1 aprile 2009

LA CRISI POLITICA NELLA REPUBBLICA CECA MINACCIA IL TRATTATO DI LISBONA

Le dimissioni del primo ministro ceco, Mirek Topolanek, e del suo governo dopo che è stato approvato la mozione di censura da parte del Parlamento, ha scatenato un vero temporale nella UE, che minaccia anche il Trattato di Lisbona.
Nonostante le parole di tranquillità di Topolanek a Strasburgo, il suo vice primo ministro, Alexandr Vondra, ha riconosciuto che adesso "sarà molto più difficile convincere la gente che voti a favore."

Il primo ministro della Repubblica Ceca, Mirek Topolanek, ha cercato di tranquillizzare i suoi soci europei garantendo loro che le dimissioni dal suo Governo e di lui stesso non colpirà il Trattato Di Lisbona.
Martedì, il Parlamento Ceco, ha approvato con un unico voto di differenza una mozione di censura-la quinta in quasi due anni di legislatura- del Partito Socialdemocratico (CSSD) contro Topolanek per impedire la trasmissione di un programma televisivo critico nei confronti di un deputato. Il testo è stato approvato dal Partito Comunista di Bohemia e Moravia, tre ex deputati della coalizione governativa e un disertore delle file conservatrici. "Ha ricevuto quello che si meritava", ha affermato dopo la votazione, il leader dell'opposizione socialdemocratica, Jiri Paroubek.
La prima reazione del Primo Ministro è stata quella di presentare le sue dimissioni. "Compirò i miei compiti costituzionali", ha promesso ai media. Ha assicurato che con questa mozione di censura, Praga perde "il suo potere di negoziare" nei consigli europei. In tono scherzoso, ha commentato che l'Amministrazione Ceca è quasi meglio preparata cdei politici e che "lo supererà".
Tutto sembra indicare che continuerà nel Governo almeno fino a giugno, quando ha fine la Presidenza dell'UE, che osserva attentamente ogni movimento politico nella Repubblica Ceca.
Di fronte alla preoccupazione di Bruxelles, Topolanek ha insistito che le dimissioni non saranno un ostacolo nel processo di approvare il Trattato di Lisbona.
"Il fatto che abbiamo un governo che ha perso la fiducia nel Parlamento, non è una tragedia. E' già accaduto prima in Francia, Danimarca e Italia. La Presidenza Ceca continuerà a lavorare normalmente e sono sicuro che possiamo affrontarlo", ha manifestato di fronte alla sessione plenaria del Parlamento di Strasburgo, dove si è recato per presentare agli eurodeputati i risultati dell'ultimo incontro di capi di Stato e del governo dell'UE.
Topolanek ha accusato il leader socialdemocratico Paroubel di "ostruzionismo" e di voler debilitare la Presidenza:"E 'qualcosa che abbiamo dovuto affrontare e sopportare", ha detto.
Nonostante le sue tranquillizzanti parole, ha ammesso che la questione non è più nelle sue mani. Ironicamente, ha detto che farà "tutto il possibile" affinchè il suo paese ratifichi il Trattato di Lisbona perchè non vorrà che si "cancelli" la sua firma dal testo. Ma, "il numero di telefono per chiedere cosa succederà con il Trattato di Lisbona non è il mio, ma quello del leader dell'opposizione ceca".
Le dichiarazioni del viceprimo ministro Ceco, Alexandr Vondra, aumentano maggiormente le inquietudini di Bruxelles. "il processo di ratificazione è in corso.....ma sarà molto più difficile adesso convincere le persone che votino a favore" ha sottolineato.
"Aspettiamo la votazione del Senato e sappiamo che la situazione non sarà facile", ha detto. La data del voto ancora non è stata fissata e non è ancora chiaro il senso del voto.
Prima che venisse approvata la mozione di censura, Topolanek, aveva avvertito che se lui cadeva, l'approvazione del Trattato nel Senato sarebbe stata quasi impossibile, perchè dentro al Partito Democratico Cittadino (ODS), al quale appartiene, molte voci sono contrarie al testo.
Allo stesso modo della Repubblica Ceca, altri 3 paesi europei- Irlanda, Germania e Polonia, ancora non lo hanno ratificato nella sua totalità. In Irlanda, è uscito il "NO" nel suo primo referendum, ma Bruxelles non si è accontentata di quel risultato e ha forzato perchè ci sia un secondo referendum.
Se l'insieme degli stati dell'UE non lo validano,non potrà entrare in vigore.
Cosciente dell'impatto di questa crisi, il presidente del Parlamento di Strasburgo, Hans-Gert Pöttering, ha chiesto al primo ministro ceco che "continui a spiegare e si sforzi per la ratifica del Trattato di Lisbona". Ha confidato che si "possono ultimare tutti i dettagli e che possa entrare in vigore a partire dal 2010.".
Per il leader del gruppo liberale, Graham Watson, è "vitale per gli interessi comuni dell'Europa che si compiano i suoi compiti nella Presidenza e completi la ratifica del Trattato."
Il Partito Popolare Europeo, al quale appartiene Topolanek, ha lamentato la sua mozione di censura da parte dell'opposizione perchè "non solo mina la stabilità del paese, ma anche il successo della Presidenza." "Privare l'Europa di una forte leadearship in questo momento di crisi e mettere in pericolo la sua stabilità e reputazione nel mondo è semplicemente irresponsabile." ha rimarcato in un comunicato.
In quanto al futuro politico della Repubblica Ceca, l'incaricato di eleggere la persona che avrà in carico la gestione del nuovo Governo, è il presidente ceco, Vaclav Klaus, che in ripetute occasioni ha mostrato la sua opposizione al Trattato.
Da parte sua, Klaus ha scelto il silenzio. Si è limitato a dire che "continuerà sulla strada costituzionale stabilita."
Il ODS spera che sia uno dei suoi membri che otterrà quell'invito dal presidente.
Il socialdemocratico Paroubek ha sottolineato che "tollererà" l'attuale governo fino a giugno. Nella sua opinione, in questo momento di dovrebbe nominare un governo di tecnocrati fino alla celebrazione delle nuove elezioni.
Il portavoce della Comissione Europea, Pia Ahrenkilde, ha messo in evidenza che "non è la prima volta che succede qualcosa del genere." Ha citato le cadute del governo danese nel 1993 e la dell'esecutivo italiano nel 1996 mentre erano in testa all'UE.
Topolanek ha annunciato la sua intenzione di chiedere ad Obama circa l'installazione di uno scudo antimissili nell'Europa centrale, anche se non spera che il progetto sia sospeso.
Un portavoce del governo ha anticipato che Topolanek presenterà oggi le dimissioni dall'esecutivo. Klaus potrebbe dissolvere la Camera Bassa se la maggior parte dei suoi membri sono d'accordo, e convocare a elezioni anticipate.

