In questi giorni tutti i media condannano unanimemente il massacro di Pariri, esortano all’unità dell’Occidente e ad intensificare l’azione militare contro l’ISIS. Ma … non bisognava risolvere il problema del terrorismo? Non sarà magari il momento di riflettere sulle responsabilità dell’Occidente nell’aumento del terrorismo?
E’ chiaro, il massacro di Parigi può solo causare orrore e lutto. Ma… perché delle persone così giovani possono agire in modo così atroce? Il municipio di Courcouronne, il ghetto da cui viene il kamikaze identificato Ismail Mostafa, è anche il luogo di origine di Assata Diakité, una delle vittime.
Tre riflessioni…
La primaè che le relazioni fra mondo arabo e Occidente hanno una storia pesante. Iniziano quando, nel 1916, durante la 1° Guerra Mondiale, Francia, Gran Bretagna, Russia e Italia fecero un accordo per dividere tutto l’Impero Ottomano.
"E' la guerra": Il Presidente François Hollande nel 2015 fa eco a George W. Bush nel 2001. La Francia è entrata nella propria personale “guerra al terrore”, comprensiva di un mini-Patriot Act (“état d’urgence”) contro l’ISIS/ISIL/Daesh Esce La vie en rose, ecco La guerre en rose. La guerra, nella definizione di Hollande, sarà “senza pietà”. C’è voluta una carneficina per risvegliare l’establishment francese dal torpore. Fino al 13 novembre – giorno della tragedia di Parigi – per l’Eliseo Bashar al-Assad coincideva con Daesh. Più o meno come Petro Poroshenko in Ucraina era il buono che si opponeva all’ “aggressione russa”.
Infatti l’ “aggressione russa” ha finito per essere aggredita – per mezzo dell' esplosione del Metrojet A321 dovuta ad un attentato, come stabilito dall’FSB – ancora prima degli attacchi suicidi e delle sparatorie di Parigi.
C'è uno slogan,
qui, che vuol dire più o meno “che le donne vivano in libertà”:
“Jin, Jîyan, Azadî”. Mi è stato chiesto di scrivere qualche
cosa sulle donne curde. Avrei voluto scrivere del fatto che è solo
nel combattere che la donna si emancipa davvero, che è nella lotta
che la donna arriva ad essere completa. Eppure mi sembra banale, mi
sembra un'ovvietà. Ciononostante, il fatto che queste donne prendano
le armi va al di la delle lotte femministe dei nostri Paesi, è
proprio un gesto che si pone su un altro livello.
E non lo fanno per
apparire davanti ad una telecamera o macchina fotografica, come
modelle esibizioniste. Non lo fanno per essere più belle. Vi basti
pensare a questo: in molti, quando dall'occidente guardano le foto di
queste orgogliose combattenti, la prima cosa che dicono è: “come
sono belle!”. Non importa se per belle intendono belle fisicamente
o belle dentro per il loro orgoglio e la loro fierezza, non è questo
il punto... il punto è che noi occidentali, quando vediamo delle
donne combattere, pensiamo a quanto sono belle (o in alcuni casi
addirittura che le donne non dovrebbero combattere, quasi come se
combattendo una donna smettesse di essere tale) e non alla ragione
per cui combattono. Fossero uomini, faremmo le stesse esclamazioni?
Si certo, le donne che combattono sono belle. Sono bellissime. E
cantano splendidamente. E permettetemi di dire che anche gli uomini
che combattono sono belli, bellissimi, e cantano splendidamente. Ma,
ugualmente, non è questo il punto.
Qui le donne
combattono. Per la libertà.
Da
Kobane circa 150.000 profughi sono scappati in Turchia. Ora, mi dicono
che Erdogan sostiene che si prende cura dei bisogni di tutti questi
150.000, ma nell'unico campo profughi gestito dal governo turco sono
presenti intorno alle 12.000 persone. Le altre, sono in altri campi o
ospiti in altre case, o in altre città. Issam è volontario nel deposito
dove si organizzano gli aiuti, e spiega che, nella città di Suruc, sono
presenti altre 40.000 persone di Kobane oltre alle 12.000 nel campo
governativo: esse si trovano in campi profughi gestiti da volontari o in
case che li ospitano. Di Silvia Todeschini Le donazioni per mantenerli vengono da tutto il
mondo, chi lavora nel deposito del materiale o al montaggio tende sono
volontari perlopiù curdi e in buona parte giovanissimi: organizzazioni
come l'ONU non si fanno vedere e non sono presenti. Nessuno è
professionista, e i volontari restano per qualche settimana. La cosa
incredibile, è che tutto questo funziona. I campi vengono montati, il
cibo viene distribuito, nel deposito vengono separati gli aiuti che
arrivano.
E' finito il primo tratto di un muro di cemento e filo spinato che
dividerà presto la Grecia dalla Turchia. Un muro contro gli immigrati. O
forse anche una 'protezione' dalla sempre più potente Turchia? Di Luca Fiore Contropiano
Sembra
incredibile che un paese che non ha i soldi per pagare le medicine ai
pazienti assistiti dal suo sistema sanitario pubblico – perché li ha
regalati alle banche – stia spendendo milioni di euro per costruire un
muro al confine con la Turchia. Ma è proprio così.Ieri
media ed esponenti politici di Atene hanno annunciato in pompa magna
che è stata ultimata la costruzione del primo tratto della barriera di
fossati e di filo spinato lungo 10,3 km e del costo di oltre tre milioni
di euro che farà parte di una vera e propria muraglia anti-immigranti
eretta sul confine greco-turco lungo il fiume Evros. La
costruzione della barriera, alta quattro metri, e la presenza sul posto
di 2.000 agenti di polizia “hanno già contribuito notevolmente alla
riduzione dell'ingresso di clandestini provenienti dalla Turchia”.
