Il diritto internazionale di fronte alla banalità dei crimini contro i migranti
Mauro Biani, Italia, 2014
In giro per il mondo i migranti vengono chiusi nei campi, subiscono abusi e spesso arrivano a morire quasi di fame. Sono molti in effetti quelli che muoiono di fame. Sarebbe ora che anche questi crimini venissero finalmente puniti dalla Corte penale internazionale (CPI).DiIoannis Kalpouzos Ιωάννης Καλπούζος eItamar Mann Ιθαμαρ Μαν איתמר מן إيتامار مان Il 26 Ottobre Agnes Callamard, Relatrice Speciale sulle Esecuzioni extragiudiziali, sommarie ed arbitrarie dell'ONU ha presentato un nuovo importante rapporto* alla Assemblea Generale dell'ONU. Il rapporto è su "Unlawful Death of Refugees and Migrants" -" Morte illegale di rifugiati e migranti" - una materia non comune per questa relatrice che, negli ultimi anni, si era concentrata quasi esclusivamente su antiterrorismo e, in particolare, sulle morti per attacchi di droni.
Come spiega nella sua relazione si tratta di "un crimine internazionale la cui banalità agli occhi di così tanta gente rende la sua tragedia particolarmente grave e inquietante". Il contenuto del rapporto è piuttosto drammatico e riteniamo che sia un documento davvero storico, almeno per quanto riguarda le relazioni emanate da organismi delle Nazioni Unite.
Callamard enuncia implicazioni pratiche: "La CPI dovrebbe prendere in considerazione le indagini preliminari su crimini per le atrocità contro i rifugiati e i migranti, laddove vi siano ragionevoli motivi per ritenere che tali crimini siano stati commessi e che pertanto esistanoi requisiti giurisdizionali previsti dal tribunale ". È piuttosto raro per un organismo delle Nazioni Unite raccomandare alla CPI quali siano i casi che dovrebbe prendere in considerazione, ma questo è esattamente ciò che la Callamard ha scelto di fare.
Su uno sfondo di costante militarizzazione dei confini, la sua raccomandazione diventa urgente; ma senza una qualche contestualizzazione, il rapporto potrebbe essere facilmente frainteso. La disciplina del diritto penale internazionale ha visto aggressioni e atrocità. Il paradigma, che ancora riempie l'immaginario popolare, è ovviamente la catastrofe della seconda guerra mondiale. Una guerra di aggressione era al centro della giurisdizione del tribunale militare internazionale creato dagli alleati vincitori. L'esistenza della guerra era necessaria per esprimere un giudizio su chi aveva perpetrato violenza collettiva.
Solo gradualmente la prassi del diritto penale internazionale si è allontanata dal solo concetto di guerra come stimolo necessario per l'assunzione di responsabilità internazionale ed il perseguimento del crimine penale internazionale ha cominciato a guardare altrove. Il concetto legale di crimini contro l'umanità di Norimberga, collegato alla guerra ora non ha più questo (solo) collegamento. Ad esempio, l'incriminazione del gen. Augusto Pinochet nel 1998 aveva associato il procedimento penale al tentativo di una società di fare i conti con la passata tirannia.
Allo stesso tempo, la creazione della CPI aveva una grande potenzialità. Il sostegno di cui godeva non si riferiva solo alle atrocità di massa, ma anche al fine di raggiungere una giustizia globale. I crimini contro l'umanità, non necessariamente legati alla guerra, sono parte della giurisdizione della CPI ed includono crimini come l'apartheid, che è un sistema di governo e non un metodo di guerra. Certi atti sono proibiti quando vengono commessi come "attacco esteso o sistematico contro una popolazione civile" e comprendono una serie di comportamenti che possono avvenire anche in tempo di pace: la tortura, che è spesso praticata in contesti di applicazione della legge, la reclusione senza garanzie procedurali o in condizioni ripugnanti, la persecuzione, che è una grave privazione dei diritti fondamentali per mezzo di discriminazione e la deportazione illegale.
Mentre la legge penale internazionale si è estesa oltre il regno della guerra, la guerra e la militarizzazione si sono probabilmente diffuse in molti campi della vita civile. La "indeterminatezza" tra cosa sia guerra e cosa non lo sia, come spesso sottolineato da vari commentatori, non dovrebbe riferirsi solo al periodo della guerra, ma dovrebbe riflettere anche i molti modi in cui la guerra si è espansa in modo indefinito, diventando in un certo senso parte del nostro quotidiano. La "Morte illegale di rifugiati e migranti" ne è solo un aspetto. Con l'aumento delle disuguaglianze globali, con le nuove tecnologie di trasporto e comunicazione e con una catastrofe climatica in corso, viene colpita gente che sta migrando-scappando per cercare fonti di sostentamento nel "nord globale" e le popolazioni di questo Nord hanno cominciato a sentirsi minacciate più dalla gran massa di persone povere (spesso nere e scure) che da un attacco armato.