TOPOLANEK QUALIFICA IL PIANO DI RISCATTO DI OBAMA COME UN "CAMMINO ALL'INFERNO"
http://www.topnews.in/files/obama-barack_0.jpg

Mirek Topolanek è arrivato ieri al parlamento di Strasburgo per informare la camera che la caduta del suo governo a Praga non dovrebbe compromettere la presidenza ceca dell'UE. Parlando di questa crisi ha scatenata un'altra bufera con le sue parole, qualificando il piano di riscatto degli Usa come una "strada all'inferno."
"Timothy Geithner parla di un consistente pacchetto economico. Tutte le sue fasi, le sue combinazioni e la sua permanenza rappresentano una strada per l'inferno."
Poco dopo i portavoci del governo ceco negavano che Topolanek avesso detto quello che aveva appena detto e l'attribuivano a malintesi ed errori di traduzione.
Le parole del primo ministro ceco, a pochi giorni dall'inizio dell'incontro del G2o a Londra, ha sollevato parecchie critiche.
Hans Poettering, il Presidente del Parlamento Europeo:
"Avremo una riunione con il presidente Barack Obama il prossimo 5 aprile e abbiamo bisogno di mostrare la forza e la solidarietà dell'Europa. Per questo abbiamo bisogno del Trattato di Lisbona."
La ratifica definitiva di questo Trattato è in pericolo dopo la caduta del governo di Topolanek mercoledì in una mozione di censura. La Repubblica Ceca deve ancora ratificarlo tramite referendum, ma il problema è che il paese è in cammino verso elezioni anticipate."

