Seguendo quanto già fatto dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), anche l’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA) ha respinto l’evidenza scientifica che mostrava che il controverso diserbante chiamato glifosato potrebbe essere cancerogeno. Le valutazioni dell’Agenzia, pubblicate mercoledì, potrebbero spianare la strada a un rinnovo di 15 anni dell’autorizzazione concessa dalla UE all’uso di uno dei diserbanti più diffusi al mondo, che l’Agenzia per la Ricerca sul Cancro (IARC) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva classificato come “probabile” causa di cancro. Per arrivare alla sua conclusione, l’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche ha rifiutato lampanti prove scientifiche raccolte in laboratorio sugli animali, ha ignorato gli avvertimenti lanciati da oltre 90 ricercatori indipendenti, e si è basata su studi non pubblicati commissionati dagli stessi produttori di glifosato — così ammonisce Greenpeace. Il direttore dell’unità europea di Greenpeace per la politica alimentare, Franziska Achterberg, ha detto: “L’Agenzia si è spinta molto in là nel momento in cui ha rifiutato tutte le prove che il glifosato potrebbe causare il cancro: le ha nascoste come la polvere sotto il tappeto.
6 anni non sono nulla quando si hanno 90 anni. Ma quando se ne hanno tra i 20 e i 30, è molto. Sei anni fa, il popolo tunisino ha visto sfuggire un dittatore di basso rilievo che l'ambasciata degli Stati Uniti ha fatto evacuare per un esilio dorato, all'ombra delle torri di perforazione saudite. Quella che i media europei si sono affrettati a battezzare stupidamente "Rivoluzione dei gelsomini" (espressione che mai sarebbe venuta in mente ai tunisini) rapidamente ha emanato odore di putrefazione. I politicanti hanno abilmente ripreso le redini e hanno architettato una via d'uscita nel più puro spirito del Gattopardo: "Cambieremo tutto affinché nulla cambi".
Il risultato è schiacciante: la Tunisia è governata da una coalizione di furfanti che come maiali hanno condiviso le briciole di torta stantia lasciando cadere molto poco nelle mani della gente comune. I carnefici e le loro vittime di ieri hanno realizzato un compromesso storico, distribuendosi cariche e prebende. Le speranze che si erano risvegliate nei giorni di dicembre 2010-gennaio 2011 - "Pane, libertà, dignità nazionale" - si sono dimostrate folli. Si sono insediate la delusione, la depressione, e la disperazione. Ogni giorno un tunisino si suicida. Altre migliaia hanno preso la via del glorioso suicidio, tra la Libia e la Siria. I più ragionevoli e meglio attrezzati organizzano un'emigrazione legale per studio o per "affari", quelli astuti vanno alla mangiatoia dei sussidi: ci sono così tante persone ricche che vogliono il meglio per noi! Fondazioni tedesche, svedesi, svizzere, statunitensi, giapponesi, del Qatar, austriache, e così via: oggi, almeno 50.000 tunisini/e ricevono uno stipendio da una fondazione, ONG o OMG (un'organizzazione molto governativa) straniera. Per qualche milione di euro, "esse" sono venute a pacificare gran parte dell'ala giovanile che aveva fatto - o seguito su facebook - questa famosa quasi-rivoluzione. Il potere è dove ci sono le casseforti e non nei ministeri o per strada.
”E’ ora di dire basta …assieme possiamo convincere Obama, Renzi e tutti i leader internazionali che è ora di rispondere al terrore di Assad e di Putin …che i cittadini di tutto il mondo pretendano una “no fly zone”, una zona dove non possano più volare i bombardieri, per proteggere i civili … stare senza far niente è la cosa peggiore…firma per chiedere subito una “no-fly zone…se ci fossero i nostri figli sotto le bombe cosa vorremmo che facesse il mondo ?” Avaaz, una delle tante ong dello speculatore finanziario George Soros, esce prontamente allo scoperto proprio quando i jihadisti e con essi gli Stati Uniti sono in gran difficoltà. Una no-fly zone per chi difende l’indipendenza dello stato. Una no-fly zone per permettere ai bombardieri statunitensi ed inglesi di colpire l’esercito siriano e favorire la reazione belluina dei jihadisti. Aleppo est dove i terroristi asserragliati resistono, facendosi forte della popolazione usata come scudo umano, grazie ai massici aiuti in armamenti e vettovaglie che arrivano dagli “amici della Siria”, cioè da coloro che con violenza, terrore e menzogne assediano da più di cinque anni uno stato sovrano.
Il 23 marzo 2011, proprio all’inizio di quello che oggi chiamiamo il ‘conflitto siriano’, due giovani -Sa’er Yahya Merhej e Habeel Anis Dayoub- sono stati freddati nella città meridionale siriana di Daraa. Merhej e Dayoub non erano civili e non si opponevano al governo del presidente siriano Bashar al-Assad.Erano due soldati regolari nelle file dell’esercito siriano arabo (ASA). Uccisi da uomini armati sconosciuti, Merhej e Dayoub sono stati i primi di ottantotto soldati uccisi in tutta la Siria nel primo mese di questo conflitto, a Daraa, Latakia, Douma, Banyas, Homs, Moadamiyah, Idlib, Harasta, Suweida, Talkalakh e nella periferia di Damasco.
Secondo la Commissione Internazionale Indipendente delle Nazioni Unite, incaricata di indagare sulla Siria, il bilancio delle vittime fra le forze governative siriane era di 2.569 entro marzo 2012, il primo anno del conflitto. A quel tempo, le Nazioni Unite stimano a 5.000 il totale delle vittime di violenza politica in Siria. Queste cifre danno un quadro completamente diverso degli eventi in Siria. Decisamente non era il conflitto dipinto nei nostri titoli -se non altro, la ‘parità’ di morti da entrambe le parti suggerisce che il governo usò una forza ‘proporzionale’ nel contrastare la violenza.
