisioni sono prese a maggioranza o all'unanimità.

I pari diritti sono garantiti dalla possibilità che ciascun membro ha un voto, indipendentemente dal volume di scambi che può avere", ha sottolineato.

L'esperto ha osservato che un altro elemento è la Camera di Compensazione dei pagamenti, per la quale tutte le operazioni in SUCRE ordinate dalle Banche Centrali, passeranno.

“Cioè attraverso essa si realizzeranno tutti i pagamenti a partire dal Consiglio Monetario, tenendo conto del volume degli scambi di ogni paese, effettuare una distribuzione della moneta ed assegnare ad ognun un' importo specifico, ”, ha puntualizzato il funzionario bancario cubano.

Fonte:
http://www.argenpress.info/2009/12/la-moneda-virtual-de-alba-entrara-en.html

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
VANESA

19 dicembre 2009

LA CIA UTILIZZA L'USAID COME FACCIATA

di Eva Golinger

Un alto funzionario dell’Agenzia Internazionale di Sviluppo degli Stati Uniti (United States Agency for International Development-USAID) questo lunedì ha confermato che la CIA usa il nome dell’USAID per dare fondi e appalti a terzi che promuovono le loro operazioni. Secondo il funzionario, un veterano dell’agenzia che
detiene la carica di responsabile regionale, la CIA sta dando appalti sotto il nome dell’USAID senza che questa ne sia coinvolta. Tre mesi fa, sono stati scoperti due agenti della CIA che affermavano di essere dipendenti dell’USAID in un paese africano in cui l'agenzia dello sviluppo sostiene investimenti miliardari. Gli agenti sono stati rimossi dal paese.

Giorni fa, secondo un reportage del
New York Times, un funzionario del Development Alternatives, Inc (DAI), un’azienda contrattista dell’USAID, il Dipartimento di Stato ed il Pentagono, è stato arrestato a Cuba, mentre distribuiva materiale di comunicazioni a settori della controrivoluzione.

La relazione tra l’USAID, un’agenzia del Dipartimento di Stato e la CIA non è nuova. Nel 1974, il Congresso statunitense aveva chiuso una divisione dell’USAID che era stata usata dalla CIA per allenare, finanziare, armare più di un milione di poliziotti in America Latina, Asia e Medio Oriente. L’Ufficio della Sicurezza Pubblica (Office of Public Safety “OPS”)
è stato istituito nel 1957 dal Presidente Eisenhower con la missione di allenare e formare forze di polizia in altri paesi. Documenti declassificati della CIA confermano che i fondi della OPS sono stati inclusi nei milioni dati annualmente all’USAID, ma le sue operazioni sono state coordinate dall’agenzia clandestina.

Durante la guerra in Vietnam, l’USAID è stata responsabile della distribuzione di “materiale di sostegno” insieme alla CIA nell’operazione Fenice, che è stata responsabile dell’assassinio di milioni di vietnamiti. Ad Haiti, l' USAID è stata accusata di
finanziare organizzazioni coinvolte nel colpo di Stato contro il Presidente Jean Bertrand Aristide nel 2004. Da giugno 2002, l’USAID mantiene un Ufficio per le Iniziative verso una Transizione (OTI) nel Venezuela, attraverso la quale ha canalizzato milioni di dollari all’opposizione contro il Presidente Hugo Chavez. Più di due mila pagine parzialmente declassificate dell’USAI sulle sue attività in Venezuela dimostrano un modello di finanziamento e supporto strategico volto esclusivamente settori dell'opposizione, con programmi che cercano di “rafforzare” i suoi partiti politici, disegnare le loro campagne politiche e aiutarli a consolidare un movimento contro il governo venezuelano.

In Bolivia, l’USAID è stata espulsa quest’anno dagli abitanti di due comuni,
Chapare e El Alto, con l’accusa di interventismo. A settembre, il presidente Evo Morales, ha annunciato la cessazione di un accordo formale con l’USAID a causa di fondi miliardari deviati verso gruppi separatisti che cercavano di destabilizzare il paese.

Nel 2005, l’ USAID è stata espulsa anche dall’Eritrea e accusata di essere un’agenzia “neocoloniale”. Etiopia, Russa e Bielorussia, ordinarono l’uscita dell’USAID e dei suoi contrattisti
nel corso degli ultimi cinque anni.

Un documento dell’Ufficio di Contabilità Generale degli USA (
General Accounting Office-GAO) del 2006 ha rilevato che ci sono stati problemi con la gestione delle sovvenzioni” del Programma Cuba dell’USAID. Milioni di dollari destinati per “promuovere la democrazia” a Cuba sono finiti in mano di organizzazioni a Miami, senza contabilità nè controllo.

Per il giornalista Jean-Guy Allard, uno dei casi più espliciti del lavoro sporco dell’USAID è stato in Uruguay, “
Dan Anthony Mitrione, istruttore statunitense in tecniche di tortura, apparso in Uruguay con credenziali dell'USAID alla fine degli anni '70, per addestrare la polizia in un programma segreto di distruzione della sinistra in America Latina.".