Fonte:http://www.rebelion.org/noticia.php?id=82912&titular=la-crisis-pol%EDtica-en-la-rep%FAblica-checa-amenaza-al-tratado-de-lisboa-

Tradotto per Voci Dalla Strada da Vanesa

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31 marzo 2009

USA-NEOCON: NUOVA STRATEGIA PER LA POLITICA ESTERA





di Daniel Luban e Jim Lobe

WASHINGTON, 27 marzo 2009 (IPS) - Una nuova organizzazione neocon per la politica estera, da poco formata negli Usa e con obiettivi ancora poco chiari, riporta alle mente gli anni ’90, quando i precursori formulavano la nuova strategia di politica estera aggressiva e unilaterale che fu poi messa in atto dall’amministrazione di George W. Bush.


Chiamata banalmente “Iniziativa per la politica estera” (Foreign Policy Initiative, FPI) - da un’idea dell’editor del Weekly Standard William Kristol, del guru della politica estera neoconservatrice Robert Kagan e dell’ex funzionario del governo Bush Dan Senor - il gruppo finora ha mantenuto un profilo basso: la sua unica attività ad oggi, la promozione di un convegno sulla strategia della “surge”, un’escalation della presenza militare degli Stati Uniti in Afghanistan.

Ma qualcuno vede nella FPI l’erede del gruppo di Kristol e Kagan, l’ormai defunto “Progetto per un nuovo secolo americano” (Project for the New American Century, PNAC), lanciato nel 1997 e divenuto noto soprattutto per aver guidato la campagna nazionale per spodestare l’ex presidente iracheno Saddam Hussein, sia prima che dopo gli attacchi dell’11 settembre.

Tra i soci fondatori del PNAC vi erano diverse figure poi salite ai piani alti nell’amministrazione Bush, come il vicepresidente Dick Cheney, il segretario della difesa Donald Rumsfeld, e il suo vice, Paul Wolfowitz.

La FPI è stata fondata all’inizio di quest’anno, ma mancano informazioni sul gruppo, che finora è stato per lo più ignorato dai media. Sul sito web dell’organizzazione, nella lista dei tre membri del consiglio di amministrazione figurano Kagan, Kristol e Senor, salito alla ribalta come portavoce delle autorità d’occupazione in Iraq.

Due dei tre membri dello staff della FPI, i direttori politici Jamie Fly e Christian Whiton, vengono direttamente dalle poltrone della politica estera dell’amministrazione Bush, mentre il terzo, Rachel Hoff, arriva dalla Commissione nazionale repubblicana del Congresso. Contattato per un’intervista presso la sede del gruppo, Fly ha riferito tutte le domande a Senor, che non ha voluto rispondere.

Quanto alla missione dell’organizzazione, si dichiara che “gli Stati Uniti sono ancora una nazione indispensabile per il mondo”, e si avverte che “il problema non è puntare in alto, e trincerarsi non è la soluzione” alle attuali disgrazie finanziarie e strategiche di Washington. Si chiede poi un “continuo impegno - diplomatico, economico e militare - nel mondo, e il rifiuto di politiche che ci porterebbero a cadere sulla via dell’isolazionismo”.

La dichiarazione di missione si apre con una litania di minacce assai familiare per gli Usa, come “stati canaglia”, “stati falliti”, “autocrazie” e “terrorismo”, ma mette in primo piano le “sfide” poste dai “poteri emergenti e rinascenti”, tra cui vengono citate solo Cina e Russia.

La centralità attribuita a questi due paesi sembra riflettere l’influenza di Kagan, che negli ultimi anni ha sempre sostenuto che il XXI secolo sarà dominato da una lotta tra le forze della democrazia (guidata dagli Usa) e l’autocrazia (guidata da Cina e Russia). Kagan ha proposto la creazione di una “Lega delle democrazie” come meccanismo per combattere il potere russo e cinese, e la dichiarazione della FPI sottolinea la necessità di un “forte sostegno agli alleati democratici dell’America”.

Questa enfasi sembra suggerire che la FPI intende fare del confronto con Cina e Russia la colonna portante della propria posizione in politica estera. In questo caso, sarebbe segnato il ritorno ai primi tempi dell’amministrazione Bush, prima dell’11 settembre, quando il Weekly Standard di Kristol cominciava a lanciare una serie di attacchi contro Washington per la sua presunta “pacificazione” con Pechino.

Per il suo debutto ufficiale, però, la FPI ha scelto di promuovere un’escalation dell’impegno militare americano in Afghanistan. Il primo evento dell’organizzazione, previsto per il 31 marzo a Washington, sarà infatti un convegno intitolato “Afghanistan: pianificare il successo”.