Rym Ben Fraj, 31 anni, è tunisina, blogger, traduttrice, editrice, diplomata precaria, membro della rete di traduttori Tlaxcala. Lavora come giornalista freelance. La ringrazio per aver risposto alle nostre domande. Milena Rampoldi: Quali sono i problemi principali della nuova generazione in Tunisia? Rym Ben Fraj:La marginalizzazione economica, sociale e dunque politica e culturale. La gioventù che ha fatto la rivoluzione non ha alcuna rappresentanza in parlamento o al governo. Ci sono almeno 250.000 diplomati disoccupati. In certe regioni la disoccupazione raggiunge l’80% dei giovani. La sola alternativa possibile – l’immigrazione clandestina – viene resa impossibile dal muro elettronico di Frontex nel Mediterraneo. I giovani che si rifiutano di farsi reclutare dallo Stato Islamico non hanno più altro obiettivo che la rivolta. Ma anche se organizzano una rivolta, lo stato non è in grado di soddisfare le loro rivendicazioni: una delle condizioni poste dalla Banca mondiale per i crediti concessi alla Tunisia consiste nel blocco delle nuove assunzioni nel settore pubblico.
Avanza su tutti i fronti la guerra al denaro contante. Una regione che ha riempito le testate giornalistiche con la sua guerra contro il denaro liquido è la Scandinavia. La Svezia è stata il primo paese a convincere i suoi cittadini – vere e proprie cavie – a partecipare volontariamente ad un esperimento economico alquanto distopico: tassi di interesse negativi in una società senza più valuta materiale. Come riporta il Credit Suisse: “Dovunque vai e qualsiasi cosa tu voglia acquistare, trovi dappertutto cartelli con scritto “Vi hanterar ej kontanter” (“Non accettiamo contanti”). Che si tratti di vin brulé al mercatino di Natale o di una birra al bar, anche il più piccolo degli acquisti avviene in modo elettronico. Anche i venditori di giornali e riviste ambulanti Faktum e Situation Stockholm ora si sono dotati di posse per carte di credito. Stessa situazione la troviamo anche in Danimarca, dove quasi il 40% delle transazioni avviene con MobilePay, un’applicazione della Danske Bank che consente di effettuare qualsiasi pagamento tramite smartphone. Con un numero sempre crescente di gestori che non accettano più il denaro contante, una società senza più contante “non è più un’illusione, ma una visione che si può realizzare in un termine temporale piuttosto ragionevole”, sostiene Michael Busk-Jepsen, direttore esecutivo dell’Associazione Bancaria Danese.
Ondata di demolizioni in Cisgiordania. La scorsa settimana, l’esercito israeliano ha distrutto almeno 63 case e strutture finanziate con fondi internazionali, lasciando 132 persone, di cui 82 bambini, senza tetto. La notizia e la condanna arriva da organizzazioni umanitarie, che hanno reso noto questo bilancio. È questo il bilancio dell’ultima ondata di demolizioni del governo israeliano, la peggiore degli ultimi tre anni, che la scorsa settimana ha investito dieci comunità palestinesi dell’Area C della Cisgiordania. Tra gli edifici demoliti, anche 12 strutture finanziate e costruite per necessità umanitarie, tra cui un pannello solare, una latrina portatile, alcuni recinti per animali e delle tende finanziate dall’Unione Europea. La denuncia arriva da 31 organizzazioni umanitarie internazionali che, alla luce dei dati forniti dall’agenzia Ocha delle Nazioni Unite, chiedono ai leader mondiali di adottare misure urgenti per fermare le demolizioni in corso e dichiarare il governo di Israele responsabile per la distruzione indiscriminata di proprietà palestinesi e dei progetti finanziati da aiuti internazionali nel territorio occupato della Cisgiordania.
Nel
2014, quasi cinque anni dopo il devastante terremoto, numerose protestedi massasi sono svoltecontro l'occupazionedelle Nazioni Unite(MINUSTAH), perlapartenza del presidentehaitianoMichelMartellye il primo ministroLaurentLamothe. Quest'ultimo infine si è dimessonel dicembre2014. Questi eventi non hanno avuto nessuna menzione dai media mainstream. Perché?
Quandole protesteanti-governativesi verificanoinun paeseche non èguidato da unalleato degli Stati Uniti, vi èun'ampia copertura.Gli attuali leader di Haiti sono "adatti" per i leader occidentali, in
particolare per gli Stati Uniti, perché in realtà, sono loro che scelgono i
leader del paese, non il popolo di Haiti. Di Julie Lévesque Mondialisation
Il 12 gennaio, c'è stato 5° anniversario del devastante terremoto,male principali questioni eproblemi strutturalinon sono, nésarannoaffrontati o, nella migliore delle ipotesi, saranno presentatiinunmodo che sostienela nozionefuorviantedelfardellodell'uomo bianco. "Haiti ha bisogno di aiuto". "E' davvero il caso? E di che tipo di aiuto stiamo parlando?
"Gli aiuti internazionali" sono solo uno strumento capitalistico imperiale
progettato per mantenere il Sud prigioniero delle disastrose politiche
neoliberiste del Nord, che ostacolano un vero sviluppo e per impedire la
sovranità economica e politica del Sud.
Dove finiscono i soldi degli aiuti? Nelle stesse tasche di coloro che pretendono di donare. Haiti è probabilmente il miglior esempio della vera truffa degli aiuti internazionali.