18 novembre 2009

FERMATE LA «MONSANTIZZAZIONE» DEL CIBO, DEI SEMI E DEGLI ANIMALI!

“I regolamenti sui brevetti dell' UE, USA e molti altri paesi, così come anche i cosiddetti Accordi Trips dell' OMC devono essere rivisti con urgenza per mettere freno alla monopolizzazione e al controllo aziendale delle risorse genetiche del mondo. Questa revisione dovrebbe condurre ad una regolamentazione che garantisca il diritto alla alimentazione ed al divieto di brevetti su piante e animali da fattoria”.
Allerta globale della coalizione “No ai brevetti sui Semi!”.

Negli ultimi anni, le organizzazioni di agricoltori del mondo intero, gli allevatori e coltivatori, le istituzioni dell' ONU, così come le organizzazioni per lo sviluppo e ambientali hanno espresso molte volte la loro preoccupazione di fronte alla crescente monopolizzazione dei semi e degli animali delle aziende agricole attraverso i brevetti. La perdita della loro indipendenza ed l’aumento del debito degli agricoltori, la diminuzione della diversità vegetale e animale e le sempre maggiori restrizioni alle attività della coltivazione, l'allevamento e la ricerca sono alcune delle conseguenze più preoccupanti di questa tendenza. Ma nonostante queste esperienze allarmanti ancora non esistono misure legali per fermare questa tendenza. Al contrario, un recente studio sulle sollecitazioni presentate alla World Intellectual Property Organization (WIPO), mostra che le grandi aziende internazionali di semi cercano ancora di imporre le loro rivendicazioni di monopolio senza preoccuparsi delle conseguenze per la sicurezza alimentare globale ed il sostentamento degli agricoltori di tutto il mondo. Questo risulta ovvio analizzando le recenti sollecitazioni sui brevetti, presentatedalle tre più grandi multinazionali di semi: la Monsanto (USA), Dupont (USA) e Sygenta (Svizzera).

I sottoscritti firmatari, singoli, organizzazioni ed istituzioni lanciano un appello ai governi e agli uffici brevetti per frenare questo sviluppo preoccupante e perché siano riviste le regole sui brevetti esistenti. Le regolamentazioni sui brevetti dell' UE, gli USA e molti altri paesi così come gli accordi chiamati Trips dell' OMC devono essere rivisti con urgenza per frenare la monopolizzazione e il controllo aziendale delle risorse genetiche mondiali. Questa revisione dovrebbe condurre ad una regolamentazione che garantisca il diritto all' alimentazione e il divieto di brevetti sulle piante e animali delle fattorie.

I seguenti esempi mostrano alcune sollecitazioni di brevetti portati all’estremo.

Molte delle rivendicazioni presentate in queste sollecitazioni possono solo essere descritte come assurde. Questi brevetti mostrano fin dove si è arrivati con le norme sui brevetti esistenti che sono completamente carenti. In solo quattro anni, tra il 2005 ed il 2009, la Monsanto ha presentato quasi 150 sollecitazioni per i brevetti su coltivazioni di piante alla WIPO. Queste sollecitazioni mostrano la crescente tendenza ad esigere diritti di proprietà esclusivi non soltanto sulle piante o animali geneticamente modificati, ma anche sulle biodiversità esistenti ed sui metodi di coltivazione e dell’allevamento tradizionale. Mentre negli anni precedenti al 2005 furono presentati soltanto pochi brevetti di questo tipo, più del 30% delle sollecitazioni di brevetti della Monsanto presentate tra il 2005 ed il 2009 includono i metodi di coltivazione convenzionali. Questa tendenza si può osservare tra le altre grandi aziende delle sementi. Durante lo stesso periodo, Dupont, ha presentato intorno alle 170 sollecitazioni di brevetti su coltivazioni, il 25% di essi implicano metodi di coltivazioni tradizionali. Syngenta ha presentato circa 60 sollecitazioni, il 50 % di esse centrati sulle coltivazioni tradizionali. Tra le grandi aziende di semi, la Monsanto è l’unica che presenta anche brevetti su animali da fattoria. Dal 2005, circa 20 brevetti su metodi di allevamento sono stati presentati dall’azienda statunitense.

Esempi:
  • Sollecitazione di brevetti della Monsanto WO200821413, “il brevetto che monsantorizza il mais e la soia”, rivendica metodi che ampiamente si utilizzano nella coltivazione e l’allevamento tradizionale. In più di 1000 pagine e attraverso 175 rivendicazioni, la Monsanto rivendica varie sequenze di geni e di variazioni genetiche, specialmente per la soia ed il mais. La Monsanto va così lontano che esige esplicitamente che tutte le piante di mais e soia che contengono quegli elementi genetici. Inoltre estende la lista a tutte le utilizzazioni in alimenti, raccolti e biomassa. Con la presentazione di sollecitazioni regionali specifiche, la Monsanto mostra un interesse particolare nel richiedere questo brevetto in Europa, Argentina e Canada.
  • Nella richiesta del brevetto WO 2009011847 , “il brevetto che monsantorizza la carne ed il latte”, la Monsanto rivendica ampiamente i metodi dell’allevamento del bestiame, animali così come anche del latte, il formaggio, il burro e la carne.
  • Altre aziende hanno anche presentato in modo aggressivo delle richieste sulle risorse genetiche, necessarie per la produzione di alimenti e raccolti. Un esempio è la richiesta del brevetto WO 2008087208 , “il brevetto Syngenta sulla semina del mais”, che si concentra sulle condizioni genetiche del mais per la produzione del grano. La Syngenta rivendica le piante ed anche la loro coltivazione.
  • Vari brevetti simili sono stati già concessi, come il brevetto sulla coltivazione di soia, come la WO 98/45448 , “il brevetto Dumont sul tofu” dato in Australia, Europa e USA che include la salsa di soia, il tofu, il latte di soia ed un preparato per biberon di questa soia. Questo brevetto (o brevetti della stessa famiglia) sono stati presentati anche per il Brasile, Canada, Cina, Giappone, Norvegia e Nuova Zelanda.
Questa classe di brevetti sono la colonna vertebrale di una strategia per prendere il controllo globale della produzione alimentare a tutti i livelli. Questi brevetti non eliminano la ricerca e l’innovazione. Il loro obiettivo è bloccare l’accesso alle risorse genetiche e alla tecnologia e creare una nuova dipendenza per gli agricoltori, allevatori e coltivatori. La resistenza, tuttavia, è in aumento. Nel 2007, le organizzazioni degli agricoltori e le ONG di tutto il mondo ha creato la piattaforma globale "No ai brevetti sulle sementi". Nel 2008, centinaia di lettere furono spedite all’ Ufficio Europo dei Brevetti (EPO) nel “caso del brevetto sui broccoli”, EP 1069819, che costituiva un precedente. Nel 2009, migliaia di agricoltori e cittadini, ONG e anche autorità governative hanno presentato una opposizione al “brevetto europeo sull’allevamento dei maiali”, EP 1651777, un brevetto richiesto dalla Monsanto nel 2004.

Le persone, organizzazioni ed istituzioni che hanno firmato chiedono ai politici e agli uffici dei brevetti di tutto il mondo di assicurare che i brevetti come quelli menzionati sopra non possano essere concessi. Si necessita di un cambiamento radicale sia da parte della legislazione sui brevetti sia sulle piante e animali da fattorie. Non dovrebbe essere permesso che le aziende di continuare ad usare male e monopolizzare i semi, piante e animali da fattoria attraverso le leggi sui brevetti. In caso contrario, questi brevetti diventeranno un pericolo maggiore per la sicurezza alimentare e per la sovranità alimentare regionale.

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Scarica Le sollecitazioni di brevetti sui metodi di coltivazione tradizionali attualmente 377. 46 Kb

Questa allerta sarà consegnata ai governi e agli uffici dei brevetti il 26 marzo del 2010- tre anni dopo l’inizio ufficiale della coalizione globale “No ai Brevetti sui Semi”.

Fino ad ora le associazioni contadine seguenti hanno già sostenuto l’iniziativa ( in ordine alfabetico):
ABL Germania
BDM Germania
BKS India
COAG Spagna
Coldiretti Italia
Equivita Italia
FAA Argentina
FETRAF-Sul Brasile
GRAIN International
ICPPC Polonia
UNAG Nicaragua

Coalizione No ai Brevetti sui Semi

Fonte: http://www.biodiversidadla.org/content/view/full/52882

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di Vanesa

I miei “Credo”: Ambiente


di Gianni Girotto


Ritengo sia scontato, scontatissimo lo dicono tutti no? ma nei fatti poi….

