9 marzo 2017

Una solidarietà dovuta...

«Qualunque impressione faccia su di noi, egli è un servo della legge, quindi appartiene alla legge e sfugge al giudizio umano»                        Franz Kafka

fotointro.gif (4022 byte)Checchè se ne dica per ragioni anche anagrafiche e per l'invitabile flusso di un tempo che tutto cancella e rimuove, sono ormai pochi i giornalisti, gli studiosi, i ricercatori e gli storici che si occupano di analizzare e di interpretare la stagione più travagliata e tragica della nostra Repubblica costellata da stragi mirate e indiscriminate, dal linguaggio della violenza e del piombo, dai tentativi più o meno seri di golpe e da veri e presunti "misteri". Pochi sono gli addetti ai lavori realmente competenti e preparati che, ognuno sulla base della propria specializzazione e professionalità, ancora oggi si arrovellano cuore e cervello per conferire un senso a una storia che troppo spesso è stata convenientemente effigiata con le stimmate del caos e della casualità.

Non si può che convenire sul fatto che, nel novero di costoro, non si può escludere anche una bravissima scrittrice e giornalista investigativa come Stefania Limiti, una professionista seria e preparata, abituata non a imporre superficialmente strampalate o convenienti teorie "complottiste" ma a raccogliere e a vagliare attentamente gli elementi documentali e testimoniali a sua disposizione per poi interpretarli in maniera unitaria e coesa. Dopotutto un esercizio difficile e scomodo che comporta anche il rischio di incorrere in errori o inconsapevoli omissioni, rischio tanto più probabile quando ci si confronta con una realtà comunque magmatica e delicata come i cosiddetti "misteri" che hanno marchiato la storia della nostra fragile e travagliata Repubblica.
All'attivo della Limiti non si possono non citare "L'Anello della Repubblica" e "Complici" – quest'ultimo scritto assieme al collega Sandro Provvisionato – pubblicati entrambi da Chiarelettere. Mentre il primo affrontava le ancora oscure vicende di un misterioso servizio "supersegreto" clandestino creato nel primo Dopoguerra per combattere con mezzi "non ortodossi" il comunismo nel nostro paese, il secondo era dedicato al più grave e oscuro "mistero della Repubblica" – l'affaire Moro – con il prevalente intento di smontare e confutare la versione ufficiale offerta dal cosiddetto memoriale "Cavedon/Morucci", probabile frutto di un patto o di un accordo inconfessabile fra autorevoli rappresentanti delle istituzioni – in quota DC – e brigatisti al fine di occultare la verità sul sequestro e sull'assassinio del Presidente della Democrazia Cristiana. Attualmente, infatti, la giornalista era impegnata a seguire i lavori dell'odierna Commissione Parlamentare d'inchiesta sul caso Moro che, se non è approdato ancora ad alcun risultato veramente tangibile, ha avuto quantomeno il merito di rimettere in discussione tutto un impianto ufficiale ed ufficioso che è stato imposto ad un'opinione pubblica evidentemente ignara rispetto ai giochi di potere condotti sulla sua testa. Accanto a Sergio Flamigni, Carlo D'Adamo, Paolo Cucchiarelli, al professor Giuseppe De Lutiis e pochi altri, Stefania Limiti ha fornito il suo contributo a mettere in discussione quella vociante e arrogante "vulgata" che per anni ha sostenuto senza ritegno nè ripensamento che sul caso Moro tutto era stato detto e scritto, ossia che altro non si trattava se non un atto di efficacie ed efficiente guerriglia urbana messo a segno da una letale e spietata organizzazione terroristica di estrema sinistra. 

Nel 2013 è ancora la nota casa editrice Chiarelettere a pubblicare quello che probabilmente rimane il pamphlet e saggio più importante e significativo dell'autrice, il discusso e curioso "Doppio livello". Perchè quest'ultima opera è così fondamentale e non soltanto per la carriera della Limiti ? Perchè, forse per la prima volta, un saggio destinato a un pubblico esteso e informato introduceva certi argomenti di rottura rispetto al panorama spesso asfittico e provinciale impegnato nella trattazione dei cosiddetti "misteri d'Italia": la descrizione delle "false flag operations" o delle "covert operations" introduceva la tematica – tabù della "guerra non convenzionale" e della "guerra psicologica". A partire dalla Seconda Guerra Mondiale la nozione di guerra si amplia quasi a dismisura: non esiste solo la guerra "tradizionale" degli eserciti che si contendono la conquista di un territorio ben delimitato, ma, anzi, il vero autentico conflitto è quello "non convenzionale", "non ortodosso" e "aterritoriale" che si combatte innanzitutto per la conquista dei cuori e delle menti delle popolazioni. 

Ciò comporta la "militarizzazione" della società civile ove ogni settore – dalla politica all'economia e alla finanza, dalla tecnologia e dalla scienza alla cultura e al mondo dei media – viene investito da una sorta di conflitto sotterraneo nel quale viene impiegato ogni genere di risorse. Negli anni Cinquanta e Sessanta si comincia a parlare di "guerra psicologica", di guerra politica", di "guerra di propaganda" nel clima di tensione alimentato dalla Guerra Fredda e per i nuovi generi di conflitti "non convenzionali" vengono allestite reti e strutture "info – operative", organizzate secondo moduli operativi propri sia dei servizi segreti che degli organismi militari specializzati nelle azioni di elites e di commando. Nel nuovo tipo di conflitto tutto è lecito, perfino ricorrere ad attività illegali e criminose o ad operazioni di manipolazione e condizionamento... Fino al terrorismo selettivo ed indiscriminato a seconda dei casi...

Il saggio della Limiti portò queste concezioni alle estreme conseguenze fornendo una chiave interpretativa unica e unitaria per i più gravi atti di terrorismo politico, di golpismo e di eversione che hanno attraversato la storia repubblicana. In ogni circostanza viene applicato e ripetuto lo stesso schema fondato su un "doppio livello": dietro a un'unità visibile e probabilmente pure inconsapevole agisce sempre una cellula più letale e specializzata, in grado di garantire il pieno successo dell'operazione da un punto di vista "militare". Secondo l'autrice questa tecnica o tattica da "guerra non ortodossa" sarebbe stata applicata per la prima volta a Portella della Ginestra, in Sicilia, ove, "alle spalle" degli uomini della banda Giuliano ex militi del Reparto repubblichino della X MAS si garantirono la copertura e mitragliarono la folla di manifestanti lasciando a terra una dozzina di cadaveri. In effetti sul posto vennero rinvenuti frammenti di granata che provenivano dalla dotazione del corpo speciale della Marina comandato dal "principe nero" Junio Valerio Borghese. Questo almeno risulta dalla lettura dei documenti consultati presso i National Archives americani. 

Orbene la tesi de "Doppio livello" consiste nel fatto che questo tipo di operazione terroristica di alta scuola è stato ripetutamente applicato in occasione dei più gravi e sconvolgenti episodi di stragismo e violenza "politica" e "pseudopolitica". A ben vedere la Limiti riprende e sviluppa il discorso del monumentale e documentatissimo "Il segreto di piazza Fontana" del giornalista dell'ANSA Paolo Cucchiarelli – tra l'altro autore di un recente saggio che mette in discussione la versione ufficiale sull'assassinio dell'Onorevole Moro – pubblicato in due edizioni da Ponte alle Grazie. La tesi presentata dall'ottimo Cucchiarelli è stata perlopiù contestata e perfino derisa per il suo coraggio e la sua temerarietà: nella Banca dell'Agricoltura sarebbero stati collocati due ordigni differenti. La prima bomba – dimostrativa e "innocua" – sarebbe stata collocata dagli anarchici e sarebbe dovuta scoppiare dopo la chiusura dell'istituto di credito mentre la seconda – quella letale che ha provocato la strage – sarebbe stata confezionata e piazzata dai neonazisti di Ordine Nuovo con l'intenzione deliberata di provocare indiscriminatamente vittime innocenti. 

In questa sede ripercorrere solo i capitoli salienti della fatica di Cucchiarelli sarebbe un esercizio laborioso e inutile e tuttavia conviene ricordare come la tesi del "doppio livello" o del "doppio ordigno" non abbia goduto di molti estimatori mentre le critiche sono piovute innanzitutto a "sinistra". Al di là della consistenza e della solidità della tesi di Cucchiarelli – e della Limiti – non si può negare che il giornalista abbia spinto in profondità il dito in un'annosa piaga: come mai l'anarchico Valpreda, immediatamente accusato di essere il "mostro" assetato di sangue responsabile dei morti innocenti di Piazza Fontana, militava in un curioso gruppo estremista "anarco – sessantottino" – il famigerato 22 Marzo – che poteva contare su un buon numero di militanti neofascisti e di informatori della polizia e dei servizi segreti ? 

