23 novembre 2009

IL RUOLO CHE GLI USA HANNO DATO ALLE LORO BASI IN COLOMBIA

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di Romulo Pardo Silva


I documenti del Pentagono sono stati nascosti per diffondere solo qualche reazione. Chavez parla di guerra, il Brasile propone un monitoraggio internazionale delle frontiere, che Uribe si comprometta nel limitare in Colombia la Forza Aerea nordamericana……sono distrazioni intenzionali sul problema. Gli obiettivi che seguono gli USA in Colombia consistono in una “Strategia sud americana. Libro Bianco, Commando di Mobilità Aerea (AMC)”….che è stata pubblicata nella pagina ufficiale del Comando Sud, e in un documento che il Dipartimento della Forza Aerea ha inviato al Congresso statunitense (1). Non ci possono essere dubbi su questo.


In questo rapporto della Forza Aerea Degli Stati Uniti si afferma: La base militare in Colombia “garantisce l’opportunità di condurre operazioni…in tutta l’America del Sud”. Palanquero “ci dà un' opportunità unica per le operazioni di spettro completo in una sub-regione critica del nostro emisfero, dove la sicurezza e la stabilità sono sotto la costante minaccia di insurrezioni….(e) i governi anti-americani…”- “La sua collocazione centrale è nella portata delle aree di operatività…nella regione…L’intenzione è...migliorare la capacità degli Stati Uniti di rispondere rapidamente ad una crisi ed assicurare l’accesso regionale e la presenza statunitense…Palanquero aiuta con la missione di mobilità perché garantisce l’accesso a tutto il continente del Sud America con eccezione di Cabo de Hornos…” “…aumenterà anche la nostra capacità di condurre operazioni d’ intelligence, spionaggio e riconoscimento…e aumenterà le nostre capacità di realizzare una guerra veloce”. Questi obiettivi regionali si inquadrano nella strategia dell’Impero globale. “Il Segretario della Difesa (Donald Rumsfeld) postulò allora (2002) che gli Stati Uniti dovrebbero sostenere il loro processo di trasformazione militare a partire dalla premessa che le guerra del XXI secolo avrebbe richiesto un incremento nelle operazioni economiche, diplomatiche, finanziarie, della polizia e dell’intelligence, allo stesso modo che nelle operazioni militari palesi e segrete;…la formazione di alleanze dove la missione da fare deve essere quella che in fin dei conti determini la formazione della stessa; lo sviluppo di azioni preventive, portando la guerra fino dove si trovi il nemico; portare alla percezione del nemico che gli Stati Uniti sono disposti ad usare qualsiasi mezzo o fine per sconfiggerlo...; l’importanza che giocano le operazioni via terra e l’aumento delle campagne aeree; e finalmente, informare il paese su quello che gli USA fanno”. (2)


Seguendo questa politica informata, gli Stati Uniti realizzano le loro operazioni di spettro completo in Sud America. L’installazione di sette basi militari in Colombia; la negoziazione di basi in Panamà; la campagna di diffamazione contro il presidente Chavez; l’appoggio diplomatico, economico, militare, mediatico dei “golpisti” del Venezuela, Bolivia, Nicaragua, Honduras, il finanziamento ai partiti oppositori nei paesi dell’ ALBA; il blocco o intento di destabilizzazione di Cuba; la partecipazione in colpi di Stato per biancheggiare dopo elezioni manipolate,
come previsto in Venezuela nel golpe del 2002 e come si sta preparando adesso in Honduras; l’infiltrazione di paramilitari colombiani in Venezuela; l’alleanza con politici narcoparamilitari… Questa finalità evidente è denunciata con forza da determinati governi latino americani. Il presidente Chavez è molto chiaro. Le basi rappresentano una minaccia per tutta la regione e direttamente per il Venezuela. “Quelle sono basi dell’intelligence, in primo luogo di spionaggio, dalle quali si pianificheranno invasioni, bombardamenti, si pianificheranno atti di guerra sotto il nostro naso, loro pianificheranno qui, accanto, come bombardare Caracas, come lanciare le loro bombe su punti nevralgici venezuelani, sulle raffinerie, sulle linee di trasmissione elettriche (….) sulla diga del Guri, sui posti di comando della Forza Armata, loro pianificheranno il modo con il quale aspireranno a neutralizzare i nostri aerei da combattimento”, ha avvertito chiamando militari e civili a prepararsi ad una guerra.

Il presidente Evo Morales rifiuta le basi dell’ Impero in Colombia perché dice che sono per controllare, far cadere i governi democratici e saccheggiare le risorse naturali dell' America Latina. In Bolivia le riserve per altri 150 anni di gas, di ferro per altri 85 anni e forse il litio. Di fronte al pericolo Morales ha ordinato di comprare armi in Russia.
Il presidente Daniel Ortega del Nicaragua sostiene che le basi sono enclavi di guerra che minacciano tutti i popoli del continente. Ha ricordato che la nordamericana in Palmerola, Honduras, è servita per fare la guerra al Nicaragua negli anni '80, la base che hanno usato per il sequestro del presidente Zelaya. Fidel Castro scrive che l’ accordo firmato da Uribe equivale ad annettere la Colombia agli Stati Uniti, che è una minaccia per i paesi del Centro e del Sud America e intende inviare i colombiani a lottare contro i loro fratelli boliviani e dell’ ALBA. L’Ecuador ed il Brasile invece non considerano i documenti ufficiali nordamericani. Il Parlamento dell’ Ecuador rifiuta le basi e chiede agli Stati Uniti la garanzia di non usare le sue forze contro altre nazioni della regione. Il suo ministro della Difesa, titolare del Consiglio della Difesa di Unasur, vuole che questo organismo insista nella richiesta di un summit con Obama perché spieghi la presenza del suo esercito nelle sette basi. Il presidente del Brasile chiede la garanzia che le operazioni della base sono per tutelare solo i problemi interni della Colombia. Altri governi regionali preferiscono fare silenzio. Le persone che controllano il potere negli USA sanno che la crisi strutturale del capitalismo significherà la caduta totale dell’ordine attuale e si prepara per controllare a suo favore le risorse della Terra. Le sette basi hanno questo obiettivo. Ma la storia non si ferma e ci sono governi e popoli disposti ad opporsi, come lo fanno oggi fuori dalla regione, gli iracheni, afgani, pakistani, palestinesi, iraniani, per costruire un altro mondo.

NOTE
(1)
Programma di Costruzione Militare. Anno Fiscale 2010. Finanziaria. Dati di Giustificazione consegnati al Congresso. Maggio 2009. Vedere Eva Golinger.

http://www.centrodealerta.org/documentos_desclasificados/traduccion_del_documento_de.pdf

(2)
Vedere Alejandro Torres Rivera http://www.rebelion.org/noticia.php?id=95210


Fonte:
http://www.visionesalternativas.com/index.php?option=com_content&task=view&id=45685&Itemid=1

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di Vanesa

22 novembre 2009

IL NUOVO COLONIALISMO: RUBARE TERRE AI PAESI POVERI


Neo-colonialismi crescono...


di Andrea Intonti

Si scrive Global Land Grab, si legge colonialismo. È questo, oggi, il nuovo modo con cui i paesi del c.d. Primo Mondo si assicurano la definizione di paesi ricchi.

Rubando milioni di ettari di terre coltivabili a paesi come Etiopia, Sudan, Cambogia, Filippine per continuare a far parte dell'esclusivo club dei “grandi”. In realtà non si può parlare di un vero e proprio ladrocionio, in quanto le terre vengono spostate da un paese all'altro con atto di vendita. Esattamente come si usava fare per gli schiavi nell''800.

Funziona così: un paese considerato ricco, con terre limitate (ad esempio la Cina) in cerca di sicurezza alimentare si rivolge a qualche paese con grandi possibilità terriere – e scarso grado di ricchezza – come molti paesi africani, in cambio di investimenti del paese acquirente in forza lavoro e tecnologie in loco. O almeno così dovrebbe essere. Perché il trucco c'è. Ed è molto evidente. Hedge funds, private equity groups ed altri tipi di speculazione sono le modalità con cui queste terre vengono pagate. Con questo procedimento già 40 milioni di ettari – di cui la metà in Africa – hanno cambiato proprietario o sono lì lì per farlo. In tutto ciò, però, un miliardo e 400 milioni di persone sono tagliate fuori: sono i piccoli produttori, i contadini e coloro che a quelle terre sono legati. Ma si sa che i grandi speculatori – come le banche, i governi dei paesi ricchi, le multinazionali – di questo se ne fregano.