L’Agenzia dello Sviluppo degli Stati Uniti è stata creata ufficialmente nel 1961 come un’entità dedita all’aiuto umanitario nel mondo. Nel 2009, l’USAID è stata formalmente incorporata all’Iniziativa Interagenzia di Controinsurrezione degli Stati Uniti, insieme al Dipartimento di Stato e al Pentagono. Nel 2007, è stato pubblicato il documento: “La controinsurrezione per i politici del governo degli USA: un lavoro in progresso”, che mostrava l’USAID come fondamentale per assicurare il successo delle operazioni di
controinsurrezione. “L’USAID può aiutare con gli sforzi di controinsurrezione del governo degli USA…L’ USAID ha uffici in 100 paesi in via di sviluppo, lavora accanto ad organizzazioni private, gruppi indigeni, associazioni professionali, organizzazioni di fede ed altre agenzie governative….L’USAID ha buoni rapporti, attraverso convegni e contratti, con più di 3.500 aziende e 300 organizzazioni private degli USA…”

La Controinsurrezione è un' operazione militare contro gruppi considerati “ribelli” o insorti. Movimenti di sinistra che sono stati considerati dagli USA come “insorti dagli anni 50”.
Tattiche di controinsurrezione includono l’uso di un conflitto armato per fomentare la sovversione, operazioni psicologiche e sabotaggio economico per riuscire a neutralizzare l’avversario.

Se prima la CIA aveva usato l’USAID come facciata, senza che i lavoratori lo sapessero, oggi c’è il pieno riconoscimento che
l’USAID si incorpora alle iniziative di controinsurrezione contro movimenti e stati considerati “avversari” per Washington. Questa innovazione la trasforma il suo mandato originale di dare aiuto umanitario al mondo e diventa ufficialmente un organismo di guerra.

Fonte:
http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=16564

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
VANESA

18 dicembre 2009

NUOVE LIMITAZIONI ALLA SOVRANITA' EUROPEA

di Jean-Claude Paye

Ancora una volta l'UE cede alle richieste di Washington senza contropartita: gli Stati Uniti avranno legalmente accesso alle informazioni bancarie degli Europei, quando il trattato di Lisbona entretà in vigore e il Parlamento europeo avrà approvato il nuovo accordo. Inoltre, anche prima della votazione parlamentare, tali disposizioni sono in atto. Jean-Claude Jean-Claude Paye analizza questa nuova concessione.


Negli ultimi anni, l'Unione europea e gli Stati Uniti hanno firmato un pacchetto di accordi sulla consegna dei dati personali: dati PNR dei passeggeri aerei
[1], dati finanziari, nel quadro del caso Swift [2]. Un trasferimento generale è in preparazione. Si tratta di rimettere, in modo permanente alle autorità degli Stati Uniti, una serie di informazioni private, come ad esempio il numero di carte di credito, dettagli di conti bancari, investimenti, connessioni internet, la razza, opinioni politiche, morale, la religione [3].

17 dicembre 2009

AGGRESSIONE A BERLUSCONI: NESSUNO HA PARLATO DELLE GUARDIE

Golpe in Italia: "Vanno di moda"

Da The Indipendent Gran Bretagna. Speciale per Pagina/12

Le critiche dei mass media locali avrebbero dovuto concentrarsi sulla mancanza effettiva della scorta di Berlusconi. Ma no. Si sono orientati all’aggressore, se era un’attivista o faceva parte di un’organizzazione. Da subito è stato chiaro, dopo l’attacco di domenica a Silvio Berlusconi, che il suo aggressore, un disegnatore grafico chiamato Massimo Tartaglia, non era un politico attivista ma un uomo con seri problemi mentali. In un “paese normale”, per usare una frase amata dai giornalisti italiani, questo avrebbe messo fine all’argomento. L’attenzione si sarebbe spostata sul fatto che decine di bodyguard di Berlusconi sono stati incapaci di proteggerlo. Le critiche si sarebbero concentrate su questo dettaglio dell'incompetenza nella sicurezza, la mancanza di efficacia della scorta e avrebbero chiesto che i servizi della sicurezza fossero riorganizzati.

Ma l’Italia continua ad essere l’Italia, quelle questioni di vita o di morte sono state velocemente lasciate da parte. Al loro posto, i giornalisti hanno insistito nel trattare il fatto come un fatto politico- un nefasto augurio per il futuro- Sabato, si era detto, che era il 40° anniversario del massacro di Piazza Fontana a Milano, dove 17 persone erano morte per l’esplosione di una bomba, segnando l’inizio degli “anni di piombo” italiani, quando gli attentati terroristici erano moneta comune. Forse l’Italia è anche oggi in un momento funesto, hanno detto gli opinionisti. Se i politici hanno reagito irresponsabilmente, potrebbero provocare un'ulteriore spirale discendente.

La reazione non ci ha detto nulla su questo attacco in particolare, ma molto sul pesante clima politico in Italia. Quindici anni dopo l'entrata in politica di Berlusconi, domina il discorso politico della nazione in un modo che non ha eguali nel resto del mondo sviluppato. Ha distrutto i comunisti come forza politica e ha lasciato il centro-sinistra impotente, nonostante il fatto che i risultati del suo governo per rilanciare la fortuna d'Italia sono stati infelici. C’è una sensazione di ostilità e di stagnamento nel paese; mai lo si è visto così in basso o così demotivato e nessuno sembra avere un'idea di come sbloccare la situazione.