Valga per tutti il famoso Mario Merlino, neofascista amico e camerata del capo di Avanguardia Nazionale Stefano Delle Chiaie, del quale è nota la partecipazione a un ormai famoso convegno sulla "guerra non ortodossa" promosso all'Hotel Parco dei Principi dai vertici dei servizi militari (SIFAR) e dello Stato Maggiore della Difesa e dell'Esercito nel lontano maggio del 1965. Ciò che Cucchiarelli finiva per mettere in discussione era la "purezza rivoluzionaria" di certe frange dell'estrema sinistra extraparlamentare venate ora di anarchismo ora di maoismo, sottolineando quel fenomeno di permeabilità e osmosi fra vari estremismi – "bianchi", "neri" e "rossi" – che non poteva non aprire autentiche praterie alle infiltrazioni a scopo di provocazione. In qualche modo "Doppio livello" di Stefania Limiti proseguiva quel discorso per estenderlo all'intera storia repubblicana con esiti che solo il lettore può giudicare se convincenti o meno anche se va riconosciuta un'indubbia professionalità e capacità di interpretare ed analizzare fatti e fenomeni complessi uniti a uno sforzo teso a dare ordine a una congerie di episodi apparentemente distinti e lontani. 

La vera chicca e l'autentico "scoop" del volume viene presentato nel capitolo "False bandiere a Capaci" ove la giornalista espone con termini ed accenti inediti una tesi gà formulata in altre autorevoli sedi. La stagione delle bombe del "terrorismo mafioso" alla base di una nuova "strategia della tensione" – nel biennio 1992 – 1993 – non sarebbe da ricodurre esclusivamente a Cosa Nostra e ai boss corleonesi quanto, piuttosto, alla sinergia di diversi soggetti e alla convergenza di una pluralità di interessi. Dietro e accanto ai "picciotti" siciliani si sarebbero mosse altre entità che hanno agito in modo da lasciare poche tracce sul loro operato. Si deve doverosamente precisare e ribadire ancora una volta che questo lavoro di investigazione e di ricera non deve essere confuso con il "complottismo" tout court, che prende a prestito in maniera raffazzonata tutte le informazioni e i dati – anche inverificabili – che possono corroborare una tesi preconfezionata. 

La Limiti intervista, raccoglie informazioni, verifica proprio come farebbe un'ottima e coscienziosa giornalista investigativa convincendosi che la verità sulla stagione delle bombe mafiose e della "strategia della tensione" del biennio 1992 – 1993 non è stata detta proprio tutta tanto è vero che om qiesti ultimi anni sono stati avviati nuovi procedimenti giudiziari proprio sulle vicende siciliane più misteriose e scabrose di quegli anni – si vedano, oltre al Capaci bis, il Borsellino quinques e il processo sulla cosiddetta "trattativa Stato – Mafia". Innanzitutto non la convince quella vulgata e quella ricca pubblicistica che ha quasi imposto la comoda e semplicistica versione secondo cui il giudice Giovanni Falcone – vero e proprio simbolo della lotta alla mafia di caratura internazionale -, sua moglie e la scorta sono stati orribilmente trucidati dai boss corleonesi Riina e Provenzano e dai loro associati come atto di ritorsione in seguito alla sentenza sfavorevole della Corte di Cassazione sul maxiprocesso con il conseguente accogliemento del "teorema Buscetta" e il riconoscimento della mafia come unica realtà organizzativa e associativa – Cosa Nostra -. 

Qualcosa stona con questa comoda ricostruzione se perfino Falcone – nel corso di una celebre intervista concessa al giornalista Saverio Lodato e pubblicata su "L'Unità" del 10 luglio 1989 a seguito del fallito attentato dinamitardo dell'Addauro, sorta di prova generale di Capaci – si disse convinto che "quel tentativo era frutto di menti raffinatissime" intendendo con ciò mettere in chiaro che se la mafia poteva aver partecipato a livello di esecuzione, i mandanti – da ricercare fra gente più scaltra, sottile e meno rozza – appartenevano ad un altro livello. In effetti se Falcone – assieme all'amico e collega Borsellino – si è imposto all'immaginario collettivo di una nazione – e non solo – come eroe e martire della lotta alla mafia, in maniera convincente la Limiti ricorda al lettore come, nel corso della sua attività al servizio del pool, abbia potuto pestare i piedi e intralciare gli interessi di quei soggetti che avevano perseguito i propri obiettivi associandosi e alleandosi con i mafiosi. Poteri forti e poteri "occulti", frange della massoneria, dei servizi segreti, pezzi significativi delle istituzioni e di organismi dello Stato, settori della politica, dell'economia, della finanza, ecc... 

Con l'attentato stragista di Capaci si sarebbe riproposto prepotentemente lo schema operativo del "doppio livello" per cui accanto e dietro il commando mafioso di Brusca e dei Graviano si sarebbe mosso un nucleo rimasto ignoto che avrebbe "aggiunto" un altro composto esplosivo in modo da accelerare e moltiplicare l'effetto dirompente di quello collocato dai mafiosi. In buona sostanza una riproposizione e una replica di quello schema militare ed operativo già sperimentato a Portella della Ginestra e in occasione della strage di piazza Fontana e degli attentati del 12 dicembre 1969. Un'unità addestrata e specializzata nella realizzazione di operazione paramilitari e di "guerra non ortodossa" di alto livello avrebbe operato con la copertura di gruppi terroristici, mafiosi o criminali forse inconsapevoli ma certamente strumentalizzabili. La questione è piuttosto controversa se è vero che, per dare una spiegazione sufficientemente convincente circa la dinamica di un attentato incredibile come quello consumato sull'autostrada di Capaci, si sono cimentati periti su periti con esiti diversi e spesso contradditori. Secondo i periti della Procura nissena l'attentato è stato concepito in maniera molto semplice ed artigianale mediante il tritolo recuperato da residuati bellici mentre l'autrice de "Doppio livello" si sofferma sul fatto che la terrible deflagrazione potrebbe essere stata provocata dall'innesco di una carica di T4 e di pentrite che avrebbe moltiplicato l'effetto dirompente del tritolo. 

Si diceva, la questione rimane controversa ma non può essere sottaciuto che la perizia e l'efficienza militare manifestate con l'attentato di Capaci hanno pochi eguali al mondo: due autovetture in movimento e ad alta velocità vengono letteralmente investite da un'esplosione che non lascia superstiti. Così non si può prendere atto del fatto che i casi possono essere soltanto due: o Cosa Nostra e i corleonesi hanno ingaggiato un artificiere professionista di altissimo livello – se già ne avevano affiliato uno nell'organizzazione – o realmente può essere stato attivato un "dispositivo" come quello descritto dalla Limiti. Tuttavia, fin dall'uscita del libro, la magistratura nissena non solo non si persuade circa l'ipotesi prospettata dalla giornalista, ma si innesca una controversia polemica che, come vedremo, verrà portata alle estreme conseguenze.

Da che cosa viene originato lo scoop di Stefania Limiti ? Nel corso della sua attività di ricerca e di investigazione si imbatte in un presunto appartenente alla GLADIO siciliana – probabilmente un effettivo del famoso centro SCORPIONE allestito nel trapanese – e lo intervista. Come tutti gli addetti ai lavori e i ben informati – ma non solo – sapranno, la GLADIO era la sezione italiana di una ben più ampia rete di un esercito occulto e clandestino continentale inquadrato nel sistema di difesa NATO e concepito per combattere il comunismo con i mezzi della "guerra non ortodossa", della "guerra a bassa intensità" e della "guerra psicologica". Tale rete continentale è stata inizialmente finanziata e organizzata con il contributo dell'intelligence e delle forze speciali delle forze armate americane e inglesi e successivamente è stata gestita e coordinata da un comitato clandestino (ACC) inserito nella NATO e composto dai rappresentati e dai delegati dei servizi segreti e degli Stati Maggiori militari delle maggiori potenze dell'alleanza (USA, Gran Bretagna, Francia e Germania Federale). 