Principale relatore alla conferenza, il senatore John McCain, candidato repubblicano alle presidenziali del 2008 e da tempo favorito sia di Kagan che di Kristol. A febbraio, McCain aveva pronunciato un discorso, ben propagandato, sostenendo che gli Usa non si sarebbero potuti permettere di ridimensionare il loro impegno militare in Afghanistan, e chiedendo invece di raddoppiare gli sforzi per vincere la guerra.

Tra gli altri partecipanti, l’analista dell’American Enterprise Institute (AEI), fratello di Robert e tra i principali fautori della strategia di aumento delle truppe in Iraq, “surge”; l’esperto di controinsorgenza tenente colonnello John Nagl; e la nuova direttrice del Centre for a New American Security e rappresentante democratica dei falchi Jane Harman.

La FPI ha inevitabilmente suscitato paragoni con il PNAC, una “organizzazione sulla carta” fondata da Kristol e Kagan poco dopo la loro pubblicazione su “Foreign Affairs”dell’articolo “Verso una nuova politica estera neo-reaganiana”, che chiedeva a Washington di praticare una “egemonia globale benevola” e avvertiva contro ciò che vedevano come la deriva post-guerra fredda del Partito repubblicano verso un “neoisolazionismo” dopo il passaggio di consegne a Bill Clinton alla Casa Bianca. ”Mi ricorda il Progetto per un nuovo secolo americano”, ha osservato Steven Clemons, direttore dell’American Strategy Programme alla New American Foundation. “Come il PNAC, diventerà un luogo d’incontro per chi desidera vedere rafforzata la macchina militare Usa e chi divide il mondo tra chi rappresenta il male e chi dovrà sconfiggerlo.

La dichiarazione di principi del giugno 1997 chiedeva una “politica reaganiana di forza militare e chiarezza morale”, che comportasse un “aumento significativo della spesa per la difesa” ed una “sfida ai regimi ostili ai nostri interessi e valori”.

Nel gennaio 1998, il PNAC pubblicò una lettera aperta al presidente Clinton chiedendo di “rimuovere dal potere il regime di Saddam Hussein”, con la forza militare se necessario. La lettera era firmata da molti di coloro che sarebbero diventati gli architetti e i sostenitori dell’invasione dell’Iraq del 2003, da Rumsfeld, a Wolfowitz e Abrams, dal futuro vicesegretario di stato Richard Armitage, al futuro ambasciatore Usa John Bolton.

Nel settembre 2001, appena pochi giorni dopo gli attacchi dell’11 settembre, un’altra lettera del PNAC chiedeva al presidente Bush di estendere la portata della “guerra al terrore”, al di là delle persone immediatamente responsabili degli attacchi, per includere l’Iraq e gli Hezbollah libanesi.

E nell’aprile 2002, il gruppo definitva Yasser Arafat e l’Autorità palestinese (AP) “una rotella nell’ingranaggio del terrorismo in Medio Oriente”, paragonava Arafat al leader di Al Qaeda Osama bin Ladem, e chiedeva agli Usa di mettere fine al sostegno sia all’AP che ai negoziati di pace israelo-palestinesi.

”La lotta di Israele contro il terrorismo è la nostra lotta”, diceva, sollecitando Bush ad “accelerare i piani per spodestare Saddam Hussein”.

Che il debutto pubblico dell’FPI sia incentrato proprio sul perché Washington dovrebbe aumentare il proprio impegno in Afghanistan è un fatto curioso, visto il ruolo avuto dal PNAC e da altri falchi dentro e fuori l’amministrazione nel premere per l’invasione dell’Iraq, subito dopo la campagna Usa per fermare i talebani e Al Qaeda in Afghanistan alla fine del 2001. Molti esperti ritengono che il trasferimento delle risorse militari e di intelligence verso l’Iraq abbia permesso sia ai talebani che alla leadership di Al Qaeda di sopravvivere e di riorganizzarsi.

L’assoluta priorità data dall’amministrazione Bush all’Iraq - ancora una volta, con il forte incoraggiamento del PNAC e dei suoi sostenitori - in quanto “fronte centrale nella guerra al terrore”, ha anche comportato la mancata disponibilità di risorse per sostenere il governo filo-occidentale del presidente Hamid Karzai.