Berlusconi è arrivato al potere promettendo un secondo miracolo economico.
Le speranze in un simile evento sono evaporate molto tempo fa, ma i suoi favoreggiatori si attaccano ancora a lui come ad un talismano, timorosi che qualsiasi passo verso l’ignoto porterebbe qualcosa di peggio. Nel frattempo, quelli che lo incolpano di non risollevare le sorti del paese spazzano via le loro frustrazioni in una specie di maltrattamento senza senso che consiste nel fischiarlo durante il suo discorso a Milano, prima di essere attaccato. L’Italia ha visto anche un’epidemia minore di film di secondo ordine con trame che si centrano sulle fantasie di assassinare Berlusconi.

I politici italiani di tutti i partiti hanno condannato l’attacco ed hanno augurato al primo ministro un veloce recupero. Privatamente, però, staranno maledicendo il momento di pazzia di Tartaglia. In una lettera diretta a Berlusconi ieri Tartaglia si è scusato esprimendo il suo malessere per avere commesso un “atto superficiale, codardo e irriflessivo”. Tartaglia aveva colpito al primo ministro con una riproduzione del Duomo di Milano causandogli ferite al viso per le quali è stato ricoverato. Il Cavaliere rimarrà nell’ospedale milanese di San Raffaele almeno fino ad oggi, secondo la prognosi del suo medico personale, che considera le ferite del paziente più delicate di quanto non si fossero considerate inizialmente. Berlusconi, che non è arrivato a perdere coscienza, ha sofferto una frattura al naso, due denti rotti e ferite interne ed esterne alle labbra oltre ad aver perso mezzo litro di sangue (ne succhierà dell’altro...NDT), cosa che lo ha debilitato, secondo il medico.


Fonte:
http://www.pagina12.com.ar/diario/elmundo/4-137000-2009-12-15.html

Tradotto e segnalato per Voci Dalla strada da
VANESA

LA VERA GRANDE OPERA...

...IL 70% DEI COMUNI ITALIANI E' A RISCHIO IDROGEOLOGICO

di Italo Romano


La politica sin dai tempi della polis ha il compito di occuparsi della cosa pubblica. In Italia, oggi, i nostri politici vengono meno ai loro imphegni. Invischiati tra maliaffari e corruzioni varie e dediti, spesso, al lucro personale. C’è da dire però che in una Repubblica, è dovere di ogni cittadino interessarsi alle questioni politiche e partecipare attivamente alla res pubblica. Anche i cittadini, per la maggior parte dei casi, sono tendenzialmente menefreghisti e negli anni, hanno preso l’ignobile abitudine di delegare, di scaricare le responsabilità, affidando i loro diritti a gente senza scrupoli.

Sabato 19 Dicembre 2009 verrà posta la prima pietra del Ponte sullo Stretto di Messina che darà il via ai cantieri delle opere di contorno. Ma, qualche giorno fa Legambiente ha pubblicato un rapporto sulla fragilità del suolo italiano dal titolo “
Ecosistema rischio 2009“. I dati che ne emergono sono quanto mai preoccupanti e totalmente contrari alle politiche delle grandi opere, dei vari governi succedutisi, degli ultimo 10-15 anni.

Il territorio italiano è a rischio sbriciolamente nel 70% dei comuni. Ma in Calabria e in Umbria le situazione è ancora peggiore, perchè i comuni a rischio sono il 100%. Tutte le popolazioni dei 409 comuni calabresi e dei 92 comuni umbri vivono in zone di assoluta emergenza idrogeologica. Delle vere e proprie zone rosse, bombe ad orologeria, che ad ogni pioggia potrebbero causare tragedie tipo quella vissuta nel messinese poche settimane fa.

Nello specifico nel 79% dei comuni sono presenti abitazione in aree golenali (ovvero le terre comprese tra la riva di un fiume e il suo argine), in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana. Addirittura nel 28% dei casi sono presenti in tali aree interi quartieri e granzi porzioni di cittadine. Praticamente i 7/10 del territorio sono soggetti a frane, alluvioni, allagamenti, smottamenti e catastrofi naturali già conosciute alla popolazione tutta, che ad ogni scroscio di pioggia vede riempirsi i telegiornali di servizi che decrivono tragedie evitabili.

I dati sono sconcertanti e vanno a cozzare nettamente con la politica delle infrastrutture del governo Berlusconi. Fiore all’occhiello dei nostri politici è il vanto di grandi opere quali la Linea ferroviaria ad alta velocità (TAV), il passante di Mestre, il Mose e dulcis in fundo il Ponte sullo Stretto di Messina. Mentre il punto fondamentali per salvaguardare il territorio, e quindi la popolazione, sarebbe di stilare un piano di prevenzione che mette in sicurezza le aree in questione. Per fare questo occorrono tanti soldini che lo Stato si rifiuta di impiegare in queste “opere minori” mentre sborsa miliardi di euro per costruire un Ponte inutile, in una zona dove terremoti, frane e alluvioni sono spesso coincidenti con tragedie di portata mondiale. Perchè?