Credo che l’ambiente debba essere la priorità di tutto, di ogni singola azione. L’ambiente non è un lusso, un accessorio, una voce di bilancio, l’ambiente è il fondamento su cui si poggia tutto il resto; se l’ambiente non è in equilibrio, tutto il resto è in pericolo. E ricordo che nel termine “tutto il resto” ci siamo anche noi essere umani….ed attenzione che gli ultimi dati sono terribili, secondo il recentissimo ultimo rapporto dell’IUCN (International Union for Conservation of Natureun’organizzazione internazionale all’interno della quale partecipano ben 140 Paesi, con una rappresentanza di 77 Stati, 114 agenzie governative, più di 800 organizzazioni non governative, più di 10.000 scienziati ed esperti internazionalmente riconosciuti provenienti da più di 180 Paesi che lavorano all’interno delle Commissioni – quindi non degli sprovveduti quaraquaquà..) dichiara che oltre un terzo della flora e della fauna sono a rischio di estinzione.

MORTI IN DIRETTA, SOFFERENZA IN DIFFERITA


di ©Paco Roda

Sono cifre che lacerano, che spaventano, anche se quasi nessuno si commuove. Al massimo, gli acrobati del sentimento, i frigidi della ragione o i nostalgici dell’infortunio. Come se la disgrazia e Caronte fossero compagni ben abbinati di un viaggio verso l’ignoranza o l’impunità assoluta. Sono i numeri della vergogna meglio portata da questa Europa che è troppo superba per arrendersi all’evidenza. Numeri che nascondono la radice quadra dell’infinita sofferenza, serie incatenate di logaritmi di avversità e biografie malfatte il cui guadagno emozionale aumenta le cifre dell’audience. Cifre incorporate alla statistica altisonante e a discolpa del buonismo interculturale, cifre di scandalo per una società amnesica e auto compiacente. Vite e morti narrate in diretta ma sentite in differita. Morti nei confini dell' inclemente verità, quella che rimbomba senza eco. Perché lì, ai confini dei mari, nelle periferie dei deserti, nei bordi più affilati delle frontiere della soddisfazione, si muore giorno dopo giorno senza lasciare traccia. E non succede nulla. Appena una lacrima di sangue congelata nella notte del deserto.

Sono i numeri in rosso dell’eccedenza, di
quel mondo amaro e duro che espelle 160 milioni di immigrati che giungono qui per pulire i culi dei nostri nonni, per alzare le nostre case o raccogliere la frutta che dopo mangiamo. Sono i numeri della povertà meglio nascosta e truccata del mondo che sa solo gestire la sua crisi. Ed è che le frontiere di questa Europa amnesica e fastosa che ha festeggiato 20 senza muro, sono state chiuse e sbarrate per coloro che sopravvivono col corpo alle intemperie. Perché tra loro e noi c’è un spazio immenso. Io mi posso muovere da Bilbao a Dakar per 380 euro. Mi basta una carta d’identità e 7 ore di volo. Ibrahima ha avuto bisogno di quattro mesi per attraversare il deserto, 10 giorni struggendosi nell’ Atlantico e 4000 euro di debito con il pirata che ha dato prezzo alla sua avventura. Ancora sta pagando quell’ipoteca senza euribor ma con un alto prezzo sulla sua testa.

Quel viaggio, quello dell’immigrazione, si chiude con numeri in rosso. Sono le cifre date dall’
Osservatorio sulle vittime dell’emigrazione. E dal 1988, cioè, un anno prima che cadesse il muro, fino ad oggi, sono morti 14.714 immigrati che cercano di raggiungere i confini dell'Europa. Di loro, 6.344 giacciono in fondo al mare, in quel Mediterraneo di cui cantò Ovidio, che ha affascinato Omero e che tanto ha sedotto Llach. Dall’altra parte, 4.445 uomini e donne che un giorno hanno abbandonato le loro famiglie in Marocco, Argelia, Mauritiana e Senegal, terre di fuoco e sale, di sabbia e vento, sono morti nella lunga traversata del deserto cercando di arrivare al Regno di Spagna attraverso le isole Canarie. Precisamente in quel paradiso di pensionati nordici abbronzati da un amichevole sole che dolcifica il loro perfetto futuro. Ed è che mentre loro cercano un luogo dove cadere vivi, ogni anno la sfolgorante Parigi-Dakar gli sbatteva in faccia la sua potenza tecnologica sotto forma di competizione verso un niente senza senso. Le loro insignificanti biografie, marcite nelle periferie del cuore dell’ Africa, appena causeranno qualche lacrima. Al massimo un prolungato e lontano sospiro che uscirà dal quell' insignificante 0,7 % penitenziale.

Non lontano da lì, nel Canale della Sicilia, sono morte 4.100 persone tra le coste della Libia, Tunisi e Malta. Il 10 agosto 2007 furono riscattati 14 cadaveri dall’ equipaggio di una nave di lusso, il
Giulio Verne, che raccolse anche 12 naufraghi alla deriva. La notizia posteriore non fu il dramma dei naufraghi ma la solidarietà mostrata dai turisti e la commozione che questo ha teoricamente implicato per le loro vite. C’è chi dà di più in questo spettacolo mediatico al servizio di una morale priva di polvere e paglia?

Non poche morti ci sono state anche negli insospettabili nascondigli che la povertà è capace di inventare. Santiago Alba Rico, forse l’intellettuale spagnolo più lucido e compromesso con l’attuale e sporca realtà culturale spagnola, ha detto che
i turisti quando viaggiano sono pecore, gli immigrati avventurosi, noi siamo comici nei nostri viaggi e loro epici nei loro spostamenti, i turisti visitiamo, gli immigrati viaggiano, i turisti sono esseri anonimi, gli immigrati concrezioni individuali. Qui c’è la differenza. Ed è un bisogno epico dello spostamento nel capitalismo di ultima generazione e globale quello che ha provocato che, almeno dal 2000, siano morti per asfissia, nascosti nei camion, 357 persone schiacciate dal peso della carica o a causa di incidenti in Albania, Francia, Germania, Grecia, Inghilterra, Irlanda, Italia, Olanda, Spagna e Ungheria. Che 300 persone siano morte affogate nei fiumi che fanno da frontiera tra la Croazia e la Bosnia, Turchia e Grecia, Slovacchia e Austria, Slovenia e Italia. Che altre 112 persone siano morte congelate cercando di attraversare le montagne delle frontiere della Grecia, Turchia, Italia e Slovacchia durante i rigidi inverni scorsi. Il Canale Della Manica accoglie non pochi cadaveri, 30 persone sono morte a Calais cadendo nelle rotaie dell’eurotunnel che unisce le rive della Francia e dell’ Inghilterra. La lista segue come se l’infinito non si sciogliesse: 217 persone, tra le quali si sa che c’erano donne e minori, sono stati uccisi dai militari della Turchia, Grecia, Francia, Germania, Gambia, Egitto, Sahara Occidentale, Libia, Spagna e l’antica Iugoslavia. Nel frattempo, la fiammante Dichiarazione dei Diritti Umani che chiede l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani si stropiccia impassibile. O guarda da un’altra parte.

Ogni anno, la società nordamericana ricorda a New York i suoi morti delle Torri Gemelle. Ancora questa società di facili ricordi e memorie deboli, sta aspettando che le capitali europee evochino i mille di immigrati morti cercando di arrivare alle sue frontiere scappando dal terrorismo globalizzato del capitalismo attuale. Come dice il teologo Fraz Hinkelammer,
quelle migliaia di morti che giacciono nell’anticamera dei nuovi campi di concentramento e deserti in Europa e nel nord d’ Africa sono, senza alcuna esagerazione, il nuovo genocidio strutturale di questa società alla deriva.

Fonte:
http://www.rebelion.org/noticia.php?id=95180

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
Vanesa

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17 novembre 2009

IL SACCHEGGIO DEL PETROLIO IRACHENO


di James Cogan

La concessione fatta lo scorso giovedì (5 nov. NDT) sui diritti per sviluppare l’immenso campo petrolifero di Qurna Ovest, al sud dell’ Iraq, all’ Exxon-Mobil e alla Royal Dutch Shell, sottolinea ancora una volta il carattere criminale della continua occupazione statunitense. Come conseguenza diretta della guerra all’ Iraq, i principali conglomerati energetici statunitensi e transnazionali adesso stanno intensificando il controllo su alcune delle più grandi piattaforme petrolifere del mondo.

Qurna Ovest ha riserve per 8.700 milioni di barili di petrolio. Il totale delle riserve dell’ Iraq attualmente è di 115.000 milioni di barili, anche se ci sono decine di piattaforme potenziali che ancora non sono state esplorate adeguatamente. Prima dell’invasione statunitense nel 2003, il regime baazista di Saddam Hussein aveva concesso i diritti su Qurna Ovest alla petrolifera russa Lukoil. Il regime–burattino pro-statunitense ha proceduto ad annullare tutti i contratti precedenti alla guerra.