È più o meno questo ciò che organizzazioni come La Via Campesiña e Grain hanno denunciato davanti alla Fao riunita per decidere le prossime mosse per l'abbattimento dell'insicurezza alimentare.

Già, la Fao. Uno dei tanti carrozzoni internazionali utili solo a dare da mangiare a politici collusi con grandi potentati e lobbies varie. Insomma: il solito organismo sovranazionale completamente inutile, se non addirittura nocivo. Basta guardare al vertice tenutosi nei giorni scorsi a Roma in cui mancavano praticamente tutti i “grandi” (Stati Uniti del “salvatore della patria” Obama e Gran Bretagna su tutti...). C'erano, invece, molti leaders di paesi in via di sviluppo. Il presidente del Brasile Inácio Lula e quello libico Gheddafi sembrano averla fatta da padroni. Più che un vertice Fao somigliava più ad un contro-vertice altermondista insomma, almeno stando ai partecipanti.

44 miliardi di dollari e 2025. Erano questi i due punti fondamentali del vertice. 44 miliardi di dollari sono gli stanziamenti chiesti per l'eliminazione della fame nel mondo, 2025 la data in cui il mondo dovrà considerarla solo un problema del passato. O forse sarebbe meglio parlare di stanziamenti che il mondo “avrebbe dovuto” dare considerando il 2025 come la data in cui il mondo “avrebbe dovuto” considerare la fame solo un flebile ricordo. Perché come è consuetudine delle grandi convention sovranazionali si tratta solo di fiumi di parole e nulla più. Per usare le parole di Giorgio Gaber, in questi contesti “tutto resta come prima, e chi se ne frega!”

È evidente l'incapacità – vera o indotta – di questi grandi eventi, che altro non sono che specchietti per le allodole per chi crede ancora che le sorti del mondo si decidano nelle grandi convention sovranazionali. Anche perché oggi il risiko mondiale non si gioca più in questi grandi meeting ma nei consigli d'amministrazione delle grandi multinazionali (come la Monsa nto e la Cargill, tanto per rimanere in ambito alimentare) o in quei grandi e controversi carrozzoni sovranazionali il cui scopo è esclusivamente quello di proteggere gli interessi dei paesi ricchi come la Banca Mondiale o il WTO, che negli ultimi anni hanno permesso questa nuova forma di schiavismo terriero.

Se Gheddafi e Lula sono stati i protagonisti del vertice non risparmiando parole feroci verso gli assenti – in particolare il leader libico, che come un novello Giano mostra la faccia cattiva verso i potenti in questi casi e quella buona quando quegli stessi potenti firmano assegni pluri-miliardiari con il suo paese – le parole più infuocate, e forse disperate, sono venute dal presidente del Mali Amadou Toumani Touré, il quale ha chiesto che il Nord del mondo non faccia più promesse per poi far tornare i leader del Sud a casa con un pugno di mosche in mano.

C'è stato anche il tempo per un siparietto alquanto comico, sviluppatosi nel momento in cui a parlare era il Premier dello Stato Vaticano Joseph Ratzinger, per cui “non è più possibile accettare opulenza e spreco, quando il dramma della fame assume dimensioni sempre maggiori”, che detto da uno che va in giro con scarpe “made in Prada” e tutto tempestato d'oro e gioielli non so se faccia venir più voglia di mettersi a ridere o di tirargli una scarpa come Muntazer al-Zaidi fece con Bush.

Se il Sud del mondo non vive una situazione felice, il Nord non può certo permettersi di ridere, visto che la crisi alimentare – e quindi la malnutrizione e la denutrizione – colpiscono anche il 15% della popolazione dei paesi del Primo mondo, ma ovviamente in noi “ricchi” una crisi simile ha un'impronta psicologica sicuramente inferiore rispetto ai nostri fratelli del Sud del mondo.

In una situazione del genere però non ci siamo arrivati dalla sera alla mattina e tantomeno la colpa è da attribuirsi a “crisi congiunturali” o chissà quali altre diavolerie. Perché come tutte le crisi mondiali, non ultima quella economica nata dai sub-prime americani, si possono individuare i colpevoli facendone nomi e cognomi: ci sono le grandi multinazionali agricole – come Cargill e Monsanto che dal momento dello scoppio della crisi hanno visto aumentare i loro profitti rispettivamente del 45% e del 60% - ci sono i grandi potentati sovranazionali come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e il WTO, nati con il solo scopo di portare avanti quel liberismo sfrenato di tatcheriana memoria utile solo ai paesi ricchi per continuare a fagocitare il resto del pianeta (e non solo in senso metaforico...); ci sono i governi nazionali che non hanno alcun interesse, almeno quelli dei paesi ricchi, a favorire l'operato dei contadini.

E poi c'è l'opinione pubblica. La cosiddetta società civile, che molto spesso ha parlato con voce debole quando è stata interpellata in materia (cosa che già viene fatta molto di rado). Perché la società civile si è fatta diseducare dall'opulenza consumistica dell'avere sempre tutto, purché fosse inutile. Così c'è stata la corsa agli alimenti “esotici”, che per arrivare dal Sud America all'Europa, ad esempio, impiegano petrolio che quindi vede il proprio prezzo incrementare, ma se aumenta il prezzo del petrolio allora aumenta il prezzo dei carburanti con cui permettiamo alle nostre automobili di circolare. Ecco: le automobili. Eccolo un altro dei colpevoli della crisi alimentare!

Più che “le automobili” in senso generico sarebbe meglio dire che il colpevole è tutto quell'indotto che sta nascendo intorno ai biocarburanti, che vengono prodotti – almeno nella fase iniziale – in quegli stessi campi dove crescono gli alimenti che troviamo sul banco del supermercato. Continuando così avremo la possibilità di fare il pieno (di etanolo, ovviamente) alle nostre auto ma non sapremo come andarci perché staremo tutti morendo di fame, visto che non ci saranno più terre coltivate per l'alimentazione!

Ed è qui che entra in gioco – di nuovo – la società civile. Che ha il compito di indignarsi, ha il dovere di fermare lo strapotere dei potentati multi- e sovranazionali dell'agricoltura. Come? Innanzitutto “educandosi”. Iniziando a prendere coscienza che ci sono delle accortezze che ogni persona può fare per dare il suo contributo all'eliminazione (o, quanto meno, alla diminuzione) della crisi alimentare. Innanzitutto iniziando a mutare le abitudini di acquisto – una delle azioni politiche più “devastanti” che possano esserci – tramite un consumo più critico e sostenibile, e questo non solo in ambito alimentare. La prossima volta che andate al supermercato e mettete qualcosa nel carrello, dopo esservi posti la domanda se quel che state acquistando è veramente utile, chiedetevi quanti passaggi quell'alimento – o comunque quel che state comprando - ha fatto dal produttore al supermercato. Se il numero che vi viene fuori è maggiore di uno rimettete tutto al proprio posto ed andatelo a comprare direttamente da chi l'ha prodotto. Si chiama filiera corta, ed oltre a costarvi sicuramente di meno, avrete la possibilità di controllare come quel che vi arriva in tavola viene prodotto, che in un tempo in cui la maggior parte delle epidemie – come l'influenza suina, la sars o il virus della mucca pazza – derivano dalla poca attenzione che la grande distribuzione (cioè i grandi nomi del settore alimentare che fanno capo più o meno tutti alle grandi multinazionali) pone nella produzione alimentare, credo sia un aspetto da non prendere poi così sotto gamba, no? In questo modo, inoltre, farete guadagnare anche qualcosina in più al contadino, che la reinvestirà per darvi un prodotto migliore quando tornerete da lui (invece le imprese della grande distribuzione ripartiscono l'extra-gettito – cioè quel che guadagano in più di quel che avevano preventivato di guadagnare – in pubblicità o in aumenti di stipendio per gli amministratori).

