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"LA TERRA CI NUTRE LA TECNOLOGIA CI GUIDA: COLTIVIAMO INSIEME IL FUTURO"
7 maggio 2014
COLPI DI STATO "DI VELLUTO"
Alcuni giorni fa il Corriere della Sera pubblicava con il sottotitolo “Il simbolo della protesta”
la foto che vedete. Un giovane incappucciato, in jeans e torso nudo,
che bacia appassionatamente una ragazza che ha in mano una grossa
pietra. Non si tratta di due NO TAV, né di occupanti di case o
giovani disoccupati. In questo caso il titolo sarebbe stato ben
diverso.
Sono invece due giovani dei quartieri–bene di
Caracas, Venezuela, teatro da mesi di proteste violente che hanno
causato decine di morti. Rivolta di studenti ricchi, in un paese
dove la Rivoluzione bolivariana ha introdotto da 10 anni l’istruzione
gratuita per tutti.
Anche l’Ucraina ha goduto delle prime pagine dei nostri
quotidiani, che ci hanno inondato di foto e servizi sulla “rivoluzione”
del paese dell’Est, una strana “rivoluzione” che ha portato – in
meno di una settimana, talmente era “spontanea” - ad un nuovo governo,
non eletto da alcun ucraino, dominato dai nazisti e dagli
ultra-nazionalisti (altra stranezza, visto che ci hanno detto e ridetto
che il tutto era iniziato per la negazione del legittimo governo ad
entrare in Europa). Anche questa è una ben strana motivazione per
una “rivoluzione”: chi può pensare che strati di cittadini
perfettamente organizzati e militarmente armati si rivoltino perché
vogliono che il loro paese cada nelle mani del Fondo Monetario e
della Banca Centrale Europea e si riduca come Grecia, Spagna e Italia?!
Il quotidiano francese L’Humanité scriveva ironicamente in quei giorni:
“L’Unione Europea ai manifestanti non promette la luna … ma solo la Grecia”.
Non vogliamo discutere di queste due situazioni ma solo
sottolineare e analizzare un fenomeno che, se non nuovo, torna
prepotentemente alla ribalta: il rovesciamento dei simboli utilizzati
per anni dalla sinistra, che ormai sembra ci siamo lasciati alle
spalle, da parte della destra più reazionaria.
Così, mentre a casa nostra chiunque protesti in modi ben più soft
degli universitari dei quartieri ricchi di Caracas o degli ucraini
, viene ogni volta bollato di “terrorismo”, in altre parti del mondo
li si chiama tranquillamente “rivoluzionari”, termine vituperato
che negli ultimi anni in Occidente aveva assunto i peggiori
significati.
Lo stesso rovesciamento delle parole, dei simboli, dei significati
l’abbiamo visto in Iraq, in Libia, in Siria, in Egitto: ma oggi
non se ne parla più perché il processo è in qualche modo concluso e le
conseguenze, tragiche per i popoli, sono alla vista di tutti;
l’operazione mediatica, che precedeva e sosteneva quella
imperialista, non è più necessaria.
Come succede molto spesso in un mondo in cui si cerca di
cancellare la memoria, anche quella più recente, pochi ricordano che
l’Ucraina è stata teatro di un’altra “rivoluzione”, la rivoluzione
arancione del 2004 guidata da un’organizzazione – Otpor – nata nelle
segrete stanze della Open Society Institute del finanziere, e
miliardario, statunitense George Soros. Organizzazione che operò anche a
promuovere e coprire la vergogna della “guerra umanitaria” contro la
Yugoslavia negli anni ’90. Operazione riuscita, tanto che oggi – al
di là del luogo fisico, ogni volta che ci troviamo davanti allo
smembramento di regioni che hanno invece storia, cultura, economia
unitarie, l’uomo della strada parla ormai di “balcanizzazione” e di
“missioni umanitarie”.
Sono gli anni in cui viene alla ribalta un nuovo concetto
sociologico, la “società civile”: non esistono più le classi, non ci
sono più gli sfruttati e gli sfruttatori - ognuno con i propri
interessi opposti a quelli degli altri - ma una massa nebulosa
apparentemente senza alcuna guida, che anzi rifiuta proprio quelle
sovrastrutture – così le chiamano i suoi ideologici, tra cui ricordiamo
Toni Negri e il suo Impero, scritto per dimostrare che
l’analisi dell’imperialismo di Lenin era ormai superata proprio nel
momento in cui assistevamo impotenti alla ripresa della sua offensiva -
come l’organizzazione e il partito, che sarebbero stati superati
dalla storia.
E’ questa ad esempio la storia della nascita, ascesa e morte dei
Social Forum, nati da possenti proteste popolari contro la
globalizzazione e finiti tristemente nel nulla dopo essersi accorti che
tra i loro finanziatori c’erano proprio quelle multinazionali che
volevano combattere.
