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8 ottobre 2014
TANGENTOPOLI INFINITA
Si può dire che il nostro Paese, oltre ad essere il paese dell’Arte e del buon cibo (almeno in passato lo era), è anche il Paese dei “giustizieri” e dei rivoluzionari. Infatti, i nostri governi invocano sempre “giustizia” contro la corruzione e cambiamenti. Lo faceva anche Bettino Craxi, e oggi tocca a Renzi, che sfodera la solita grinta del “rottamatore”. Ma il problema della corruzione non assume mai l’importanza che dovrebbe avere. Pochi giorni fa, proprio l’attuale Presidente del Consiglio tuonava:
“Aspettiamo le indagini e rispettiamo le sentenze, ma non consentiamo a uno scoop di mettere in crisi dei posti di lavoro o a un avviso di garanzia citofonato sui giornali di cambiare la politica aziendale di un Paese… (in riferimento al cosiddetto programma dei “Mille giorni”). Se questa è una svolta prendetevi la svolta, ma è un dato di fatto per rendere l’Italia un Paese civile”.
Renzi faceva riferimento al nuovo amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi, che è indagato dalla Procura di Milano per corruzione internazionale in relazione ad una concessione petrolifera in Nigeria. Ma in altre occasioni ha alzato la voce anche a proposito della corruzione relativa all’Expo 2015. Tuttavia, quando si approfondisce questa apparente sete di giustizia delle nostre attuali autorità si comprende, senza tanti sforzi, che le voci tuonano ma non vanno oltre il naso di coloro che le pronunciano. Infatti, queste parole vengono dette semplicemente perché è questo che gli italiani si aspettano, in quanto non c’è nessun italiano che non comprenda nel profondo del proprio animo che il problema principale dell’Italia è proprio la corruzione politica. E’ questa corruzione che rende possibili tutte le realtà sconcertanti e criminali del nostro paese, dalla mafia al potere delle logge massoniche.
Alle parole delle nostre autorità, che a parole invocano giustizia, non seguono mai fatti concreti. Renzi si è guardato bene dal convocare Descalzi chiedendo spiegazioni, ma lo ha mantenuto nel posto al vertice del più grande gruppo italiano senza tanti problemi.
Nel programma dei “mille giorni”, Renzi ha protetto l’autonomia delle imprese e dei politici dagli “avvisi di garanzia”, senza più parlare dell’importante lotta alla corruzione. Se davvero le nostre autorità volessero giustizia, metterebbero al primo posto la lotta alla corruzione, senza guardare in faccia nessuno.
Come ben sappiamo, la corruzione internazionale domina nel nostro paese. I grandi gruppi economici e le banche operano nel nostro Paese (come in molti altri) senza rispettare la Costituzione, calpestando i più elementari diritti e facendosi beffe della sovranità popolare, avendo dalla loro parte i politici corrotti.
Di tanto in tanto la magistratura arresta qualcuno, o apre indagini, che spesso non modificano nulla. In tutti i casi, le nostre autorità reagiscono invocando “giustizia” a parole, oppure cercando di circoscrivere il fenomeno, per non far emergere che il sistema attuale si basa proprio sulla corruzione, e senza di essa non potrebbe esistere.
Gerardo D’Ambrosio, magistrato del famoso “Pool Mani Pulite”, scomparso nel marzo scorso, aveva creduto di aver cambiato l’Italia, di averla liberata dalla corruzione e da quegli intrighi che impediscono una vera democrazia. Come diversi altri magistrati illustri, aveva creduto che l’impegno a far osservare le leggi del nostro Paese sarebbe valso un cambiamento.
Oggi probabilmente si starà rivoltando nella tomba, dato che c’è l’ennesima saga di “Tangentopoli” in relazione all’Expo 2015. Quando accadono fatti del genere, qualcuno recita il solito ritornello: “sono state alcune mele marce”. Per nascondere che nel nostro Paese (e non solo) sembra esistere una “Tangentopoli infinita”, che sancisce la corruzione come un modus vivendi dell’attuale sistema di potere.
