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"LA TERRA CI NUTRE LA TECNOLOGIA CI GUIDA: COLTIVIAMO INSIEME IL FUTURO"
18 marzo 2013
STIGLITZ: «Basta trucchi, dobbiamo nazionalizzare le banche!»
«La
notizia che la nazionalizzazione delle banche potrebbe essere
necessaria anche secondo Alan Greenspan dimostra quanto la situazione
sia disperata: come è evidente da tempo, l’unica soluzione è che il
nostro sistema bancario sia rilevato dal governo, forse sulla falsariga
di quanto fecero Norvegia e Svezia negli anni ‘90». Parola di Joseph
Stiglitz, docente della Columbia University e Premio Nobel per
l’economia. Nazionalizzare le banche: «Bisogna farlo, e farlo in fretta,
prima che altri soldi vadano sprecati in manovre di salvataggio», dopo
la catastrofe planetaria provocata da «anni di comportamenti
sconsiderati, tra cui la concessione di crediti inesigibili e l’avere
giocato d’azzardo con i derivati». Teoricamente, siamo già alla
bancarotta: se il governo rispettasse le regole del gioco, sono
moltissime le banche che uscirebbero dal mercato. Nessuno sa con
certezza quanto sia grande il buco: almeno due-tremila miliardi di
dollari, se non di più.
Dunque
la domanda è: chi si farà carico delle perdite? «Wall Street non
chiederebbe di meglio che uno stillicidio continuo del denaro dei
contribuenti», scrive Stiglitz in un intervento su “The Nation” ripreso
da “Megachip”.
Ma l’esperienza di altri paesi suggerisce che, quando sono i mercati
finanziari a comandare, i costi possono essere enormi: paesi come
l’Argentina, il Cile e l’Indonesia, per salvare le proprie banche,
hanno speso il 40% e oltre del loro Pil. «Se non stiamo attenti, la
spesa pubblica per il salvataggio determinerà l’esclusione di altri
programmi essenziali del governo, dalla previdenza sociale ai futuri
investimenti in campo tecnologico». Stiglitz si appella al principio
fondamentale della legge in materia di reati ambientali: chi ha
inquinato, deve pagare i costi della bonifica. «Le banche americane
hanno inquinato l’economia globale di rifiuti tossici». Per cui, «solo
facendo sì che il settore paghi i costi delle sue azioni, recupereremo
efficienza».
L’amministrazione Obama ha proposto, fra le altre cose, di comprare i bad assets e metterli in unabad bank,
lasciando che sia il governo a disporne. «Naturalmente, Wall Street era
entusiasta di questa idea: chi non vorrebbe scaricare la propria
spazzatura sul governo a prezzi gonfiati?». Quasi tutte le varianti
della proposta “cash for trash”, soldi buoni in cambio di
titoli-spazzatura, si basano sull’idea di creare una sorta di discarica
finanziaria, la band bank, gravata dai bad assets. «Ma
le banche, anche se avessero solo gli asset “buoni”, probabilmente non
disporrebbero di liquidità neanche dopo che i contribuenti avessero
strapagato la spazzatura». Stiglitz boccia questa soluzione: «Io credo
che la bad bank, senza nazionalizzazione, sia una cattiva
idea». E’ il caso di «respingere qualunque piano di tipo “soldi in
cambio di spazzatura”», perché in fondo «è un altro esempio
dell’economia “voodoo” che ha segnato il settore finanziario: il tipo di
alchimia che haconsentito alle banche di sminuzzare i mutui subprime, che avevano rating F, trasferendoli in titoli presunti sicuri con rating A».
Ancora
peggiori, secondo Stiglitz, sono le proposte di cercare di spingere il
settore privato a comprare la spazzatura: «In questo momento i prezzi
che esso è disposto a pagare sono così bassi che le banche non sono
interessate», anche perché, in quel modo, «la dimensione del buco nei
loro bilanci verrebbe allo scoperto». Ma se il governo assicurasse gli
investitori del settore privato, e concedesse loro prestiti a condizioni
favorevoli, il settore privato sarebbe disposto a pagare un prezzo più
alto, rendendo alla fine le banche solvibili? «Questa proposta, come
molte altre provenienti dagli ambienti bancari, si basa in parte sulla
speranza che, se le banche renderanno le cose sufficientemente complesse
e opache, nessuno noterà il regalo al settore bancario finché non sarà
troppo tardi», osserva l’economista della Columbia. E se le imprese si
mettono nei guai, accumulando più debiti di quanti ne possano ripagare,
c’è sempre la via d’uscita della bancarotta, che «spaventa molte
persone, ma non dovrebbe», perché «tutto quello che succede è che le
pretese finanziarie nei confronti dell’impresa vengono ristrutturate», gli azionisti vengono spazzati via e gli obbligazionisti diventano i nuovi azionisti.
