Breve discorso sul nostro orrore quotidiano e sui compiti dell'ora
Sintesi del discorso tenuto dal responsabile del Centro di ricerca per la pace e i diritti umani, Peppe Sini, la mattina di venerdi' 15 luglio 2016 nel piazzale di Santa Barbara a Viterbo.
1. Ovunque è Hiroshima
In ogni luogo si può essere sterminati. Esistono armi cui non si può sfuggire, e poteri assassini disposti ad usare quelle armi contro chiunque. L'umanità e unificata nel segno del dolore e della paura. E questa violenza che dall'alto incombe su tutti, tutti contagia, e dagli eserciti passa alle milizie, dalle milizie alle mafie, e dai criminali ai reietti, dagli emarginati senza speranza alle persone fino a ieri integrate o equilibrate che un giorno il delirio offusca o la sventura abbatte e precipita nella sofferenza più inesorabile e nel rancore che null'altro desidera se non che altri soffrano anch'essi, che anche ad altri sia strappato ogni bene, e di ogni bene il fondamento: la nuda vita. E questa violenza trova sempre un'ideologia, infinite ideologie, che la giustifichino, che la glorifichino; e che effettualmente inducono esseri umani oppressi e infelici, o illusi e avidi, a farsi assassini.
«Di fronte alle sfide senza precedenti provenienti da Est e da Sud, è giunta l'ora di dare nuovo impeto e nuova sostanza alla partnership strategica Nato-Ue»: così esordisce la Dichiarazione congiunta firmata l'8 luglio, al Summit Nato di Varsavia, dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker.
Una cambiale in bianco per la guerra, che i rappresentanti dell'Unione europea hanno messo in mano agli Stati uniti. Sono infatti gli Usa che detengono il comando della Nato – di cui fanno parte 22 dei 28 paesi dell'Unione europea (21 su 27 una volta uscita dalla Ue la Gran Bretagna) – e le imprimono la loro strategia.
Enunciata appieno nel comunicato approvato il 9 luglio dal Summit: un documento in 139 punti – concordato da Washington quasi esclusivamente con Berlino, Parigi e Londra – che gli altri capi di stato e di governo, compreso il premier Renzi, hanno sottoscritto a occhi chiusi.
Con
una formula felice i periti della Commissione Parlamentare stragi
Silvio Bonfigli e Jacopo Sce intitolarono un loro vecchio saggio "Il
delitto infinito" (Edizioni KAOS) ad indicare un caso di delitto
politico che sembra non esaurire mai "sorprese" e
retroscena inediti. In circa quarant'anni di pubblicazioni dedicati
all'affaire Moro – a partire dall'omonimo saggio licenziato dal
grande scrittore siciliano Leonardo Sciascia, sono stati scritte
decine e decine di testi caratterizzati da notevoli differenza per
stile ed ipotesi.
Secondo
il politologo Giorgio Galli – uno dei maggiori studiosi della
storia del Partito Armato – ogni vicenda, ogni singolo dettaglio o
episodio del caso Moro è così denso di quesiti ed implicazioni da
meritare un volume a parte, corposo per capitoli ed argomenti. In
effetti, in tutti questi decenni abbiamo letto e visionato svariati
libri relativi ai più importanti e scabrosi risvolti sul caso Moro,
senza mai incontrare il testo definitivo, quello capace di
ricostruire i "misteri" del caso Moro nella sua essenza,
facendo sintesi di quanto accadde nei più tragici e funesti giorni
della nostra singolare Repubblica. Perchè – e non bisogna
dimenticarlo – ogni singolo episodio, ogni dettaglio, ogni risvolto
più o meno segreto va a formare quelle tessere che potrebbero
conferire una forma comunque completa e definita a questo enigma che,
certo, non combacia con la semplice storia di un gruppo di intrepidi
guerriglieri metropolitani che rapisce il più eminente esponente
della classe politica ed istituzionale democristiana, ma, forse, è
una storia molto meno complicata di quella che qualcuno vorrebbe
raccontare, magari cercando di confondere le idee a qualcuno.
