Ora è ufficiale: Sergio Mattarella ha scelto Paolo Gentiloni per formare il nuovo governo in seguito alle dimissioni di Matteo Renzi sconfitto al referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre. Lo stallo, dunque, è superato. Mattarella ha sostenuto con enfasi, al termine delle consultazioni, che l’Italia «ha bisogno di un governo in tempi brevi», giacché vi sono «scadenze e impegni da rispettare, sul piano interno, europeo e internazionale».
E infatti si può ragionevolmente sostenere che il piano europeo è effettivamente impellente: giovedì 15 vi è il Consiglio Europeo. Entro quella data, Mattarella voleva un governo insediato e con pieni poteri. Per non arrivare impreparati all’appuntamento. Ma quali sono, in concreto, le posizioni di Gentiloni? Quale la sua visione? E come arriverà all’imperdibile appuntamento? Può forse giovarci per un chiarimento delle idee ciò che lo stesso Gentiloni scriveva in un tweet dal suo profilo il 2 agosto 2012: «Dobbiamo cedere sovranità a un’Europa unita e democratica».
Il «nuovo» governo. Il responso referendario e il suo «valore costituente»
Lo spettacolo è francamente inguardabile, a una settimana dal voto che ha travolto Matteo Renzi e il suo governo. Intendo lo spettacolo pubblico, recitato «in alto» dall’intero establishment. Il modo con cui nasce il governo Gentiloni, le procedure del suo incarico (con le cosiddette consultazioni parallele tra il Colle e Palazzo Chigi, cose mai viste!). E poi la sua composizione (fotocopia)
Sono un insulto al voto degli italiani, al principio di realtà, alla stessa Costituzione miracolosamente salvata il 4 dicembre: al suo articolo 1 naturalmente, e al meno noto articolo 54 (che impone, per le funzioni pubbliche «il dovere di adempierle con disciplina ed onore», cioè accettando i verdetti popolari e rispettando verità e parola data). Che a Palazzo Chigi sieda un «uomo di Renzi», che il governo Renzi succeda a se stesso nella maggior parte dei suoi membri, soprattutto che Matteo Renzi continui a detenerne la golden share mantenendo la segreteria del Partito e di lì accanendosi a inquinare la vita politica, dopo aver dichiarato che in caso di sconfitta si sarebbe ritirato da tutto, è un danno d’immagine devastante non solo per lui e il suo partito, ma per l’intero Paese.
Nel dicembre 1986, in Francia, i liceali presto raggiunti da studenti e insegnanti, si mobilitarono contro la "legge Devaquet" che mirava ad aumentare il prezzo dei diritti di iscrizione all'università. Il movimento crebbe in misura considerevole e la repressione non si aspettava di dover affrontare una protesta tanto legittima quanto democratica. Bilancio: un morto, Malik Oussekine, e feriti gravi, tra cui François Rigal, Patrick Berthet, Jérôme Duval [l'autore di questo scritto] e molti altri. 30 anni dopo, Maurice Duval, padre e Jérôme Duval, figlio, ricordano.
Maurice Duval padre: Che ricordo hai del giorno del 4 dicembre 1986?
Jérôme Duval, figlio: Organizzati per la mobilitazione al Liceo Maurice Ravel e anche in coordinamento con le altre scuole superiori a Parigi, siamo andati alla manifestazione nazionale per portare le nostre rivendicazioni, la prima delle quali era l'abrogazione totale del progetto di legge.
Giulietto Chiesa parla del dopo Renzi, richiama l’attenzione sulle insidie del ricorso al fondo salva stati (volgarmente detto Esm o Esm) e lancia la sua proposta per impedire ai ladri di sovranità di portare a termine i loro piani sulla pelle dei cittadini. http://www.byoblu.com/
Lo scorso 8 novembre il nuovo primo ministro indiano Narendra Modidichiarava ha messo fuori corso le banconote da 500 e 1000 Rupie, responsabili di circa l’85% del cash in circolazione in India. Sarebbe come se in Europa venissero eliminate in poche ore le banconote da 20 Euro in su, ma con l’aggravante che l’india, come noto, ha un’economia emergente estremamente vivace con un tasso di crescita stimato nel 7,7% per quest’anno, prevalentemente basato su scambi in contanti, in nero per il 25%.
Come facilmente intuibile,in quanto sperimentato in minima parte anche nel nostro paese nel 2013, il provvedimento ha gettato il paese nel caos, con scene già viste in Grecia, Venezuela e Cipro. Le nuove banconote emesse in sostituzione delle vecchie, in numero deliberatamente più limitato, non hanno ancora raggiunto le zone periferiche con il risultato di un assalto ai bancomat, ben presto rimasti privi di contante. Di certo l’economia con questo provvedimento ha segnato una perdita che per ora si attestata intorno all’ 1% del Pil.