Almeno così dice il governo tripartito composto da socialisti,
conservatori ed ex sinistra radicale. Che sorvola sul fatto che, negli
ultimi mesi, sono state decine di migliaia gli immigrati fuggiti dal
paese per paura delle continue aggressioni da parte dei neonazisti di
Alba Dorata, o della polizia.
Con espressione del tutto incongrua, ci si riferisce spesso alle "bugie" del potere, come se si trattasse di birichinate di bambini. In realtà, si tratta non di semplici bugie, ma di frodi. L'aggressione NATO contro la Siria viene spacciata per emergenza umanitaria e, dato che ormai l'emittente del Qatar, Al Jazeera, ha perso ogni credibilità, tocca adesso ad Amnesty International farsi carico di alimentare la propaganda interventista. Viene il sospetto che si sia permesso che venisse prodotto un film come "Diaz", solo perché nella locandina del film Amnesty International potesse ancora accreditarsi come ultimo baluardo dei diritti democratici. [1]
Comidad
Con l'incidente dell'abbattimento del proprio caccia, anche il governo turco ha aggiunto un ulteriore mattone all'edificio fraudolento montato attorno all'aggressione NATO contro la Siria. Ci si potrebbe chiedere quale legittimo interesse nazionale possa accampare Erdogan nel cercare di destabilizzare un Paese vicino con il quale i rapporti sono sempre stati ottimi, persino nel periodo della guerra fredda, quando i due Stati confinanti stavano in schieramenti opposti.
La massoneria militare che ha dominato la Turchia per ottanta anni - nonostante la sua sudditanza all'imperialismo britannico prima, ed all'imperialismo statunitense poi -, non aveva mai manifestato gli atteggiamenti avventuristici che oggi invece esibisce Erdogan.
L'opinione pubblica internazionale ha fatto orecchie da mercante alle cosiddette "operazioni KCK" che il Primo Ministro turco Recep Tayyip Erdogan e il suo Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) ha condotto negli ultimi due anni. Dietro la facciata della "lotta al terrorismo," il governo Erdogan ha usato i tribunali, la polizia e ogni mezzo per punire qualsiasi attivismo civico a sostegno dei diritti che richiedono i cittadini curdi in Turchia. In particolare, "le operazioni di KCK" hanno lo scopo di provocare paura tra gli attivisti, silenziare il dissenso e normalizzare le detenzioni arbitrarie di cittadini. Ironia della sorte, la soppressione del dissenso e della politica democratica da parte del governo Erdogan si è intensificata nel momento stesso in cui viene elogiata la "democrazia turca" come un modello per il mondo arabo.
Dal 2009, un totale di 7748 persone sono sotto custodia della polizia accusate di associazione con il KCK - un'organizzazione che si suppone sia il ramo urbano del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) - e 3895 sono stati imprigionati senza che ci siano notizie di procedimenti giudiziari nel prossimo futuro. Tra i cittadini che soffrono di questo pesante trattamento ci sono sindaci eletti, docenti universitari, membri di associazioni civiche, giornalisti, studenti, ricercatori, accademici e attivisti.
Immaginiamo di essere a Hollywood in una conferenza per discutere su una sceneggiatura e che devi lanciare la tua idea usando 10 parole o meno. Si tratta di un film sulla Siria. Uguale al film sull’attacco a Osama Bin Laden di Kathryn Hurt Locker Bigelow, che si presenta come “i buoni eliminano Osama nel Pakistan”, il poema epico siriano potrebbe essere commercializzato come “sunniti e sciiti lottano per la repubblica araba”.
Si, ancora una volta, tutto è finzione: la “mezza luna sciita”, isolare l'Iran e i pregiudizi sunniti contro gli sciiti.
La fanatica Casa di Saud, sunnita wahabi- in un’altra imponente dimostrazione d’ipocrisia e fedele al suo odio verso le repubbliche arabe secolari - ha qualificato il regime Ba’ath controllato da Bashar al-Asad in Siria una “macchina assassina”.
E’ vero, il feroce apparato della sicurezza di Assad non aiuta, dopo aver ucciso più di 2.400 persone da quando è iniziata l’agitazione a marzo. Sono molte di più, per inciso, di quelle che le forze del colonnello Gheddafi uccisero in Libia quando venne approvata la risoluzione 1973 dell’ONU permettendo l’intervento estero. La risposta di Diogenes il Cinico a questa discrepanza di “dove sono le Nazioni Unite” sarebbe che la Siria, a differenza della Libia, non possiede un’enorme ricchezza in petrolio e gas.
Il Primo Ministro turco Recep Tayyip Erdogan e il Presidente israeliano Shimon Peres, durante l'ultimo World Economic Forum di Davos.
Come conseguenza dei segnali turchi di prendere distanza in modo sempre maggiore da Israele e rafforzare i suoi legami con la Siria e l'Iran, Israele ha avvertito che il governo di Recep Tayyip Erdogan si sta avvicinando sempre di più all’ “asse del male”. Le relazioni sono diventate estremamente tese dopo la decisione della Turchia di cancellare un esercizio militare congiunto con lo stato ebraico.
Il ministro di Relazioni Estere, Avigdor Lieberman, commentando il deterioramento dei rapporti con Ankara, giovedì ha fatto notare che “la situazione non dipende da noi”, aggiungendo che la decisione del governo turco lo avvicina all’ “asse del male”.
Il ministro, in visita in Kazakistan, ha detto che la politica della Turchia "tende a renderla più vicina alla Siria, Iran e Hamas.