“Si può uscire dal baratro senza l’Europa che alimenta la turbofinanza”
Nino Galloni
Negli anni Ottanta, da funzionario, fu isolato per le sue posizioni ostili ai trattati e critiche su euro, sistema finanziario e banche. Oggi le sue teorie vengono prese a prestito anche da chi lo avversava. "Bisogna ribaltare i paradigmi senza venire a patti con le istituzioni: sono parte del problema e non hanno soluzioni", è la sua ricetta. Ai Cinque Stelle che attingono alle sue tesi dice: "Sono disponibile, ma per un progetto senza compromessi" Alle cronache dell’epoca era passato come “l’oscuro funzionario che fece paura a Helmut Kohl”. Da una posizione di vertice al ministero del Bilancio dell’Italia anni Ottanta aveva osato avversare apertamente i trattati europei. Profetico, a tratti perfino eversivo nelle sue teorie macroeconomiche, metteva già in discussione le politiche neoliberiste, il futuro della moneta unica, il dogma degli investimenti senza debito. E ora, a distanza di trent’anni e di molti libri e conferenze, anche chi governa nei consessi internazionali, perfino chi manovra la nave dell’eurozona alla deriva, inizia a parlare la sua strana lingua.
Bangladesh, perchè la firma Rita Katz Stavolta non c’è dubbio alcuno: a compiere il massacro di Dhakka è stato l’IS. Quello vero. Quello che pubblica la rivista DABIQ, patinata, hollywoodiana, tutta in inglese: che infatti ha pubblicato le foto dei morti ammazzati, di cui nove italiani e 7 giapponesi – il che vuol dire che lo IS era lì coi suoi inviati. Non c’è dubbio che è stato lo IS: lo assevera Rita Katz, unica fonte che l’ANSA adotta come certa, diramando addirittura le foto con il logo del SITE, la ditta Katz. Il capo dell’IS in Bangladesh è uno nato nell’Ontario, Canada.
Solo il governo del Bangladesh, come hanno rilevato i nostri media con giusta riprovazione, insiste a dire che l’IS non c’è nel paese, e che si tratta di avversari interni e internazionali. Ha addirittura imbastito una polemica con Rita Katz, che è sempre la prima a pubblicare le foto dei morti ammazzati dell’IS da quado detto IS è in Bangladesh; e Rita Katz ha risposto per le rime, come si evince da questo comunicato.
Il motivo per cui l’IS – quello vero – s’è dovuto espandere anche in Bangladesh è presto detto: questo stato di quasi 10 milioni di abitanti s’è fortemente legato a Pechino. Appoggia esplicitamente e “fortemente” la pretesa cinese sulle isole disputate del Mar Cinese Meridionale.
Vediamo: 25 marzo 1957, nasce la CEE (Comunità Economica Europea). L'Inghilterra, meglio dire la Gran Bretagna, non c'era. In prospettiva non ci sarà più. Ma vista la china cui sta scivolando la UE (Unione Europea) di adesso, arriveremo ancora a qualcosa di simile alla forma del 1957? Non ci possiamo giurare ma potrebbe essere ancora così.
È chiaro che in questi primi giorni dal delirio annunciato è difficile mettere ordine definitivo in quello che sta accadendo e in quello che le parti in causa, a favore o contro la disgregazione dell'Europa Unita, in un tempo più o meno ravvicinato, vorrebbero fosse.
I segnali della disgregazione si sono fatti però inquietanti, per chi vorrebbe tenere assieme questo nonsense di 28, ora 27, Paesi saldamente uniti. Ebbene è proprio questa saldezza politica che non è mai esistita. Forse in altri tempi, quando erano pochi gli Stati appartenenti all'Unione. Ma forse a guardare bene le cose, neppure allora. Insomma il capitalismo europeo dei centri forti e trainanti si è inventato molte forme amministrative, allargando in continuazione i membri partecipanti, pur di funzionare al meglio, per loro. Basti dire che nell'UE c'è pure Cipro!?!
Ora che gli elettori britannici hanno detto addio a Bruxelles, lo scenario logico dovrebbe essere:
1- Un nuovo referendum dovrebbe essere organizzato per chiedere agli elettori se vogliono rimanere nel Regno "unito".
Non solo agli Scozzesi, ma agli Irlandesi del nord, ai Gallesi, ai Cornovagliesi e agli Inglesi propriamente detti.Alla fine, la "Gran Bretagna" dovrebbe scomparire a favore di una confederazione in cui gli elettori dovrebbero scegliere di aderire o meno. La Scozia indipendente, l'Irlanda del Nord indipendente, seguita da Galles, Cornovaglia e Inghilterra, con Londra, dovrebbe scegliere tra diversi scenari: far parte di una confederazione di paesi "Britannici", dell'UE, o di entrambi. L'Irlanda del Nord dovrebbe scegliere tra l'indipendenza pura e semplice, l'unificazione con la Repubblica d'Irlanda, un nuovo Commonwealth e/o l'Unione europea.