Tanto per non andare troppo lontano, pensate che nel nostro paese un contadino vende il grano che produce a 13 centesimi alla rete della grande distribuzione, che poi ci fa pagare circa 3 euro al chilo il pane che acquistiamo. Però al contadino vanno sempre i soliti 13 centesimi! Oppure le olive con cui viene prodotto l'olio extravergine: al contadino vengono pagate intorno ai 20 centesimi al chilo, ma l'olio al supermercato può arrivare a costare anche sui 5 euro (e il contadino sempre 20 centesimi si prende)! Vi sembra normale una cosa simile?

Se iniziassimo tutti a chiederci come viene redistribuito il prezzo che paghiamo quando facciamo la spesa, ci accorgeremmo che la maggior parte si perde nei vari passaggi dalla produzione alla distribuzione. Se invece eliminassimo tutti quei passaggi inutili avremmo sicuramente un maggior guadagno sia in meri termini monetari, perché spenderemmo di meno, sia in termini “psicologici” perché sapremmo esattamente da dove viene quel che mettiamo in bocca, come viene fatto ecc. E questo, oltre alla filiera corta, è quel che sta alla base del commercio equo-solidale, che permette ai produttori dei paesi poveri o in via di sviluppo di poter migliorare la propria condizione vendendo i loro prodotti ai paesi ricchi e guadagnando quasi dalla totalità del venduto (cosa che dovrebbe far felici anche i leghisti, visto che è un modo per aiutare “gli extracomunitari che invadono, violentano e rubano” a casa loro...).

Per battere la fame non c'è bisogno di grandi operazioni: basta affamare gli affamatori togliendogli il potere che questo modello socio-economico gli sta dando. Per farlo non servono “rivoluzioni” o grandi operazioni di massa. Basta fare la spesa. In maniera critica e consapevole.

Fonte: http://www.reportonline.it/

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FAO: IL SUMMIT DEI CONDANNATI

21 novembre 2009

COPENAGHEN NON INVERTIRA' IL CAMBIAMENTO CLIMATICO



di Jubenal Quispe


Da decenni,
scienziati “pazzi” e attivisti “apocalittici” annunciano quello che sarebbe successo se non si surclassava il modello di vita della “civiltà” occidentale. Ma l’avarizia di alcuni pochi ha potuto di più della sensibilità per il destino del pianeta. Il desiderio di guadagno in un certo senso ha avuto la meglio sulla sussistenza della vita.

Un bambino scalzo e piagnucolante contempla impotente la sua squallida mucca moribonda per terra, il cui sguardo, fisso verso la sorgente (quasi senza acqua) alla quale non è potuta arrivare.
Migliaia di chilometri sul livello del mare, un uomo dal viso segnato dal sole e dall’aria e dita quasi senza unghie, ammira il tramonto ardente, e con il suo sguardo afflitto ci dice: bisognerà fuggire da qualche parte, perché la pioggia non ritornerà. Queste non sono due immagini dell’ Africa Sahariana. Sono sgarranti realtà che stanno accadendo in Bolivia, quinta potenza mondiale di riserve di acqua dolce registrate.

Mentre succede questo, scienziati altamente qualificati dell' ONU, sul cambio climatico, ci annunciano i primi frutti delle loro ricerche in Bolivia: meteo irregolare,
ritiro forzato dei ghiacciai, siccità, desertificazione, foreste, ecc. Questo lo sappiamo da tempo a causa dalla nostra esperienza quotidiana.

20 novembre 2009

I VACCINI CONTRO L'INFLUENZA "A" CONTENGONO UN PERICOLOSO COADIUVANTE


di Miguel Jara

Lunedì 16 novembre 2009. In Spagna è cominciata la vaccinazione contro la “pandemia” dell’influenza A.
Come molti operatori sanitari hanno avvertito durante gli ultimi mesi, la medicina può essere peggiore della malattia. Questo vaccino è stato venduto diffondendo la paura tra la popolazione perché si inoculi il vaccino che senza il marketing della paura non si farebbe, o non nella misura in cui interessa ai laboratori produttori dello stesso. L’influenza A è una malattia lieve, più di un’influenza stagionale ed i vaccini possono sempre causare reazioni avverse di diversa gravità. Dovete sapere che la Commissione Europea ha autorizzato per tutta l’ Europa due vaccini: Focetria, del laboratorio Novartis e Pandemrix della GlaoSmithKline. Tutti e due hanno come conservante il mercurio, il polemico Timorosal. Questo eccipiente può causare autismo (disturbo generalizzato dello sviluppo che si caratterizza per un’alterazione dell’interazione sociale e della comunicazione, così come da modelli di comportamenti ripetitivi e stereotipati) nei bambini, tra gli altri danni neurologici.

La Corte Nazionale spagnola
ha dichiarato ammissibile una domanda di responsabilità per danni al Ministero della Salute e ai laboratori GlaxoSmithKline, Sanofi Pasteur MSD, Wyeth, Lederle e Berna Biotech Spagna, produttori di vaccini con timorosal per i possibili danni cha ha causato. La domanda è impulsata dall’ Associazione Vincere l’Autismo (AVA) e l’ Associazione per la Protezione Ambientale attraverso dell’ Ecoturismo e nella Difesa della Salute (ANDECO), a nome di 59 famiglie (ce ne sono altre 35 da formalizzare) e portate avanti dall’avvocato Felipe Holgado, uno specialista in diritto sanitario. E’ la prima volta che in Spagna si presenta una richiesta collettiva che questiona gli effetti dei vaccini sui nostri organismi, o per lo meno quelle che contengono mercurio (la denuncia include anche i danni che le' amalgama dentale prodottea con questo metallo possono causare). Alla Corte Nazionale il caso ha la precedenza in commissione, sia dei richiedenti che dei contestatari. Il Ministero della Salute ha risposto alla richiesta di suddetto tribunale che non è dimostrato scientificamente la relazione del mercurio dei vaccini con l’autismo. Lo ha fatto con considerazioni generiche, senza allegare studi individualizzati di ogni bambino con autismo. Adesso è il turno dei cinque laboratori imputati.

“E' stato comprovato che dopo la vaccinazione o la collocazione di amalgame dentali che hanno mercurio,
aumentano i livelli di questo metallo nel corpo dei pazienti. Esistono studi che hanno dimostrato che, dopo una vaccinazione con timorosal, si rilevano nell’organismo dei livelli di mercurio superiori a quelli raccomandati dall’ Agenzia di Protezione Ambientale degli Stati Uniti (EPA) e dall’ Organizzazione Mondiale della Salute (OMS)”, afferma Felipe Holgado, l’avvocato responsabile della domanda. “Un rapporto di valutazione terapeutica sui vaccini con thimorosal pubblicato dal vecchio Insalud nell’anno 2000 spiega la sua pericolosità- continua. Inoltre, si suggerisce che i laboratori producano i vaccini senza questa sostanza”. Che si, questa pubblicazione evidenzia che in nessun momento si tagli il limpido getto della vaccinazione sui bambini dato che i suoi benefici “sono molto superiori rispetto ai potenziali rischi derivati dall’esposizione ai vaccini che contengono timorosal”. Esistono più di 10.000 studi sulla tossicità del mercurio.

I laboratori conoscono
i danni alla salute del mercurio nei vaccini. Nel 2005, Robert F. Kennedy Jr, prestigioso avvocato in temi di salute ed ecologia, nipote del presidente degli Stati Uniti, John F. Kennedy, pubblicò un dossier sul Deadly Immunity (Immunità Mortale). Tra le tante altre informazioni, il lavoro offre dati su una riunione tenutasi a Simpsonwood (Georgia, USA) a giugno del 2003. La riunione fu convocata dal Centro per il Controllo delle Malattie (CDC), senza comunicati pubblici, ma soltanto tramite inviti privati a 52 assistenti. Tra essi: funzionari di alto livello del CDC e dell’ FDA (l’agenzia di medicina statunitense), lo specialista in vaccini più importante dell’ Organizzazione Mondiale della Salute, ed esecutivi dei principali produttori di vaccini, come Merck, Aventis, GlaxoSmithKline e Wyeth ( tre di questi laboratori sono a giudizio in Spagna alla Corte Nazionale).