Semplicemente perchè le opere faraoniche rimpinguano le tasche di politici, massoni, mafiosi e lobby internazionali. Mentre i piccoli e mirati interventi di cui il territorio italiano ha bisogno farebbero il bene di tutti. Ma come abbiamo potuto intendere, questi non sono tempi per tutti, siamo in piena lotta, qui, vige la legge della giungla, i forti sopravvivono i deboli soccombono. Tanto poi gli stessi che negano la ristrutturazione del territorio, poi, a catastrofe avvenuta, si fiondano sul luogo della tragedia, grondanti di lacrime e dolore, un bel singhiozzo per le telecamere, una bella sfuriata ai microfoni e la faccia è salva.

Prevenire significa coinvolgere e coordinare cittadini, istituzioni, governo, parlamento. Ma qui la politica pretende una società divisa in eterna lotta per le futilità più assurde. Organizzare una lotta alla prevenzione significherebbe cambiare totalmente mentalità, invertire la rotta e, di certo, non è quello che i nostri potenti vogliono. Perchè rovinarsi la festa.

In più si fomenta l’abusivismo di condono in condono. Anzichè punire chi costruisce senza nessun criterio e senza rispetto verso la natura e la collettività, lo si premia, alla faccia di tutti i coglioni che rispettano leggi, anche e sopratutto quelle non scritte. In questo scenario apocalittico ci si aspetta che la gente si dia una mossa, ma i telegiornali di regime non parlano del rapporto di Legambiente. Lo scenario mediatico è occupato dai vari Corona, dai vari Stasi e Amanda Knox, da chi uscirà questa settimana dalla casa del Grande Fratello, dalle ricette della Parodi jr e dai deliri adrenalinici e sconclusionati dei nostri uomini politici. Che l’Italia sta letteralmente sprofondando sotto l’inettitudine di tutti non frega niente a nessuno. La festa continua, the show must go on!

La vera grande opere di interesse collettivo è la messa in sicurezza dell’Italia, tutto il resto buonisticamente è secondario, realisticamente sono baggianate.


Fonte:
http://www.oltrelacoltre.com/

16 dicembre 2009

LA TRAPPOLA: AFGHANISTAN 1979-2009

L'obiettivo è che gli Stati Uniti possano contare su una base militare da cui attaccare la Russia e la Cina

di Tiberio Graziani


Il presidente Obama ha appena scelto la scalata militare in Afghanistan, dove la NATO affronta l’insurrezione dei pashtunes, che la propaganda sta associando con l’oscurantismo religioso. Scommettendo per la scalata militare, Washington si mette in un nuovo
pantano. L’analista italiano, Tiberio Graziani osserva in questo articolo la trappola afgana, montata dagli Stati Uniti nel 1979 contro i sovietici, si chiude oggi sulle truppe del Pentagono.

Ribelli afgani sui resti di un elicottero sovietico. A quell’epoca, i muyahidenes erano considerati, da Washington, come “combattenti per la libertà”, oggi, distruggono gli elicotteri della NATO e sono qualificati come “terroristi talebani”.

1979, l’anno della destabilizzazione.


Tra i diversi avvenimenti della politica internazionale del 1979, ce ne sono due particolarmente importanti per aver contribuito all’alterazione del quadro geopolitico globale, basato allora sulla contrapposizione tra gli USA e l' URSS. Ci riferiamo alla rivoluzione islamica dell’Iran e l’avventura sovietica in Afghanistan.


La presa del potere da parte dell’ayatollah
Khomeini, come si sa, ha eliminato uno dei pilastri fondamentali sul quale si sostentava l’architettura geopolitica occidentale guidata dagli USA.

L’Iran di Reza Pahlavi costituiva nelle relazioni di forza tra gli USA e l' URSS un pezzo importante, la cui sparizione indusse il Pentagono e Washington ad una profonda riconsiderazione del ruolo geostrategico americano. Un Iran autonomo e fuori dal controllo introduceva nella scacchiera geopolitica regionale una variabile che potenzialmente metteva in crisi tutto il sistema bipolare.


Inoltre, il nuovo Iran, come potenza regionale antistatunitense e antisraeliana, possedeva le caratteristiche (in modo particolare, l’estensione e la centralità geopolitica e l' omogeneità polita- religiosa) per competere per l’egemonia di almeno una parte dell’aerea meridionale, in aperto contrasto con gli interessi simili di Ankara e Tel Aviv, i due fedeli alleati di Washington e di Islamabad.


Per queste considerazioni
, gli strateghi di Washington, coerenti alla loro bicentenaria “geopolitica del caos”, in poco tempo hanno indotto, l’Iraq di Saddam Hussein a scatenare una guerra contro l’Iran. Lo squilibrio di tutta la zona permetteva a Washington e all’Occidente di guadagnare tempo per progettare una strategia di lunga durata e, tranquillamente, consumare l’orso sovietico.

Come ha evidenziato
dodici anni fa Zbigniew Brzezinski [1] consigliere della sicurezza nazionale del presidente Jimmy Carter, durante un’intervista concessa al settimanale francese Le Nouvel Observateur (15-21 gennaio 1998, pag 76), la CIA era entrata in Afghanistan con lo scopo di destabilizzare il governo di Kabul, già a luglio del 1979, cinque mesi prima dell’intervento sovietico.

