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"LA TERRA CI NUTRE LA TECNOLOGIA CI GUIDA: COLTIVIAMO INSIEME IL FUTURO"
31 ottobre 2012
LA DERIVA MILITARISTA, ULTIMO BALUARDO DELL'UNIPOLARISMO USA
Con l’implementazione del “nuovo
concetto strategico”, l’Alleanza Atlantica ha “superato” i vincoli
fissati dall’articolo 5 dello Statuto estendendo il proprio campo
operativo, che originariamente era circoscritto alla zona settentrionale
rispetto al Tropico del Cancro confinata ai limiti territoriali dei
Paesi membri, al mondo intero, trasformandosi pertanto in una immensa
impresa militare capace di sfoggiare un impareggiabile fatturato.
Le
spese sostenute nel 2011 dai 28 Stati membri ammontano a 1.038 miliardi
di dollari. Una cifra equivalente al 60% della spesa militare mondiale
che, integrata con altre voci di carattere militare, copre i due terzi
della spesa militare planetaria. Nel corso dell’ultimo decennio,
tuttavia, la spesa statunitense è passata dal 50 al 70% circa della
spesa complessiva, mentre quella europea è progressivamente calata. Per
questa ragione il Segretario Generale della NATO Anders Fogh Rasmussen
ha evidenziato, nel corso del vertice dell’Alleanza Atlantica tenutosi a
Chicago nel maggio 2012, il fatto che qualora il divario di capacità
militari tra le due sponde dell’Atlantico dovesse allargarsi
ulteriormente, «rischiamo di avere, a oltre vent’anni dalla caduta del
Muro di Berlino, un’Europa debole e divisa»(1).
Dal vertice di Chicago sono inoltre giunti messaggi piuttosto chiari
riguardo all’approccio che gli Stati Uniti e i loro “alleati”
adotteranno negli anni a venire. Secondo il Segretario Rasmussen, lo
“scudo antimissile” diverrà pienamente operativo nel 2018. Già nel
maggio 2011 il governo di Bucarest aveva autorizzato Washington ad
usufruire del territorio rumeno per dislocarvi missili mobili di
tipologia SM-3 e, susseguentemente, il medesimo permesso è stato
accordato dalla Polonia, in cui verranno installate numerose batterie di
missili Patriot.
Inizialmente Mosca ha agito con prudenza, inoltrando alle autorità
statunitensi la richiesta relativa alla stesura di un trattato con la
NATO che stabilisse vincoli di natura legale rispetto alle modalità di
dispiegamento dello “scudo” e specificasse numero, tipologia e luogo di
installazione di missili e radar.
Washington ha opposto un secco
rifiuto, incaricando il segretario della NATO Anders Fogh Rasmussen di
argomentare tale decisione sulla base di una intangibile “fiducia
reciproca”, che dovrebbe soppiantare definitivamente il clima “da Guerra
Fredda” malauguratamente calato sullo scenario internazionale nel corso
degli ultimi anni. A caricare di un particolare significato tale
rifiuto è poi intervenuto lo stesso Barack Obama, che ha ignorato le
rimostranze del Cremlino inviando nelle acque del Mar Nero
l’incrociatore Monterey munito del sofisticato sistema di combattimento
Aegis – sviluppato dalla Lockheed Martin, capace di rielaborare
i dati captati dai radar incrociandoli con le informazioni contenute
all’interno di un vasto database aggiornato di volta in volta – affinché
prendesse parte all’esercitazione militare “Sea Breeze 2011”, congiunta
con l’Ucraina. Oltre che nel Mar Nero, l’attività militare della NATO
si è concentrata presso le repubbliche baltiche di Estonia, Lettonia e
Lituania, con le esercitazioni “Open Spirit” del maggio 2012 e “Baltops”
e “Saber Strike” del giugno 2012. Al summit di Chicago è stato inoltre
annunciato che la «Missione di polizia aerea negli Stati baltici
continuerà»(2), ossia che unità aeree a duplice capacità convenzionale e
nucleare targate NATO verranno permanentemente dislocate nell’aeroporto
militare lituano di Zokniai. Il Mar Baltico è stato selezionato per
ospitare l’esercitazione “Steadfast Jazz”, volta ad incrementare la
capacità dell’Alleanza di «effettuare più ampie operazioni congiunte di
gestione delle crisi»(3).
E mentre il ministro degli Esteri della Federazione Russa Sergeij Lavrov
condannava l’episodio, chiarendo che «la parte russa ha più volte
sottolineato che non lascerà senza attenzione la comparsa nelle
immediate vicinanze dei suoi confini degli elementi delle infrastrutture
strategiche nordamericane che saranno considerati una minaccia alla
sicurezza nazionale»(4), la Casa Bianca otteneva dal governo spagnolo
l’assenso per dislocare nella base NATO di Rota, in Andalusia, navi da
guerra dotate del medesimo sistema Aegis, destinate a rafforzare la
presenza statunitense nel Mediterraneo e nell’Atlantico nord-orientale. A
sgombrare ogni dubbio residuo in relazione alle intenzioni statunitensi
è intervenuto il governo di Anakara, che nell’ottobre 2011 ha firmato
un accordo in base al quale Washington ha ottenuto l’autorizzazione per
installare di un impianto radar di tracciamento dei missili nel
distretto di Kuluncak, nella provincia di Malatya.