Qual era l’obiettivo di tale inquietante appuntamento?
Una ricerca aveva suscitato dubbi sulla sicurezza di una grande quantità di vaccini somministrati a neonati e bambini piccoli. L’epidemiologo del CDC, Thomas Verstraeten aveva analizzato un' enorme database contenente le storie cliniche di 100.000 bambini e aveva scoperto che un conservante con mercurio incorporato ai vaccini- il timorosal- sembrava essere il responsabile di uno spettacolare aumento dei casi di disturbi con deficit dell’attenzione, iperattività, e autismo nei bambini. In quel momento negli USA c’erano 4.200 cause presentate da genitori di bambini con autismo.

Dopo aver analizzato numerose statistiche che confermavano quei dati, funzionari e rappresentanti di laboratorio,
invece di prendere misure volte a sensibilizzare il pubblico ed eliminare la fornitura di thimerosal nei vaccini, hanno perso buona parte del tempo a discutere su come nascondere un' informazione così importante per la cittadinanza e negli anni seguenti lo hanno fatto.

Altre info: Il libro “
La salute che sta arrivando. Nuove malattie ed il marketing della paura (Penisola, 2009), contiene un capitolo specifico su questo argomento, oltre ad altri capitoli su come si è realizzata la campagna della lobby e del marketing della paura del vaccino contro il papilloma virus umano o su come s’inventano queste malattie.

Fonte: http://www.migueljara.com/2009/11/16/las-vacunas-contra-la-gripe-a-llevan-un-peligroso-conservante/

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di VANESA

FAO: IL SUMMIT DEI CONDANNATI

Pagare o fare la dieta: La FAO riconosce che la fame non è una “priorità”.

In base alla definizione di Wikipedia (in Spagnolo, ndt): “La fame è la sensazione che indica il bisogno di alimento. In condizioni di una normale alimentazione, è solita apparire dopo 4 ore dall’ultimo pasto, anche se questo tempo può essere molto variabile. La sensazione della fame è qualcosa di naturale, ma privarsi dell’alimento per molto tempo pregiudica la salute mentale e fisica. La privazione dell’alimento induce alla sonnolenza, attenua le emozioni ed impedisce di pensare con normalità. Il desiderio di mangiare diventa prioritario e si diluiscono i valori morali. La fame estrema può comportare un effetto disumanizzante che può portare al furto, all’assassinio e anche al cannibalismo. Spesso la fame è accompagnata da malattie e epidemie, che hanno origine nello stato di debolezza dei colpiti”.

Per il direttore generale dell’ Organizzazione per l’ Agricoltura e l’Alimentazione (FAO) delle Nazioni Unite, Jacques Diouf, l’assenza dei leader politici dei paesi ricchi al Summit Mondiale sulla Sicurezza Alimentare che sta avendo luogo a Roma, rivela che “il problema della fame non è una priorità per i paesi più ricchi”. Allo stesso modo, assicura che, “con 44.000 milioni di dollari si risolverebbe la fame nel mondo”. Questa cifra equivale al 66% della fortuna di Bill Gates, il primo milionario del pianeta. Cioè, se il buon Bill Gates rimanesse con 16.000 milioni di dollari e donasse il resto alla FAO, gli affamati del mondo mangerebbero.

Ma durante il summit, aldilà dei discorsi, nessuno, nessun paese ha messo una moneta per alleviare la carestia che devasta più di un miliardo di abitanti della Terra. Pazzia? Assurdità? Cannibalismo della propria specie? Niente di tutto questo: Pianeta retto dal sistema capitalista e mancanza di motivazione per investire nel “prodotto fame”. Investire nel mercato della povertà non produce guadagno aziendale e risulta un passivo sempre più intollerabile per i governi. La prova è evidente: Al Summit Mondiale sulla Sicurezza Alimentare i poveri e affamati del mondo (per una stretta valutazione dell’equazione “costo-beneficio” capitalista) sono stati già abbandonati al loro destino e condannati a morte senza processo. E l’Apocalisse sociale non è più una teoria cospiratrice: La ribellione degli affamati si cucina a fuoco lento ma sicuro. Il capitalismo si suicida, e non lo sa, la sua demenza criminale è più forte che la stessa realtà che produce.

In base alle informazioni delle agenzie di notizie internazionali, in una delle peggiori assemblee mondiali dedicate al “più drammatico problema dell’umanità”, sessanta capi di Stato e di Governo, più delegati di tutti i paesi, lunedì hanno fatto solo una dichiarazione politica e non hanno dato neanche un centesimo per alleviare la fame che devasta mille milioni di abitanti della Terra.
Per il direttore generale della FAO, Jacques Diouf, l’assenza dei leader politici dei paesi ricchi al Summit Mondiale sulla Sicurezza Alimentare che sta avendo luogo a Roma, rivela che “ il problema della fame non è una priorità per i paesi più ricchi”.

Ad eccezione del primo ministro italiano, Silvio Berlusconi, la riunione si è caratterizzata per l’assenza degli altri membri del G-8, cioè, delle economie imperiali più potenti del mondo, fatto che è stato sottolineato dal direttore generale della FAO, Jacques Diouf, così come dai principali responsabili della società civile e delle organizzazioni non governative che hanno partecipato all’evento.

“Dà la sensazione che il problema della fame nel mondo non è una priorità” , ha affermato Diouf durante dichiarazione a Radio Nazionale di Spagna, raccolte da Europa Press, in relazione all’assenza di capi di Governo dei paesi del G- 8. “Ci sono dichiarazioni, compromessi, indicazioni ma a queste non segue l’azione”, si è lamentato.
Secondo la FAO, ogni sei secondi nel mondo muore di fame un bambino e ogni giorno 17.000 bambini perdono la vita per non avere nulla da mangiare.
Il direttore della FAO, Jacques Diouf, ha contato sei secondi in una pubblicità e aggiunse; “ Un bambino nel mondo è morto per la fame”. Nel giorno dell’assemblea mondiale contro il flagello, 17 mila persone sono morte di fame, ha aggiunto.

Il documento firmato dai 193 paesi, membri della FAO dice: “Ci allarma che persone che soffrono la fame e la povertà adesso siano più di 1.000 milioni. Questa situazione costituisce una cicatrice inaccettabile”.
E anche se i partecipanti al Summit hanno manifestato il bisogno di raggiungere entro il 2015 gli scopi del primo Obiettivo dello Sviluppo del Millenio di ridurre il numero di persone affamate della metà, la dichiarazione non parla dei fondi con i quali si riuscirebbe ad ottenere questo.
Il direttore della FAO si è lamentato del fatto che non si è parlato di una quantità concreta di denaro neanche di una data per questi obiettivi. “Se si fissa uno scopo è necessario quantificarlo e dire quando si deve realizzare”, ha spiegato Diouf durante le dichiarazioni stampa.

Durante il summit, il funzionario ha affermato che si necessita di 44 milioni di dollari per sradicare la fame nel mondo.
In realtà, “si tratta di una quantità piccola se si compara con i 365.000 milioni di dollari di sovvenzioni ai produttori agricoli nei paesi dell’ OCDE nel 2007”, ha chiarito e insistendo sul bisogno di produrre alimenti nei posti dove risiedono i poveri e gli affamati, ha spiegato.

Pagare o fare la dieta.

Per l' ONU, nel mondo ci sono più di un miliardo di persone che soffrono la fame, la cifra più alta della storia ed in tutto il pianeta ci sono 3 miliardi di denutriti, che rappresentano quasi la metà della popolazione mondiale, di 6.500 milioni. Ma nella realtà, la produzione di alimenti è fuori dall’orbita di controllo statale dei governi.
Le risorse essenziali per la sopravvivenza sono sottoposte alla logica del guadagno capitalista di un pugno di corporazioni transnazionali (con capacità informatica, finanziaria e tecnologica) che le controllano a livello globale e con la protezione militare-nucleare degli USA e delle superpotenze.
In questo scenario, la produzione e la commercializzazione degli alimenti non è sotto la logica del “bene sociale”, bensì la più cruda logica del guadagno capitalista.

Secondo la stessa FAO, dieci corporazioni transnazionali controllano annualmente l’ 80% del commercio mondiale degli alimenti basici, e un numero simile di mega aziende controllano il mercato internazionale del petrolio, del cui impulso speculativo si nutre il processo dell’aumento dei prezzi degli alimenti, causa della fame, che si estende in tutto il pianeta.
Tra i primi squali transnazionali dell’alimentazione, si trovano l’azienda svizzera della Nestlè SA, la francese Groupe Danone SA, e la Monsanto Co, leader mondiali della commercializzazione degli alimenti e che, oltre a controllare la commercializzazione e le fonti di produzione, possiedono tutti i diritti su scala globale su semi e prodotti agricoli.