Dal punto di vista operativo la sezione italiana della STAY BEHIND continentale – denominata GLADIO come il simbolo del Reparto dei guastatori repubblichini della marina, la X MAS e verosimilmente composta dagli elementi anticomunisti più determinati come i partigiani "bianchi" ed elementi del clandestinismo armato fascista – viene affidata alle cure dei servizi segreti militari (SIFAR) inizialmente dipendenti dallo Stato Maggiore della Difesa. A seguito delle rivelazioni dell'allora Presidente del Consiglio Andreotti nell'estate del 1990, la GLADIO venne spesso associata agli episodi più gravi, oscuri e sanguinosi della "strategia della tensione" e, peraltro lo stesso Andreotti era ben informato sulle attività di questa struttura che, in qualità di Ministro della Difesa, aveva contribuito in maniera significativa a sviluppare. Dopo un'annosa vicenda processuale al termine della quale i magistrati militari di Padova Sergio Dini e Benedetto Roberti hanno prosciolto i massimi responsabili operativi di questa struttura "info – operativa – militare", i dubbi non sono ancora stati del tutto sciolti tanto è vero che gran parte della documentazione rintracciabile negli archivi della VII Divisione del SISMI – da cui dipendeva GLADIO dal punto di vista operativo – è stata distrutta o è andata perduta. Si continua a sospettare che questa struttura concepita per affiancare l'esercito in caso di invasione dell'esercito sovietico o della Jugoslavia socialista del maresciallo Tito, sia poi stata convertita per essere utilizzata sul fronte interno contro il PCI e la sua crescente forze elettorale mediante un impiego in operazioni di "guerra non ortodossa" o di "guerra psicologica" che non potevano tenere certo contro del confine fra lecito ed illecito. 

Nel corso degli anni Settanta gran parte degli uomini e delle risorse in dotazione alla STAY BEHIND italiana vennero dislocate proprio in Sicilia tenendo conto della crescente importanza strategica che USA e vertici NATO attribuivano al settore mediterraneo. Nulla di concreto è emerso circa un coinvolgimento dei nuclei di GLADIO/STAY BEHIND nelle stagioni della "guerra di mafia" e del "terrorismo mafioso" ma è quantomento curioso che un sedicente "gladiatore" siciliano confidi a una nota giornalista che l'attentato terroristico che eliminò il giudice Falcone non poteva essere stato compiuto da "quattro mafiosi scemi" e che dietro ai "picciotti" doveva essere stato attivata un'unità ben più letale e preparata dal punto di vista militare. Una struttura in grado di agire giovandosi della "copertura mafiosa" e inculcando nelle teste di Riina & c. la convinzione di essere riusciti a dimostrare di colpire con quella potenza distruttiva. Una rivendicazione ? Può darsi o forse no... In ogni caso questo interrogativo ne apre altri che investono non soltanto la questione del ruolo della mafia nella stagione terroristica del biennio 1992 – 1993 ma anche e soprattutto se non si possa realmente parlare di un filo rosso che attraversa tutti i più gravi e misteriosi episodi della cosiddetta "strategia della tensione" e dei suoi risvolti eversivi. 

Dopo un lungo e snervante "tira e molla" Stefania Limiti ha ricevuto un avviso di garanzia dalla Procura di Roma per aver fatto false dichiarazioni agli inquirenti della Procura nissena impegnata nella cosiddetta inchiesta denominata "Capaci bis" ai sensi dell'articolo 371 bis del Codice Penale. In buona sostanza la giornalista si sarebbe rifiutataa più riprese di svelare ai magistrati l'identità del "gladiatore" siciliano da lei intervistato mentre l'interessata ribatte che per rispetto della deontologia professionale – sancita e codificata nell'articolo 2 della Legge professionale n. 69/1963 – non ha titolo per rivelare la sua fonte e tradire anche la fiducia del suo interlocutore. A questo punto non è tanto importante la questione se la Limiti abbia offerto una versione veridica dei fatti relativi alla strage di Capaci perchè è fuori discussione la sua scrupolosità e la sua professionalità attestate da quanto prodotto e pubblicato nel corso della sua carriera. 

Si può mettere in discussione – o non credere – l'ipotesi del "doppio livello" così come si può incorrere in errori e in inciampi quando ci si addentra in un territorio tanto incandescente, tuttavia l'ipotesi prospettata dai magistrati è che l'indagata abbia potuto partecipare a un'attività di depistaggio e di distorsione delle indagini. Probabilmente la formulazione in termini giudiziari è molto più soft, ma rimane il tarlo o il dubbio che ciò possa essere realmente accaduto ponendo in cattiva luce il lavoro della Limiti. Volenti o nolenti qui si tocca il nodo del diritto di cronaca e di informazione perchè, semplicemente, si configura come reato l'attività propria del giornalismo investigativo che è la risultante della consultazione delle fonti e dei documenti, della loro analisi, del confronto ragionato, ecc... Questo diritto – che è poi diritto che tange la pubblica opinione ad essere adeguatemente ed approfonditamente informata – non dovrebbe essere messo in discussione mediante sanzioni penali o pecuniarie se non sussiste la provata e conclamata volontà di dispensare e divulgare false informazioni da diffondere a mezzo stampa o di altri media. Spesso questo genere di spiacevoli situazioni si verificano quando i giornalisti, gli "opinion makers" o gli operatori dell'informazioni si prestano scientemente a diffondere false informazioni magari dietro un lauto compenso o altro tipo di remunerazione. Oppure perchè il giornalista o l'operatore dell'informazione risponde ad "altri" referenti per il quale può arrivare a manipolare o distorcere le notizie. 

Naturalmente la libertà di informazione non è illimitata e deve tenere conto della dignità e dell'onorabilità altrui: screditare qualcuno senza prove costituisce giustamente un reato... Il punto è che, per quanto ne possiamo sapere, nulla induce anche solo a sospettare che la giornalista abbia posto in essere comportamenti che, dolosamente, ostacolano il corso della giustizia... Se i magistrati nisseni sono convinti della bontà e sostenibilità – soprattutto in sede dibattimentale – della tesi alternativa a quella della Limiti circa l'eclusiva responsabilità dei boss mafiosi corleonesi nell'attentato di Capaci non si comprende quale sorta di depistaggio, inquinamento od ostacolo possa essere stato frapposto, potendo al limite naturalmente confutare l'ipotesi alternativa del "doppio livello". In questo caso posso però solo osservare quale senso abbia reiterare per anni i procedimenti relativi a un ben determinato evento terroristico o criminoso, magari aggiungendo nuovi imputati appartenti allo stesso sottobosco criminale e delinquenziale di chi è stato già condannato. Dal punto di vista strettamente attinente alla procedibilità penale può assumere un qualche significato ma nulla aggiunge o toglie alla ricostruzione storica. Nel caso poco probabile e contrario in cui, in qualche modo, gli inquirenti nisseni sono convinti della bontà della tesi esposta nel libro "Doppio livello", occorre chiedersi se veramente non si possa svolgere una più penetrante attività investigativa basata anche sull'escussione di nuovi o vecchi testimoni – si sono visti soggetti abbigliati da operai in quel tratto di autostrada e nei giorni precendenti il 23 maggio 1992 ? - e su un'attenta analisi dei reperti raccolti dato che anche la sola parola di un singolo testimone come il sedicente "gladiatore" intervistato dalla Limiti non può bastare a reggere in sede dibattimentale.

Entrando nel campo minato dei depistaggi, dell'inquinamento di prove e delle manipolazioni non vorrei rinunciare a porre all'attenzione del lettore alcuni e significativi fatti acclarati.

Per il momento rimaniamo in un contesto siciliano che farebbe impallidire pure quello descritto e rappresentato nei romanzi di Leonardo Sciascia. 

La sera del 27 gennaio 1976 in una casermetta dell'Arma dei CC nella località di Alcamo Marina nel trapanese vengono assassinati due carabinieri. Non è la prima volta che accade un evento criminoso e terroristico di questa portata e con simili modalità come non lo sarà in un futuro più o meno prossimo. Il copione ricorda curiosamente – come vedremo – quello della strage di carabineri di Peteano nel goriziano – Friuli – di cui solo anni dopo verrà appurata la matrice neofascista e neonazista coinvolgente alcuni militanti locali di Ordine Nuovo. In entrambi i casi sconcerta la condotta dei militari dell'Arma incaricati di svolgere le indagini che, invece di battere le piste più produttive, paiono piuttosto impegnati in gravi e reiterate azioni depistanti e di inquinamento. Lo schema assomiglia molto a quello di Peteano: abbandonata l'improbabile "pista rossa" e brigatista, i carabinieri si accaniscono su alcuni giovani residenti nella piccola località marittima fra cui Giuseppe Gulotta. L'incredibile vicenda di "malagiustizia" con tanto di condanne inflitte a cittadini innocenti viene aggravata dalle inqualificabili condotte dei militari all'insegna di un florilegio di torture, sevizie e altre pressioni illecite. 