Una nuova sentenza riapre il tema sul tanto discusso legame tra vaccini e autismo.
Il Tar della Sicilia ha condannato il ministero della Salute a risarcire un ragazzo autistico di Agrigento che nel 2014 aveva effettuato la vaccinazione tetravalente (contro difterite, pertosse, tetano ed epatite B); già nel 2014 il tribunale ordinario aveva chiarito che vi fosse un rapporto di causa-effetto tra la vaccinazione e la patologia, riconoscendo un danno alla famiglia di 250mila euro; il ministero però non aveva adempiuto, e ora il giudice amministrativo impone il pagamento, interessi compresi, altrimenti si procederà al commissariamento ad acta.
Potrebbe essere arrivata l'ora della verità per la Banca popolare di Vicenza. Questa mattina sono scattate perquisizioni della Guardia di Finanza nella sede dell'istituto. «la Banca è indagata per responsabilità amministrativa per fatti penali dei suoi dirigenti perché rispetto ai reati contestati evidenziava un modello organizzativo e di controllo inadeguato o di fatto inattuato», spiegano le carte. Il riferimento è ai manager indagati della vecchia gestione: il presidente Giovanni Zonin, i consiglieri di amministrazione Giuseppe Zigliotto e Giovanna Maria Dossena, il direttore generale Samuele Sorato, i due vice Emanuele Giustini e Andrea Piazzetta. Noi del M5S avevamo denunciato da tempo uno “Schema Zonin”, oggi al centro delle indagini. E' grazie alla nostra coerenza che domenica scorsa sono potuto andare a testa alta, unico politico, al funerale di Antonio Bedin, il piccolo azionista suicidato proprio a causa di questo schema, attraverso il quale la cricca di BpVI ha bruciato i suoi risparmi di una vita. Ho guardato negli occhi la gente lì presente, siamo la loro unica speranza mi hanno detto. La mia promessa è che non molleremo mai fino a che giustizia non sarà fatta.
«Il 24 giugno è San Giovanni, patrono di Torino. Quindi per la città è giorno di festa, e succede che si passi una serata con amici e conoscenti, a chiacchierare del più e del meno e a guardare i fuochi d’artificio. Quest’anno però era diverso, a tenere banco erano solo due argomenti: la caduta di Fassino per mano di una neo-sindaca grillina (Chiara Appendino), e il capitombolo dell’Europa sotto i colpi del Brexit. E i discorsi? Un po’ di tutto, ma quello che più mi ha colpito, un po’ girando per i siti un po’ parlando con le persone che conosco (quasi tutte favorevoli a Fassino e al «Remain»), è il tratto che li accomunava: l’animosità contro il suffragio universale. Il discorso più moderato che ho sentito suggeriva che i referendum dovrebbero essere indetti solo su materie semplici e comprensibili (tipo: sei pro o contro i matrimoni gay?) e che il referendum sul Brexit proprio non si doveva fare.
I più estremisti suggerivano drastiche limitazioni del suffragio: per votare si dovrebbe almeno avere la licenza media (ma c’è anche chi dice: la laurea); oppure: per votare si devono avere meno di 70 anni. In breve: a vecchi e ignoranti bisognerebbe togliere il diritto di voto.
Dopo lo shock mattutino, che ha regalato al mondo una imprevista uscita della Gran Bretagna dall'Europa, tutti gli europeisti più convinti (in mala o buona fede che siano) hanno dedicato la giornata a metabolizzare questa fragorosa legnata sui denti.
Il risultato di questa metabolizzazione si può riassumere in due diverse correnti di pensiero: la prima dice, sostanzialmente, che "l'Europa deve cambiare se non vuole morire". Questo ovviamente non significa nulla, perché l'Europa per come è stata costruita, con un Parlamento senza alcun reale potere esecutivo, non sarà mai in grado di modificare se stessa. E' stata creata apposta come una gabbia per convogliare e controllare i consensi, e quello dell' "Europa che deve cambiare" è soltanto lo slogan disperato di coloro che si rendono conto che il loro "sogno europeo" ha ormai imboccato la china del tramonto. La seconda corrente di pensiero invece è molto più interessante, poiché era più difficile da prevedere: c'è infatti un diffuso senso di insoddisfazione - o quasi di rancore, si potrebbe dire -verso "le masse che non sono in grado di decidere".
