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"LA TERRA CI NUTRE LA TECNOLOGIA CI GUIDA: COLTIVIAMO INSIEME IL FUTURO"
24 gennaio 2013
LA LOTTA AI TEMPI DELL'IKEA
Un'analisi a partire dalla lotta all'Ikea che,
lungi dall'essere terminata, ha però il merito di averci già fornito un
bagaglio enorme e indispensabile di esperienze e spunti di riflessione.
Nei paragrafi che seguono, non ci soffermeremo sulle fasi della lotta
che è ancora aperta e in aggiornamento (qui potete
trovare una ricostruzione tappa per tappa): proveremo a dare un
contributo che metta in risalto quelle che consideriamo alcune tendenze
dello sviluppo del capitalismo in Italia e gli elementi della lotta
interessanti e potenzialmente riproducili nel tempo e nello spazio.
Oggi, per molti, guardare ai movimenti sociali e
politici in Italia significa andare incontro allo sconforto. Tranne
qualche eccezione, sebbene importante, sembra proprio che non siamo
all'altezza dello scontro in atto. Malgrado ciò, le lotte sui posti di
lavoro non sono finite. Anzi, in apparenza paradossalmente, si
moltiplicano. Con casi molto rilevanti, almeno in astratto, perché molto
dipende da cosa siamo capaci di leggere noi all'interno di quei
processi.
Prendiamo la mobilitazione degli operai delle
cooperative in appalto presso il deposito IKEA di Piacenza: la si può
considerare come una 'semplice' vertenza sindacale. Oppure no. Noi vogliamo interpretarla in tutt'altro modo e partire da lì per riflettere sulla nostra prassi politica quotidiana.
Perché non bisogna mai esser stanchi di andare alla "scuola della lotta
di classe". E, da questo punto di vista, ciò che è accaduto e accade
tuttora all'IKEA e nel settore della logistica, è una vera e propria lectio magistralis.
"Il luogo fisico non conta più"
Negli ultimi vent'anni si è discusso molto della
fine - o quanto meno del ridimensionamento - del potere dei lavoratori.
L'attacco sferrato dal capitale è stato durissimo, e i lavoratori
l'hanno pagato e continuano a pagarlo nei termini di un drastico
peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, soprattutto in
Europa e Stati Uniti. Ma l'attacco ha poggiato non solo sulla volontà
e/o necessità dei padroni di abbattere il costo del lavoro: aveva e ha delle basi strutturali.
La possibilità di un capitalista di trasferire le
attività produttive in un altro angolo del pianeta alla ricerca di
migliori condizioni per fare profitti - che significa manodopera a basso
costo, assenza di sindacati, regimi fiscali favorevoli, infrastrutture
moderne ed efficienti - in tempi di crisi diventa una minaccia
fortissima. Eppure la mobilità del capitale non è assoluta. Ci
sono settori in cui non è così facile fare armi e bagagli e spostarsi
altrove. La geografia non è diventata d'improvviso completamente
inutile. Nel settore della logistica, in cui il
'posizionamento' è centrale, ha una rilevanza ancora maggiore. La lotta
all'IKEA ci dà un bel po' di materiale da indagare in proposito.
La minaccia della direzione dell'azienda di mandare a
casa 107 lavoratori, adducendo come motivazione un presunto, quanto
inattuabile, nel breve periodo, riposizionamento dei volumi e la
riduzione delle commesse in seguito alla mobilitazione operaia è caduta dopo pochi giorni.
Per ora si è dimostrato più il tentativo di utilizzare l'arma del
ricatto che un'opzione realmente praticabile nel breve termine. Piacenza
risulta infatti centrale per la logistica, tanto è vero che ad
investire nella zona e in una superficie di 1.700.000 metri quadri, sono
state anche Amazon e Whirpool, non proprio due fabbrichette, oltre a
una folta schiera di imprese minori.
L'essere crocevia di traffici commerciali (in
particolare verso l'Est europeo e il sud del Mediterraneo), il
posizionamento strategico sul corridoio 5 della TAV da Kiev a Lisbona la
cui costruzione è in cantiere, essere snodo di importanti
infrastrutture per il trasporto delle merci, al centro del traffico
autostradale e ferroviario, collegato direttamente con il porto di
Genova, con sei aeroporti nel raggio di poche centinaia di chilometri
sono fattori che non si possono ignorare e che definiscono la
strategicità del "nodo Piacenza" nel sistema della logistica a livello
quantomeno europeo.
La riorganizzazione spaziale, tradizionale risposta del capitale alle crisi di redditività, insomma, non èun'opzione sempre immediatamente disponibile.