Exxon- Mobil, che ha sede negli USA, è il primo gigante petrolifero a beneficiarne. Secondo le condizioni di un contratto di vent’anni, la Exxon-Mobil e la Shell pianificano di aumentare la produzione giornaliera a Qurna Ovest da meno di 300.000 barili a 2,3 milioni di barili al giorno durante i prossimi sei anni. Allo stesso modo il governo iracheno compensa le compagnie per i costi che le migliorie alle piattaforme possono implicare- che possono arrivare fino ai 50 miliardi di dollari- queste pagheranno 1,9 dollari per ogni barile che estrarranno, cioè intorno ai 1.500 milioni di dollari all’anno. La Exxon-Mobil ha una partecipazione dell’ 80 % e la Shell del restante 20 %.

Il contratto è solo il secondo firmato dal regime di Bagdad con compagnie energetiche straniere. Martedì scorso, il governo iracheno ha concluso un accordo con la British Petroleum (BP) e con la China National Petroleum Corp (CNPC), dando loro i diritti allo sfruttamento dell’immenso campo di Rimaila e le sue riserve di 17.000 milioni di barili. BP mantiene una partecipazione di un 38% e CNPC il 37%. Lo scopo è di incrementare la produzione da un milione di barili al giorno a 2,85 milioni, che genereranno profitti per 2.000 milioni di dollari l’anno.

L’unico punto di attrito che hanno incontrato le transnazionali è che i contratti non si basano sul modello postulato dal Production Sharing Agreement (Accordo Di Produzione Condivisa), che concede fino al 40% delle entrate totali di un campo petrolifero. Anche i corrotti individui che compongono il governo iracheno hanno rifiutato di cedere i più grandi campi petroliferi a quelle condizioni. Invece, i patti appaiono classificati come un accordo di “servizio”. Questo ha permesso che il Primo Ministro, Nuri al-Maliki, e il suo Ministro del Petrolio, Hussain al–Shahristani, ignorassero il parlamento ed approfittassero dell’assenza di una legge sugli idrocarburi che regoli l’industria energetica.

Ma ci sono altri accordi sul punto di concludersi. Un consorzio composto dalla compagnia italiana ENI, Occidentale, con sede negli USA, e Kogas, della Corea del Sud, hanno firmato un accordo provvisorio per il campo petrolifero di Zubair, che conta con una riserva di circa 4.000 milioni di barili. Eni, il gigante giapponese Nippon Oil e la firma spagnola Repsol stanno spingendo per avere un campo in Nasiriya che ha riserve di simile grandezza. Al nord dell’ Iraq, la Royal Dutch Shell sta negoziando un contratto per sviluppare aree non ancora sfruttate dell’importante campo di Kirkuk, dal quale si pensa si possa avere una riserva di 10.000 milioni di barili nonostante sia già in produzione dal 1934.

Mentre aspettano condizioni migliori, le compagnie energetiche stanno facendo accordi per migliorare i campi esistenti con la speranza che in questo si trovino in una posizione vantaggiosa quando ci saranno contratti più lucrativi che usino il modello PSA nei 67 campi non sfruttati che saranno messi all’asta quest’anno o il prossimo. Anche se ha portato via più tempo del previsto, i conglomerati energetici importanti hanno deciso che adesso che l’ Iraq è sufficientemente stabile per iniziare a far scaturire denaro ampliando in grande misura la produzione petrolifera del paese. Il primo passo già è stato dato nell’aprire l' industria petrolifera irachena, nazionalizzata nel 1975, agli investimenti stranieri.

Sottolineando il carattere neo-coloniale di questa operazione, due ex alti funzionari degli Stati Uniti dell'amministrazione Bush stanno facilitando operazioni societarie in Iraq. Jay Garner, il primo da parte dell'amministrazione d'occupazione americana in Iraq dopo l'invasione, è consulente per il Canadian Energy Company Vast Exploration, che ha una partecipazione del 37% in un giacimento di petrolio nel nord curdo. Zalmay Khalilzad, ex ambasciatore in Afghanistan, l'Iraq e alle Nazioni Unite, ha installato la sua società di consulenza per le imprese nella città curda di Erbil.

L’invasione e l’occupazione statunitense in Iraq è sempre stata una guerra per le risorse energetiche. Più di un milione di iracheni sono stati massacrati, milioni di feriti e traumatizzati, le sue città infrastrutture distrutte e decine di migliaia di soldati statunitensi morti o feriti, tutto questo perché gli USA ottenessero il controllo ed il dominio delle immense riserve di petrolio in Iraq come parte delle sue vaste ambizioni in Medio Oriente e Asia Centrale.
Gli Stati Uniti non sono riusciti a raggiungere tutti i loro obiettivi dopo la prima Guerra del Golfo nel 1990-91. Il regime di Hussein è rimasto al potere e, nonostante le continue sanzioni delle Nazioni Unite, ha firmato contratti con compagnie come il gigante petrolifero francese Total e Lukoil. Dall'ultimo decennio del secolo scorso, la Russia e le potenze europee hanno fatto pressione perché fossero tolte le sanzioni e queste compagnie potessero raccogliere i profitti. La guerra è diventata per gli Stati Uniti l’unico mezzo per impedire che i loro interessi corporativi venissero tagliati.

I conglomerati energetici statunitensi non si sono limitati ad essere semplici osservatori passivi. Rappresentati di alto livello della Exxon-Mobil, Chevron, Conoco-Philips, BP America e Shell hanno partecipato agli inizi del 2001 a varie negoziazioni con il “Gruppo di Lavoro per l’ Energia” dell’amministrazione Bush, che era capeggiato dal Vicepresidente Dick Cheney. Uno dei documenti che sono stati preparati per le discussioni conteneva una mappa dettagliata dei campi di petrolio, oleodotti e terminali iracheni, e una lista di compagnie estere, non statunitensi, che progettavano di installarsi lì. Un documento di maggio del 2001 di questo gruppo di lavoro affermava, senza giri di parole, l’obiettivo degli Stati Uniti: “Il Golfo sarà il tema principale della politica energetica internazionale degli Stati Uniti”.

Gli attacchi terroristici dell’ 11 settembre del 2001 hanno offerto un pretesto per la guerra. Le bugie sulle armi di distruzione di massa irachene si sono mischiate alle stupidaggini sulle connessioni iracheni con Al-Qaeda. Nel periodo precedente all'invasione, gli esecutivi dell’industria petrolifera si riunirono ripetutamente con i funzionari dell’amministrazione di Bush. Come il Wall Street Journal commentò il 16 gennaio 2003: “Le compagnie petrolifere statunitensi cominciano a prepararsi per il giorno in cui avranno un' opportunità di lavorare in uno dei paesi più ricchi di petrolio del mondo”.

Dopo aver fatto affogare nel sangue al popolo iracheno, l’oligarchia finanziaria e corporativa statunitense crede che quel giorno è finalmente arrivato. Anche se le corporazioni statunitensi non sono le uniche a beneficiare dei contratti, non c’è alcun dubbio che hanno l’ultima parola sul suolo iracheno. Con immense basi militari nel paese e con il regime di Bagdad vincolato a Washington, gli Stati Uniti sono nella posizione di dettare condizioni ai rivali europei e asiatici e, in mezzo alle tensioni tra le grandi potenze, blandire la minaccia di tagliare le forniture di petrolio, una premessa che non è precisamente nuova nella politica strategica statunitense.

Fonte: http://www.wsws.org/articles/2009/nov2009/pers-n11.shtml

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
Vanesa

16 novembre 2009

LO STILE "THATCHER" E' SEMPRE DI MODA


Il governo laburista britannico approva un' ondata di privatizzazioni senza precedenti.

Il primo ministro britannico, Gordon Brown, ha annunciato che il governo venderà attivi per un valore di 16.000 milioni di sterline- circa 17.200 milioni di euro- durante i prossimi due anni per ridurre il deficit pubblico.

Il primo ciclo di privatizzazioni sarà di 3.000 milioni di sterline- 3.200 milioni di euro- e include la compagnia di scommesse Tote, una società specializzata in prestiti agli studenti, il ponte di Dartford, attraverso il quale le macchine attraversano il Tamigi, e la linea dei treni ad alta velocità High Speed One, che attraversa il canale della Manica. I conservatori sono affascinati dal fatto che i laburisti applichino le loro ricette. Dai sindacati affini al laburismo come risposta c’è stato il silenzio.