Tutti i rifugiati hanno un sogno in comune: ritornare nelle loro case di origine, e questo sogno è sancito da una risoluzione ONU, la 194, una delle circa 70 che Israele continua impunemente a violare.
Riconoscere l'olocausto degli ebrei, mentre si nega la nakba, è il peggior vilipendio che il mondo ebraico possa commettere contro quelle vittime che, ogni anno, commemora in tutto il mondo. L'olocausto degli ebrei, unico riconosciuto dell'epoca moderna, ha fornito agli stessi un'arma micidiale di cui servirsi contro il popolo palestinese.
È in nome di quelle vittime che gli ebrei di oggi, possono diventare carnefici, invocando una protezione loro mancata durante l'epoca nazista.
È in nome di quelle vittime, di cui essi stessi insultano la memoria, che possono occupare la Palestina, con apartheid e leggi razziste, senza che la "comunità internazionale" condanni fermamente ed in modo inequivocabile i loro reati e crimini di guerra.
Joseph Stiglitz (Indiana, 1943) non è radicale. Il suo carattere, rivestito di un cauto ottimismo, e il suo impressionante curriculum, fanno di lui tanto un uomo d'ordine, quanto un riformatore. Eppure, il premio Nobel, che fu capo economista della Banca Mondiale alla fine degli anni novanta, dopo aver presieduto il Consiglio dei Consulenti Economici di Bill Clinton, è diventato un forte critico dell'establishment. Per qualcuno del suo pedigree, prendere posizione in favore del "no" al referendum greco sul piano di salvataggio, o gridare contro gli accordi di libero scambio, lo sfruttamento dei lavoratori, l'estorsione dei fondi avvoltoio alle nazioni indebitate e ciò che egli chiama la "depravazione morale" del settore finanziario, suggerisce un rinnovato slancio progressista, o forse una rivelazione. Eppure le posizioni di Stiglitz non sono cambiate molto - è il mondo che le mantiene che è cambiato. La marcia verso destra inarrestabile dell'ortodossia economica, insieme alla crescita della disuguaglianza, posizionano questo professore della Columbia University in contraddizione con i suoi presunti alleati, e anche con i suoi colleghi. Non sembra curarsene troppo. Stiglitz riceve CTXT nel suo ufficio alla Columbia per discutere del suo nuovo libro, The Great Divide: Unequal Societies and What We Can Do about Them (2015), che affronta le cause, le conseguenze e i pericoli del crescente divario tra ricchi e poveri. E perché niente di tutto questo è inevitabile.
L’affermazione dell’“exit” al referendum britannico apre una crisi che oggi vede uscire il Regno Unito dall’Unione Europea e che in breve tempo potrebbe vedere sgretolarsi l’eurozona. È il caso di dire che i nodi vengono sempre al pettine, e per una volta nessuno potrà dire che gli economisti non avevano avvertito. Già nel giugno 2010, ai primi segni di crisi dell’eurozona, una lettera pubblicata da economiaepolitica.it e sottoscritta da trecento economisti italiani e stranieri, lanciò un allarme sul modo in cui i governi europei reagivano alla crisi e soprattutto sui pericoli insiti nelle politiche di “austerità” imposte dai Trattati, che avrebbero ulteriormente depresso l’occupazione e i redditi, rendendo ancora più difficili i rimborsi dei debiti, pubblici e privati. Ma quell’allarme rimase inascoltato.
Nel novembre 2013 il Financial Times pubblicò il “monito degli economisti”, con il quale insieme ad alcuni celebri studiosi di tutto il mondo sostenevamo che in assenza di una svolta espansiva e di uno sforzo concertato per la ricomposizione dei crescenti squilibri macroeconomici, l’Unione Europea non avrebbe potuto reggere, e la stessa esperienza della moneta unica si sarebbe esaurita.
L’uccisione della deputata labourista Jo Cox potrebbe aver inferto il colpo fatale alla Brexit. Ma l’effetto domino scatenato dal referendum britannico potrebbe essere già iniziato. “Che il Regno Unito esca o meno dall’Ue – sostiene Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (Aseri) della Cattolica di Milano – gli altri Paesi hanno capito che una contrattazione con l’Europa è possibile" Francia, Austria, Grecia, ma anche Italia e Germania. L’uccisione della deputata labourista britannica Jo Cox potrebbe aver inferto il colpo fatale alla Brexit. Ma l’effetto domino scatenato dal referendum britannico sull’uscita dall’Unione Europea potrebbe essere già iniziato e pronto a coinvolgere anche altri stati membri. “Che il Regno Unito esca o meno dall’Ue – sostiene Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (Aseri) dell’Università Cattolica di Milano – gli altri Paesi hanno capito che una contrattazione con l’Europa è possibile. Quindi faranno di tutto per ottenere più vantaggi possibili da questa situazione”. E il primo pilastro dell’unione a essere messo in discussione “sarà l’Euro”.