Questa tragica e vergognosa storia molto italiana è stata solo recentemente ricordata da uno dei suoi protagonisti e vittime - Giuseppe Gulotta – in un libro scritto a quattro mani con il giornalista specializzato in storie di mafia e siciliane Nicola Biondo, "Alkamar" pubblicato a cura di Chiarelettere e, per la televisione, nel programma di RAITRE attualmente in onda "Sono innocente", condotto dal giornalista del TG1 Alberto Matano. La recente revisione del processo ha riconosciuto l'estraneità di Gulotta e quella – "probabile" – degli altri imputati, ma ufficialmente l'assassinio dei due carabinieri ad Alcamo Marina rimane un mistero "irrisolto". Sul probabile sfondo di questa bruttissima storia le connessioni fra la mafia siciliana, la destra eversiva e corpi "separati" dello Stato e la voce circa la scoperta di un traffico d'armi che doveva rimanere assolutamente nell'ombra. In un contesto in cui la densità massonica e mafiosa – o "massomafiosa" – è senza pari...

Nella memoria collettiva italiana il 9 maggio 1978 viene ricordato come il giorno in cui venne rinvenuto il cadavere dell'Onorevole Aldo Moro assassinato presumibilmente dai suoi carcerieri brigatisti e collocato in una Renault 4 rossa posteggiata nella centralissima via Caetani. La portata del più grave delitto politico della storia repubblicana oscurò un altro episodio che sicuramente avrebbe meritato ben altra attenzione. Nei pressi di Cinisi, paese siciliano della provincia palermitana, viene rinvenuto il corpo di un giovane dilaniato e martoriato dall'esplosione di un ordigno accanto alle rotaie della ferrovia. Quel giovane non è altri che il militante di Democrazia Proletaria – derivazione "istituzionale" della sinistra extraparlamentare – Peppino Impastato, candidato alle elezioni amministrative. Figlio di un mafioso locale, il giovane Impastato si era ribellato alla corruzione e allo strapotere mafioso imposto a Cinisi, mettendo alla berlina l'associazione criminale dai microfoni di Radio Aut. Anche questa vicenda verrà a lungo dimenticata e rimossa dalle pagine di cronaca anche se si tratta di un evidente delitto di mafia ordinato dal potente boss di Cinisi Gaetano Badalamenti, al vertice della Cupola di Cosa Nostra siciliana e in società con le "Famiglie" newyorkesi nel traffico internazionale di stupefacenti. 

Eppure ancora una volta un ufficiale dell'Arma si sarebbe mosso percorrendo una pista totalmente errata e sballata: quella del "terrorismo suicida" ad opera di un estremista di sinistra intento a sistemare un ordigno esplosivo per far deragliare un treno in arrivo. Quell'ufficiale si chiamava Antonio Subranni e sarà uno dei protagonisti della cosiddetta "trattativa Stato – mafia" in veste di capo del ROS dei carabinieri e l'ormai defunta e compianta vedova del giudice Borsellino Agnese Piraino Leto dirà che il marito le aveva confidato che "era punciuto", ossia un servitore dello Stato che aveva "tradito" ed era colluso con i mafiosi o soggetti vicini ai mafiosi. Per dovere di cronaca occorre precisare che la posizione del generale quale sospetto di concorso esterno in associazione mafiosa nel procedimento sulla cosiddetta "trattativa" sarebbe stata archiviata mentre sul favoreggiamento ipotizzato per il delitto Impastato si sarebbe abbattuta la scure della prescrizione. Tuttavia ancora una volta appare arduo riconoscere la pista battuta dai carabinieri come il frutto di un "errore" e ci si chiede quanto siano attendibili le parole di un collaboratore di giustizia importante e prestigioso come l'ex boss di Altofonte Francesco Di Carlo secondo cui Subranni sistemò la faccenda a beneficio di Badalamenti su intercessione dei potenti esattori siciliani e mafiosi, i fratelli Salvo. 

La testimonianza della vedova Borsellino e le sue precise accuse rievocano una stagione tanto convulsa quanto inquietante della storia repubblicana con la sua scia di stragi, delitti, messaggi e ricatti. Non a caso la strage di via D'Amelio in sui perirono il giudice Borsellino e la sua scorta per la deflagrazione di un'autobomba rimane ancora oggi largamente inspiegata e inspiegabile. Perchè dopo solo due mesi da un attentato tanto spettacolare e pirotecnico come quello di Capaci, Riina e gli alleati dei corleonesi avrebbero deciso di eliminare con un'analoga azione terroristica anche il più stretto amico e collega di Giovanni Falcone, il direttore dell'Ufficio Affari Penali del Ministero della Giustizia, architetto della DIA – la Direzione Investigativa Antimafia – e possibile candidato alla direzione del nuovo organismo antimafia ? I corleonesi non potevano aspettarsi una comprensibile reazione dello Stato e del governo con la immediata approvazione dei decreti del 41 bis sul carcere "duro" per gli affiliati alla mafia ? Sulle prime l'ipotesi più accreditata è quella collegata alla più volte citata "trattativa" sviluppata dagli ufficiali del ROS dei carabinieri. 

Significativamente appena due giorni prima dall'esplosione sul tratto dell'autostrada di Capaci, il Procuratore aggiunto di Palermo Paolo Borsellino rilasciava un'intervista ai giornalisti francesi di Canal Plus Fabrizio Calvi e Jean Pierre Moscardo nel corso della quale – con la cautela dovuta e motivata dal segreto istruttorio su procedimenti in corso – il magistrato palermitano parlava dei rapporti fra Vittorio Mangano, mafioso della cosca palermitana di Porta Nuova e "testa di ponte" per il riciclaggio dei proventi del narcotraffico nel nord Italia, l'imprenditore meneghino Silvio Berlusconi e il fido Marcello Dell'Utri. Quello che, invece, è certo nella convulsa vicenda processuale della strage di via D'Amelio è che la squadra di polizia incaricata di indagare sugli attentati che colpirono i due magistrati – simbolo della lotta alla mafia per conto della procura nissena tennero una condotta a dir poco discutibile e si distinsero nell'adozione di metodi poco ortodossi. La circostanza più grave è che, per l'ennesima volta, gli investigatori si sarebbero concentrati su un'ipotesi falsa e depistante. Al centro un "falso pentito", tale Vincenzo Scarantino, piccolo delinquente apparentato solo lontanamente con un boss mafioso locale e il racconto di un'altra storia di sevizie, pestaggi e abusi... 

Il procedimento denominato "D'Amelio quinques" è tuttora in corsa ma non promette nulla di buono: a dirigere le indagini, uno stimato superpoliziotto dall'apparenza inflessibile e con la fama di duro, quell'Arnaldo La Barbera che sarà chiamato a dirigere la DIGOS. Deceduto nel 2002, La Barbera era apprezzato dall'allora potente Capo della Polizia Vincenzo Parisi, uomo di fiducia e stretto collaboratore dell'ex Ministro degli Interni e Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, ma era anche la fonte "Rutilius" del SISDE, il servizio informazioni del Ministero degli Interni che, a quell'epoca, contava fra le sue massime cariche l'ex capo della Mobile di Palermo Bruno Contrada poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. 

Quasi esattamente un anno dopo la strage di via D'Amelio il SISDE entrerà nell'occhio del ciclone – fra istruttorie giudiziarie e cronaca – con lo "scandalo dei fondi neri" che rischierà di investire la stessa presidenza della Repubblica. Se permangono pochi dubbi sul modo in cui vennero svolte le indagini rimane oscuro il motivo per cui vennero messe in atto le azioni di depistaggio. Rassicurare l'opinione pubblica indicando in maniera rapida dei comodi colpevoli ? Distogliere l'attenzione da una pista mafiosa promettente – il rapporto fra i boss del quartiere Brancaccio i fratelli Graviano con l'amico e assistente di Berlusconi Marcello Dell'Utri, futuro fondatore di Forza Italia ? Eliminare un testimone diretto del negoziato in corso fra la mafia corleonese e pezzi dello Stato ? E poi è verosimile parlare di "doppio livello" e doppia bandiera" per l'attentato di via D'Amelio come per quello di Capaci ? Alla luce dei nuovi elementi e delle testimonianze via via rese nel tempo appare sempre più arduo imputare esclusivamente alla mafia molti episodi delittuosi consumati sul suolo siciliano – e non siciliano – fra assassinii e stragi. Tornano alla mente le parole pronunciate da Riina ad un galeotto – tale Alberto Lorusso, un malavitoso pugliese – e prontamente intercettare nel carcere di Opera. 