Il PNAC ha di fatto cessato le sue attività all’inizio del secondo mandato di Bush. Questo può essere in parte dovuto alla pessima pubblicità che il gruppo si è guadagnato per il ruolo determinante avuto nel provocare la guerra in Iraq. Ma la formazione della FPI potrebbe essere sintomatico del fatto che i suoi fondatori sperano ancora una volta di coltivare una politica estera più aggressiva durante il loro esilio dalla Casa Bianca, preparandosi alla loro futura riconquista del potere politico. (FINE/2009)


Fonte: http://www.ipsnotizie.it/nota.php?idnews=1412

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Obama: il clone di George W. Bush

30 marzo 2009

CHIUDERE IL CONTO IN BANCA?



Chiudere il conto in banca? Vi chiederete perchè!
Prima domanda da porsi:" Di chi è la BANCA D'ITALIA"?
La risposta più ovvia è:" La BANCA D'ITALIA è dello stato italiano!"
Non è così, la BANCA D'ITALIA è un ente privato anticostituzionale che non rispetta neanche il suo statuto ed è di proprietà, in varia percentuale, delle banche private in cui noi abbiamo conti correnti e depositi, proprio così: BANCA INTESA, SAN PAOLO, UNICREDIT, MEDIOBANCA, UBI BANCA e via discorrendo.
L'ente statale preposto al controllo dell'operato delle banche è proprietà delle banche stesse, i controllati sono i controllori, questa di gran lunga è già una grossa motivazione per cessare i rapporti che quotidianamente teniamo con le banche.
Nella rete si procede ad una forte lotta contro la nostra classe politica, ma essi non sono altro che fantocci nelle mani delle lobbies bancarie e creditizie che agiscono nell'ombra e che manovrano tutto il denaro a livello Italiano, Europeo, Americano e Mondiale.
Cerchiamo qui di capire cosa è per noi una banca e quali sono i servizi indispensabili che ci mette a disposizione.
Partiamo nel percorso che ci porta ad essere clienti di una banca:
APERTURA CONTO CORRENTE BANCARIO.
Qui cominciano i nostri guai, molti di noi purtroppo troppi non si sono mai soffermati a leggere attentamente il contratto che ci viene sottoposto e che regolerà tutti i nostri rapporti che in futuro terremo con il nostro istituto bancario, niente e ripeto niente di quanto riportato nel contratto volge a nostro favore, è un documento totalmente sbilanciato a favore dell'ente col quale stiamo intraprendendo un rapporto di collaborazione, un contratto capestro che ci mette da subito con le spalle al muro, aprite gli occhi chi vi obbliga a firmare un contratto che in ogni sua clausola prevede che loro hanno ragione e voi torto? Questa è pura follia! E in più la doppia firma confirmatoria di varie clausole fa sì che il contratto sia inoppugnabile in tutte le sedi della pubblica amministrazione e sicurezza, perchè vale a dire che Voi avete letto e riletto ciò che avete firmato.
VERSAMENTI
Noi prestiamo i nostri soldi alle banche che da quel momento possono gestirli come meglio credono senza chiedercene conto, sembra una follia ma è così e cosa ancor più grave a noi sui soldi versati danno un interesse lordo pari a 2%, la banca presta questi nostri soldi alle imprese o ad altri cittadini con varie forme di credito (finanziarie) con interessi variabili dal 14% al 24%. Vale a dire che a noi sui nostri soldi non danno niente e loro ci lucrano in media il 20%... creativo vero?
Così succede sugli assegni bancari che con il giochetto dei giorni di valuta che gli permatte di gestire gli importi degli assegni anche per 15 gg. e le carte di credito che venduteci come una gran comodità per noi non fanno altro che far lievitare i costi della merce acquistata del 4% che sono i costi che il commerciante paga alla banca per il servizio e che certo il commerciante caricherà sui prodotti venduti, inoltre il conto corrente bancario non è gratuito ci costa in media 1.000,00 €. all'anno.
Quindi a fronte di tutto questo riflettete bene e fatevi una domanda:
MA ESISTE UN VANTAGGIO PER VOI NELL' AVER APERTO UN CONTO CORRENTE BANCARIO?

di VLANG61

29 marzo 2009

SIONISMO: THE GAME IS OVER

di Nizar Sakhnini
L’influenza sionista sulla Palestina cominciò nel 1882. Ci sono state 6 ondate di immigrazione ebraica tra il 1882 ed il 1948. Come risultato, il numero di ebrei in Palestina aumentò di approssimativamente 650.000.