La prima direttiva con la quale Carter autorizzava l’azione segreta per aiutare segretamente gli oppositori del governo filosovietico risale, infatti, al 3 luglio. Quello stesso giorno lo stratega statunitense di origine polacca, scrisse una nota al presidente Carter nella quale spiegava che la sua azione avrebbe portato Mosca ad intervenire militarmente. Ciò che puntualmente avvenne alla fine di dicembre di quello stesso anno. Sempre Brzezinski, durante la stessa intervista, ricorda che, quando i sovietici entrarono in Afghanistan, scrisse a Carter un’altra nota nella quale espresse la sua opinione sul fatto che gli USA finalmente avevano l’opportunità di dare all’Unione Sovietica la loro guerra del Vietnam. Il conflitto, insostenibile per Mosca, avrebbe condotto, secondo Brzezinski, al collasso dell’impero sovietico.


Il lungo impegno militare
sovietico a favore del governo comunista di Kabul, di fatto, ha contribuito ulteriormente a debilitare l' URSS, già in avanzato stato di crisi interna, sia nella parte politica-burocratica che in quella socio- economica.

Come sappiamo oggi, il ritiro dell’esercito da parte di Mosca dal teatro afgano lasciò tutta la zona in una situazione di estrema fragilità politica, economica e, soprattutto, geostrategica. In pratica, neanche dieci anni dopo la rivoluzione di Teheran,
tutta la regione era stata completamente destabilizzata a beneficio esclusivo del sistema occidentale. Il contemporaneo inarrestabile declino dell' Unione Sovietica, accelerato dall’avventura afgana e, successivamente, lo smembramento della Federazione Iugoslava (una specie di Stato tappo tra i blocchi occidentali e sovietici) degli anni '90 aprivano le porte all’espansione USA, l' hyperpuissance, come definito dal ministro francese Hubert Védrine, nello spazio eurasiatico.
Dopo il sistema bipolare, si apriva una nuova fase geopolitica: quella del “momento unipolare”.

Il nuovo sistema unipolare, però, avrebbe avuto vita breve, e sarebbe finito –all’alba del XXI secolo- con la riaffermazione della Russia come attore globale e con il sorgere contemporaneo delle potenze asiatiche, Cina ed India.


I cicli geopolitici dell’Afghanistan


L’Afghanistan per le sue proprie caratteristiche,
relative principalmente alla sua posizione nello spazio sovietico (confini con le repubbliche, in quell’epoca sovietiche, del Turkmenistan, Uzbekistan e Tayikistan), alle caratteristiche fisiche, e, inoltre, alla mancanza di omogeneità etnica, culturale e confessionale, rappresentava, agli occhi di Washington, una porzione fondamentale del chiamato “arco di crisi”, cioè, la striscia di territorio che si estende dai confini meridionali dell' URSS fino all’Oceano Indiano. L’elezione come trappola per l' URSS cadde sull’Afghanistan, quindi, per evidenti motivi geopolitici e geostrategici.

Dal punto di vista dell’analisi geopolitica, infatti, l’Afghanistan costituisce un chiaro esempio di un’aerea critica, dove le tensioni tra le grandi potenze si scaricano da tempi memorabili.


L’area nella quale si trova attualmente la Repubblica Islamica dell’Afghanistan, dove il potere politico sempre si è strutturato sulla dominazione delle tribù pashtunes sulle altre etnie (tayikos, hazaras, uzbecos, turcomani, baluchi) si forma precisamente nella frontiera dei tre grandi dispositivi geopolitici: l’impero mongolo, il
Khanato uzbeko e l'impero persiano. Le dispute tra le tre identità geopolitiche limitrofe determineranno la loro storia futura.

Nel XVIII e XIX secolo, quando l’apparato statale si sarebbe consolidato come regno afgano, l’area sarebbe stata oggetto delle contese tra le due grandi entità geopoliche: l’Impero Russo e la Gran Bretagna. Nell’ambito del così detto “Grande Gioco”, la Russia, potenza di terra, nel suo impeto verso i mari caldi (Oceano Indiano), l’India e la Cina, si scontrano con una potenza marittima britannica che, a sua volta, cerca di chiudere e di penetrare la massa eurasiatica in Oriente verso la Birmania, la Cina, il Tibet e la conca del Yangtse, girando sull’India, ed in Occidente in direzione degli attuali Pakistan, Afghanistan e Iran, verso il Caucaso, il Mar Nero, la Mesopotamia e il Golfo Persico.


Nel sistema bipolare della fine del ventesimo secolo, come sopra descritto, l'Afghanistan sarà un campo in cui vengono misurate di nuovo una potenza del mare, gli Stati Uniti, e da terra, l'URSS
.


Oggi, dopo l’invasione statunitense del 2001, che presuntuosamente Brzezinski definiva come la trappola afgana per i sovietici è diventata la palude e l’incubo degli Stati Uniti.


[1]
«La monstruosa estrategia para destruir Rusia», di Arthur Lepic, Red Voltaire, 12.12.2004.