Spogliati dalla loro condizione di “bene sociale” per la sopravvivenza, quelle risorse si convertono in merce capitalista con un valore fissato dalla speculazione del mercato, ed i prezzi non solo vengono stabiliti dalla richiesta del consumo massivo ma basicamente dalla richiesta speculativa dei mercati finanziari e agro-energetici.
Ed i governi, nel non avere un potere di negoziare sulle loro risorse agro energetiche diventano burattini delle corporazioni che li controllano e che si appropriano del guadagno prodotto dal lavoro sociale di questi paesi.
Quindi, non c’è una “crisi alimentare” (come sostengono la FAO, la ONU, la Banca Mondiale e le organizzazioni del capitalismo come il G-8) ma un aumento della fame mondiale a causa della speculazione finanziaria e la ricerca di guadagno capitalista con il prezzo del petrolio e degli alimenti.

Il controllo delle fonti, della produzione, della commercializzazione internazionale e dell’insieme delle risorse finanziarie emergenti dalle corporazioni transnazionali, fanno diventare impotenti i governi dipendenti (senza alcun potere su quelle risorse) per risolvere i problemi della fame che colpisce la loro popolazione.
E per più appelli che le istituzioni “assistenzialistiche” del capitalismo come l' ONU e la FAO (che seguono la carità religiosa) facciano, le corporazioni transnazionali stabiliscono la loro dinamica produttiva a partire dalla relazione costo- beneficio. Questo è, e seguendo la logica essenziale che guida lo sviluppo storico del capitalismo, producono solo rispettando la legge del guadagno, la legge del beneficio privato e non la logica del beneficio sociale.

D’altra parte, i fondi che l' ONU, Banca Mondiale e altre organizzazioni del capitalismo transnazionale destinano, sono elemosine in comparazione ai guadagni multimilionari degli squali del petrolio e dell’alimentazione e la crescita delle fortune personali dei suoi manager e azionisti.
In questo quadro, il risultato del Summit dell’Alimentazione a Roma, non poteva essere diverso.
Pagare o fare dieta: la ricetta del sistema capitalista per la massa mondiale della popolazione che avanza e che resta fuori dal mercato del consumo. Incredibile, ma vero.

Fonte: http://www.iarnoticias.com/2009/secciones/contrainformacion/0082_el_hambre_no_es_prioridad_17nov09.html

Tradotto per Voci Dalla Strada da Vanesa

18 novembre 2009

FERMATE LA «MONSANTIZZAZIONE» DEL CIBO, DEI SEMI E DEGLI ANIMALI!

“I regolamenti sui brevetti dell' UE, USA e molti altri paesi, così come anche i cosiddetti Accordi Trips dell' OMC devono essere rivisti con urgenza per mettere freno alla monopolizzazione e al controllo aziendale delle risorse genetiche del mondo. Questa revisione dovrebbe condurre ad una regolamentazione che garantisca il diritto alla alimentazione ed al divieto di brevetti su piante e animali da fattoria”.
Allerta globale della coalizione “No ai brevetti sui Semi!”.

Negli ultimi anni, le organizzazioni di agricoltori del mondo intero, gli allevatori e coltivatori, le istituzioni dell' ONU, così come le organizzazioni per lo sviluppo e ambientali hanno espresso molte volte la loro preoccupazione di fronte alla crescente monopolizzazione dei semi e degli animali delle aziende agricole attraverso i brevetti. La perdita della loro indipendenza ed l’aumento del debito degli agricoltori, la diminuzione della diversità vegetale e animale e le sempre maggiori restrizioni alle attività della coltivazione, l'allevamento e la ricerca sono alcune delle conseguenze più preoccupanti di questa tendenza. Ma nonostante queste esperienze allarmanti ancora non esistono misure legali per fermare questa tendenza. Al contrario, un recente studio sulle sollecitazioni presentate alla World Intellectual Property Organization (WIPO), mostra che le grandi aziende internazionali di semi cercano ancora di imporre le loro rivendicazioni di monopolio senza preoccuparsi delle conseguenze per la sicurezza alimentare globale ed il sostentamento degli agricoltori di tutto il mondo. Questo risulta ovvio analizzando le recenti sollecitazioni sui brevetti, presentatedalle tre più grandi multinazionali di semi: la Monsanto (USA), Dupont (USA) e Sygenta (Svizzera).

I sottoscritti firmatari, singoli, organizzazioni ed istituzioni lanciano un appello ai governi e agli uffici brevetti per frenare questo sviluppo preoccupante e perché siano riviste le regole sui brevetti esistenti. Le regolamentazioni sui brevetti dell' UE, gli USA e molti altri paesi così come gli accordi chiamati Trips dell' OMC devono essere rivisti con urgenza per frenare la monopolizzazione e il controllo aziendale delle risorse genetiche mondiali. Questa revisione dovrebbe condurre ad una regolamentazione che garantisca il diritto all' alimentazione e il divieto di brevetti sulle piante e animali delle fattorie.

I seguenti esempi mostrano alcune sollecitazioni di brevetti portati all’estremo.

Molte delle rivendicazioni presentate in queste sollecitazioni possono solo essere descritte come assurde. Questi brevetti mostrano fin dove si è arrivati con le norme sui brevetti esistenti che sono completamente carenti. In solo quattro anni, tra il 2005 ed il 2009, la Monsanto ha presentato quasi 150 sollecitazioni per i brevetti su coltivazioni di piante alla WIPO. Queste sollecitazioni mostrano la crescente tendenza ad esigere diritti di proprietà esclusivi non soltanto sulle piante o animali geneticamente modificati, ma anche sulle biodiversità esistenti ed sui metodi di coltivazione e dell’allevamento tradizionale. Mentre negli anni precedenti al 2005 furono presentati soltanto pochi brevetti di questo tipo, più del 30% delle sollecitazioni di brevetti della Monsanto presentate tra il 2005 ed il 2009 includono i metodi di coltivazione convenzionali. Questa tendenza si può osservare tra le altre grandi aziende delle sementi. Durante lo stesso periodo, Dupont, ha presentato intorno alle 170 sollecitazioni di brevetti su coltivazioni, il 25% di essi implicano metodi di coltivazioni tradizionali. Syngenta ha presentato circa 60 sollecitazioni, il 50 % di esse centrati sulle coltivazioni tradizionali. Tra le grandi aziende di semi, la Monsanto è l’unica che presenta anche brevetti su animali da fattoria. Dal 2005, circa 20 brevetti su metodi di allevamento sono stati presentati dall’azienda statunitense.

Esempi:
  • Sollecitazione di brevetti della Monsanto WO200821413, “il brevetto che monsantorizza il mais e la soia”, rivendica metodi che ampiamente si utilizzano nella coltivazione e l’allevamento tradizionale. In più di 1000 pagine e attraverso 175 rivendicazioni, la Monsanto rivendica varie sequenze di geni e di variazioni genetiche, specialmente per la soia ed il mais. La Monsanto va così lontano che esige esplicitamente che tutte le piante di mais e soia che contengono quegli elementi genetici. Inoltre estende la lista a tutte le utilizzazioni in alimenti, raccolti e biomassa. Con la presentazione di sollecitazioni regionali specifiche, la Monsanto mostra un interesse particolare nel richiedere questo brevetto in Europa, Argentina e Canada.
  • Nella richiesta del brevetto WO 2009011847 , “il brevetto che monsantorizza la carne ed il latte”, la Monsanto rivendica ampiamente i metodi dell’allevamento del bestiame, animali così come anche del latte, il formaggio, il burro e la carne.
  • Altre aziende hanno anche presentato in modo aggressivo delle richieste sulle risorse genetiche, necessarie per la produzione di alimenti e raccolti. Un esempio è la richiesta del brevetto WO 2008087208 , “il brevetto Syngenta sulla semina del mais”, che si concentra sulle condizioni genetiche del mais per la produzione del grano. La Syngenta rivendica le piante ed anche la loro coltivazione.
  • Vari brevetti simili sono stati già concessi, come il brevetto sulla coltivazione di soia, come la WO 98/45448 , “il brevetto Dumont sul tofu” dato in Australia, Europa e USA che include la salsa di soia, il tofu, il latte di soia ed un preparato per biberon di questa soia. Questo brevetto (o brevetti della stessa famiglia) sono stati presentati anche per il Brasile, Canada, Cina, Giappone, Norvegia e Nuova Zelanda.
Questa classe di brevetti sono la colonna vertebrale di una strategia per prendere il controllo globale della produzione alimentare a tutti i livelli. Questi brevetti non eliminano la ricerca e l’innovazione. Il loro obiettivo è bloccare l’accesso alle risorse genetiche e alla tecnologia e creare una nuova dipendenza per gli agricoltori, allevatori e coltivatori. La resistenza, tuttavia, è in aumento. Nel 2007, le organizzazioni degli agricoltori e le ONG di tutto il mondo ha creato la piattaforma globale "No ai brevetti sulle sementi". Nel 2008, centinaia di lettere furono spedite all’ Ufficio Europo dei Brevetti (EPO) nel “caso del brevetto sui broccoli”, EP 1069819, che costituiva un precedente. Nel 2009, migliaia di agricoltori e cittadini, ONG e anche autorità governative hanno presentato una opposizione al “brevetto europeo sull’allevamento dei maiali”, EP 1651777, un brevetto richiesto dalla Monsanto nel 2004.