L’idea è quella di vendere “attivi non finanziari” che sono proprietà del Governo centrale e delle autorità locali, in base all’annuncio di Brown durante un discorso sull' economia nella City- centro finanziario di Londra.
Nel programma figura anche la vendita del 33 % della partecipazione che possiede il Governo in Urenco, un' installazione di arricchimento di uranio destinata a centrali nucleari in tutto il mondo, ma Brown ha indicato che sarà salvaguardata la sicurezza nazionale.

Il Governo britannico spera che il deficit pubblico arrivi ai 175.000 milioni di sterline (circa 192.000 milioni di euro) nei prossimi due anni.
Il capo del Governo ha spiegato che il Regno Unito è a metà strada nel processo di superare la recessione ed ha avvertito che c’è il rischio di entrare in un periodo di depressione se si taglia la spesa pubblica in modo veloce, come invece richiede l’opposizione conservatrice britannica.

Con questi progetti, il primo ministro vuole convincere l’elettorato che il Governo laburista ha programmi alternativi a quelli proposti dai “tories”, che già hanno anticipato che- se arrivano al potere nel 2010- ci sarà una forte riduzione della spesa pubblica per affrontare l'elevato deficit pubblico.

Per Brown è “essenziale” che, insieme al taglio del deficit, si continui con il programma di stimolo fiscale, gli investimenti per l'adeguamento della forza lavoro e di lavorare con l'Europa per migliorare l'economia globale. “C’ è una divisione fondamentale nella politica britannica. Alcune persone ritirerebbero adesso lo stimolo fiscale, in un momento in cui l’economia è ancora in difficoltà, alcuni avranno un sollievo quantitativo (iniezione di denaro nel sistema finanziario) e che rischierebbe di compromettere il recupero ", ha detto.

“Mi batterò nei prossimi mesi, per quello in cui credo. Credo che abbiamo dimostrato di aver fatto bene nell’ultimo anno ristrutturando il sistema bancario e assicurando che c’è una cooperazione internazionale”, ha aggiunto- Per il Primo Ministro, è necessario un piano di riduzione del deficit che sostenga la crescita e l’impiego e non uno che sopprima il recupero prima che sia iniziato.

Il portavoce del Tesoro del Partito Conservatore, Philip Hammod, ha segnalato che Brown con questo annuncio ha cercato “titolari” per salvare il suo futuro politico, dato che i “tories” sono favoriti per vincere le elezioni generali in Gran Bretagna l'anno prossimo.
“Crediamo che vendere attivi per pagare il debito, tenendo in conto lo stato in cui siamo, è una forma sensata di vedere le cose- Ma questo ha a che fare con con il salvataggio del primo ministro-” ha puntualizzato Hammond.

Fonte: http://www.redasociativa.org/elinsurgente/modules.php?name=News&file=article&sid=17823

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di Vanesa

15 novembre 2009

Isabel Pisano: «ARAFAT FU AVVELENATO...»

Quinto anniversario della morte del leader storico dei Palestinesi.

Isabel Pisano con Yasir Arafat

Di Sandro Cruz

Ricordando il quinto anniversario della morte di Yasir Arafat, si pubblica la testimonianza di Isabel Pisano sulla vita dell’uomo che incarnava il combattimento del popolo palestinese. Per molti anni la giornalista latino americana- spagnola e il leader della OLP hanno vissuto in modo discreto una passione amorosa, un amore che ha attraversato il tempo e che è stato testimone di una tragedia storica. Questo libro dà una visione profondamente umana di un personaggio che ha segnato il nostro tempo e che i suoi avversari non hanno mai smesso di diffamare prima di assassinarlo per avvelenamento.


Sandro Cruz:
Isabel Pisano lei è un' importante e famosa giornalista nel suo paese d’adozione (la Spagna) (1). Lei ha mantenuto un contatto privilegiato con Yasir Arafat per motivi professionali (giornalismo) ma anche una relazione sentimentale con lui. Perché gli ha consacrato una bibliografica che è stata pubblicata in francese e in castigliano?

Isabel Pisano:
In vita e principalmente dopo la sua morte, l’insostituibile leader Yasir Arafat è stato calunniato ad oltranza. Ho voluto dare al mondo in generale, anche agli occupanti della Palestina, Iraq e Afghanistan, e senza dimenticare il martoriato Libano, la vera immagine di Abu Ammar (2). E ricordare inoltre che i progetti dei cinque proprietari del mondo non passeranno. Perché per sostituire Yasir Arafat, centinaia di bambini nei territori occupati stanno facendo la fila. E’ un libro utile anche, per i governanti smemorati che accettano passivamente l’olocausto del popolo palestinese.

12 novembre 2009

LA LUNGA OMBRA DEGLI RFID

di Marco Cedolin e Alba kan

Sempre più spesso negli ultimi anni le parole chip o R-Fid (la sigla significa Radio Frequency Identification Devices) stanno entrando prepotentemente nelle nostre vite, spesso passando dal buco della serratura, contenute nell’ambito di progetti ed iniziative apparentemente innocue e finalizzate a migliorare la qualità della nostra vita. La questione risulta comunque ancora sconosciuta ai più e viene spesso relegata nel novero degli argomenti di natura fantascientifica trattati dai “complottisti”, nonostante questi piccolissimi oggetti super tecnologici siano oramai ovunque e negli ultimi anni ci sia stata una vera e propria invasione, riguardo alla quale non siamo stati informati, costringendoci di fatto a subire l’imposizione di qualcosa che non conosciamo.

WIKIPEDIA: UNA BIBLIOTECA LIBERA?

di Carlos Martinez
El viejo Topo

L’enciclopedia che si è sviluppata grazie agli sforzi degli utenti di internet, soffre una crisi di credibilità. Il considerevole aumento delle sue entrate economiche grazie alle donazioni di fondazioni d’ispirazione neoliberali come quella di George Soros e di multinazionali come la Microsoft, insieme ai metodi abusivi da parte dell' elite del suo volontariato, hanno trasformato la biblioteca in un altro strumento di propaganda del “pensiero unico”.

Nel 1985, Richard Stallman, ha elaborato insieme ad altri collaboratori il “Manifesto Gnu”, nel quale si stabilivano i principi di una nuova forma di produzione di software basato sullo “spirito di cooperazione che prevalse nei periodi iniziali degli utenti di computer”. Quello stesso anno si è creato la Free Software Foundation (Fondazione per il Libero Software- FSF) che sarebbe l’incaricata di vegliare affinchè il software GNU rimanga libero in modo che tutti gli utenti potessero “consultarlo, copiarlo, modificarlo e distribuirlo”. Il progetto GNU, ha ricevuto un impulso significativo, quando l’informatico finlandese Linus Torvads donò il codice sorgente di Linux, un sistema operativo interamente libero. In ogni caso, senza la diffusione d’internet non sarebbe stata possibile l’esistenza, oggi, di mille di programmi con codici aperti che si sviluppano in una comunità di utenti di qualsiasi parte del mondo. L'indubbio successo di Gnu/Linux è dovuto al fatto che questo modello associativo è riproducibile in altri campi. L' era della digitalizzazione ha reso possibile che gran parte della nostra cultura possono essere memorizzati in codice binario e, di conseguenza, generare e distribuire attraverso internet.

11 novembre 2009

ACQUA PRIVATA


di Marco Cedolin

L’acqua, insieme all’aria che respiriamo e al cibo, rappresenta uno degli elementi indispensabili per la nostra sopravvivenza. La possibilità di accedere all’acqua potabile per bere e cucinare costituisce un bisogno primario il cui soddisfacimento dovrebbe essere garantito a qualsiasi essere umano, ma anche la disponibilità di risorse idriche da usare per l’igiene personale e l’agricoltura si rivela indispensabile per garantire una vita dignitosa e la sopravvivenza delle comunità.
Nonostante ciò la disponibilità di acqua a livello mondiale sta continuando a diminuire e proprio l'accesso all'acqua sembra destinato a diventare uno dei più potenti strumenti di speculazione per multinazionali senza scrupoli.

10 novembre 2009

LA DITTATURA DEI BANCHIERI



di Luis Alsò


“Il potere politico reale è esercitato a livello mondiale da un piccolo gruppo di individui senza scrupoli che si trovano negli USA, un paese governato da dirigenti di società segrete, che coincide con il fatto che sono i padroni delle sei banche principali. Questo piccolo gruppo dirigente costituisce il cervello che domina il mondo”
Luois De Brouwer, consulente dell’ ONU-UNESCO.

Nelle manifestazioni dello sciopero generale dello scorso 19 marzo in Francia, il manifesto principale recitava: “Il popolo prima dei banchieri”. Negli Stati Uniti, la furia popolare si è scatenata fino al punto di consigliare ai dirigenti bancari e dell’ AIG di non uscire per strada con nulla che possa identificarli. In Inghilterra si è anche scatenata la caccia al banchiere: Fred Goodwin, consigliere delegato della Royal Bank of Scotland, si trova in un domicilio sconosciuto, dopo essere stato minacciato. Il popolo, impoverito ed arrabbiato, comincia ad identificare il nemico.