Joseph Stiglitz
Quando
la situazione è meno grave, aggiunge Stiglitz, una parte del debito
viene convertita in capitale netto: «In ogni caso, senza il fardello dei
pagamenti mensili del debito, l’impresa può tornare alla redditività».
Le banche differiscono dalle altre imprese sotto un solo aspetto: «Il
fallimento di una banca si traduce in un particolare stato di sofferenza
per i correntisti e può portare a problemi più ampi sul piano
economico». Ancor peggio, l’esperienza ci ha insegnato che «quando le
banche rischiano di fallire, i loro dirigenti mettono in atto
comportamenti che implicano il rischio di far perdere ancora più soldi
ai contribuenti». Ad esempio, possono fare scommesse: se vincono si
tengono il ricavato, e se perdono pazienza, tanto sarebbero “morti”
comunque. «Ecco perché abbiamo leggi che dicono che, quando il capitale
di una banca è poco, questa deve essere chiusa». Perciò, «non aspettiamo
che la cassa sia vuota». L’amministrazione Obama sembra proporre, come
via d’uscita, uno “stress sotto sforzo” cui sottoporre le banche, per
testarne la solidità reale, in base a modelli matematici. Problema: «Le
banche dovevano sottoporsi esse stesse a questo tipo di test
regolarmente. I loro modelli dicevano che tutto andava bene. Sappiamo
che quei modelli hanno fallito. Quello che non sappiamo è se i modelli
che userà l’amministrazione saranno migliori».
George Soros
Obama prende tempo, sostenendo che gli stress-test non
sono immediati. «E mentre aspettiamo, metteremo altri soldi in
istituzioni che stanno fallendo, soldi buoni in cambio di cattivi, con
un debito nazionale sempre maggiore». Gradualmente l’America sta capendo
che deve agire subito, con ben maggiore determinazione. Una proposta
innovativa? Sostenuta anche dal finanziere George Soros e da Willem
Buiter alla London School of Economics, ribalta la prospettiva della
“discarica finanziaria” e prevede, al contrario, la creazione di una good bank,
una “banca buona”: «Invece di riversare gli asset tossici sul governo,
dovremmo estrarre quelli buoni», dice Stiglitz, «quelli a cui si può
facilmente assegnare un prezzo». Se il valore delle pretese dei
correntisti è minore di quello degli asset, allora il governo firmerà un assegno alla vecchia banca, la bad bank; se invece accade il contrario, sarà il governo a vantare una pretesa prioritaria nei confronti della vecchia banca.
«In
tempi normali – ammette Stiglitz – sarebbe facile ricapitalizzare la
banca “buona” privatamente. Ma questi non sono tempi normali, perciò il
governo potrebbe dover gestire la banca per un po’ di tempo». Si dubita
che il governo allochi il capitale in modo efficiente? Da che
pulpito: il settore privato si è forse comportato bene? Anche lo Stato,
finora, si è limitato ad assecondare le banche: «Nessun governo in tempo
di pace ha sprecato tante risorse quante ne ha sprecate il sistema
finanziario privato americano», accusa Stiglitz. «Gli incentivi di Wall
Street erano studiati per incoraggiare un comportamento miope ed
eccessivamente rischioso». Ben diverso se invece lo Stato si assume la
responsabilità di una vera riforma finanziaria, assumendo il controllo
diretto sulla sua gestione: «C’è ogni motivo per credere che una banca
temporaneamente nazionalizzata si comporterà molto meglio – anche se la
maggior parte dei dipendenti saranno comunque gli stessi – semplicemente perché avremo cambiato gli incentivi perversi».
L’esperienza
maturata in altri paesi, compresi quelli scandinavi, dimostra che
l’intera operazione può essere condotta bene. E quando alla fine
l’economia torna alla prosperità, conclude Stiglitz, le banche in grado
di fornire un utile potranno essere restituite al settore privato. «Non
servono soluzioni mirabolanti». Le banche, semplicemente, «devono
tornare a ciò a cui servono: prestare soldi, con prudenza, alle imprese e
alle famiglie, sulla base di una valutazione buona – e non marginale –
dell’utilizzo cui è destinato il prestito e della possibilità per chi lo
ha ricevuto di restituirlo». Ogni fase di flessione prima o poi
termina, confida l’economista Premio Nobel. «Alla fine, potremo vendere
le banche ristrutturate a un buon prezzo», possibilmente «non basato
sull’aspettativa esuberante e irrazionale di un’altra bolla
finanziaria». A differenza dell’Eurozona “prigioniera”della Bce,
l’America sembra aver capito che non si traggono benefici dalle manovre
di “salvataggio”, che il settore finanziario cerca di spacciare per
“investimenti”. «Almeno – conclude Stiglitz – possiamo usare i proventi
della vendita finale delle banche ristrutturate per ripagare l’enorme
deficit che questa débacle finanziaria avrà causato al nostro paese».
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