Ciò non toglie che, nel tempo, l'impresa possa effettivamente
riorganizzarsi e superare quella che, oggi, è una barriera non
facilmente sormontabile.
Organizzazione dei lavoratori
Potere contrattuale strutturalmente basso
La relativa immobilità del capitale non offre una
spiegazione del tutto convincente. O, quanto meno, non può essere
l'unico motivo per cui i lavoratori dell'IKEA sono fino ad ora riusciti a
strappare importanti vittorie.
La lotta incontra, infatti, un altro grande problema: il potere strutturale dei lavoratori.
Non si può negare che quello dei lavoratori della logistica sia basso.
Pur situandosi in un anello strategico per l'accumulazione
capitalistica, non svolgono un lavoro qualificato, godono spesso di
contratti "precari", senza possibilità di carriera e senza sicurezze
occupazionali ed economiche. Per farsi un'idea, basti pensare alla
discrezionalità dell'assegnazione dei carichi di lavoro e degli
straordinari come meccanismo premiale/punitivo.
Per di più i facchini protagonisti della
lotta all'IKEA non lavorano direttamente per la multinazionale del
mobile. Sono invece assunti da cooperative, riunite nel consorzio CGS,
che operano sostanzialmente in qualità di agenzie di subappalto. In
quanto tali permettono al committente di abbattere i costi, gli evitano
obblighi contrattuali e costituiscono una barriera per possibili danni
di immagine. In fondo, il committente può sempre dire che non
sapeva o, com'è accaduto nel caso dell'IKEA, comportarsi da buon padre
di famiglia, dichiarando che si procederà a verifiche e, nel caso, si
eserciteranno pressioni affinché le agenzie di subappalto trattino un
po' meglio i dipendenti.
Infine, i lavoratori del consorzio CGS sono per il
90% immigrati (percentuali simili si registrano in tutto il settore
della logistica), sottoposti quindi al ricatto del permesso di
soggiorno, "diritto" che si mantiene fin tanto che si mantiene il posto
di lavoro. Immigrati che però non provengono dalla stessa comunità, per
cui i padroncini sono bravi ad utilizzare le linee di frattura
inter-etniche per dividere i lavoratori sulla base del principio del
paese d'origine.
Tutto ciò, senza dimenticare che siamo in presenza
di un alto livello di disoccupazione generale. In quest'ottica, il dato
della composizione della forza lavoro non è solo un dettaglio, ma un
aspetto doppiamente importante e il dato sensibile è che a ribellarsi
sono "coloro che sono più ricattabili", a fronte di una passività, in
molti casi indotta da decenni di indottrinamento ideologico e
coercizione sindacale, dei lavoratori "tutelati dal passaporto". Anche
il ricatto al quale sono sottoposti è doppiamente pressante, laddove
siamo in presenza di persone che non solo devono sostenere la propria
esistenza col lavoro in Italia, ma in molti casi devono provvedere alle
proprie famiglie nei paesi d'origine: da questo punto di vista, la
determinazione e assoluta radicalità nelle forme e nella sostanza delle
lotte espresse da questa componente di classe in Italia pone la
necessità anche di una nostra riflessione sull'approccio quasi
"paternalistico e protettivo" che, nella grande maggioranza dei casi,
tendiamo ad avere nei confronti della popolazione immigrata (Sulla
delimitazione della cittadinanza, attuata soprattutto per mezzo delle
leggi dello Stato occorrerebbe, a nostro avviso, ragionare, superando il
punto di vista che nella battaglia contro la Turco-Napolitano e la
Bossi-Fini mette al primo posto i 'diritti umani', per comprendere come
questi provvedimenti siano parte della strategia del capitale di
costruire confini e barriere tra gli appartenenti alla classe
lavoratrice).
"Potere associativo"
Un potere contrattuale strutturalmente basso mal si concilia coi successi ottenuti dai lavoratori. Sembrerebbe
che decisiva per le vittorie sia stata la capacità organizzativa degli
operai delle cooperative, il loro "potere associativo".