Discorrendo sull'assassinio del prefetto di Palermo, il generale dell'Arma Carlo Alberto Dalla Chiesa e di sua moglie, il boss avrebbe "ammesso" che il delitto lo avrebbero commesso loro – ossia i mafiosi – mentre altri avrebbero trafugato i documenti riservati nella residenza del generale a Villa Pajno. Come dire che Cosa Nostra si era accordata con altre entità che avevano interesse a sbarazzarsi dell'"eroe" della lotta al terrorismo brigatista e dei suoi segreti. Ma il sanguinario capo di Cosa Nostra siciliana sapeva di essere intercettato ? Voleva realmente indirizzare un messaggio a qualcuno dal carcere ? Fatto sta che oggi Totò Riina ha preso la decisione di osservare l'aurea regola mafiosa dell'omertà nel corso dei dibattimenti del processo sulla "trattativa Stato – mafia". 

La borsa del Presidente della DC Aldo Moro... Gli appunti del "giornalista – spia" Mino Pecorelli... I documenti del banchiere e finanziere piduista Roberto Calvi... Le carte del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa... I files cancellati nell'agenda elettronica del giudice Giovanni Falcone... L'agenda rossa dell'amico Paolo Borsellino... Perfino il capitolo del romanzo sulle stragi che lo scrittore e poeta Pier Paolo Pasolini intendeva pubblicare... Spesso i delitti e gli omicidi politici si accompagnano alla sparizione e al furto di documenti e carte riservate o scottanti così come a sistematiche azioni di depistaggio e di inquinamento delle prove...

Allarghiamo ulteriormente il campo visivo per abbandonare la Sicilia e focalizzarci sul continente per rilevare ulteriormente come più che lo schema del "doppio livello" dell'eversione "istituzionalizzata" la vera costante della "strategia della tensione" o, per meglio dire, del "terrore" è costituita dalla rieterazione delle azioni di depistaggio e distorsione delle indagini poste in essere da taluni organismi statuali al fine di occultare la verità obbedendo a logiche non certamente rispondenti al dettato dei principi costituzionali. Vediamo...

12 dicembre 1969: un ordigno ad alto potenziale – secondo il giornalista dell'ANSA Paolo Cucchiarelli un "doppio ordigno" – provoca una strage nella Banca dell'Agricoltura di Piazza Fontana – a Milano – uccidendo 17 morti e ferendone altre 87. Questo episodio inaugura la sciagurata e sanguinosa stagione della "strategia della tensione" e degli anni di piombo, ma non si tratta di un caso isolato in quella fredda giornata invernale che dovrebbe annunziare il clima gioioso  delle feste di Natale: se a Milano viene recuperata un'altra bomba in una borsa collocata nella Banca  Commerciale Italiana in Piazza della Scala, a Roma esplodono tre ordigni all'entrata della Banca Nazionale del Lavoro in via Veneto, davanti all'Altare della Patria e all'ingresso del Museo del Risorgimento. Sempre secondo Cucchiarelli in quel 12 dicembre si assiste al raddoppio di bombe dimostrative anarchiche e maoiste con più letali congegni esplosivi maneggiati dai camerati di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, evidentemente protetti da autorità dello Stato e da pezzi degli organi preposti alla tutela dell'ordine pubblico. Una vera e propria campagna terroristica che, questa volta, a differenza del recente passato, provoca un esecrabile massacro di innocenti da addebitate sul conto degli anarchici e dei "rossi". 

L'anarchico Valpreda viene additato come "mostro" mentre emerge con sempre maggiore evidenza la questione della permeabilità e dell'infiltrazione neonzista e neofascista nei gruppi e gruppuscoli anarcoidi o pseudoanarchici e si cerca di preparare il clima adatto per quella proclamazione dello Stato di Pericolo Pubblico consistente nella sospensione delle garanzie istituzionali e nel conferimento di maggiori poteri di indagini agli organi di polizia. Si cerca di creare le condizioni adatte per frenare il crescente consenso verso il PCI e le sinistre in generale per spostare il "baricentro politico" verso destra alla prossime elezioni e, nel contempo di favorire il progetto di smantellamento dell'assetto costituzionale ed istituzionale uscito dal Dopoguerra da rimpiazzare con un presidenzialismo dalle forti venature autoritarie. Nonostante tutto quella pianificazione di sapore golpista e terrorista fallisce. Dall'inchiesta condotta dal giudice trevigiano Giancarlo Stiz sull'equivoco gruppo "nazimaoista" di Freda e Ventura – in realtà l'ennesimo paravento di Ordine Nuovo – emerge chiaramente che la pista da intraprendere per assicurare gli stragisti del 12 dicembre alla giustizia è "nera". Così, in quel frangente si attiva l'Ufficio D del SID, il servizio informazioni del Ministero della Difesa, diretto dal generale Gianadelio Maletti che, con il fido capitano Antonio Labruna, aprono una sorta di "agenzia viaggi" per l'espatrio di soggetti coinvolti a pieno titolo nella "strategia della tensione e del terrore" come il bidello neofascista e amico di Freda e Ventura Marco Pozzan o il giornalista e agente Z del SID Guido Giannettini.

Quest'ultimo non solo era stato ingaggiato proprio dall'Ufficio D – l'importante sezione di controspionaggio del SID – ma risultava fra i relatori del famoso o famigerato Convegno sulla "guerra rivoluzionaria" che si era svolto fra il 3 e il 5 maggio 1965 all'Hotel Parco dei Principi a Roma sotto l'egida del SIFAR – la sigla precedente del SID – e dello Stato Maggiore della Difesa. In quel convegno viene ripetutamente ribadita la necessità di costituire nuclei di "controterrore" e di combattere il comunismo internazionale con ogni mezzo necessario evocando pure il terrorismo. Sono le premesse della "strategia della tensione" e l'agente neofascista Giannettini si presenta come uno dei suoi esperti e qualificati teorici. A quanto pare non solo di teoria si tratta, se Giannettini aveva coltivato uno stretto rapporto con il gruppo che ruotava intorno all'avvocato Franco Freda e a Giovanni Ventura, quest'ultimo ben inserito fra gli "editori di sinistra". Non trascorrono che un paio di anni quando accade qualcosa di veramente curioso: appena reinsediatosi al Ministero della Difesa l'eterno e spregiudicato Giulio Andreotti si affretta a rilasciare un'intevista al giornalista del periodico "Mondo" Massimo Caprara che verrà pubblicata nel giugno del 1974, anno che, in qualche modo, si segnala come un punto di svolta. Il neo Ministro della Difesa rivela l'identità di Guido Giannettini come agente Z del SID implicitamente riconoscendo che sono in atto manovre di segno golpista ed eversivo counvolgenti frazioni del SID, delle forze armate e i neofascisti.

Sempre per incarico dello stesso Andreotti Maletti e Labruna raccolgono elementi e prove apparentemente per incastrare i congiurati dei vari tentativi di golpe. Il capitano Labruna registrerà una conversazione con il costruttore romano Remo Orlandini, stretto collaboratore del principe "nero" Junio Valerio Borghese nel corso del quale emergerà anche il collegamento con l'Amministrazione del Presidente statunitense repubblicano Richard Nixon. Se tutta questa intraprendenza servirà a ridimensionare il direttore del SID Vito Miceli – non gradito ad Andreotti – e a farlo dimettere, tutta questa attività finirà in una bolla di sapone. Avocate alla Procura romana l'inchiesta torinese sul "golpe bianco" del trio Sogno – Pacciardi – Cavallo e quella padovana sulla formazione golpista ed eversiva denominata "Rosa dei Venti" – sorta di riedizione del Fronte Nazionale senza il principe "nero" – verranno presto archiviate mentre quella sul golpe Borghese – che avrebbe dovuto unificare tutti i procedimenti – si risolve in una sorta di burletta, il tentativo velleitario di alcuni nostalgici del Ventennio non troppo accorti. Uno dopo l'altro – compreso Miceli che nel frattempo era stato eletto parlamentare nelle file del MSI – gli imputati vengono prosciolti. Pubblico Ministero era un certo Claudio Vitaloni, fedelissimo di Andreotti, destinato ad una brillante carriera politica. Inoltre su input del Ministro Andreotti, si provvederà a cancellare dalle bobine qualsiasi riferimento alla sua corrente politica, alla presunta partecipazione di uomini della mafia e di affiliati ad una curiosa quanto potente Loggia coperta... 