I cittadini assistono stupefatti allo spettacolo di qualche governante che consuma fondi pubblici per salvare una banca che non risponde di fronte a loro, nè di fronte a nessuno, sul destino del denaro che ricevono; dei governanti che sembrano impotenti o rassegnati di fronte a ciò. Il motivo di questa paralisi- sottomissione è perché, nella sua immensa maggioranza, sono messi lì da loro, che li coopta o finanzia le loro campagne elettorali (Sarkozy e Gordon Brown sono protetti dalla Banca Rostchild; e Obama è praticamente rapito da Wall Street); i pochi che restano sono strettamente “controllati”. Sono i governi, quindi, quelli che rispondono alle banche e non il contrario. D’altra parte, le banche centrali, teoricamente indipendenti, sono, in realtà, tentacoli del clan bancario per consolidare il loro potere mondiale, e non rispondono a nessuno nè sono eletti democraticamente (l’analista messicano Alfredo Jalife Rhame si riferisce a loro come “la dittatura centralbancaria”)

Non esiste nelle costituzioni nè nei programmi elettorali dei paesi con un’ economia di mercato nessuna legge o principio che dica che qualsiasi azienda privata può fallire con eccezione delle grandi banche, dato che- qualsiasi cosa abbiano fatto- “sono troppo importanti per farli cadere”. Una dichiarazione simile supporrebbe un’arbitrarietà ed una vulnerabilità delle regole di questa economia di mercato, salvo che si considerassero le banche riscattate come aziende semi-pubbliche, sotto controllo, quindi, dello Stato; ma nel neoliberismo la nazionalizzazione della banca è, per principio, esclusa. Ma lo slogan- non dichiarato- “prima la banca” è stato una regola d’oro dietro il comportamento di tutti i governi occidentali che saccheggiano senza pudore i fondi pubblici (non dovrebbero essere perseguiti per appropriazione indebita?) come se il salvataggio delle banche private costituisse una priorità sopra qualsiasi altro problema economico o sociale. Le reticenze per salvare la General Motors, azienda emblematica dell’ industria statunitense, contrastano con l’aiuto immediato e incondizionato ricevuto da Citibank, esempio perfetto di banster (banca gangster). Questo ingiusto salvataggio dei carnefici con denaro delle vittime, lasciando queste nel più completo abbandono, non ha precedenti nella storia delle moderne democrazie e svela che i governi neoliberali sono semplici strumenti di una, fino ad ora, camuffata, dittatura dei Banchieri (con maiuscola per riferirci alla grande banca, dato che la piccola viene assorbita da questa).

Il credito bancario accessibile è fondamentale per il funzionamento dell’economia produttiva capitalista. Il suo taglio brusco e prolungato- e l’inoperatività dei governi- sta lasciando migliaia piccole e medie aziende fallite e milioni di lavoratori disoccupati. Quando, dopo un lungo riscatto- la Banca d’ Inghilterra prevede una decade di risacca bancaria- il flusso tornerà, saranno sariti molti di quelli che ne avevano bisogno ed i danni economici e sociali saranno saranno sostanziali e irreversibili. La recente riunione del G-20 che, presidiata da coloro che hanno creato la crisi (la volpe che protegge le galline!) si auto arroga la rappresentazione del pianeta, mantiene il principio “prima la banca” tra le altre misure per, previo trucco, rivitalizzare il sistema e impoverire ulteriormente il popolo. Come Lyndon Larouche dice, le ricette del G-20 “finiscono con il paziente”. Tutto questo giustifica il qualificato Juan Torres Lopez di “ crimine contro l’umanità” applicato a questa politica.

Un po' di storia.

Il titolo di questo articolo corrisponde a dichiarazioni fatte più di un decennio fa. Però, nonostante il fallimento di Lehaman Brothers (piuttosto una strategica “demolizione controllata”) e l’assorbimento di Merrill Lynch, non ha perso nulla: il clan dei grandi banchieri continua ad essere, basicamente, lo stesso; e l' oscura setta Bildelberg pguidata da loro, viene segnalata come “governo mondiale nell’ombra”. Recentemente Daniel Kaufman e Simon Johnson, ex economisti rispettivamente della Banca Mondiale e dell’ FMI, denunciavano un “colpo di Stato” della banca statunitense, che nell’ ultimo decennio ha corrotto i politici perché evitassero qualsiasi regolamentazione o controllo delle loro attività, favorendo l’apparizione di bolle speculative. Ma la storia di questo “golpe” viene da molto lontano.

Bisogna ritornare alla nascita della FED nel 1913, un' associazione di banche private che riesce ad avere il regime di importanti monopoli che erano prerogativa dello Stato. In precedenza, nel XIX secolo, la famiglia europea dei Rotschild era sbarcata negli USA per associarsi con John Rockefeller I e formare una potente lobby di grandi banchieri e industriali del paese. A inizio del XX secolo questo clan aveva installato lì diverse succursali di quello che chiamarono la Federal Reserve Banks (conosciuta come la FED), una associazione di banche private con una tale capacità di far pressione che in quell’anno ottenne l’autorizzazione del presidente Woodrow Wilson l’autorizzazione per emettere in esclusiva carta moneta con garanzia dello Stato e gestire ogni tipo d’interessi. Si dice che ogni presidente che ha cercato di cambiare questa insolita situazione è morto nell’intento. Quando, dopo la seconda guerra mondiale il dollaro sostituì l’oro diventando la moneta–standard, il potere economico- finanziario di questo gruppo di banchieri privati si espande a livello internazionale. Questo potere si moltiplica fino a diventare nella cima del potere capitalista mondiale quando, a partire dalla crisi degli anni '70, l’economia finanziaria si liberalizza (consenso di Washington) e il capitale finanziario passa a dominare tutta l’economia produttiva.

Come accennato in un altro lavoro, ogni potere economico finisce per convertirsi in un potere politico. In stretta alleanza con il potente complesso industriale-militare, la FED, in effetti, ha finito per controllare la politica interna ed estera della potenza più grande del mondo: gli Stati Uniti d’America. Già nel XIX secolo lo prediceva, con profetica lucidità, uno dei padri della patria nordamericana, Thomas Jefferson, quando, alla vista degli intrighi dei banchieri, avvisava: “Penso che le istituzioni bancarie siano più pericolose per le nostre libertà che interi eserciti pronti a combattere. Se il popolo americano permetterà un giorno che le banche private controllino la loro moneta, le banche e tutte le istituzioni che nasceranno intorno ad essi priveranno le persone di ogni possedimento, prima per mezzo dell’inflazione, seguita dalla recessione, fino al giorno in cui i loro figli si sveglieranno senza casa e senza un tetto sulla terra che i loro padri conquistarono”. Siamo in questa situazione: milioni di statunitensi dormono in tende o nelle macchine nelle lontananze dalle grandi città.

Per disarmare la dittatura

Come se si trattasse di un anti-Robin Hood, il G-20 cerca, con le sue ricette, di perpetuare la suzione criminale della ricchezza dal basso verso l'alto; cioè, rubare ai poveri per aiutare i ricchi. Questo finirà per portarci, come dicono alcuni analisti, ad una situazione neofeudale: tutti i diritti e tutto il potere economico concentrato in poche mani che sottomettono alla servitù all’immensa maggioranza della umanità. Credono di poter affogare la prevedibile ribellione con tecniche sofisticate di controllo sociale ed eliminando una buona parte di essa con un “caos controllato”. Di fronte a questi nuovi signori feudali- i quali, come quelli del Medio Evo, sono anche “signori della guerra”- portino a fine i loro criminosi propositi e consolidino la loro dittatura, dobbiamo far cadere i pilastri su cui il loro potere si basa.
Questi pilastri sono cinque: l' eradicazione delle banche pubbliche, la rete delle banche centrali pseudo-indipendenti, i paradisi fiscali, lo standard del dollaro e, in ultima istanza, il potere militare.

Cominciamo con quelli più problematici: i paradisi fiscali sono stati oggetto di una condanna formale durante l’ultimo summit del G-20, ma, nella pratica, continueranno a funzionare nei centri del potere finanziario, gli Stati Uniti ed l' Inghilterra. Ma, la coscienza del suo carattere criminale si estende nel mondo e, se persistiamo nella sua denuncia, sarà sempre più difficile continuare ad operare con essi. Per quanto riguarda il dollaro, attraversa anche una profonda crisi (la Cina allarmata ha chiesto di sostituirlo con “diritti speciali di prelevamento”, dell’ FMI al G-20) e, alla lunga, il suo ruolo è insostenibile per la mancanza di copertura e la proliferazione delle monete regionali o altri mezzi di scambio. Alcuni analisti- come il citato Jalife Rhame- pensano che la banca “anglosassone–israeliana” scatenerebbe una terza guerra mondiale se vedesse l’egemonia del dollaro direttamente minacciata. Tuttavia, questo era inevitabile, con la disumana mentalità di questi banchieri-guerrieri. Come dice Danielle Bleitrach, commentando un lavoro di Remy Herrera sul giornale Afrique-Asie “le dimensioni economiche e militari della crisi sono strettamente legate: la guerra aggrava gli squilibri dell’economia statunitense che l' alta finanza cerca di compensare attraverso il saccheggio e la guerra perpetua…..”