Quando si scoprì che gli Usa praticavano la tortura, il presidente americano si affrettò a dire che erano state “poche mele marce”; quando si scoprì che personaggi di diversi partiti (di destra e di sinistra) rubavano in diversi modi denaro pubblico, si disse che erano alcune “mele marce”.
Ma qualcuno spieghi dove sarebbero le mele buone, e perché spesso e volentieri queste presunte “mele marce” alla fine la fanno franca oppure non subiscono conseguenze penali che qualsiasi persona comune subirebbe. Insomma, la faccenda delle “mele marce” puzza parecchio, e nasconde un intero sistema che di marcio non ha soltanto qualche mela. Pochi si sono sorpresi del fatto che in un grosso affare come l’Expo 2015 emergessero mazzette. Sembrava che i politici si fossero trasformati, e qualcuno si chiedeva: “ma come, non rubano più? Che è successo?”.
Infatti, la faccenda delle poche “mele marce” non convince nessuno in Italia, abituati come siamo ai politici-faccendieri-truffatori, che costruiscono fortune sulla corruzione. Quindi, siamo ritornati alle solite, e persino alcuni nomi sono i soliti. C’è da chiedersi come mai questi personaggi fossero ancora “con le mani in pasta”, ma la domanda sarebbe retorica dopo quello che abbiamo detto. Ecco dunque ritornare la faccenda degli appalti lucrosi e delle relative tangenti. I nomi saltati fuori sono: Greganti, Frigerio, Rognoni, ecc.
A maggio Angelo Paris, direttore pianificazione e acquisti di Expo 2015 è stato arrestato in seguito alle un'intercettazioni. In una di queste, diceva: “Io vi do tutti gli appalti che volete se favorite la mia carriera”.
Si è saputo che Frigerio avrebbe inviato bigliettini ad Arcore, per raccomandare a Berlusconi e al presidente della Regione Roberto Maroni il manager Angelo Paris come successore di Antonio Rognoni al vertice di Infrastrutture Lombarde.
Il pubblico ministero Claudio Gittardi, uno dei pm titolari dell'inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini, ha detto: “Il dato essenziale è che si era creata ed era operativa da almeno un anno e mezzo o due anni una struttura criminale in grado di condizionare gli appalti in Lombardia e in parte anche di società pubbliche di rilievo nazionale come una gara della Sogin (la società di Stato responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, ndr)”. Gli indagati erano sette, e in carcere erano finiti i presunti promotori e alcuni complici dei reati: corruzione, turbativa d'asta, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e rivelazione di segreti d'ufficio.
Tutto ruotava attorno alle figure di Gianstefano Frigerio, Primo Greganti e Luigi Grillo, ex parlamentare ed ex segretario regionale della Democrazia cristiana. Greganti, ex funzionario del Pci-Pds di Torino, è una vecchia conoscenza dei magistrati di Tangentopoli (detto “compagno G”), che all’epoca di Mani Pulite rifiutò di collaborare con i magistrati.
Erano finiti in carcere anche Sergio Cattozzo, ex segretario regionale Udc della Liguria; Enrico Mattauro, imprenditore che più di tutti avrebbe tratto profitto dal sodalizio, che versava mensilmente “tra i 30 e i 40mila euro” per garantirsi l'assegnazione di appalti milionari; e Angelo Paris, direttore generale Divisione Construction and Dismantling e responsabile dell’ufficio contratti di Expo 2015.
Ai domiciliari era finito Antonio Rognoni, ex direttore generale di Infrastrutture Lombarde, già arrestato lo scorso 20 marzo per associazione per delinquere, truffa aggravata ai danni della Regione, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e l'abuso d'ufficio nell'ambito dell'inchiesta del procuratore aggiunto Alfredo Robledo su Infrastrutture Lombarde.
La Guardia di Finanza di Milano aveva filmato diversi passaggi di denaro, come ha raccontato Gittardi, che ha parlato anche di “riunioni quotidiane si svolgevano nella sede sociale del circolo culturale Tommaso Moro”.