Da questo punto di vista il ciclo di lotte nel
settore della logistica avviatosi alla Bennet di Origgio nel 2008 (il 21
gennaio ci sarà peraltro la sentenza del tribunale contro alcuni dei
lavoratori e dei compagni impegnati in quella lotta) costituisce
un'esperienza non rimovibile, pena l'assoluta incapacità di comprendere
le dinamiche cui assistiamo oggi. Nel corso di questi cinque anni,
infatti, sono emersi prepotentemente sulla scena un piccolo ma assai
combattivo sindacato, il S.I. Cobas, e il Coordinamento di solidarietà
con i lavoratori della logistica, una struttura composta da altri
lavoratori, da compagne e compagni, sempre in prima linea nei picchetti,
nei blocchi, nelle manifestazioni. La diffusione delle esperienze di
lotta, per lo più vincenti, è stata resa possibile anche dai canali di
comunicazione interni alle comunità immigrate che - è bene ribadirlo -
sono la grande maggioranza della forza lavoro del settore. La presenza
di molti lavoratori di origine Nord-africana ha inoltre dato una spinta
ulteriore alla lotta: il sentirsi parte di un processo rivoluzionario
che, soprattutto in Egitto, dopo una prima visibilità concessagli dai
media, assolutamente distorta rispetto ai soggetti sociali sul terreno
dello scontro, sta mettendo in evidenza la presenza e il protagonismo
dei lavoratori (leggi qui e qui),
rafforza fuori dai confini nazionali la consapevolezza della propria
condizione e della forza nell'organizzarsi in maniera radicale per
abbattere le barriere che si incontrano, di qualunque tipo siano.
Insomma, per dirla con parole semplici "se si è riusciti ad abbattere un
regime longevo e monolitico come quello di Mubarak, si può abbattere
qualsiasi oppressione padronale".
In ogni caso, attorno a S.I. Cobas e Coordinamento
si sono coagulati i lavoratori alla Bennet, alla Esselunga, alla TNT,
solo per citare i casi delle aziende più famose. E così, quando all'IKEA
è partita la lotta, gli operai hanno avuto un punto di riferimento, uno
strumento immediatamente utilizzabile. Per chi ritiene che il
sindacato, così come più in generale le strutture organizzate, siano un
retaggio del passato da abbandonare, con o senza rimpianti, le lotte
deli operai della logistica impongono una seria riflessione.
La lotta all'IKEA ci dice anche che il primo
punto ineludibile per un'azione veramente efficace dei lavoratori è il
sapere operaio. La precisa conoscenza del ciclo produttivo e,
al suo interno, di ogni singolo passaggio, è indispensabile nell'ottica
della riduzione del danno (per sé) e della massimizzazione delle perdite
(per la controparte). Come ha sostenuto Mohamed, operaio della TNT, in
una recente intervista a Il Manifesto:
Dalla cognizione precisa del ciclo produttivo deriva
anche un aspetto della lotta all'IKEA che va tenuto in considerazione
pure per quelle lotte che si sviluppano in settori diversi. Rispetto
alla tradizionale tattica di un'organizzazione sindacale che rimane coi
piedi ben piantati nel luogo di lavoro ove sussiste il rapporto con il
diretto "datore di lavoro", i lavoratori del consorzio CGS, sulla scorta
dell'esempio della mobilitazione alla Esselunga, hanno compreso che il
potere di influire sulle loro condizioni non era tanto nelle mani delle
cooperative - in quanto agenzie di subappalto - bensì dell'IKEA stessa,
che utilizza un sistema bizantino di subappalti ed esternalizzazioni per
occultare le responsabilità.
Non a caso, oggi la lotta di questi operai è
conosciuta come 'lotta contro l'IKEA' e non contro il consorzio CGS, che
in molti nemmeno sanno cosa sia.
Additare la controparte con chiarezza,
smascherando l'opaco sistema dei subappalti, ha permesso anche che la
costruzione di reti di solidarietà avesse un obiettivo tangibile sul
quale misurarsi. Immaginiamo se le azioni di chi voleva
mostrare la propria vicinanza agli operai in lotta a Piacenza si fossero
dovute indirizzare esclusivamente contro le cooperative. Avremmo avuto
una freccia spuntata al nostro arco. E invece abbiamo potuto attaccare l'IKEA, i veri responsabili.
La solidarietà ai tempi dell'IKEA
La lotta ha potuto contare sul sostegno attivo di
alleati negli strati sociali non immediatamente coinvolti nella contesa.
Si tratta di centinaia di persone che a livello diverso hanno dato il
loro contributo affinché la mobilitazione avesse un esito positivo.
Innanzitutto tutte e tutti quelli che hanno percorso
decine e a volte centinaia di chilometri per essere presenti ad una
manifestazione o ad un picchetto alle 5 del mattino, al freddo e al
gelo. Altri lavoratori che, magari, dopo un paio d'ore ai cancelli,
erano costretti ad andar via per recarsi sui loro posti di lavoro. Ma
non sono stati i soli.