Le persone, organizzazioni ed istituzioni che hanno firmato chiedono ai politici e agli uffici dei brevetti di tutto il mondo di assicurare che i brevetti come quelli menzionati sopra non possano essere concessi. Si necessita di un cambiamento radicale sia da parte della legislazione sui brevetti sia sulle piante e animali da fattorie. Non dovrebbe essere permesso che le aziende di continuare ad usare male e monopolizzare i semi, piante e animali da fattoria attraverso le leggi sui brevetti. In caso contrario, questi brevetti diventeranno un pericolo maggiore per la sicurezza alimentare e per la sovranità alimentare regionale.

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Scarica Le sollecitazioni di brevetti sui metodi di coltivazione tradizionali attualmente 377. 46 Kb

Questa allerta sarà consegnata ai governi e agli uffici dei brevetti il 26 marzo del 2010- tre anni dopo l’inizio ufficiale della coalizione globale “No ai Brevetti sui Semi”.

Fino ad ora le associazioni contadine seguenti hanno già sostenuto l’iniziativa ( in ordine alfabetico):
ABL Germania
BDM Germania
BKS India
COAG Spagna
Coldiretti Italia
Equivita Italia
FAA Argentina
FETRAF-Sul Brasile
GRAIN International
ICPPC Polonia
UNAG Nicaragua

Coalizione No ai Brevetti sui Semi

Fonte: http://www.biodiversidadla.org/content/view/full/52882

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di Vanesa

I miei “Credo”: Ambiente


di Gianni Girotto


Ritengo sia scontato, scontatissimo lo dicono tutti no? ma nei fatti poi….

Credo che l’ambiente debba essere la priorità di tutto, di ogni singola azione. L’ambiente non è un lusso, un accessorio, una voce di bilancio, l’ambiente è il fondamento su cui si poggia tutto il resto; se l’ambiente non è in equilibrio, tutto il resto è in pericolo. E ricordo che nel termine “tutto il resto” ci siamo anche noi essere umani….ed attenzione che gli ultimi dati sono terribili, secondo il recentissimo ultimo rapporto dell’IUCN (International Union for Conservation of Natureun’organizzazione internazionale all’interno della quale partecipano ben 140 Paesi, con una rappresentanza di 77 Stati, 114 agenzie governative, più di 800 organizzazioni non governative, più di 10.000 scienziati ed esperti internazionalmente riconosciuti provenienti da più di 180 Paesi che lavorano all’interno delle Commissioni – quindi non degli sprovveduti quaraquaquà..) dichiara che oltre un terzo della flora e della fauna sono a rischio di estinzione.

MORTI IN DIRETTA, SOFFERENZA IN DIFFERITA


di ©Paco Roda

Sono cifre che lacerano, che spaventano, anche se quasi nessuno si commuove. Al massimo, gli acrobati del sentimento, i frigidi della ragione o i nostalgici dell’infortunio. Come se la disgrazia e Caronte fossero compagni ben abbinati di un viaggio verso l’ignoranza o l’impunità assoluta. Sono i numeri della vergogna meglio portata da questa Europa che è troppo superba per arrendersi all’evidenza. Numeri che nascondono la radice quadra dell’infinita sofferenza, serie incatenate di logaritmi di avversità e biografie malfatte il cui guadagno emozionale aumenta le cifre dell’audience. Cifre incorporate alla statistica altisonante e a discolpa del buonismo interculturale, cifre di scandalo per una società amnesica e auto compiacente. Vite e morti narrate in diretta ma sentite in differita. Morti nei confini dell' inclemente verità, quella che rimbomba senza eco. Perché lì, ai confini dei mari, nelle periferie dei deserti, nei bordi più affilati delle frontiere della soddisfazione, si muore giorno dopo giorno senza lasciare traccia. E non succede nulla. Appena una lacrima di sangue congelata nella notte del deserto.

Sono i numeri in rosso dell’eccedenza, di
quel mondo amaro e duro che espelle 160 milioni di immigrati che giungono qui per pulire i culi dei nostri nonni, per alzare le nostre case o raccogliere la frutta che dopo mangiamo. Sono i numeri della povertà meglio nascosta e truccata del mondo che sa solo gestire la sua crisi. Ed è che le frontiere di questa Europa amnesica e fastosa che ha festeggiato 20 senza muro, sono state chiuse e sbarrate per coloro che sopravvivono col corpo alle intemperie. Perché tra loro e noi c’è un spazio immenso. Io mi posso muovere da Bilbao a Dakar per 380 euro. Mi basta una carta d’identità e 7 ore di volo. Ibrahima ha avuto bisogno di quattro mesi per attraversare il deserto, 10 giorni struggendosi nell’ Atlantico e 4000 euro di debito con il pirata che ha dato prezzo alla sua avventura. Ancora sta pagando quell’ipoteca senza euribor ma con un alto prezzo sulla sua testa.

Quel viaggio, quello dell’immigrazione, si chiude con numeri in rosso. Sono le cifre date dall’
Osservatorio sulle vittime dell’emigrazione. E dal 1988, cioè, un anno prima che cadesse il muro, fino ad oggi, sono morti 14.714 immigrati che cercano di raggiungere i confini dell'Europa. Di loro, 6.344 giacciono in fondo al mare, in quel Mediterraneo di cui cantò Ovidio, che ha affascinato Omero e che tanto ha sedotto Llach. Dall’altra parte, 4.445 uomini e donne che un giorno hanno abbandonato le loro famiglie in Marocco, Argelia, Mauritiana e Senegal, terre di fuoco e sale, di sabbia e vento, sono morti nella lunga traversata del deserto cercando di arrivare al Regno di Spagna attraverso le isole Canarie. Precisamente in quel paradiso di pensionati nordici abbronzati da un amichevole sole che dolcifica il loro perfetto futuro. Ed è che mentre loro cercano un luogo dove cadere vivi, ogni anno la sfolgorante Parigi-Dakar gli sbatteva in faccia la sua potenza tecnologica sotto forma di competizione verso un niente senza senso. Le loro insignificanti biografie, marcite nelle periferie del cuore dell’ Africa, appena causeranno qualche lacrima. Al massimo un prolungato e lontano sospiro che uscirà dal quell' insignificante 0,7 % penitenziale.

Non lontano da lì, nel Canale della Sicilia, sono morte 4.100 persone tra le coste della Libia, Tunisi e Malta. Il 10 agosto 2007 furono riscattati 14 cadaveri dall’ equipaggio di una nave di lusso, il
Giulio Verne, che raccolse anche 12 naufraghi alla deriva. La notizia posteriore non fu il dramma dei naufraghi ma la solidarietà mostrata dai turisti e la commozione che questo ha teoricamente implicato per le loro vite. C’è chi dà di più in questo spettacolo mediatico al servizio di una morale priva di polvere e paglia?