Confini militarizzati servono a bloccare i migranti sulle linee di frattura tra mondo "sviluppato" e mondo "in via di sviluppo". Almeno dal 2009, l'agenzia europea Frontex ha messo in atto un'operazione di controllo delle frontiere in Grecia ed ha aumentato la sorveglianza, anche con l'uso di droni, e supervisiona le condizioni di detenzione che la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha già giudicato inumane.
L'Australia controlla i suoi confini marittimi con un'operazione della marina guidata da un generale di divisione e con un dose particolarmente alta di cinismo usa zattere senza-finestre e dette non affondabili per spingere i rifugiati in arrivo verso coste straniere. Nel 2015, i paesi europei hanno cercato e ottenuto una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per usare la forza contro i contrabbandieri del Mediterraneo, una misura straordinaria che indica chiaramente il livello di militarizzazione, senza precedenti, assunto dai controlli alle frontiere. Come in altre parti della nostra vita, la militarizzazione va di pari passo con la privatizzazione. L'Australia ha stretto accordi con Nauru e Papua Nuova Guinea e usa società private come la G4S e la Ferrovial per ospitare e gestire campi di detenzione indefinita e inumana. La UE ha usato la Turchia e, più recentemente, le milizie libiche per garantire che i migranti non attraversino il Mediterraneo.
L'Agenzia USA del controllo della sicurezza delle frontiere e dell'immigrazione (ICE) è sempre più accusata di svolgere una attività "molto simile alla tortura" per rispettare gli imperativi di deportazione emessi del governo. Alcune delle sue strutture di detenzione sono gestite privatamente. Callamard fa un'osservazione estremamente importante quando conclude che parti di queste attività sono equipabili a crimini internazionali e includono atti proibiti che, in modo sistematico e diffuso, costituiscono un attacco contro i migranti.
Il loro impatto sulle popolazioni più impoverite del mondo è tremendo e va da morte per annegamento a epidemie di malattie mentali e autolesionismo nei campi profughi di tutto il mondo. Come giustamente afferma la Relatrice Speciale, quando certi reati di tale gravità sono commessi nell'ambito della giurisdizione della CPI, la Corte dovrebbe agire. Eppure per il diritto internazionale non esiste un crimine internazionale generalizzato e globalizzato, proprio quel tipo di crimine che la relazione della Callamard potrebbe essere chiamata a suggerire.
La legge penale internazionale impone ai pubblici ministeri di indagare su una "situazione", per cui viene messa al centro dell'indagine una specifica unità temporale. Negli ultimi anni, abbiamo lavorato per aiutare a spiegare la necessità di questo genere di indagine e per chiarire da dove una tale indagine dovrebbe prendere il via.
Per prima cosa abbiamo condotto uno studio sulla Grecia, poi abbiamo studiato le procedure australiane e in effetti abbiamo presentato al procuratore della CPI una petizione penale internazionale diretta principalmente contro agenti del governo australiano. Abbiamo potuto sVolgere questo lavoro solo con il supporto di un grande gruppo di avvocati internazionali, riuniti da una clinica legale presso la Facoltà di Diritto di Stanford e la Reteg globale di azione legale (Global Legal Action Network, GLAN). Crediamo che in tutto il mondo le popolazioni più ricche stiano conducendo una guerra contro la lotta per l'uguaglianza condotta dalle popolazioni più povere che stanno combattendo con le loro sole forze.
Soprattutto nei centri di detenzione offshore in Australia, oggetto della nostra denuncia, questa guerra viene combattuta con mezzi criminali. Se la CPI dovesse scegliere una situazione su cui indagare, i centri australiani potrebbero rappresentare i casi più eclatanti.
Non confondiamoci però: tutti gli sforzi di allargare il campo della giustizia penale internazionale dalla guerra alla migrazione non sono un altro tentativo di espandere le competenze di un tribunale squattrinato ed inefficiente, ma un tentativo di spostare le priorità politiche, dentro e fuori dalla Corte, lungi dal voler cercare "mostri" che commettono violenze spettacolari ma con la volontà di affrontare sofferenze che ormai sembrano sempre più normali. La "banalità" di questi crimini è, a nostro avviso, una testimonianza della loro gravità e della necessità di perseguirli.
E questo tentativo non dovrebbe nemmeno finire con l'attirare l'attenzione sui crimini commessi contro i migranti. Con gli effetti dei cambiamenti climatici recentemente visti a Puerto Rico e in California, la lotta di chi viene colpito più duramente da quei fattori che inducono cambiamenti climatici è solo all'inizio. L'odierna incapacità di affrontare queste nuove priorità è estremamente pericolosa e potrà solo rendere più neri i racconti che si faranno sul XXI secolo.
Per parafrasare il sociologo Zygmunt Bauman, si creerà una realtà in cui una parte dell'umanità butterà nella spazzatura la vita di quell'altra parte dell'umanità. Del resto nuove priorità, compresa la responsabilità in materia di migrazione, rifletteranno meglio il mandato fondamentale della Corte Penale Internazionale: punire i crimini "di interesse di tutta la comunità internazionale nel suo insieme".
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