Più fattibile, in modo immediato, sarebbe un’offensiva contro gli altri due pilastri, a partire con la rivendicazione di una banca pubblica senza scopo di lucro e democraticamente controllata. Come dicevamo inizialmente, la consapevolezza della responsabilità della banca privata rispetto alla grave crisi che attraversiamo si estende in tutti i paesi occidentali. L’indignazione non è circoscritta solo alle classi popolari ma anche ai piccoli e medi imprenditori, vittime dirette del taglio del credito. Anche se, prevedibilmente, i governanti presenteranno una tenace resistenza, non potrebbero mantenerla per molto tempo, dato che, man mano che aumenta la penuria, la pressione sociale li sopraffarebbe: si tratta semplicemente di esigere che il denaro delle nostre tasse venga in nostro aiuto e non in quello delle odiate banche. Si tratta, come dice Micheal Husson, di rivendicare il credito come un servizio pubblico. Il raggiungimento di questo obiettivo- per il quale bisognerebbe organizzare e mettere in azione tutte le forme di mobilitazione cittadina- sarebbe un siluro alla linea di galleggiamento della dittatura dei Banchieri. Faciliterebbe, inoltre, l’offensiva contro le banche centrali “indipendenti”, con le quali una banca nazionalizzata diventerebbe incompatibile; e, più tardi, contro i paradisi fiscali e le spese militari. Nell' UE questa mobilizzazione dovrebbe farsi su due fronti, quello nazionale e quello europeo; per tentare un coordinamento dopo con gli USA, dove l’indignazione cittadina è maggiore.

Recentemente l’ex congressista ed ex candidato presidenziale Ron Paul, uno dei pochi politici statunitensi che si è pronunciato per la chiusura della FED, affermando che è un' organizzazione segreta istituzionale: “Ci avviciniamo non ad un fascismo hitleriano, ma ad un altro di apparenza molto più soft, che si manifesta con la perdita graduale delle libertà civili, dove le corporazioni dirigono il tutto….ed il governo è nello stesso letto con il grande denaro”. Ha mancato di sottolineare una somiglianza con l'hitleriano: una fiducia cieca nella sua tenebrosa “agenda occulta”, questo neo-fascismo sogna anche con un impero che dura da mille anni. Ma come quello- e come tutti gli imperi- ci porterà, se non lo disarmiamo, ad uno scenario di barbarie e di distruzione.

Fonte: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=94518&titular=la-dictadura-de-los-banqueros-

Traduzione perVoci Dalla Strada di VANESA

Video correlati:
Ron Paul: Governo Mondiale & Banche Centrali
CLEARSTREAM: La Scatola Nera Delle Banche

9 novembre 2009

THOMAS SANKARA: DISCORSO SUL DEBITO




Discorso di Sankara sul debito all’Organizzazione per l’Unità Africana del 29 luglio 1987


[...]Perciò vorrei proporre, Signor presidente,
che stabilissimo dei livelli di sanzione per i capi di stato che non rispondono all’appello.
Facciamo in modo che attraverso un sistema di punti di buona condotta, quelli che vengono regolarmente, come noi, per esempio, possano essere sostenuti in alcuni dei loro sforzi.

Per esempio: ai progetti che presentiamo alla Banca africana di sviluppo deve essere attribuito un coefficiente di africanità.

I meno africani saranno penalizzati.
Così tutti verranno alle riunioni qui.

[Il presidente del CNR e del Burkina Faso parla ora del problema del debito dei paesi africani.]

Noi pensiamo che il debito si analizza prima di tutto dalla sua origine.

Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo.


Quelli che ci hanno prestato denaro, sono gli stessi che ci avevano colonizzato.

Sono gli stessi che gestivano i nostri stati e le nostre economie.


Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i finanziatori internazionali che erano i loro fratelli e cugini.

Noi non c’entravamo niente con questo debito.
Quindi non possiamo pagarla.

Il debito è ancora il neocolonialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici anzi dovremmo invece dire "assassini tecnici".

Sono loro che ci hanno proposto dei canali di finanziamento, dei "finanziatori".


Un termine che si impiega ogni giorno come se ci fossero degli uomini che solo "sbadigliando" possono creare lo sviluppo degli altri (gioco di parole in francese sbadigliatore/finanziatore).


Questi finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati.

Ci hanno presentato dei dossier e dei movimenti finanziari allettanti.


Noi ci siamo indebitati per 50, 60 anni e più.

Cioè
siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per 50 anni e più.

Il debito nella sua forma attuale,
controllata e dominata dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee.

In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l’obbligo di rimborso.

Ci dicono di rimborsare il debito.
Non è un problema morale.

Rimborsare o non rimborsare non è un problema di onore.


Signor presidente: abbiamo prima ascoltato e applaudito la primo ministro norvegese intervenuta qui.

Ha detto, lei che è una europea, che il debito non può essere rimborsato tutto.


Il debito non può essere rimborsato prima di tutto perché
se noi non paghiamo, i nostri finanziatori non moriranno, siamone sicuri.
Invece se paghiamo, noi moriremo, siamone ugualmente sicuri.


Quelli che ci hanno condotti all’indebitamento hanno giocato come al casinò.
Finché guadagnavano non c’era nessun dibattito ; ora che perdono al gioco esigono il rimborso.
E si parla di crisi.
No, Signor presidente.

Hanno giocato, hanno perduto, è la regola del gioco.
E la vita continua.

Non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare.
Non possiamo rimborsare il debito perché non siamo responsabili del debito.

Non possiamo pagare il debito perché, al contrario, gli altri ci devono ciò che le più grandi ricchezze non potranno mai ripagare: il debito del sangue.

E’ il nostro sangue che è stato versato.

Si parla del Piano Marshall che ha rifatto l’Europa economica.

Ma non si parla mai del Piano africano che ha permesso all’Europa di far fronte alle orde hitleriane quando la sua economia e la sua stabilità erano minacciate.

Chi ha salvato l’Europa?
E’ stata l’Africa.
Se ne parla molto poco.
Così poco che noi non possiamo essere complici di questo silenzio ingrato.

Se gli altri non possono cantare le nostre lodi, noi abbiamo almeno il dovere di dire che i nostri padri furono coraggiosi e che i nostri combattenti hanno salvato l’Europa e alla fine hanno permesso al mondo di sbarazzarsi del nazismo.


Il debito è anche conseguenza degli scontri.

Quando ci parlano di crisi economica, dimenticano di dirci che
la crisi non è venuta all’improvviso.
La crisi è sempre esistita e
si aggraverà ogni volta che le masse popolari diventeranno più coscienti dei loro diritti di fronte allo sfruttatore.

Oggi c’è crisi perché le masse rifiutano che le ricchezze siano concentrate nelle mani di qualche individuo.

C’è crisi perché qualche individuo deposita nelle banche estere delle somme colossali che basterebbero a sviluppare l’Africa.

C’è crisi perché di fronte a queste ricchezze individuali che si possono nominare, le masse popolari si rifiutano di vivere nei ghetti e nei bassi fondi.

C’è crisi perché i popoli rifiutano dappertutto di essere dentro Soweto di fronte a Johannesburg.

C’è quindi lotta, e
l’esacerbazione di questa lotta preoccupa chi ha il potere finanziario.
Ci si chiede oggi di essere complici della ricerca di un equilibrio.


Equilibrio a favore di chi ha il potere finanziario.
Equilibrio a scapito delle nostre masse popolari.

No! Non possiamo essere complici.

No! Non possiamo accompagnare quelli che succhiano il sangue dei nostri popoli e vivono del sudore dei nostri popoli nelle loro azioni assassine.

Signor presidente: sentiamo parlare di club – club di Roma, club di Parigi, club di dappertutto.
Sentiamo parlare del Gruppo dei cinque, dei sette, del Gruppo dei dieci, forse del Gruppo dei cento o che so io.
E’ normale che anche noi creiamo il nostro club e il nostro gruppo.
Facciamo in modo che a partire da oggi anche Addis Abeba diventi la sede, il centro da cui partirà il vento nuovo del Club di Addis Abeba.
Abbiamo il dovere di creare oggi il fronte unito di Addis Abeba contro il debito.
E’ solo così che potremo dire oggi che rifiutando di pagare non abbiamo intenzioni bellicose ma al contrario intenzioni fraterne.