Durante la Conferenza di pace di Parigi nel 1919, i sionisti chiesero la creazione di uno stato nel territorio che includeva tutta la Palestina mandataria, il Libano meridionale fino al fiume Litani, le Alture del Golan e parte della Giordania occidentale lungo una linea parallela alla ferrovia di Hijaz fino ad Aqaba. Da lì, la linea piega a nordovest verso Al Arish in Egitto. (David McDowall, Palestine and Israel: The uprising and Beyond, Berkeley, Los Angeles: University of California Press, 1989, p. 20. Vedere anche: Simha Flappan, The Birth of Israel: Myths and Realities, New York: 1987, p. 17)

28 marzo 2009

CRISI ECONOMICA USA: PIU' POVERI E PIU' IGNORANTI

di Marco Zoboli

La recessione economica sta per compiere un anno e non mostra nessun segno di miglioramento. Il neopresidente Obama si appresta a firmare un programma di ”stimolazione economica” per un montante di 787 miliardi di dollari, ma premette nel suo discorso alla nazione che gli effetti non saranno tangibili nell’immediato. Nel frattempo la crisi avanza, anzi corre e gli indici borsistici precipitano. La recessione colpisce diverse componenti della società statunitense e le conseguenze si avvertiranno non solo nel breve ma anche nel medio e lungo termine. La recessione ha comportato la riduzione drastica dei fondi destinati all’università di Harvard, considerata il fiore all’occhiello nella formazione dell’intellighenzia nonché la più ricca del mondo, costretta oggi a praticare politiche di prepensionamento del personale amministrativo e docente; congelare gli aumenti salariali e aumentare le rette ai rampolli dell’oligarchia a stelle e strisce.

Stando ai dati del 2008, il bilancio si è chiuso con una perdita netta di 8 miliardi di dollari e secondo il rettore dell’Università i fondi erogati per l’anno accademico 2008-2009 verranno ridotti di un 30%. L’aumento delle rette per gli studenti del 5%. Questo significa che uno studente può accedere a questa struttura educativa alla modica spesa di 49.000 dollari annui; con un riflesso automatico di un’ulteriore selezione che non sarà né qualitativa né meritocratica.

L’orientamento “fondamentalista di mercato” nello sviluppo del paese durante la fase di direzione neocon, ha significato non solo il ridimensionamento del ruolo dello stato negli affari economici ma anche nell’insieme delle strutture sociali a partire da sanità e istruzione, fagocitate dalle imprese private. Da uno studio del Centro Nazionale di Politica Pubblica e Educazione Superiore, che valuta i finanziamenti pubblici e relativi benefici sull’accesso all’istruzione, emerge che in tutti gli stati – eccezion fatta per la California, che dispone di “università comunitarie” relativamente a basso costo – è praticamente proibitivo. Nelle università dell’Illinois, il costo medio per assistere ai corsi dell’università pubblica rappresentava nel 2000 il 19% delle entrate di una famiglia media, oggi è arrivato al 35%, in Pennsylvania, l’incremento è stato da 29 al 41%. Secondo il presidente del centro che ha effettuato questa ricerca, Patrick Callan, i singoli stati stanno riducendo enormemente i contributi alle università e agli istituti superiori in cambio della possibilità per queste ultime di aumentare il costo delle rette, la situazione quindi a suo giudizio è destinata a peggiorare drammaticamente. Si profila quindi nel futuro prossimo generazioni di statunitensi a cui verrà negato l’accesso allo studio, ulteriore condizione sociale che peserà sul decadentismo di questa potenza entrata nella fase di “fine impero”. E’ naturale che l’ulteriore impoverimento culturale delle future generazioni faciliterà la mobilitazione reazionaria che il protezionismo come contrazione politico-culturale-economico richiede.

Quando alla fine degli anni novanta, Cuba si trovò a fronteggiare il “periodo speciale” per affrontare la crisi generata dalla scomparsa dell’Unione Sovietica e del campo dei paesi socialisti, non chiuse una sola scuola e non lasciò senza istruzione un solo studente in tutta l’isola; al contrario investì ogni risorsa disponibile sul suo patrimonio più grande: il popolo. L’accesso gratuito allo studio e l’alta professionalità dell’apparato docente conduce oggi il 68% dei cubani a frequentare con successo le università dell’isola. L’emancipazione passa per la cultura. E il divario culturale tra il popolo cubano e quello degli Stati Uniti cresce inesorabilmente a favore del socialismo, che ha seminato e continua a seminare germogli che stanno fiorendo in tutta l’America Latina.