Comunicato congiunto del Congresso Nazionale Indigeno e dell’EZLN sul vile attacco della polizia contro il Coordinamento Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione e la comunità indigena di Nochixtlán, Oaxaca.20 giugno 2016.
Al Popolo messicano.
Ai Popoli del Mondo:
Contro il vile attacco repressivo che hanno subito i maestri, le maestre e la comunità di Nochixtlán, Oaxaca, -con cui lo Stato messicano ci ricorda che questa è una guerra contro tutte e tutti-, noi popoli, nazioni e tribù che componiamo il Congresso Nazionale Indigeno e l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, diciamo al magistero degno che non è solo, che sappiamo che la ragione e la verità sono dalla sua parte, che la dignità collettiva con cui parla la sua resistenza è infrangibile e che questa è l’arma principale di quelli che, come noi, stanno in basso.
Chi attrae i fili della politica italiana è capace di tenere i propri satelliti molto vicini al centro. Lo dimostra - come sempre - l'attenzione grandissima conferita ai cambi di cavallo nelle battaglie elettorali comunali, mentre sullo sfondo galleggiava una nuova problematica consultazione referendaria, quella che metteva in discussione nel Regno Unito l'Unione Europea.
Le tematiche circolate mediaticamente su quest'ultimo argomento vertevano intorno a due poli. Da un lato le paure agitate anche nel nostro paese sull'inopinata uscita della Gran Bretagna, non mancando di asserire - come solito - la mancanza di conseguenze sulla nostra economia… Dall'altro la sapiente grossolana descrizione dei sostenitori della Brexit come arroccati intorno ad un blocco sciovinista e populista dominato dalla paura dell'immigrazione, col condimento del tempestivo fatto di sangue ai danni della deputata Jo Cox. Sono lontani anni luce dal ragionare se il prossimo referendum coinvolga o meno uno dei pilastri principali del nostro sistema economico con le sue responsabilità.
Il controllo sulla politica monetaria e sulle riforme macroeconomiche è stato l'obiettivo finale del colpo di stato. Le nomine chiave, dal punto di vista di Wall Street sono la Banca Centrale, che domina la politica monetaria così come gli scambi con l'estero, il Ministero delle Finanze ed il Banco del Brasile. Per conto di Wall Street e del "consenso di Washington", il governo post golpista ad interim di Michel Temer ha nominato un ex amministratore delegato di Wall Street (con cittadinanza americana) a capo dell'amministrazione del Ministero delle Finanze. Henrique de Campos Meirelles: ex presidente della FleetBoston Financial's Global Banking (dal 1999 al 2002) ed ex capo della Banca Centrale sotto la presidenza Lula è stato nominato ministro delle finanze il 12 Maggio. Ilan Goldfajn [Goldfein]: appena nominato a capo della Banca Centrale, era capo economista di Itaù, la più grande banca privata del Brasile. Goldfein ha stretti legami sia col Fondo Monetario Internazionale che con la Banca Mondiale. E' compare finanziario di Meirelles.
Non è solo per la persistenza del "terrorismo islamico" che l'argomento 11 settembre rimane oggi di grande attualità. Si avvicina il quindicesimo anniversario degli attacchi dell’undici settembre, ed il prevedibile picco d’interesse scatenerà la più banale e genuina delle domande: ha ancora senso continuare a parlare oggi di quei fatti? Vediamo allora di colmare alcune delle lacune che i nostri media hanno lasciato, così da poter dare un efficace risposta a tale domanda. A seguito degli attacchi dell’undici settembre il presidente Bush ha equiparato l’associazione terroristica Al Qaeda con una nazione nemica; questo ha permesso agli Stati Uniti di invocare l’articolo V del trattato della NATO (1), che afferma sostanzialmente che un attacco militare contro un membro della NATO è un attacco contro tutti, coinvolgendo gli alleati nelle azioni susseguenti. Avendo ratificato quel trattato ed avendo accettato l’interpretazione statunitense e quella del Consiglio di Sicurezza ONU, la Repubblica Italiana è di fatto in stato di guerra contro Al Qaeda dall’undici settembre 2001.