Fonte:
http://www.voltairenet.org/article163239.html

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
Vanesa

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15 dicembre 2009

BANCHE SPAGNOLE, MEZZI DI COMUNICAZIONE E CAMORRA ITALIANA


di Pascual Serrano

Fino allo scorso mese di ottobre solevo pubblicare una colonna quindicinale in un giornale del gruppo Vocento. Non avevo ricevuto nessuna obiezione sui miei scritti fino a quando ho inviato uno da pubblicare per martedì 27 ottobre. In questo, sotto il titolo “
Il banchiere ed il presidente”, contrastavo il patrimonio del presidente del governo spagnolo, reso pubblico recentemente e calcolato in 209.206 euro e il pensionamento del consigliere delegato del BBVA, Josè Ignacio Gorrigolzarri, di 55 anni, che ammonta a 3 milioni di euro annuali. Arrivata la data prevista per la pubblicazione sul giornale la mia colonna non è apparsa, senza alcuna spiegazione. Dopo aver cercato di sapere i motivi, qualcuno del giornale, in uno slancio di sincerità che ringrazio, mi chiarì che il motivo era la presenza nell’articolo della critica a quella astronomica pensione. “Cosa vuoi che ti dica che tu non sappia”, aggiunse l’interlocutore. Mi indicò che tre giorni più tardi mi avrebbe informato sulla decisione presa dall’alto sul mio articolo. Non si sono mai più rivolti a me e il mio articolo non è stato pubblicato. Non ho più avuto rapporti con loro.

Per chi non lo sapesse, è opportuno chiarire la stretta relazione del gruppo Vocento con la BBVA, in concreto attraverso la famiglia Ybarra. Come è saputo, Emilio Ybarra è stato il presidente del BBVA. Suo figlio, Emilio Ybarra Aznar,
è stato nominato a gennaio del 2007 presidente del CMVOCENTO, la società responsabile per la gestione della pubblicità in tutto il gruppo dei media. Prima fu direttore generale multimedia del giornale La Rioja e del El Correo, e successivamente direttore generale di Sviluppo di ABC. Tutti giornali del gruppo Vocento.

Il fratello dell’ex presidente del BBVA,
Enrique Ybarra, è vicepresidente di Vocento e presidente della fondazione Vocento, possiede oltre il 6.536 delle azioni del gruppo di comunicazione. Nel consiglio direttivo del gruppo si trova anche Ignacio Ybarra, proprietario di 11.628 azioni attraverso la sua azienda Mezouna S.L. E’ anche consigliere del BBVA e, dal 2008, responsabile dell’ Unità dei Servizi Transnazionali Globali della BBVA, avendo occupato dal 1998 altri ruoli come quelli di Direttore dell’Unità di Istituzioni Finanziarie, Direttore di Affari della Banca Maggioritaria America e Direttore dell’Unità di Clienti Globali di BBVA.

La saga non finisce qui. C'è anche il fratello
Santiago Ybarra y Churruca, presidente del Consiglio di Vocento dal 2001 fino al 2008 e oggi consigliere. E Alavaro Ybarra e Zubiria, consigliere del gruppo e proprietario di un 0,458% delle azioni.

Fino ad oggi avevo criticato, nelle mie colonne, il governo spagnolo, il Partito Popolare, la monarchia, il governo degli USA, i politici locali di differente colore….senza che trovassi nessuna obiezione da parte del giornale. Ma è evidente che pretendere di criticare la BBVA nelle pagine di un giornale del gruppo Vocento è una pretesa impossibile.
La questione della libertà d’espressione finisce quando appare il denaro e i nomi propri.

Nel suo libro Gomorra, lo scrittore italiano Roberto Saviano, racconta con ogni dettaglio come funziona la camorra napoletana. Si sono scritti molti libri sul crimine organizzato in Italia,
per non parlare del cinema, ma non erano molto esaustivi nel dare nomi con precisione, cosa che Saviano fa nella sua opera. Il 23 settembre 2006 l’autore partecipò ad una cerimonia pubblica a Casal di Principe, nella regione Campania, controllate dalla Camorra. Tra il pubblico c’erano numerosi giovani e studenti della zona, dei quali è facile immaginare il proprio destino. In quel momento disse: “Iovine, Zagaria, Schiavone (nomi dei capi dell’organizzazione criminale) non valete nulla, che se ne vadano, questa terra ci appartiene. E dico ai ragazzi: pronunciate i loro nomi, vedete, si può fare. Pronunciare il nome di un boss non ti mette in pericolo, è una sciocchezza. Ma è la paura di non dire il suo nome che vi porta ad usare espressioni come 'quello' o 'Lui' o 'hai visto chi è passato' senza pronunciare il nome mai. Si tratta di una specie di codice nel quale cresci, secondo il quale è molto meglio non pronunciare alcuni nomi”. Saviano li enumera di fronte a quel pubblico e immediatamente capta la tensione che si è creata nella sala. Da allora deve vivere sotto scorta in un luogo segreto. Si è sbagliato quando ha affermato che non è pericoloso dire quei nomi. Per averlo fatto sono morti giudici, pentiti, poliziotti e giornalisti in Italia.

Sembra che
c’è molto in comune tra la Mafia, la Camorra, le banche e i mass media. Tutto funziona senza problemi finchè non vengono fuori i nomi, fino a che i criminali non sono segnalati. Allora finisce la sicurezza per Saviano e la libertà d' espressione per chi vuole scrivere nei mass media controllati dalla banca.