Fonte: http://www.resistenze.org/

27 marzo 2009

IL CAPO MILITARE DELLA NATO ORDINA DI MASSACRARE 1000 AFGANI


Il generale Bantz Craddock, Comandante Supremo della Nato ha dato ordine all'esercito alleato di questa alleanza militare presente in Afghanistan di uccidere, di eliminare ogni persona che si trovi nella zona territoriale dove c'è un insurgenza, cioè ogni persona implicata nella semina e nel commenrcio della droga (coltivazione di papaveri), senza aspettare di sapere previamente se questi sono dei semplici contadini o se sono legati all' insurrezione.
Secondo il sito internet del giornale tedesco DER SPIEGEL, che ha rivelato questi fatti, l'ordine era stato confermato per iscritto il 5 gennaio del 2009 al Generale Tedesco Egon Ramms che si opponeva all'esecuzione di questo ordine e che l'aveva qualificato come crimine di guerra.
Queste rivelazioni hanno causato una gran commozione in Germania, ma curiosamente nessuna emozione in nessuno degli altri paesi implicati militarmente in Afghanistan.
Queste istruzioni si applicano in ogni zona di ribellione, ma non nella zona "pacificata" in Afghanistan, cioè la zona che si trova sotto l'autorità del Presidente (afgano) Karzai, e del suo fratellastro che lucra con il commercio e il traffico di oppio.
Significa che, il Generale Bantz Craddock ha ordinato di massacrare e/o eliminare ogni contadino che coltivasse la pianta del papavero (per creare eroina) e tutti i trafficanti che si scontrano nel commercio del traffico di droga con la famiglia monopolistica di Karzai.
Il Generale Bantz Craddock è l'ex capo del gabinetto militare di Donald Rumself. In quanto comandante del "Comando Del Sud", ha diretto l'installazione del centro di tortura di Guantanamo (la base militare Usa nel territorio cubano).
Ha anche partecipato attivamente alla pianificazione della guerra di Israele nel 2006 contro il Libano ed è stato nominato in quell'epoca come capo massimo della Nato in vista di un intervento dell'Alleanza Atlantica nel Libano, progetto che è stato bloccato dall'ex presidente francese Jacques Chirac durante una conferenza a Roma.
Ricordiamo che la droga prodotta dal clan Karzai in Afghanistan è destinata principalmente al Camp Bondstell (Kosovo), l'immensa base militare che gli Usa hanno costruito in quella zona, questa droga è amministrata dal Primo Ministro del Kosovo Haçim Thaci.
La droga viene distribuita dalla mafia kosovara principalmente in Europa Occidentale, i guadagni servono per finanziare le operazioni speciali della Cia fuori dal controllo dei fondi (economici) del Congresso degli Stati Uniti.

Fonte: http://www.voltairenet.org/article159446.html

Tradotto per Voci Dalla Strada da Vanesa

26 marzo 2009

JAMES HANSEN: "IL PROCESSO DEMOCRATICO NON FUNZIONA"


di David Adam

Uno dei principali scienziati del mondo, dice che l'azione diretta e la protesta potrebbe essere l'unica forma di affrontare l'aumento delle emissioni di carbonio.