Del resto le masse popolari in Europa non sono contro le masse popolari in Africa.
Ma quelli che vogliono sfruttare l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa. Abbiamo un nemico comune.
Quindi il club di Addis Abeba dovrà dire agli uni e agli altri che il debito non sarà pagato.

Quando diciamo che il debito non sarà pagato non vuol dire che siamo contro la morale, la dignità, il rispetto della parola.
Noi pensiamo di non avere la stessa morale degli altri.
Tra il ricco e il povero non c’è la stessa morale.

La Bibbia, il Corano, non possono servire nello stesso modo chi sfrutta il popolo e chi è sfruttato.

C’è bisogno che ci siano due edizioni della Bibbia e due edizioni del Corano.

Non possiamo accettare che ci parlino di dignità.

Non possiamo accettare che ci parlino di merito per quelli che pagano e perdita di fiducia per quelli che non pagano.

Noi dobbiamo dire al contrario che è normale oggi che si preferisca riconoscere che
i più grandi ladri sono i più ricchi.

Un povero, quando ruba, non commette che un peccatucolo per sopravvivere e per necessità.
I ricchi, sono loro che rubano al fisco, alle dogane.
Sono loro che sfruttano il popolo.
Signor presidente: non è quindi provocazione o spettacolo.
Dico solo ciò che ognuno di noi pensa e vorrebbe.

Chi non vorrebbe qui che il debito fosse semplicemente cancellato?

Quelli che non lo vogliono possono subito uscire, prendere il loro aereo e andare subito alla Banca Mondiale a pagare!

Lo vogliamo tutti!

Non vorrei poi che si prendesse la proposta del Burkina Faso come fatta da "giovani", senza maturità e esperienza.

Non vorrei neanche che si pensasse che solo i rivoluzionari parlano in questo modo.

Vorrei semplicemente che si ammettesse che è una cosa oggettiva, un obbligo.

E posso citare tra quelli che dicono di non pagare il debito dei rivoluzionari e non, dei giovani e degli anziani.

Per esempio Fidel Castro ha già detto di non pagare.

Non ha la mia età, anche se è un rivoluzionario.
Ma posso citare anche François Mitterrand che ha detto che i Paesi africani non possono pagare, i paesi poveri non possono pagare.
Posso citare la signora Primo Ministro (di Norvegia).
Non conosco la sua età e mi dispiacerebbe chiederglielo È solo un esempio.

Vorrei anche citare il presidente Félix Houphouët Boigny
Non ha la mia età, eppure ha dichiarato pubblicamente Che almeno il suo Paese, la Costa d’Avorio, non può pagare.
Ma la Costa d’Avorio è tra i paesi che stanno meglio in Africa, almeno nell’Africa francofona.
(E’ per questo d’altronde che è normale che paghi un contributo maggiore qui...)
Signor Presidente la mia non è quindi una provocazione.

Vorrei che molto saggiamente lei ci offrisse delle soluzioni.

Vorrei che la nostra conferenza adotti la necessità di dire chiaramente che noi non possiamo pagare il debito.

Non in uno spirito bellicoso, bellico.

Questo per evitare che ci facciamo assassinare individualmente.

Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il debito, non sarò qui alla prossima conferenza!

Invece, col sostegno di tutti, di cui ho molto bisogno, col sostegno di tutti potremo evitare di pagare... consacrando le nostre magre risorse al nostro sviluppo.

E vorrei terminare dicendo che ogni volta che un paese africano compra un’arma è contro un africano.

Non contro un europeo, non contro un asiatico.
E’ contro un africano.

Perciò dobbiamo anche,
nella scia della risoluzione sul problema del debito, trovare una soluzione al problema delle armi.
Sono militare e porto un’arma.

Ma Signor presidente, vorrei che ci disarmassimo.

Perché io porto l’unica arma che possiedo.

Altri hanno nascosto le armi che pure portano.
Allora, cari fratelli, col sostegno di tutti, potremo fare la pace a casa nostra.
Potremo anche usare le sue immense potenzialità per sviluppare l’Africa perché il nostro suolo e il nostro sottosuolo sono ricchi.

Abbiamo abbastanza braccia e un mercato immenso, da Nord a Sud, da Est a Ovest.

Abbiamo abbastanza capacità intellettuali per creare, o almeno prendere la tecnologia e la scienza in ogni luogo dove si trovano.

Signor presidente: facciamo in modo di realizzare questo fronte unito di Addis Abeba contro il debito.

Facciamo in modo che a partire da Addis Abeba decidiamo di limitare la corsa agli armamenti tra paesi deboli e poveri.

I manganelli e i coltellacci che compriamo sono inutili.

Facciamo in modo che il mercato africano sia il mercato degli africani.

Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa.

Produciamo quello di cui abbiamo bisogno e consumiamo quello che produciamo, invece di importarlo.

Il Burkina Faso è venuto ad esporvi qui la cotonnade, prodotta in Burkina Faso, tessuta in Burkina Faso, cucita in Burkina Faso per vestire i burkinabé.

La mia delegazione ed io stesso siamo vestita dai nostri tessitori, dai nostri contadini.

Non c’è un solo filo che venga d’Europa o d’America.
Non faccio una sfilata di moda ma vorrei semplicemente dire che dobbiamo accettare di vivere africano.

E’ il solo modo di vivere liberi e degni.

La ringrazio Signor presidente.
La patria o la morte, vinceremo!


Traduzione di Antonio Mele


Fonte: http://www.thomassankara.net/

PRIMI DECESSI CAUSATI DAL VACCINO H1N1: I MEDIA TACCIONO!

Un messaggio da condividere, spedire per mail, stampare e diffondere

La tossicità del vaccino contro l’influenza suina ha già causato le prime morti

L’Unione europea ha messo fuorilegge i termometri al mercurio, perché il mercurio è una sostanza altamente tossica eppure …i governi europei hanno acquistato decine di milioni di dosi di vaccino contro l’influenza suina contenente mercurio come conservante!

Il mercurio causa gravi danni al sistema nervoso ed al sistema immunitario! Se avete un computer collegato ad internet guardate come questa giovane ragazza è stata ridotta dal vaccino http://www.youtube.com/watch?v=oGT0r-udstQ.

Inoltre il vaccino contiene lo squalene, sostanza che iniettata nel corpo umano causa gravissimi danni al sistema immunitario fino a generare complicanze mortali. Un vaccino contenente squalene ha causato circa 160.000 casi di “sindrome del Golfo” quando è stato iniettato ai soldati statunitensi partiti per la guerra in Iraq nel 1991: esso ha causato 30.000 casi gravi e migliaia di morti - vedi http://en.wikipedia.org/wiki/Gulf_War_syndrome

Non desta stupore che, appena iniziata la campagna di vaccinazione in Svezia sono morte 4 infermiere dopo avere ricevuto la vaccinazione contro l’influenza suina. Ovviamente giornali e televisioni nazionali tacciono queste inquietanti notizie mentre mettono in evidenza le morti di persone già gravemente malate che muoiono in seguito all’influenza suina, dimenticando di dire che ogni anno di casi come questi ce ne sono stati migliaia causati dalle normali influenze. La mortalità dell’influenza suina è infatti molto bassa.

Intanto in Germania le forze armate, i ministri e le altre persone appartenenti all’élite governativa riceveranno un vaccino senza quelle sostanze pericolose a differenza della popolazione; il veleno è per noi, per il popolo?

A che servono i vaccini per l’influenza se già da 10 anni i dottori Gorton e Jarvis hanno dimostrato che la vitamina C è molto più efficace dei vaccini nel prevenire l’influenza e nel mitigarne i sintomi (tre dosi da un grammo al giorno per un adulto a livello preventivo, un grammo ogni ora per sei ore per mitigare i sintomi dell'influenza)?

Vedi “The effectiveness of vitamin C in preventing and relieving the symptoms of virus-induced respiratory infections” (Manipolative Physiol Ther, ottobre 1999 vol 22 (8), pag 530-533, il cui sunto è reperibile al sito http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10543583?dopt=AbstractPlus)

A che servono se il Dott. John Cannell (medico di un manicomio criminale) è riuscito a preservare i suoi pazienti da un violento attacco d’influenza che aveva colpito tutti gli altri reparti nell'aprile 2005? Nessuno dei suoi 32 pazienti ha contratto quella forma influenzale, nonostante avessero contatti anche con gli altri reclusi. Cannell ha somministrato ai suoi pazienti nei mesi invernali un supplemento di 5.000 unità di vitamina D.