Nonostante le
reiterate rassicurazioni fornite da Obama e da svariati ministri
statunitensi – secondo i quali lo “scudo” servirebbe a fronteggiare una
“ipotetica”, futura minaccia nucleare iraniana – Putin e Medvedev
ritengono che l’aggressivo atteggiamento statunitense sia rivolto, oltre
ogni ragionevole dubbio, contro la Russia. Per questa ragione, Mosca ha
ordinato lo schieramento di un cospicuo numero di missili a corto
raggio Iskander presso l’enclave di Kaliningrad, dove è stato installato
un potente sistema radar. La realizzazione dello “scudo” è destinata ad
assorbire enormi risorse economiche, così come il potenziamento dell’High Altitude Auroral Research Program
(HAARP), il piano volto a dotare Washington degli strumenti necessari
per condurre la guerra meteorologica e climatica. Come scrive Michel
Chossudovsky, l’HAARP «ha la capacità di destabilizzare intere economie
nazionali mediante manipolazioni climatiche, all’insaputa del nemico,
con un costo minimo e senza impegnare personale ed equipaggiamento
militare in una guerra convenzionale»(5).
Il sostegno a tali progetti
risponde all’inesausto tentativo statunitense di capitalizzare la Full Spectrum Dominance,
il concetto militare secondo cui la supremazia assoluta può risultare
solo ed esclusivamente dal controllo combinato di terra, mare, cielo e
spazio aperto.
«Occorre – sosteneva lo United States Space Command nel 1998 –
dominare la dimensione spaziale delle operazioni militari per proteggere
gli interessi e gli investimenti statunitensi ed integrare le forze
spaziali alle capacità belliche in tutto lo spettro del conflitto [...].
Durante la prima parte del XXI secolo anche la potenza spaziale diverrà
un mezzo bellico pari agli altri e separato [...]. La sinergia
emergente della superiorità spaziale con la superiorità terrestre,
marittima e aerea porterà alla Full Spectrum Dominance [...].
Lo sviluppo di difese contro i missili balistici che usino sistemi
spaziali e la pianificazione di attacchi di precisione dallo spazio
offre un contrasto alla proliferazione mondiale delle armi di
distruzione di massa [...]. Lo spazio è una regione con investimenti e
interessi commerciali, civili, internazionali e militari in crescita.
Anche la minaccia contro questi sistemi vitali è in crescita [...] il
controllo dello spazio rappresenta la capacità di garantire accesso allo
spazio e di negare ad altri l’uso dello spazio, se necessario»(6).
Il fatto che Washington persegua questo obiettivo significa che gli
Stati Uniti non contemplano assolutamente l’opportunità di rinunciare ad
una minima parte dello strapotere militare di cui dispongono, allo
scopo di consolidare il “nuovo ordine mondiale” garantito dalla
soverchiante potenza militare targata USA, contro il quale sta
coalizzandosi un nocciolo duro di nazioni accomunate dall’intenzione di
affermare un nuovo “nomos della terra” capace di riflettere i nuovi
rapporti di forza planetari venutisi a creare nel corso degli anni. Lo
scenario multipolare che va determinandosi in parallelo
all’indebolimento degli Stati Uniti, che stanno gettando sempre più la
spada sul piatto della bilancia nel tentativo estremo di compensare il
loro declino strategico, sembra indicare piuttosto chiaramente la piega
che prenderanno gli avvenimenti, ridisegnando radicalmente l’assetto
geopolitico mondiale.
«Cresce, inarrestabile e irresistibile – scriveva Carl Schmitt nel 1954 –
il nuovo “nomos” del nostro pianeta. Lo invocano le nuove relazioni
dell’uomo con i vecchi e nuovi elementi, e lo impongono le mutate
dimensioni e condizioni dell’esistenza umana. Molti vi vedranno soltanto
morte e distruzione. Altri crederanno di aver di essere giunti alla
fine del mondo. In realtà ci troviamo soltanto di fronte alla fine del
rapporto fra terra e mare invalso finora. Eppure la paura umana del
nuovo è spesso grande quanto la paura del vuoto, anche quando il nuovo
rappresenta il superamento del vuoto. Perciò molti vedono solo un
disordine privo di senso laddove in realtà un nuovo senso sta lottando
per il suo ordinamento. Non vi è dubbio che il vecchio “nomos” stia
venendo meno, e con esso un intero sistema di misure, di norme e di
rapporti tramandati. Non per questo, tuttavia, ciò che è venturo è solo
assenza di misura, ovvero un nulla ostile al “nomos”. Anche nella lotta
più accanita fra le vecchie e le nuove forze nascono giuste misure e si
formano proporzioni sensate»(7).
Note:
1. “Il Manifesto”, 20 maggio 2011.
2. “Il Manifesto”, 30 maggio 2012.
3. “Ibidem.
4. “Georgia Times”, 11 luglio 2011.
5. Michel Chossudovsky, Guerra e globalizzazione. La verità dietro l’11
settembre e la nuova politica americana, Gruppo Abele, Torino 2002.
6. Unites States Space Command, Vision for 2020, http://www.fas.org/spp/military/docops/usspac/visbook.pdf.
7. Carl Schmitt, Terra e mare, Adelphi, Milano 2002.
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