Non poche morti ci sono state anche negli insospettabili nascondigli che la povertà è capace di inventare. Santiago Alba Rico, forse l’intellettuale spagnolo più lucido e compromesso con l’attuale e sporca realtà culturale spagnola, ha detto che
i turisti quando viaggiano sono pecore, gli immigrati avventurosi, noi siamo comici nei nostri viaggi e loro epici nei loro spostamenti, i turisti visitiamo, gli immigrati viaggiano, i turisti sono esseri anonimi, gli immigrati concrezioni individuali. Qui c’è la differenza. Ed è un bisogno epico dello spostamento nel capitalismo di ultima generazione e globale quello che ha provocato che, almeno dal 2000, siano morti per asfissia, nascosti nei camion, 357 persone schiacciate dal peso della carica o a causa di incidenti in Albania, Francia, Germania, Grecia, Inghilterra, Irlanda, Italia, Olanda, Spagna e Ungheria. Che 300 persone siano morte affogate nei fiumi che fanno da frontiera tra la Croazia e la Bosnia, Turchia e Grecia, Slovacchia e Austria, Slovenia e Italia. Che altre 112 persone siano morte congelate cercando di attraversare le montagne delle frontiere della Grecia, Turchia, Italia e Slovacchia durante i rigidi inverni scorsi. Il Canale Della Manica accoglie non pochi cadaveri, 30 persone sono morte a Calais cadendo nelle rotaie dell’eurotunnel che unisce le rive della Francia e dell’ Inghilterra. La lista segue come se l’infinito non si sciogliesse: 217 persone, tra le quali si sa che c’erano donne e minori, sono stati uccisi dai militari della Turchia, Grecia, Francia, Germania, Gambia, Egitto, Sahara Occidentale, Libia, Spagna e l’antica Iugoslavia. Nel frattempo, la fiammante Dichiarazione dei Diritti Umani che chiede l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani si stropiccia impassibile. O guarda da un’altra parte.

Ogni anno, la società nordamericana ricorda a New York i suoi morti delle Torri Gemelle. Ancora questa società di facili ricordi e memorie deboli, sta aspettando che le capitali europee evochino i mille di immigrati morti cercando di arrivare alle sue frontiere scappando dal terrorismo globalizzato del capitalismo attuale. Come dice il teologo Fraz Hinkelammer,
quelle migliaia di morti che giacciono nell’anticamera dei nuovi campi di concentramento e deserti in Europa e nel nord d’ Africa sono, senza alcuna esagerazione, il nuovo genocidio strutturale di questa società alla deriva.

Fonte:
http://www.rebelion.org/noticia.php?id=95180

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
Vanesa

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17 novembre 2009

IL SACCHEGGIO DEL PETROLIO IRACHENO


di James Cogan

La concessione fatta lo scorso giovedì (5 nov. NDT) sui diritti per sviluppare l’immenso campo petrolifero di Qurna Ovest, al sud dell’ Iraq, all’ Exxon-Mobil e alla Royal Dutch Shell, sottolinea ancora una volta il carattere criminale della continua occupazione statunitense. Come conseguenza diretta della guerra all’ Iraq, i principali conglomerati energetici statunitensi e transnazionali adesso stanno intensificando il controllo su alcune delle più grandi piattaforme petrolifere del mondo.

Qurna Ovest ha riserve per 8.700 milioni di barili di petrolio. Il totale delle riserve dell’ Iraq attualmente è di 115.000 milioni di barili, anche se ci sono decine di piattaforme potenziali che ancora non sono state esplorate adeguatamente. Prima dell’invasione statunitense nel 2003, il regime baazista di Saddam Hussein aveva concesso i diritti su Qurna Ovest alla petrolifera russa Lukoil. Il regime–burattino pro-statunitense ha proceduto ad annullare tutti i contratti precedenti alla guerra.

Exxon- Mobil, che ha sede negli USA, è il primo gigante petrolifero a beneficiarne. Secondo le condizioni di un contratto di vent’anni, la Exxon-Mobil e la Shell pianificano di aumentare la produzione giornaliera a Qurna Ovest da meno di 300.000 barili a 2,3 milioni di barili al giorno durante i prossimi sei anni. Allo stesso modo il governo iracheno compensa le compagnie per i costi che le migliorie alle piattaforme possono implicare- che possono arrivare fino ai 50 miliardi di dollari- queste pagheranno 1,9 dollari per ogni barile che estrarranno, cioè intorno ai 1.500 milioni di dollari all’anno. La Exxon-Mobil ha una partecipazione dell’ 80 % e la Shell del restante 20 %.

Il contratto è solo il secondo firmato dal regime di Bagdad con compagnie energetiche straniere. Martedì scorso, il governo iracheno ha concluso un accordo con la British Petroleum (BP) e con la China National Petroleum Corp (CNPC), dando loro i diritti allo sfruttamento dell’immenso campo di Rimaila e le sue riserve di 17.000 milioni di barili. BP mantiene una partecipazione di un 38% e CNPC il 37%. Lo scopo è di incrementare la produzione da un milione di barili al giorno a 2,85 milioni, che genereranno profitti per 2.000 milioni di dollari l’anno.

L’unico punto di attrito che hanno incontrato le transnazionali è che i contratti non si basano sul modello postulato dal Production Sharing Agreement (Accordo Di Produzione Condivisa), che concede fino al 40% delle entrate totali di un campo petrolifero. Anche i corrotti individui che compongono il governo iracheno hanno rifiutato di cedere i più grandi campi petroliferi a quelle condizioni. Invece, i patti appaiono classificati come un accordo di “servizio”. Questo ha permesso che il Primo Ministro, Nuri al-Maliki, e il suo Ministro del Petrolio, Hussain al–Shahristani, ignorassero il parlamento ed approfittassero dell’assenza di una legge sugli idrocarburi che regoli l’industria energetica.

Ma ci sono altri accordi sul punto di concludersi. Un consorzio composto dalla compagnia italiana ENI, Occidentale, con sede negli USA, e Kogas, della Corea del Sud, hanno firmato un accordo provvisorio per il campo petrolifero di Zubair, che conta con una riserva di circa 4.000 milioni di barili. Eni, il gigante giapponese Nippon Oil e la firma spagnola Repsol stanno spingendo per avere un campo in Nasiriya che ha riserve di simile grandezza. Al nord dell’ Iraq, la Royal Dutch Shell sta negoziando un contratto per sviluppare aree non ancora sfruttate dell’importante campo di Kirkuk, dal quale si pensa si possa avere una riserva di 10.000 milioni di barili nonostante sia già in produzione dal 1934.

Mentre aspettano condizioni migliori, le compagnie energetiche stanno facendo accordi per migliorare i campi esistenti con la speranza che in questo si trovino in una posizione vantaggiosa quando ci saranno contratti più lucrativi che usino il modello PSA nei 67 campi non sfruttati che saranno messi all’asta quest’anno o il prossimo. Anche se ha portato via più tempo del previsto, i conglomerati energetici importanti hanno deciso che adesso che l’ Iraq è sufficientemente stabile per iniziare a far scaturire denaro ampliando in grande misura la produzione petrolifera del paese. Il primo passo già è stato dato nell’aprire l' industria petrolifera irachena, nazionalizzata nel 1975, agli investimenti stranieri.

Sottolineando il carattere neo-coloniale di questa operazione, due ex alti funzionari degli Stati Uniti dell'amministrazione Bush stanno facilitando operazioni societarie in Iraq. Jay Garner, il primo da parte dell'amministrazione d'occupazione americana in Iraq dopo l'invasione, è consulente per il Canadian Energy Company Vast Exploration, che ha una partecipazione del 37% in un giacimento di petrolio nel nord curdo. Zalmay Khalilzad, ex ambasciatore in Afghanistan, l'Iraq e alle Nazioni Unite, ha installato la sua società di consulenza per le imprese nella città curda di Erbil.

L’invasione e l’occupazione statunitense in Iraq è sempre stata una guerra per le risorse energetiche. Più di un milione di iracheni sono stati massacrati, milioni di feriti e traumatizzati, le sue città infrastrutture distrutte e decine di migliaia di soldati statunitensi morti o feriti, tutto questo perché gli USA ottenessero il controllo ed il dominio delle immense riserve di petrolio in Iraq come parte delle sue vaste ambizioni in Medio Oriente e Asia Centrale.
Gli Stati Uniti non sono riusciti a raggiungere tutti i loro obiettivi dopo la prima Guerra del Golfo nel 1990-91. Il regime di Hussein è rimasto al potere e, nonostante le continue sanzioni delle Nazioni Unite, ha firmato contratti con compagnie come il gigante petrolifero francese Total e Lukoil. Dall'ultimo decennio del secolo scorso, la Russia e le potenze europee hanno fatto pressione perché fossero tolte le sanzioni e queste compagnie potessero raccogliere i profitti. La guerra è diventata per gli Stati Uniti l’unico mezzo per impedire che i loro interessi corporativi venissero tagliati.