L'ultimo vero procedimento sulla strage di Piazza Fontana scaturito nella fase dibattimentale terminerà nel 2004 con il proscioglimento di tutti gli imputati – fra i quali il capo di Ordine Nuovo del Triveneto Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi – confermato in Cassazione. Rimane l'ottimo lavoro istruttorio svolto dal giudice Salvini che documenterà debitamente le strette connessioni fra intelligence militare americana, settori delle forze armate e dei servizi d'informazione militare italiani e l'organizzazione terroristica e neonazista Ordine Nuovo. La "pista nera" è ormai indiscutibile se si riconosce la responsabilità dei militanti neonazisti Freda e Ventura non più processabili. Dato da tenere bene a mente: la condanna per falso ideologico già pronunciata dal Tribunale di Catanzaro nei confronti degli ufficiali del SID Maletti e Labruna riconoscendo implicitamente l'attività di depistaggio e protezione di alcuni imputati. 

L'anziano Maletti espatrierà per stabilirsi a Johannesburg in Sudafrica anche a seguito del coivolgimento nell'inchiesta Mi. Fo. Biali sui traffici di petrolio con la Libia e si rivelerà comunque uno degli ufficiali del servizio più loquaci e disposti a parlare di certi scabrosi retroscena. Senza dimenticare che Maletti venne coinvolto nel procedimento della Corte d'Assise di Milano sulla strage alla Questura di via Fatebenefratelli (17 maggio 1973). Nel corso di una cerimonia in commemorazione del commissario Luigi Calabresi – assassinato un anno prima presumibilmente da militanti di Lotta Continua – l'anarchico Gianfranco Bertoli lanciò una bomba sulla folla per "vendicare" la morte del compagno Pinelli precipitato da una finestra della Questura durante un interrogatorio serrato sulla strage di Piazza Fontana. In realtà quell'anarchico è molto strano: è ben conosciuto dai compagni e al suo precedente espatrio in Francia aveva provveduto Aldo Bonomi di "Controinformazione", il bollettino che manteneva contatti con le BR, ma poi si rifugia in un kibbuz e mantiene contatti con membri di un'organizzazione neofascista francese. A quanto pare la bomba SCRM – "ananas" – era destinata a colpire il Ministro degli Interni democristiano Mariano Rumor che, ai tempi della strage di Piazza Fontana, ricopriva la carica di Presidente del Consiglio e, secondo le aspettative dei camerati, avrebbe dovuto proclamare lo "Stato di Pericolo Pubblico". 

Apparentemente un possibile complotto imbastito da elementi del MOSSAD in combutta con i neonazisti veneti di Ordine Nuovo che, secondo alcune testimonianze, sarebbero in contatto con ufficiali al servizio dell'intelligence militare statunitense di stanza nelle basi di Verona e di Vicenza. Un "omonimo" di Bertoli compare nella lista dei "negativi" della GLADIO/STAY BEHIND italiana insieme ad altri soggetti in odore di ideologia neofascista.Soprattutto, fin dagli anni Cinquanta, Bertoli ha lavorato come informatore per il servizio informazioni militari – prima SIFAR e poi SID – con il nome in codice di "Negro". In tale veste "Negro" si era iscritto anche alla sezione del PCI di Venezia. Non è mai stata chiarito se Bertoli fosse ancora un informatore remunerato dal SID quando provocò la strage alla Questura di Milano anche perchè, a quanto pare, i servizi si sono mossi in maniera da non lasciare tracce sull'imbarazzante rapporto...

31 maggio 1972: viene tesa un'imboscata a una pattuglia di carabinieri a Peteano, in provincia di Gorizia sul confine friulano. Qualcuno denuncia la presenza di una Fiat Cinquecento con alcuni buchi di proiettile sul parabrezza. Dopo aver aperto il cofano della vettura i militari accorsi sul posto vengono investiti da un'esplosione ed il bilancio è di tre morti e un ferito. Non è la prima e non sarà l'ultima strage di cabinieri le cui motivazioni – al di là della responsabilità – rimarranno sostanzialemente ignote. Già avevamo accennato ad alcuni sviluppi dell'assassinio di due carabinieri ad Alcamo Marina nel Trapanese che, come vedremo, presenta interessanti analogie con gli sviluppi delle indagini per identificare gli autori della strage di Peteano, ma si possono citare anche la strage "mafiosa" di Carini (1963), quella rimasta sconosciuta ai più e inspiegata, di Bagnara di Romagna (1988) o quella causata dai "poliziotti – assassini" della Una Bianca nel quartiere Pilastro (1991). Al di là della portata terroristica di tutti questi episodi rimane la coltre di silenzio e di mistero che li avvolge tutti, indistintamente. Nonostante che la strage di Peteano sia una delle poche azioni riconducibili ad una certa matrice politico - terroristica i cui nomi e cognomi degli autori sono stati accertati e acclarati, non tutti i contorni della vicenda sono chiari. Nonostante la pista da battere sia "nera" e neofascista, ancora una volta ci si imbatte in azioni di delberato depistaggio. Il comandante della Divisione Pastrengo dell'Arma dei Carabinieri Giovambattista Palumbo – fra i massimi esponenti di una vera e propria potente cordata all'interno dell'Arma e personaggio ortientato verso la destra – incontra il comandante della Legione di Udine generale Dino Mingarelli. 

I due ufficiali hanno condiviso la fedeltà nei cofronti del potente generale Giovanni De Lorenzo, già Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Comandante Generale dell'Arma dei CC e direttore del SIFAR. In quest'ultima veste il generale De Lorenzo sottoscriverà con la CIA l'accordo che darò vita alla GLADIO italiana nel 1956. Qualche anno dopo i due alti ufficiali collaboratori del generale De Lorenzo saranno annoverati fra i partecipanti alle riunioni per la pianificazione del cosiddetto PIANO SOLO, una sorta di pianificazione da golpe militare affidata alla "sola" Arma dei CC che verrà utilizzata come arma di ricatto nei confronti delle pretese riformatrici del governo di centrosinistra guidato da Aldo Moro. Mingarelli avocherà a sè le indagini sulla strage di carabinieri a Peteano sottraendola alla Legione di Gorizia competente per territorio. Si ripete un copione che parzialmente verrà ripetuto in occasione dell'omicidio dei due carabinieri nella casermetta di Alcamo Marina. Dopo aver abbandonato un'improbabile pista "rossa" coinvolgente la più importante organizzazione della sinistra extraparlamentare Lotta Continua, i carabinieri di Udine si accaniscono su alcuni giovani delinquenti locali di piccolo calibro. In tutta evidenza è una pista che non porta a nulla e tutti verrano prosciolti. Nel frattempo nel 1979 si costituisce spontaneamente il neofascista Vincenzo Vinciguerra che rivendicherà di aver compiuto un vero e proprio atto di guerra contro chi pretendeva di strumentalizzare i camerati e adoperarli all'interno delle istituzioni. All'epoca il giovane militante "nero" era organico a Ordine Nuovo di Udine mentre, dopo essere espatriato e aver prestato i propri servizi a favore di dittature fasciste e militari in Spagna ed America Latina si unirà alla "corte" del capo di Avanguardia Nazionale Stefano Delle Chiaie. 