Questo “scandalo Expo”, non era dunque arrivato proprio a ciel sereno, dato che è l’ennesimo scenario di corruzione tangentopoliana, in un paese oppresso da poteri che utilizzano la corruzione come utilizzano la mafia e la massoneria, ovvero per mantenere lo “status quo”. Altrimenti non si spiegherebbe come mai in prima fila nella politica, come negli appalti, ci sono sempre i soliti noti, altrimenti detti “mele marce”, qualora le magagne affiorassero.
Dall’inchiesta, - anche questo è un classico del genere – affioravano anche, in modo indiretto, nomi grossi di politici: Bersani, Formigoni, Berlusconi, ecc. Ovviamente, se non c’è l’appiglio politico di una certa levatura, queste “mele marce” marcirebbero nella pattumiera.
Immediatamente il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, aveva espresso sostegno e fiducia nell’Amministratore delegato di Expo 2015, Giuseppe Sala. Secondo il sindaco, “per arrivare all'obiettivo che ci siamo prefissi, e cioè che Expo sia un grande successo, credo sia necessario che rimanga al comando la persona che finora è stata al comando. (Sala) è stato tratto in inganno (dal) direttore pianificazione acquisti di Expo 2015, Angelo Paris, agli arresti da ieri… evidentemente non è sua responsabilità l'aver scelto determinate persone. I controlli ci sono e per quanto riguarda il Comune di Milano, voglio ricordare non c'è stato nessun rilievo da parte della magistratura. Se si è arrivati a questa indagine è anche perchè in silenzio sono state fornite tutte le informazioni, le notizie e i dubbi che c'erano, alla magistratura… via le mele marce.” 1
Anche il presidente Napolitano e del Senato Pietro Grasso erano caduti dalle nuvole: “Il superamento di fenomeni di corruzione in Italia, che sono però non esclusivi del nostro Paese, è legato molto alla creazione di qualcosa che sia impegno, solidarietà e anche regole comuni dell'Europa”, aveva detto Napolitano.
Già, l’Europa, lì sì che le mele sono sane: lì il marcio lo nascondono accuratamente sotto il tappeto, e hanno avuto la furbizia di creare un assetto blindato in cui la magistratura dei singoli Stati non può entrare. Altro che “mele marce!”, che differenza tra chi si fa intercettare come un pivellino e chi alza un muro tra la legge e le proprie azioni.
Con questa indagine, sembrava che tutte le magagne fossero venute fuori. Ma così non era, e proprio in questi giorni è stato messo sotto indagine Antonio Acerbo, che era il Responsabile Unico del Procedimento (RUP), che si occupava di gran parte dei lavori dell’Expo. L’accusa è “corruzione e turbativa d’asta” in relazione al progetto delle Vie d’Acqua. In poche parole, Acerbo avrebbe ricevuto “utilità economiche e favori”, quello che comunemente si dice “tangenti”.
L’appalto in questione si occupava del collegamento idraulico tra il sito Expo e il Naviglio Grande, oltre ad altre attività, come la connessione ciclopedonale e la realizzazione di due nuovi ponti pedonali sul Naviglio Grande.
Intanto sono emerse altre sconcertanti notizie: l’azienda Best Union Company (BU), che ha legami stretti col mondo cattolico, in particolare con il gruppo di Comunione e Liberazione, si è aggiudicata il servizio di biglietteria dell’Expo, attraverso una prassi perlomeno anomala, in pratica senza altri concorrenti e senza stabilire rapporti diretti con Expo S.p.a.2
Si tratterebbe di incassi di oltre 440 milioni di euro. Si attendono ben 20 milioni di visitatori e il prezzo medio del biglietto di ingresso sarà di 22 euro, stando alle parole del Commissario unico Giuseppe Sala.
La BU, manco a dirlo, si è aggiudicata il servizio per la biglietteria grazie al legame con Intesa San Paolo, che è lo sponsor ufficiale dell’esposizione universale. Intesa San Paolo avrebbe scelto Best Union attraverso una “trattativa privata”. E se poi si scopriranno altre irregolarità o comportamenti illegali, si dirà: le solite “mele marce”…
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