La tribù Sioux, sostenuta da una moltitudine di attivisti ha combattuto per mesi per fermare la costruzione del oleodotto.
Il capo spirituale dei Sioux, Arvol Looking Horse
Accampamento Oceti Sankowin, Nord Dakota - La tribù Sioux di Standing Rock e i suoi sostenitori hanno festeggiato domenica (4 dic) una vittoria storica dopo che le autorità federali hanno deciso di fermare la costruzione del Dakota Access Pipelineoggetto di controversie.
Il Corpo di ingegneri dei militari degli Stati Uniti ha annunciato di aver rifiutato la servitù finale richiesta per il progetto di 3,8 miliardi di dollari che passa sotto Lake Oaheau in Nord Dakota.L'esercito ha detto che è ora di esplorare percorsi alternativi in attesa di uno studio sull'impatto ambientale.
Il oleodotto, lungo 1886 km, dalla formazione di Bakken nel nord-ovest del Nord Dakota, vicino al confine canadese e corre a sud-est fino al sud dell'Illinois.
I Sioux di Standing Rock, che sono stati uniti in un movimento di protesta che è durata per mesi con attivisti ambientali, dei diritti umani e della giustizia sociale, si sono opposti all'oleodotto per timore di contaminazione dell'acqua, distruzione ambientale e danni ai siti ancestrali.
Vittoria per i Sioux. Il genio militare americano ha bocciato l'attuale percorso previsto per l'oleodotto in Nord Dakota, contro cui da mesi i nativi americani si stanno battendo. Proprio in seguito alle proteste il progetto era stato fermato dall'amministrazione Obama per permettere allo Us Army Corps of Engineers di esprimersi. I nativi hanno sempre sostenuto che l'oleodotto è un enorme rischio per l'ambiente e per le falde acquifere dei loro territori.
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Secondo Berlusconi adesso Renzi sarebbe pronto per l’Isola dei famosi. La realtà è sfuggita al premier e il reality è la sua fallace dimensione.Lo dice questo voto, un terremoto politico e non solo per il significato che assume nel contesto italiano. E’, dopo lo splendido voto austriaco, un forte segnale per tutta l’Europa che da Vienna e da Roma riceve un messaggio di fiducia nelle istituzioni e nelle Costituzioni parlamentari.
La vittoria piena e travolgente del NO è frutto di una grande partecipazione popolare, di un’affluenza che travalica il confine della consultazione referendaria per assumere i connotati di un’elezione politica. Sfiorare il 70% di affluenza avvicina la prova elettorale di ieri alle elezioni del 2013 (si recò al seggio il 75% degli elettori), e dà la misura dell’opposizione alla riforma certamente, ma anche al governo e alla leadership che lo guida. Renzi ne ha preso atto ieri notte annunciando le dimissioni.
Ha vinto la Costituzione. Ha perso il plebiscito. Ha vinto il popolo. Ha perso il populismo cinico. Ha vinto la sovranità del popolo. Ha perso il dogma per cui non ci sarebbe alternativa. Ha vinto la voglia di continuare a contare. Di continuare a votare. Ha perso chi voleva prendersi una delega in bianco. Ha vinto la partecipazione, il bisogno di una buona politica. Ha perso la retorica dell’antipolitica brandita dal governo. Ha vinto un’idea di comunità. Ha perso il narcisismo del capo. Ha vinto la mobilitazione dal basso, senza mezzi e senza padrini. Ha perso chi ha messo le mani sull’informazione, chi ha abusato delle istituzioni senza alcun ritegno.
Fino alla vigilia della sua morte a 90 anni, continuava a mobilitarsi in difesa dell'ecologia e dell'ambiente, e contro la globalizzazione neoliberista, in trincea, e in prima linea.
Fidel è morto, ma è immortale.Pochi uomini conobbero la gloria di entrare da vivi nella leggenda e nella storia.Fidel è uno di questi.Apparteneva a quella generazione di insorti mitici - Nelson Mandela, Patrice Lumumba, Amilcar Cabral, Che Guevara, Camilo Torres, Turcios Lima, Ahmed Ben Barka - che, perseguendo un ideale di giustizia, si lanciarono negli anni '50 con l'ambizione e la speranza di cambiare un mondo di disuguaglianze e discriminazioni, segnato dall'inizio della guerra fredda tra l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti.