Nel 1984 Vinciguerra svelerà al giudice di Venezia Felice Casson l'esistenza di una vera e propria struttura organica alla NATO e parallela ai servizi di informazione con compiti di contrasto e disturbo in caso di invasione da parte sovietica e delle forze armate del Patto di Varsavia. Tale struttura sarebbe stata attivata per realizzare tutte le operazioni di terrorismo – stragista accadute in Italia dal 1969 al 1980. Condannato all'ergastolo, Vinciguerra ha sempre tenuto a ribadire che l'azione contro i carabinieri a Peteano voleva marcare una distanza da chi aveva responsabilità nel terrorismo stragista e dai camerati di Ordine Nuovo che secondo lui avevano tradito la causa per mettersi al servizio dello Stato "democratico" e dei suoi disegni. Le dichiarazioni fanno il paio con quelle meno precise e dettagliate rilasciate dal "sindacalista" di destra Roberto Cavallaro al giudice padovano Giovanni Tamburino nel corso dell'istruttoria sull'organizzazione golpista e "atlantista" della Rosa dei Venti.
Anche in questo caso, tuttavia, permangono delle consistenti zone d'ombra: le motivazioni esposte da Vinciguerra sono totalmente sincere ? Come mai un militante del terrorismo neofascista è così ben informato su una struttura clandestina paramilitare e di intelligence foraggiata dagli americani e inserita nel sistema di difesa NATO ? E per quale ragione, ancora una volta, un nucleo investigativo di carabinieri opera in modo da allontanare i sospetti dall' organizzazione terroristica e paramilitare "nera" Ordine Nuovo rinunciando ad individuare gli assassini dei commilitoni ?

A marzo del 1972 era stato fortunosamente scoperto un NASCO nei pressi di Aurisina, un deposito clandestino di armi, munizioni, esposivi ed altro equipaggiamento destinato a rifornire l'esercito clandestino di GLADIO/STAY BEHIND. Ciò rese necessario smantellare e recuperare tutto il materiale nascosto nei circa 140 depositi occulti di questa struttura segreta gestita dall'intelligence militare. Nella grotta di Aurisina vennero trovate armi ed esplosivi che non risultavano nell'inventario della "normale" dotazione della STAY BEHIND, ma che erano probabilmente da ricondurre ai traffici in corso sul confine fra i neofascisti italiani e gli ustascia croati. Esisteva un rapporto fra la struttura STAY BEHIND e Ordine Nuovo ? I punti di incontro e convergenza pure documentati non mancano. Inoltre parte del materiale da utilizzare nell'operazione STAY BEHIND era stipato in alcune caserme dell'Arma dei carabinieri. In questo senso ci sentiamo di formulare un'ipotesi che mette in relazione la "scoperta" del NASCO di Aurisina alla strage di Peteano: i neonazisti di Ordine Nuovo vengono privati delle loro armi dai militari dell'Arma e disarmati per cui decidono di vendicarsi per quello che viene vissuto come un tradimento facendo in modo che l'attentato passi come un messaggio che il destinatario è in grado di "decodificare". Alla fine verrà accertata e riconosciuta l'opera di depistaggio messa in atto da ufficiali dei carabinieri come Mingarelli e Santoro a dimostrazione ulteriore che negli anni persiste una costante precisa nella parabola dei cosiddetti "misteri d'Italia"...

13 gennaio 1981 viene predisposta dal SISMI l'informativa sulla cosiddetta operazione "Terrore sui treni", una campagna terroristica predisposta da organizzazioni eversive di estrema destra francesi e tedesche. A seguito di una misteriosa "soffiata" su uno scompartimento del treno Milano – Taranto che stazionava presso la stazione di Ancona vengono rinvenuti materiali e oggetti che farebbero pensare ad una connessione con la strage alla stazione di Bologna, il più grave attentato terroristico della storia della Repubblica italiana, con il pesante e crudele bilancio di ottantacinque morti e duecento feriti circa. Esplosivo C4 – un composto di T4 e materiali plastificanti – come a Bologna, un mitra MAB modificato probabilmente prelevato dall'arsenale della Banda della Magliana al Minsitero della Sanità dal famoso ciecato Massimo Carminati – salito più recentemente alla ribalta delle cronache come uno dei boss del sodalizio criminale di "Mafia Capitale" -, biglietti intestati a un cittadino francese e a uno tedesco, noti estremisti di destra, ecc... Non passerà molto tempo per accorgersi che si tratta dell'ennesimo sviamento di un'inchiesta giudiziaria per strage: al centro del tentativo lo stretto collaboratore del direttore del SISMI Giuseppe Santovito, il generale Pietro Musumeci, direttore dell'Ufficio Controllo e Sicurezza e il suo vice Giuseppe Belmonte. Il reato di calunnia verrà riconosciuto dalla Corte d'Assise del Tribunale di Bologna e verrà confermato in Cassazione anche se non verranno mai chiarite le finalità di questa attività "deviata e deviante dei servizi di sicurezza militari. Originariamente l'ipotesi di reato contemplava il concorso dei noti "faccendieri" dei servizi Licio Gelli e Francesco Pazienza i quali, a giudizio di molti, sarebbero stati i veri padroni del SISMI.

Come nel recente passato si parlava di una sorta di "SID parallelo" o di SuperSID", in seguito alla riforma dei servizi emerge il ruolo del SuperSISMI che pare ricorrere in molti dei più scottanti e scabrosi "scandali" o affari a cavallo fra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta. Oltre al depistaggio delle indagini attinenti alla strage alla stazione di Bologna, il contributo fornito nel "Billygate" richiesto da determinati ambienti americani, le trattative "triengolari" fra servizi, Nuova Camorra Organizzata e BR, l'originario indirizzo delle indagini sull'attentato a Papa Giovanni Paolo II, i retroscena sul "suicidio" del banchiere Roberto Calvi, ecc... Probabilmente, in qualche modo, si voleva sviare l'attenzione dei magistrati bolognesi da quel milieu dell'eversione "nera" romana riconducibile alla sigla NAR e che, di fatto, si connetteva con i "vecchi tramoni" di Ordine Nuovo la cui direzione politico – ideologica passava attraverso le figure del professor Paolo Signorelli e del criminologo Aldo Semerari, questt'ultimo cerniera fra gli ambienti dei servizi, dell'eversione neofascista e della criminalità organizzata e comune. L'iter giudiziario e investigativo relativo alla strage alla stazione di Bologna – un progetto terroristico probabilmente accarezzato da parecchi anni – sarà funestato da una serie di operazioni e di attività di depistaggio come mai si erano viste in passato e di cui, ancora oggi, l'operazione "Terrore sui treni" risulta solo la più conosciuta e clamorosa. 

Last but not least è ancora in corso il dibattimento relativo al procedimento sulla "Trattativa Stato – Mafia" che coinvolge, oltre ai soliti boss di Cosa Nostra, anche carabinieri, ministri e politici. Sotto la lente d'ingrandimento l'operato del ROS dell'Arma dei CC a cui era stato ascritto il merito di aver arrestato il superboss corleonese Totò Riina. Tuttavia con il trascorrere degli anni e nel corso di veri procedimenti sono emersi interrogativi circa la condotta di quei militari: perchè, presumibilmente, fu omesso di perquisire l'abitazione di Riina ? Per quale ragione non si procedette all'arresto del compare di Riina Bernardo Provenzano nel casolare di Mezzojuso nonostante le precise indicazioni di una fonte affidabile ? Senza dimenticare che quella fonte, un mafioso imparentato con i potenti Madonia, venne assassinato proprio mentre era in procinto di "formalizzare" la sua collaborazione con la magistratura. Sarebbe ora molto complicato ripercorrere le vicende e le tappe di quella che, allostato attuale, appare una strana neogoziazione fra organismi dello Stato e i boss corleonesi, ma i nomi di qualificati ufficiali come Mori, Subranni e De Donno rimangono avvolti da una spessa coltre di ambiguità e sospetto che ancora non si dirada.

Prendiamo ad esempio una figura di alto ufficiale stimata come quella del generale Mario Mori, che, dopo aver diretto per diversi anni il ROS dei carabinieri, assumerà la guida del SISDE, il servizio informazioni del Ministero degli Interni. Fatto salvo il principio della presunzione di innocenza. Il tenente colonnello di carabinieri in congedo Mauo Venturi, già in forza al SID e stretto assistente del direttore Vito Miceli, accosta il futuro generale Mori al discusso direttore e alla nota loggia massonica coperta mentre l'originario titolare dell'inchiesta padovana sulla Rosa dei Venti, il sostituto procuratore Giovanni Tamburino rammentò come il suo nome emerse nel corso delle indagini. Nel corso del sequestro del Presidente della DC Aldo Moro, Mori prestava servizio nel Nucleo Investigativo dei CC diretto dal colonnello Antonio Cornacchia, ma dall'attività di ricerca del raggruppamento non pare essere sortito alcun risultato utile. 