In Gomorra, Roberto Saviano racconta che le organizzazioni criminali napoletane finiscono per controllare i commercianti attraverso prestiti che garantiscono contanti. I commercianti li preferiscono perché il tasso d’interesse è minore di quello che si paga alle banche. Quando si indebitano aumenta la percentuale che devono dare all’organizzazione mafiosa, ma ,” i clan non sono come le banche, che si pagano il debito prendendosi tutto; loro sfruttano i beni lasciando che ci lavorino persone con esperienza che hanno perso le loro proprietà”. Alla fine
la banca può arrivare a far diventare buoni i mafiosi.

Fonte:
http://www.pascualserrano.net/noticias/bancos-espanoles-medios-de-comunicacion-y-camorra-italiana

Tradoto e segnalato per Voci Dalla Strada da
Vanesa

DALLA CRISI ECONOMICA ALL'ESPLOSIONE SOCIALE


di Leonardo Mazzei
Campo Antimperialista


Una settimana fa il vento della rivolta ha ripreso a soffiare su Atene. L’occasione è stato il primo anniversario dell’uccisione di Alexandros Grigoropoulos da parte della polizia, ma sbaglieremmo a non cogliere nella rabbia dei giovani greci il segno di una crisi che si cercherà di scaricare sempre più sulle classi popolari.


«Inflazione, disoccupati, debito. Grecia a rischio infarto sociale», è stato il titolo allarmato del Corriere delle Sera che ha proposto un’analisi di Antonio Ferrari che riconosce come causa della protesta «la rabbia per una crisi economica quasi segreta, nel senso che la classe politica aveva cercato di nasconderla, cullandosi su cifre e proiezioni non corrette. Ora che la crisi morde dolorosamente la vita quotidiana dei greci, con una tempesta di licenziamenti, con l’impennata dei prezzi e l’incubo di misure draconiane, si è creato un drammatico corto circuito, quasi un infarto sociale».


Se questa è la situazione, quali saranno gli sviluppi? E, più in generale, di cosa ci parlano gli avvenimenti greci?


La mina del debito pubblico

Già da tempo abbiamo rilevato (vedi L’interessato partito degli “ottimisti”) come la questione del debito pubblico tendesse a diventare esplosiva, come conseguenza dello scaricamento di una quota gigantesca del debito privato nei bilanci pubblici europei ed americani.


Un tema che governi, media ed oligarchie finanziarie hanno teso ad omettere, salvo richiamarlo di tanto in tanto per enunciare la necessità di una exit strategy da avviare però in tempi (economicamente) migliori.


In Grecia il governo di destra presieduto da Kostas Karamanlis – in carica fino alla sconfitta nelle elezioni dello scorso ottobre – ha fatto anche di più, imbrogliando grossolanamente sui dati del deficit statale. Karamanlis dichiarava (e comunicava ufficialmente a Bruxelles) un rapporto deficit/Pil del 3,9%, mentre la realtà era di un rapporto del 12,9%.


Difficile che i custodi della stabilità monetaria europea non si fossero accorti di un falso simile, più probabile che abbiano taciuto per motivi politici e per non creare allarme nel momento in cui si vorrebbe far passare il messaggio dell’uscita dal tunnel della crisi.


Sta di fatto che ora l’allarme è scoppiato, facendo salire pesantemente gli interessi sui bond greci, causando il declassamento del rating del Paese, provocando il crollo della Borsa, diffondendo la preoccupazione su un possibile default modello Argentina 2001.


Quest’ultima ipotesi viene ovviamente smentita dal nuovo governo presieduto da George Papandreou del Pasok, ma lo stesso primo ministro – vedi La Stampa del 10 dicembre – è stato costretto ad usare toni ben poco rassicuranti: «La Grecia si trova nel reparto di cure intensive» e la crisi ne minaccia «la sovranità per la prima volta dal 1974» (anno della fine del regime dei “colonnelli” – ndr).


Il perché di questo riferimento alla sovranità è chiaro. Papandreou si appresta a varare un pesantissimo piano di risanamento, da presentare all’Unione Europea entro gennaio.


La Banca centrale europea (Bce) ha già fatto sentire la sua voce per bocca del presidente Trichet che ha espresso «fiducia che il governo greco prenderà nel futuro prossimo le misure coraggiose e necessarie che si impongono». Se l’Europa parla chiaro, ancora più dura è la Germania che ha una pesantissima esposizione finanziaria verso la Grecia (giova ricordare che sui 300 miliardi di euro dei titoli di stato greci, ben 200 sono in mano straniera). Il capo della Bundesbank, Weber, ha tuonato senza mezzi termini che la Grecia ha un anno per riportare sotto controllo i conti pubblici.


Ma l’ipotesi più grave, che pare circoli in ambienti dell’UE, sarebbe quella di mettere in mano la partita al Fondo monetario internazionale (Fmi), che notoriamente fornisce prestiti solo a fronte di tagli draconiani della spesa pubblica.


Il governo Papandreou respinge questa possibilità, ma è costretto ad invocare il rischio di perdere la sovranità nazionale proprio per far passare misure altrettanto impopolari benché decise ad Atene anziché a Washington.


La partita geopolitica...


In mezzo a questo bailamme di cifre, minacce, impegni ed incertezze si gioca anche un’altra partita.

A rilevarlo su La Repubblica del 10 dicembre è il direttore di Limes, Lucio Caracciolo.