Vedi http://sottovoce360.blogspot.com/2007/09/la-verit-sullinfluenza.html

L’assunzione di integratori di vitamina C e D renderebbe di fatto inutile una qualsiasi vaccinazione anti-influenzale con la differenza che tra gli effetti collaterali del vaccino vi è lo sviluppo di malattie croniche e persino mortali.

Maggiori informazioni sono reperibili sul dossier presente su internet all’indirizzo
http://scienzamarcia.altervista.org/suina.html

Fonte: http://scienzamarcia.blogspot.com/2009/11/un-messaggio-da-condividere-spedire-per.html

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BUGIE E DISINFORMAZIONE IN RELAZIONE ALL'INFLUENZA SUINA
CIRCA L'AFFARE DELL'INFLUENZA A...
H1N1:
4 infermiere morte e centinaia di ricoveri in Svezia in seguito al vaccino

8 novembre 2009

LA FAME COLPISCE ANCHE CHI HA LA PANCIA PIENA


di Paul Virgo

Chiedete agli esperti dell’alimentazione se la lotta contro la fame è nell'interesse di chi ha la pancia piena nei paesi ricchi, e vi risponderanno di sì. Ma chiedetegli se è il caso di informarli in merito, e probabilmente vi risponderanno “forse no”.


Ci sono tanti motivi per cui anche chi non versa in situazioni di insicurezza alimentare la dovrebbe considerare un problema, perfino al netto di considerazioni morali sulla giustizia sociale.
Il motivo più evidente è che, generando disperazione, la fame diviene fonte di conflitti e una minaccia per la sicurezza di ognuno.

"Si fa leva sul terrorismo e sulla sicurezza nazionale: laddove si vive nella miseria e nella fame, il terreno è fertile per reclutare terroristi", ha osservato David Dawe, economista senior alla sede romana dell’agenzia ONU per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO).

"Il tema è forte".
Anche Josette Sheeran, capo del Programma Alimentare Mondiale (PAM/WFP), un’altra agenzia ONU con sede a Roma, ritiene che lo stomaco vuoto sia foriero di guai. "Un mondo affamato è un mondo pericoloso" aveva dichiarato la Sheeran alcuni mesi fa alla stampa. "Senza cibo, rimangono solo tre possibilità: rivolta, emigrazione o morte. Nessuna delle tre è accettabile".

Anche se si tratta di “argomentazioni forti” che dovrebbero indurre le nazioni potenti a darsi da fare, le loro implicazioni innervosiscono alcune ONG che si occupano di lotta alla fame. Alcune arrivano addirittura a rifiutarle.
"Non me la bevo questa storia, che se non facciamo ciò che è giusto quelli vengono qui da noi e ci rovinano la vita", ci ha detto John Hilary, direttore esecutivo del gruppo londinese anti-povertà War on Want. "È una posizione troppo vicina a quella dell’estrema destra e del British National Party".

Per Oxfam International, la prospettiva autoreferenziale ha sì un fondamento, ma teme si presti alle manipolazioni di alcuni gruppi dei paesi industrializzati per frenare l’immigrazione e le importazioni dai paesi in via di sviluppo.
"È pur vero che debellare la fame è negli interessi del mondo industrializzato, ma il messaggio mi sembra un po’ controverso", ha dichiarato Teresa Cavero, capo dipartimento di ricerca della sede spagnola di Oxfam.

"Alla luce della crisi economica e della tentazione di serrare le maglie del protezionismo, potrebbe risultare una lama a doppio taglio. Per esempio, si potrebbe dire che stimolando la crescita nei paesi in via di sviluppo la gente avrà più opportunità di lavoro nel proprio paese e quindi la migrazione sarà minore. In parte è vero, ma non significa che l’immigrazione in sé sia negativa".
È anche vero che nonostante decenni di tentativi di responsabilizzare il mondo industrializzato sulla necessità di sradicare la fame in quanto obiettivo di giustizia sociale, i risultati non sono eclatanti.

Potremmo addirittura affermare che il mondo industrializzato riterrà necessario impegnarsi nella lotta alla fame solo quando questo tema avrà scalato l’agenda politica internazionale. Un’impennata che potrebbe verificarsi solo se l’insicurezza alimentare diventasse per gli elettori dei paesi più ricchi un problema che è nel loro interesse risolvere.
"Preferisco la parte del messaggio legata alla giustizia, ma è vero che il mondo industrializzato ha tutto l’interesse a debellare la fame, pertanto qualsiasi motivazione riesca a smuovere i paesi industrializzati, va bene", ha detto Cavero.

"Per prima cosa, i governi e gli abitanti dei paesi industrializzati devono conoscere la portata del problema. Oggi sempre più persone soffrono la fame; le stime diffuse dal WFP parlano di
oltre un miliardo di persone che soffre la fame nel mondo. Sono cifre vergognose". Se da un lato è la paura a far saltare sulla sedia i ben pasciuti, Dawe individua il secondo motivo nel denaro: "Da un punto di vista economico, se i paesi poveri superano la fame e la povertà, divengono un enorme bacino di potenziale domanda di prodotti del primo mondo".

Cavero è d’accordo: "Alla Oxfam sappiamo bene che peso può avere il commercio sullo sviluppo economico, se condotto secondo regole eque - che al momento non ci sono - e con mercati forti e trasparenti. Una crescita sana comporterebbe un miglioramento generale del welfare, con benefici sia per il sud che per il nord del mondo.
"Il nord ha tutto l’interesse a eliminare la fame nel sud del mondo, poiché essa incide sull’economia globale.

Un sud non più ridotto alla fame può attivarsi per il proprio sviluppo. Ma per superare la povertà, prima bisogna sconfiggere la fame; solo allora si può prendere parte all’economia globale. La fame è un peso morto troppo oneroso per consentire il welfare".
Secondo Cavero, evidenziare la connessione tra la sicurezza alimentare e la minaccia del cambiamento climatico è un ulteriore incentivo per smuovere i paesi industrializzati. Infatti, se i paesi in via di sviluppo cercheranno di eliminare la povertà e la fame seguendo il modello di sfruttamento intensivo delle risorse diffuso nel nord, si avrà un ulteriore innalzamento delle temperature in tutto il pianeta.

"Il modo per raggiungere un accordo e avviare l’intervento sui cambiamenti climatici passa prima attraverso l’accertamento che i paesi poveri, quelli dove povertà e fame si concentrano soprattutto tra comunità agricole indigenti, gestiscono la sicurezza alimentare in maniera sostenibile. Così - ha continuato Cavero - potremo poi implementare politiche atte ad evitare una catastrofe planetaria”.
"Questo obiettivo è raggiungibile attraverso un modello di agricoltura sostenibile.

Abbiamo ancora la possibilità di ribilanciare il tutto globalmente e raggiungere una situazione tre volte vincente: una vittoria sul piano della sicurezza alimentare, una nei cambiamenti climatici e una nella sostenibilità sociale, economica e ambientale".
Dawe ritiene che il mondo industrializzato trarrebbe beneficio dal contributo alla scienza e alla cultura dato dalle persone affrancate dall’insicurezza alimentare. "Viviamo in un mondo interdipendente. La conoscenza oggi si crea grazie al contributo e alle visioni di tutti”, dice.

"Quante più persone intelligenti si dedicano alla soluzione di un problema, che sia l’AIDS piuttosto che il surriscaldamento del pianeta o altro, tanto più è probabile farcela. Lo stesso vale per la cultura, l’arte, la musica ed altri ambiti”.
"La fame e l’insicurezza alimentare stanno impedendo alle persone di sviluppare le proprie potenzialità e contribuire al potenziale dell’umanità tutta. Non siamo ricchi quanto potremmo esserlo. Non intendo in senso economico". War on Want rimane del parere che la battaglia si dovrebbe giocare sul terreno della giustizia sociale, non dell’interesse personale.

"Lo scandalo sta nel fatto che
molte persone che producono alimenti in zone rurali non possono permettersi di comprare ciò che producono. Questo meccanismo basta a condannare il modello di cui abbiamo consentito la diffusione", commenta Hilary.

"Dobbiamo dotarci di un modello agricolo di sfruttamento meno intensivo: vaste zone dei paesi in via di sviluppo vengono usate per il pascolo o la coltivazione di soia per il bestiame o i biocombustibili, necessari al mondo ricco per mangiare più carne e guidare auto ecologiche, mentre la priorità dovrebbe essere garantire il cibo a tutti.
"Sono convinto che la questione morale sia molto forte e che la fame ponga una immensa sfida al nostro concetto di progresso. Se fossimo consapevoli che le nostre vite privilegiate si reggono sullo sfruttamento, il grosso sarebbe fatto. La questione è sia morale che politica".

© IPS (FINE/2009)
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