Torniamo all’Ucraina come esempio. Queste sono le osservazioni di un giornalista messicano presente:
“Nei momenti più di massa erano presenti in piazza Maidan circa
700.000 persone. Tra loro una minoranza di alcune migliaia equipaggiati
con caschi, spranghe e scudi per opporsi alla polizia. E
all’interno di questi gruppi un nucleo duro di circa 1.500 persone in
formazione militare. Questo gruppo perfettamente e militarmente
organizzato ha fatto uso di armi da fuoco.”. Scopriremo poi
(questo i giornali italiani non lo hanno scritto, ma quelli stranieri,
pur borghesi, sì) che nel nucleo duro era presente – oltre a
mercenari della NATO - anche la “Divisione Azzurra”, veterani militari
israeliani di origine ucraina così da confondersi meglio (il loro capo è
stato persino intervistato dalla stampa dopo l’incontro del console
israeliano con il nuovo capo di governo nazista).
Il “manuale” Sharp
Nel 1983 il filosofo e politologo statunitense Eugene Sharp,
professore ad Harvard, crea la Albert Einstein Foundation e scrive
un libro, “Dalla dittatura alla democrazia”, che fa tesoro
delle esperienze insurrezionali operaie dei primi decenni del Ventesimo
secolo e che diventerà il manuale da seguire per scatenare le
“rivoluzioni” colorate, di velluto, ecc. che serviranno paradossalmente
negli anni seguenti a rovesciare governi democraticamente eletti ma
restii, o contrari, alle politiche dell’imperialismo.
Sharp dà tutta una serie di indicazioni, che ritroveremo in tutte le esperienze che abbiamo citato:
. promozione di agitazioni su temi reali o fittizi, tese a
generare un clima di malessere sociale nel paese (ricordiamo ad
esempio, le denunce di corruzione e di inefficienza burocratica negli
anni ’90 per giustificare l’ondata di privatizzazioni delle imprese
statali);
. creazione di problemi economici quotidiani, come la scarsità di
prodotti di prima necessità o la scalata dei prezzi attraverso il
controllo esercitato dai gruppi monopolistici sulla filiera produttiva
del paese (è quando è accaduto nel Cile di Allende e quanto sta
succedendo oggi in Venezuela);
. denuncia della mancanza di libertà di stampa –paradossalmente
proprio attraverso la stampa monopolistica – e dell’attacco dei
governi ai diritti umani (anche questo si sta verificando da anni in
Venezuela, nonostante la stampa privata copra più dell’80%
dell’informazione);
. creato così il clima favorevole, si promuove la “lotta di strada
attiva”, con proteste via via sempre più violente e organizzate
contro le istituzioni (sempre in Venezuela i primi attacchi armati sono
stati diretti contro i Mercal, mercati popolari in cui si vendono
prodotti di base a prezzi calmierati, e contro centri di salute
pubblica dove gratuitamente prestano la loro opera i medici cubani);
. generazione di un clima di “ingovernabilità”, usando ad esempio
la stampa per attribuire le conseguenze delle azioni di strada al
governo stesso, diffondendo notizie e soprattutto immagini false, fatte
circolare sulla stampa nazionale e internazionale e sulle cosiddette
“reti sociali” (così è stato fatto per il Venezuela, salvo poi
scoprire che le foto delle violenze della polizia sui manifestanti
venivano invece dal Cile e dalla Libia).
A questo punto il gioco è fatto e in una settimana si rovescia un
governo e se ne installa rapidissimamente un altro nuovo di zecca,
che sarà un servo fedele dell’imperialismo (anche se a volte capita che
il servo fedele crei problemi ai suoi padroni perché vuole tenersi
parte del bottino, ed è, ad esempio, il caso della Libia attuale).
Naturalmente, se tutto questo fallisce, è sempre pronta l’opzione militare diretta, che è però più costosa e problematica.
Qualche riflessione
Questo schema, attuato con successo da tempo nell’Europa dell’Est
(ma non solo), si applica utilizzando la disinformazione e mettendo
a disposizione di popolazioni già stremate dal “loro” capitalismo
selvaggio le “offerte” del “nostro” decadente capitalismo (tagli
brutali, sacrifici, distruzione di quanto resta dello stato sociale
ecc. ecc.).
Ma l’elemento determinante è la capacità del capitalismo di
“sussumere” simboli e pratiche di lotta del proletariato, creare un
dispositivo “popolare” per destabilizzare governi legittimi. La
confusione ideologica, frutto del passaggio, armi e bagagli, al capitale
di quella che chiamavamo “sinistra” è diventata un’arte quanto
quella dell’insurrezione che in altri tempi i rivoluzionari – quelli
veri – dominavano.
L’inesistenza di quelle forme organizzative del proletariato – che
noi continuiamo a chiamare Partito Comunista e di cui
sottolineiamo continuamente la necessità – ha fatto il resto. Prova ne
sia che in Venezuela – un paese dove il proletariato è organizzato - le
cose stanno andando in modo diverso, nonostante si tenti di mettere
in pratica i suggerimenti del manuale Sharp fin dalla vittoria di Hugo
Chàvez nel 1998.
Scriveva la sociologa brasiliana Silvia Viana, in occasione delle rivolte contro i Mondiali di calcio, “E’ chiaro che non c’è lotta politica senza disputa per i simboli”.
In questa disputa il capitalismo, che ora infiocchetta i suoi colpi di
stato come “difesa della democrazia”, ha imparato più rapidamente
dei rivoluzionari. Siamo tutti avvisati.
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