I conglomerati energetici statunitensi non si sono limitati ad essere semplici osservatori passivi. Rappresentati di alto livello della Exxon-Mobil, Chevron, Conoco-Philips, BP America e Shell hanno partecipato agli inizi del 2001 a varie negoziazioni con il “Gruppo di Lavoro per l’ Energia” dell’amministrazione Bush, che era capeggiato dal Vicepresidente Dick Cheney. Uno dei documenti che sono stati preparati per le discussioni conteneva una mappa dettagliata dei campi di petrolio, oleodotti e terminali iracheni, e una lista di compagnie estere, non statunitensi, che progettavano di installarsi lì. Un documento di maggio del 2001 di questo gruppo di lavoro affermava, senza giri di parole, l’obiettivo degli Stati Uniti: “Il Golfo sarà il tema principale della politica energetica internazionale degli Stati Uniti”.

Gli attacchi terroristici dell’ 11 settembre del 2001 hanno offerto un pretesto per la guerra. Le bugie sulle armi di distruzione di massa irachene si sono mischiate alle stupidaggini sulle connessioni iracheni con Al-Qaeda. Nel periodo precedente all'invasione, gli esecutivi dell’industria petrolifera si riunirono ripetutamente con i funzionari dell’amministrazione di Bush. Come il Wall Street Journal commentò il 16 gennaio 2003: “Le compagnie petrolifere statunitensi cominciano a prepararsi per il giorno in cui avranno un' opportunità di lavorare in uno dei paesi più ricchi di petrolio del mondo”.

Dopo aver fatto affogare nel sangue al popolo iracheno, l’oligarchia finanziaria e corporativa statunitense crede che quel giorno è finalmente arrivato. Anche se le corporazioni statunitensi non sono le uniche a beneficiare dei contratti, non c’è alcun dubbio che hanno l’ultima parola sul suolo iracheno. Con immense basi militari nel paese e con il regime di Bagdad vincolato a Washington, gli Stati Uniti sono nella posizione di dettare condizioni ai rivali europei e asiatici e, in mezzo alle tensioni tra le grandi potenze, blandire la minaccia di tagliare le forniture di petrolio, una premessa che non è precisamente nuova nella politica strategica statunitense.

Fonte: http://www.wsws.org/articles/2009/nov2009/pers-n11.shtml

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di
Vanesa

16 novembre 2009

LO STILE "THATCHER" E' SEMPRE DI MODA


Il governo laburista britannico approva un' ondata di privatizzazioni senza precedenti.

Il primo ministro britannico, Gordon Brown, ha annunciato che il governo venderà attivi per un valore di 16.000 milioni di sterline- circa 17.200 milioni di euro- durante i prossimi due anni per ridurre il deficit pubblico.

Il primo ciclo di privatizzazioni sarà di 3.000 milioni di sterline- 3.200 milioni di euro- e include la compagnia di scommesse Tote, una società specializzata in prestiti agli studenti, il ponte di Dartford, attraverso il quale le macchine attraversano il Tamigi, e la linea dei treni ad alta velocità High Speed One, che attraversa il canale della Manica. I conservatori sono affascinati dal fatto che i laburisti applichino le loro ricette. Dai sindacati affini al laburismo come risposta c’è stato il silenzio.

L’idea è quella di vendere “attivi non finanziari” che sono proprietà del Governo centrale e delle autorità locali, in base all’annuncio di Brown durante un discorso sull' economia nella City- centro finanziario di Londra.
Nel programma figura anche la vendita del 33 % della partecipazione che possiede il Governo in Urenco, un' installazione di arricchimento di uranio destinata a centrali nucleari in tutto il mondo, ma Brown ha indicato che sarà salvaguardata la sicurezza nazionale.

Il Governo britannico spera che il deficit pubblico arrivi ai 175.000 milioni di sterline (circa 192.000 milioni di euro) nei prossimi due anni.
Il capo del Governo ha spiegato che il Regno Unito è a metà strada nel processo di superare la recessione ed ha avvertito che c’è il rischio di entrare in un periodo di depressione se si taglia la spesa pubblica in modo veloce, come invece richiede l’opposizione conservatrice britannica.

Con questi progetti, il primo ministro vuole convincere l’elettorato che il Governo laburista ha programmi alternativi a quelli proposti dai “tories”, che già hanno anticipato che- se arrivano al potere nel 2010- ci sarà una forte riduzione della spesa pubblica per affrontare l'elevato deficit pubblico.

Per Brown è “essenziale” che, insieme al taglio del deficit, si continui con il programma di stimolo fiscale, gli investimenti per l'adeguamento della forza lavoro e di lavorare con l'Europa per migliorare l'economia globale. “C’ è una divisione fondamentale nella politica britannica. Alcune persone ritirerebbero adesso lo stimolo fiscale, in un momento in cui l’economia è ancora in difficoltà, alcuni avranno un sollievo quantitativo (iniezione di denaro nel sistema finanziario) e che rischierebbe di compromettere il recupero ", ha detto.

“Mi batterò nei prossimi mesi, per quello in cui credo. Credo che abbiamo dimostrato di aver fatto bene nell’ultimo anno ristrutturando il sistema bancario e assicurando che c’è una cooperazione internazionale”, ha aggiunto- Per il Primo Ministro, è necessario un piano di riduzione del deficit che sostenga la crescita e l’impiego e non uno che sopprima il recupero prima che sia iniziato.

Il portavoce del Tesoro del Partito Conservatore, Philip Hammod, ha segnalato che Brown con questo annuncio ha cercato “titolari” per salvare il suo futuro politico, dato che i “tories” sono favoriti per vincere le elezioni generali in Gran Bretagna l'anno prossimo.
“Crediamo che vendere attivi per pagare il debito, tenendo in conto lo stato in cui siamo, è una forma sensata di vedere le cose- Ma questo ha a che fare con con il salvataggio del primo ministro-” ha puntualizzato Hammond.

Fonte: http://www.redasociativa.org/elinsurgente/modules.php?name=News&file=article&sid=17823

Traduzione per Voci Dalla Strada a cura di Vanesa

15 novembre 2009

Isabel Pisano: «ARAFAT FU AVVELENATO...»

Quinto anniversario della morte del leader storico dei Palestinesi.

Isabel Pisano con Yasir Arafat

Di Sandro Cruz

Ricordando il quinto anniversario della morte di Yasir Arafat, si pubblica la testimonianza di Isabel Pisano sulla vita dell’uomo che incarnava il combattimento del popolo palestinese. Per molti anni la giornalista latino americana- spagnola e il leader della OLP hanno vissuto in modo discreto una passione amorosa, un amore che ha attraversato il tempo e che è stato testimone di una tragedia storica. Questo libro dà una visione profondamente umana di un personaggio che ha segnato il nostro tempo e che i suoi avversari non hanno mai smesso di diffamare prima di assassinarlo per avvelenamento.


Sandro Cruz:
Isabel Pisano lei è un' importante e famosa giornalista nel suo paese d’adozione (la Spagna) (1). Lei ha mantenuto un contatto privilegiato con Yasir Arafat per motivi professionali (giornalismo) ma anche una relazione sentimentale con lui. Perché gli ha consacrato una bibliografica che è stata pubblicata in francese e in castigliano?

Isabel Pisano:
In vita e principalmente dopo la sua morte, l’insostituibile leader Yasir Arafat è stato calunniato ad oltranza. Ho voluto dare al mondo in generale, anche agli occupanti della Palestina, Iraq e Afghanistan, e senza dimenticare il martoriato Libano, la vera immagine di Abu Ammar (2). E ricordare inoltre che i progetti dei cinque proprietari del mondo non passeranno. Perché per sostituire Yasir Arafat, centinaia di bambini nei territori occupati stanno facendo la fila. E’ un libro utile anche, per i governanti smemorati che accettano passivamente l’olocausto del popolo palestinese.
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