In quell’epoca, in più della metà del pianeta, in Vietnam, in Algeria, in Guinea-Bissau, i popoli oppressi si ribellavano. L’umanità era in gran parte ancora sottomessa l’infamia della colonizzazione. Quasi tutta l’Africa e buona parte dell’Asia erano ancora dominate, asservite ai vecchi imperi occidentali. Mentre le nazioni dell’America Latina, in teoria indipendenti da un secolo e mezzo, erano sfruttate da minoranze privilegiate, oggetto di discriminazione sociale ed etnica, e spesso sottoposte a dittature sanguinarie protette da Washington.
Un’intervista al professor Paolo Prodi. La Costituzione andrebbe in primo luogo attuata. Sbagliata la riforma del Titolo V. Non si capisce cosa rappresenti il “nuovo” Senato. Un’indicibile assurdità dividere per materie le competenze tra Camera e Senato. Ecco le ragioni del No del professor Paolo Prodi, tra i massimi storici italiani dell’età moderna, docente emerito all’Università di Bologna, già rettore dell’ateneo di Trento, tra i fondatori dell’Istituto storico italo- germanico della città trentina e dell’associazione di cultura e politica “Il Mulino”, fratello dell’ex presidente del Consiglio Romano Prodi.
Vogliamo ringraziare il professor Prodi che, pur non essendo in piena forma, ci ha generosamente concesso questa intervista.
Professor Prodi cosa pensa della riforma costituzionale sottoposta a referendum?
È un pasticcio pazzesco ed è anche illeggibile. Se pure vogliamo chiamare “riforma” il testo che va a referendum. Possiamo farlo, certo, ben coscienti però che nella storia dell’umanità tante riforme sono andate indietro e non avanti. E questo è proprio uno di quei casi.
Perché ritiene rappresenti una sorta di arretramento nella storia della Repubblica?
Il paesaggio rurale di Israele è saturo di alberi di pino. Questi alberi sono una novità per la regione. Quegli alberi di pino vennero introdotti nel paesaggio palestinese nei primi anni ‘30 dal Fondo Nazionale Ebraico (KKL/JNF) nel tentativo di “rivendicare quella terra”. Nel 1935, il JNF aveva piantato 1,7 milioni di alberi su una superficie totale di 1.750 acri. In oltre cinquanta anni, il JNF ha piantato oltre 260 milioni di alberi in massima parte su terre palestinesi confiscate. Ha fatto tutto in un disperato tentativo di nascondere le rovine dei villaggi palestinesi etnicamente ripuliti e cancellarne la storia.
Nel corso degli anni il JNF ha attuato un rozzo tentativo di eliminare la civiltà palestinese e il suo passato, ma ha anche cercato di rendere la Palestina simile all’Europa.
Discorso del leader della Rivoluzione cubana, Fidel Castro, alla chiusura del 7° Congresso del Partito Comunista di Cuba
Fidel Castro Ruz
E’ uno sforzo sovrumano dirigere qualsiasi popolo in tempi di crisi. Senza di questi i cambiamenti sarebbero impossibili. In una riunione come questa, a cui partecipano più di mille rappresentanti scelti dal popolo rivoluzionario stesso, che ha delegato ad essi la propria autorità, ciò significa per tutti l’onore più grande ricevuto nella vita, e a questo si aggiunge il privilegio di essere rivoluzionario, che è frutto della propria coscienza.
Perché sono diventato socialista, più chiaramente perché mi sono trasformato in comunista? Questa parola, che esprime il concetto più distorto e calunniato della storia da parte di coloro che hanno avuto il privilegio di sfruttare i poveri, spogliati da quando furono privati di tutti i beni materiali che forniscono il lavoro, il talento e l’energia umana…. Da quando l’uomo vive in questo dilemma, nel corso del tempo senza limite … so che voi non avete bisogno di questa spiegazione, ma forse alcuni giovani sì.
Parlo semplicemente perché si capisca meglio che non sono ignorante, estremista o cieco, e che non ho acquisito la mia ideologia per conto mio, studiando economia.
Aziz Krichen: Gramscinon avrebbe molto da dire, non solo ai tunisini, ma al mondo intero.
Personalmente a Gramsci devo gran parte della mia formazione intellettuale. (Molto tempo fa, in collaborazione con altri autori, ho peraltro contribuito al libro “Gramsci et le monde arabe” (Gramsci e il mondo arabo). Gramsci in Tunisia è poco noto anche nell'intellighenzia. La mancanza di una traduzione araba delle sue opere non spiega tutto. Le sue analisi delle élite e della questione agraria sono utilissime.