Inoltre si è anche parlato di una sorta di rapporto maturato in circostanze non del tutto chiarite fra Mori e Vito Ciancimino, ex assessore al lavori pubblici e sindaco di Palermo e potente referente politico dei corleonesi. Quel Ciancimino che avrebbe poi accettato di mediare i rapporti fra i carabinieri e il boss Riina... Semplici sospetti ? Illazioni ? Può darsi, ma fa una certa impressione associare il nome di taluni ufficiali del carabinieri a quel milieu – massoneria "deviata", mafia e destra eversiva - che darà vita alla stagione delle "leghe meridionali" con finalità ancora da definire e disvelare completamente. E dalle riunioni e dagli incontri fra i promotori del progetto affiorano i notissimi nomi del solito Gelli, del terrorista "nero" Delle Chiaie e anche di Ciancimino. Inoltre nessuna risposta soddisfacente è stata data circa la collaborazione dell'ex brigatista Valerio Morucci alla rivista THEOREMA che annoverava anche fra le "firme" il "nero" Loris Facchinetti e... Mario Mori... 

All'epoca quel periodico costituiva una sorta di ricettacolo contiguo alla Giunta capitolina del sindaco Gianni Alemanno, genero dell'ex ideologo di Ordine Nuovo Pino Rauti, presso cui il generale forniva un'attività di consulenza in materia di sicurezza urbana. E desta ancora stupore ritrovare l'ex "brigatista rosso" Morucci fra gli operatori della G. RISK, la società di Security aperta dal colonnello Giuseppe De Donno, lo stretto collaboratore di Mori ai tempi del ROS. Per la cronaca il nome di Morucci viene accostato al famoso memoriale confezionato con l'ausilio del direttore del foglio democristiano "Il Popolo" Remigio Cavedon, molto vicino a Faminio Piccoli che propinerà al pubblico italiano una versione poco convincente dell'intera vicenda dell'affaire Moro. E sempre Morucci partecipa all'agguato di via Fani nel corso della quale venne sterminata l'intera scorta comprensiva anche dei carabinieri Leonardi e Ricci. Viene da chiedersi perchè ufficiali dei carabinieri come Mori e De Donno accettino di associare i loro nomi con chi ha fama di aver trucidato i colleghi anche se, ripercorrendo a ritroso la cronologia degli episodi di terrorismo vario che hanno sconvolto il nostro paese, lo stupore comincia a scemare... 

Di questi episodi è costellato il panorama affacciato sulla povera Italia per cui non sarebbe del tutto fuori luogo sospettare che una sorta di filo rosso attraversi più o meno note vicende di quelle sommariamente illustrate quivi confidando nell'estrema pazienza del lettore. In effetti balza all'occhio qualche aspetto e qualche risvolto inquietante e perturbante che accomuna queste e altre vicende. Vediamole...

a) Il coinvolgimento palese od occulto di agenti dei servizi di informazione o di sicurezza o di ufficiali dell'Esercito o dell'Arma dei Carabinieri e funzionari di polizia che poi sono risultati essere delle "barbefinte", come si diceva in gergo... A parte l'intelligence militari non bisogna dimenticare anche il famoso o famigerato Ufficio Affari Riservati del Viminali diretto dall'ineffabile prefetto D'Amato.

b) Quasi tutti i protagonisti di quelli che si configurano come veri e propri atti criminosi sono stati iscritti alla Loggia massonica coperta Propaganda Due o affiliati a logge "contigue" a quest'ultima – vedi la Loggia C di Trapani -. Come noterà il lettore che vorrà approfondire l'argomento, un numero abbastanza ristretto di personaggi di dubbia fama ricorre troppo spesso quando si parla di stragismo, "golpismo", tentativi eversivi, certi traffici illeciti, ecc...

c) Anche mettendo da parte la teoria del "Doppio Livello", si deve necessariamente puntualizzare che l'attività di depistaggio, inquinamento, insabbiamento anche con il ricorso dell'eliminazione di testimoni troppo scomodi è stato reiterato troppo sovente per pensare a peccati di ingenuità o a negligenza e insipienza. Si dovrebbe molto più seriamente prendere in considerazione l'eventualità che in certe circostanze siano stati attivati determinati meccanismi che sembrano rispondere a una serie di protocolli operativi.

d) L'operato e l'intervento di cosiddetti "corpi separati" che per comodità chiameremo STAY BEHIND, con un piede dentro e uno fuori dallo Stato e, forse, regolati da logiche "sopranazionali". Organismi "info – operativi" e militari specializzati, oltre che nelle azioni di sabotaggio, guerriglia e terrorismo selettivo o indiscriminato, anche in più sofisticate operazioni di "guerra non convenzionale" o "psicologica" fondata sul ricorso di espedienti finalizzati a manipolare l'opinione pubblica.

Oggi si mette sotto inchiesta una caparbia e volitiva giornalista ma ci si dimentica come, nonostante  le varie Commissione Parlamentari e un numero imprecisato di inchieste giudiziarie non è stata data una risposta convincente e definitiva sulle ragioni di tanto sangue e della profusione di tante menzogne nonostante che ormai a tutte le stragi e ai delitti eccellenti siano cresciuti i "capelli bianchi". Una sequela di errori e di sottovalutazioni ? Una mancanza di visione di insieme e generale – di carattere storico – su fenomeni che hanno funestato la vita di una democrazia in erba e mai maturata ? Non ci sentiamo di rispondere a questi gravosi interrogativi ma una domanda stringente la vorremmo comunque porre a tutti gli interessati: perchè mai sono state dispiegate tante e tali energie per fuorviare ripetutamente il corso delle indagini e impedire che mandanti, ispiratori ed esecutori di gravissimi azioni criminali venissero assicurati alla giustizia ? La domanda sembra peccare di ingenuità ma, in realtà, è molto stringente. Perchè la Procura di Roma disegnò la P2 come una banale banda di lestofanti e furfanti interessati ad arricchirsi in modo da escludere quell'orizzonte cospirativo che pure era documentato dallo stesso Piano di Rinascita Democratica ? Eravamo alla vigilia della nascita della Seconda Repubblica con l'irruzione sulla scena politica del tycoon Silvio Berlusconi – noto piduista – e del suo movimento "politico – mediatico". 

Il fatto è che abbiamo paura, perchè il mondo odierno – e non certo solo la povera piccola Italia – è stato edificato sulla sconfitta del comunismo e del socialismo, di ogni orizzonte autenticamente di sinistra. Chi aìha vinto quella che è stata definita anche come la "guerra fra ricchi e i poveri" ha presentato il conto e ha imposto un comodo e fallace revisionismo storico. Così si evita di ammettere che in questo paese si è formata una coalizione di forze – con evidenti appoggi e sostegni internazionali – fondate e organizzate per "combattere il comunismo" con ogni mezzo possibile compreso il ricorso alla determinazione delle formazioni paramilitari neofasciste e neonaziste e la manipolazione o infiltrazione di gruppi di opposta tendenza. Senza rinunciare, oltre che ai servizi di una criminalità "comune" sempre più violenta e aggressiva, anche alla potenza e alla ramificazione territoriali di Cosa Nostra siculoamericana e delle altre mafie meridionali con tutto quello che ne consegue, traffici d'armi e droga e riciclaggio di denaro sporco compresi.
Allora – opportunamente riassemblati – Loggia P2, GLADIO/STAY BEHIND, ANELLO, Nuclei di Difesa dello Stato, Rosa dei Venti, OSSI, Falange Armata, ecc... ci appaiono come i tasselli di un unico mosaico dell'atlantica ed atlantista "lotta al comunismo" che alcuni hanno combattuto per convinzione e fede ideologica, altri per i lauti profitti che ne derivavano. Sotto l'ombrello dello Stato, della NATO e del potente alleato d'oltreoceano. 

Forse arriverà il momento in cui i tasselli verrano tutti messi nella loro giusta collocazione e si riconoscerà il carattere mafioso, terroristico e criminale di questa storia apparentemente occulta oppure l'oblio si incaricherà di sbarazzarsi di un passato che è ben più gravoso di qualsiasi fardello.

Noi attendiamo fiduciosi e intanto esprimiamo una dovuta solidarietà che vorrebbe anche lasciare una traccia in un percorso di ricerca della verità libera da compromessi e condizionamenti e libera dai suggerimenti imposti dalla "ragion di Stato o di partito"...

Libera, finalmente, dalla paura...

Saluti

HS  
Vocidallastrada.org

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