Secondo Caracciolo la Grecia sarebbe una sorta di cartina di tornasole dei nuovi equilibri mondiali. Una prova per quello che viene chiamato G2 (il rapporto speciale Usa-Cina) ed in particolare per le ambizioni cinesi. Una prova per l’Unione Europea, che l’autore considera però sostanzialmente fuori dai giochi.


Di cosa si tratta in concreto? Pare che in questi giorni la linea telefonica Atene-Pechino sia caldissima, soprattutto quella tra gli uffici del governo

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greco e quelli di Bank of China. In ballo ci sarebbe la disponibilità cinese ad acquistare 25 miliardi di bond, sui 47 che Atene dovrà emettere nel corso del 2010. Per capire la portata di queste cifre basti dire che, in rapporto alla dimensione economica del paese, sarebbe come se l’Italia dovesse emettere titoli per circa 350 miliardi di euro!

La Cina dunque si offre, al posto di un’esangue Europa, per il salvataggio della Grecia. Ma questo, ovviamente, ha un prezzo. Secondo la ricostruzione di Caracciolo i cinesi punterebbero al controllo del porto del Pireo, oltre ad alcuni “bocconi buoni” nel settore industriale.


La cinese Cosco Pacific Ltd. gestisce già due moli del Pireo, ma un controllo più forte farebbe del porto greco il principale snodo d’accesso delle merci cinesi verso l’Europa. Per evidenti ragioni geografiche il Pireo risulterebbe infatti assai meno costoso rispetto a Le Havre, Amburgo e Rotterdam.


Il direttore di Limes ritiene anche che l’operazione cinese possa avvenire con la partecipazione di due banche americane, Goldman Sachs e JP Morgan. Come dire, tutto è possibile ma è escluso che sia l’Europa a giocare il ruolo principale.


...e quella sociale


Se la partita geopolitica è tuttora incerta, più sicuro è il massacro sociale che si sta preparando. Nel mirino, tra le altre cose, pare ci sia in particolare il sistema pensionistico.


La cosiddetta “generazione 700 euro”, cuore delle proteste dell’ultimo anno, verrà colpita ancora più pesantemente. Come reagirà? Come risponderanno i giovani che vedono ormai con chiarezza un futuro sempre più incerto?


Le oligarchie europee non lo dicono, ma la preoccupazione per una possibile esplosione sociale non è certo minore a quella di nuovi crac finanziari a catena. Da questo punto di vista la Grecia sarà probabilmente un laboratorio che aiuterà a comprendere cosa potrà avvenire altrove. Un piccolo laboratorio, certo, ma sicuramente indicativo dei sommovimenti sociali che stanno maturando nel continente.


A chi parla la Grecia?


L’importanza delle vicende di questi giorni va dunque ben oltre i confini della penisola ellenica. La Grecia parla all’Europa, specialmente ai paesi che più gli somigliano per situazione economica, contesto sociale e tradizioni politiche.


Sul versante del debito pubblico due paesi in particolare sono sotto la lente d’ingrandimento: la Spagna, il cui rating è in via di declassamento; e l’Irlanda, dove il governo ha deciso nei giorni scorsi tagli per 4 miliardi di euro alla spesa pubblica (l’equivalente di 60 miliardi, rapportati all’Italia), colpendo il welfare e riducendo i salari dei dipendenti statali.


Secondo la classificazione proposta dall’ultimo bollettino della Bce, tra i sedici paesi dell’eurozona ben otto sono da considerarsi a rischio elevato: Spagna, Grecia, Irlanda, Cipro, Malta, Olanda, Slovenia e Slovacchia. Altri sette sono invece classificati a rischio medio: Italia, Germania, Belgio, Francia, Lussemburgo, Austria e Portogallo. L’unico paese giudicato a rischio basso è la Finlandia.


Difficile valutare l’attendibilità di questa classifica, che ci dice comunque quanto sia delicata la situazione delle finanze europee.


In quanto alla situazione dei conti pubblici italiani, basta limitarsi ad un semplice raffronto con quelli greci per capire cosa ci aspetta. Se il rapporto debito/Pil di Atene è attorno al 125%, quello del nostro paese è ormai al 116%, mentre in termini assoluti il debito pubblico è circa 6 volte superiore a quello greco.


Non passerà molto tempo prima che si ricominci a parlare di austerità e sacrifici.


Sacrifici che verranno chiesti esclusivamente alle classi popolari, così come avvenne con le finanziarie per Maastricht degli anni ’90. Ma a differenza di allora c’è rimasta ben poca spesa sociale da spremere e quasi niente da privatizzare. La conseguenza sarà inevitabilmente un massacro sociale di proporzioni ben più pesanti.


E’ anche per questo che le oligarchie dominanti vanno preparando un nuovo governo che possa gestire una politica economica d’emergenza.


Questa volta, però, non si illudano troppo sulla pace sociale. Stanno tirando la corda da troppo tempo, e ad un certo punto potrebbe spezzarsi. Ce lo dicono tanti segnali. Del resto, se la credibilità della coalizione berlusconiana tende sempre più verso il basso, quella della classe politica che verrà chiamata a sostituirla non gode certo di maggior consenso.


Dopo tanti anni di letargia è probabile che il conflitto sociale riemerga in Italia ed in Europa. Anche di questo ci parla la Grecia. Anche per questo lorsignori non sono troppo tranquilli.

Fonte: http://www.reportonline.it/
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