Aver individuato l'IKEA come principale
controparte ha permesso l'"attivizzazione" anche di quanti non potevano
essere presenti fisicamente a Piacenza. Fin da subito è partita
una campagna contro l'IKEA che va considerata come un altro tassello
della lotta. O, meglio, come un altro fronte aperto contro lo stesso
nemico. Alla comprensione delle principali contraddizioni della
multinazionale ha fatto seguito la predisposizione degli strumenti più
utili per colpire con efficacia.
Ad esempio, la capillarità della diffusione degli
store IKEA sul territorio nazionale italiano, simbolo della forza
dell'azienda, si è prestata all'organizzazione di volantinaggi, presidi e, in alcuni casi, di veri e propri picchetti,
capaci di interferire con le vendite in un periodo, quello
pre-natalizio, in cui gli introiti per gli esercizi commerciali sono
massimi (e quindi c'è massima sensibilità rispetto a qualsivoglia azione
disturbatrice, dimostrata dalle cariche della polizia prima e dalle
denunce piovute poi sugli attivisti).
La principale contraddizione nella quale
abbiamo cercato però di inserirci è stata quella relativa all'immagine
che l'IKEA cerca di dare di sé un po' ovunque.
Se "oggi Ikea è sinonimo di simpatia, impegno sociale, convenienza e solidità" (come riporta il Der Spiegel,
nella traduzione italiana preparata da Internazionale nel numero
dell'11 gennaio 2013) e se "il concept Ikea ha contribuito alla
democratizzazione del mondo più di molti movimenti politici", come ha
affermato un dirigente aziendale, allora è subito evidente che se si
riesce a colpire lì si può avere un impatto enorme.
Abbiamo deciso di puntare su quest'aspetto,
individuando le piattaforme virtuali messe in piedi dall'IKEA stessa
come campo di battaglia. In primis invitandoal 'bombardamento' del sito internet spazioalcambiamento.it in
cui l'impresa invitava a dire la propria sui prodotti e sull'"IKEA way
of life". Abbiamo allora preso alla lettera le parole della
multinazionale. In fondo - ci siamo detti - anche noi siamo parte di
quella comunità globale di cui l'IKEA vuole che ci sentiamo parte! E,
utilizzando il canale 'democratico' predisposto dall'azienda stessa, le
abbiamo fatto sapere che migliaia di persone hanno a cuore la dignità, i
diritti e le condizioni di lavoro degli operai. Allargando agli occhi
di tutti la distanza tra messaggio e realtà, tra decaloghi aziendali e
trattamento della manodopera. Abbiamo giocato sulla politica dei bassi costi, vanto dell'IKEA.
Abbiamo, in sostanza, cercato di agire su quello che ci sembrava un
nervo scoperto del colosso del mobile, alla luce della mobilitazione a
Piacenza.
Tra le altre cose, il fronte "mediatico" ha permesso
il coinvolgimento di tante persone che a causa delle disponibilità
minime di tempo, dell'isolamento che vivono, o della semplice distanza
che le separa da un IKEA store, sarebbero state costrette a limitarsi a
qualche parola di solidarietà e di vicinanza. Così invece hanno potuto
dare anch'esse un 'colpetto' e contribuire alla costruzione di una
posizione di forza dei lavoratori a Piacenza.
Le reazioni aziendali hanno dimostrato che non si è trattato di un'operazione inutile. La chiusura di spazioalcambiamento.it,
l'aver impedito a numerosi profili facebook di apporre commenti sulle
proprie pagine (ne erano arrivati migliaia e migliaia che dire negativi è
dire poco), e l'esser stati costretti a rilasciare dichiarazioni
pubbliche in merito al trattamento della forza lavoro da parte dell'IKEA
(sempre su social network), mostrano inequivocabilmente che l'obiettivo
che ci eravamo prefissi siamo riusciti a raggiungerlo, almeno in gran
parte. L'azienda ha subito un danno di immagine non trascurabile.
Ed è stato per merito di quell'embrione di reti
sociali che si sono create in maniera informale, a partire soprattutto
dal mese di novembre. che dei passi in avanti su questo fronte della
battaglia sono stati possibili. Ognuna ed ognuno, diffondendo la
conoscenza di ciò che stava accadendo al deposito IKEA di Piacenza,
distribuendo un volantino, postando un commento sotto la pubblicità di
Billy o delle altre migliaia di prodotti IKEA, dando libero sfogo alla
propria creatività con un subvertising, ha contribuito a questa lotta. E quindi può sentire anche come frutto della propria attività i successi ottenuti dai lavoratori.
Senza dimenticare però quella che è la
grande lezione che ci arriva da Piacenza: l'imprescindibilità
dell'azione dei lavoratori stessi.
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