James Hansen, un climatologo della Nasa, ha dichiarato a The Guardian che le lobbies corporative stanno distruggendo gli intenti democrativi di ridurre l'inquinamento del carbonio. "Il processo democratico non sembra stia funzionando", ha detto.
Al punto di unirsi ad una protesta contro la sede centrale della compagnia energetica E.ON a Conventry, Hansen ha commentato: "La prima azione che la gente dovrebbe assumere è quella di usare il processo democratico." Ciò che sta demoralizzando le persone, incluso me stesso, è che l' azione democratica influisce sulle elezioni ma quello che otteniamo sono leaders politici in una posizione ecologica falsa.
"Si suppone che il processo democratico è una persona, un voto, ma se si converte in denaro parla più dei voti- Allora, non sono sorpreso del fatto che la gente si senta demoralizzata.
Penso che una manifestazione pacifica continui a funzionare, perchè ci rimane pochissimo tempo." Hansen ha detto che prendeva parte alla manifestazione a Coventry perchè vuole una moratoria internazionale sulle nuove centrali termiche a carbonio.
E.ON vuole costruire una centrale di questo tipo a Kingsnorth nel Kent, una sollecitazione che il Ministro dell'Energia e Cambio Climatico, ED Miliband recentemente ha rimandato.
"Penso che le azioni pacifiche che cercano di dirigere l'attenzione della società verso la questione non siano inappropiate", ha commentato Hansen.
Aggiunse che l'incontro scientifico della settimana scorsa(*) a Copenhagen,aveva lasciato in chiaro "l'urgenza della scienza e della non azione intrappresa dai governi."
I funzionari riuniti a Bonn alla fine di questo mese continueranno il dialogo su un nuovo trattato globale per il clima, per il quale gli attivisti, hanno chiesto che sia firmato l'incontro a Copenhagen a Dicembre. Hansen ha avvisato che il nuovo trattato ha "il fallimento garantito" nella riduzione delle emissioni.
Hansen ha affermato che :"Quello di cui si parla a Copenhagen è un rinforzare il protocollo di Kyoto, un limite e un commercio con le riduzioni e trappole per fuggire, e questo garantirà il fallimento nei termini di ottenere una riduzione veloce delle emissioni. Parlano di obiettivi che suonano incredibili, ma quando vedi che queste azioni saranno impossibili da raggiungere, posso capire che il pubblico informato si senta deluso."
Ha detto che è sempre più "preoccupato" per la presa di posizione della nuova amministrazione degli Stati Uniti. "Non sono ancora chiare le loro intenzioni, ma se sosterranno il limite e il commercio di emissioni allora, sfortunatamente, penso che sarà un altro caso di falsa posizione ecologica. Abbiamo bisogno di azioni più decise."
*(NdT:l'incontro è stato due settimane fa)

Fonte: http://www.guardian.co.uk/science/2009/mar/18/nasa-climate-change-james-hansen

Tradotto per Voci Dalla Strada da Vanesa

USA: 2 OPZIONI PER SALVARE L'ECONOMIA...

...DICHIARARE L'INSOLVENZA O SCATENARE UNA GUERRA

di Ekaterina Yevstigneyeva

Gli Stati Uniti sono i maggiori mutuatari al mondo. Il debito pubblico degli USA ha già superato il livello di 11 trilioni di dollari all'inizio del 2009 e continua a crescere come una valanga. Gli esperti sostengono che gli USA hanno soltanto due modi per risolvere il problema: dichiarare l'insolvenza o scatenare una guerra.
 
Secondo stime di esperti, al momento la probabilità di insolvenza sui buoni del tesoro USA è molto alta. Le voci non sono affatto nuove. Inoltre, gli esperti affermano che gli USA hanno già iniziato a lavorare alla possibilità di rifiutare il dollaro per evitare i pagamenti del debito.
Dimitry Abzalov, un esperto del Centro per la Congiuntura Politica della Russia afferma che attualmente i governi si addossano i debiti delle grandi società. La crisi del debito societario diventa così la crisi dei debiti governativi. All'inizio del 2009 il debito degli USA ammontava a $10,6 trilioni. Prendendo in considerazione l'attuale deficit di bilancio degli Stati Uniti, come pure le prospettive per il deficit di bilancio durante il corrente anno, diventa chiaro che il mercato dei buoni del Tesoro USA non importa cosa non è basato su nessuna alternativa. Per gli investitori non vi è nessun altro modo per investire i loro fondi essendo i buoni del tesoro l'unica opzione", ha raccontato l'esperto a Bigness.ru. 
 
Quando l'economia mondiale si riprenderà, gli investitori si renderanno conto che vi è grande quantità di altre possibilità per gli investimenti, per esempio i buoni europei (naturalmente, se anche l'economia europea si riprende dalla crisi) o i buoni dei paesi in via di sviluppo.
"In questo caso la piramide dei buoni USA crollerà. La percentuale del debito cresce ogni giorno, il che quotidianamente fa prendere in prestito agli USA sempre di più. L'America non avrà nessuna possibilità di saldare il debito", ha dichiarato l'esperto.
Inga Foksha, un'analista della Aton Investment Company, concorda che l'insolvenza degli USA è alquanto possibile, sebbene sia certa che non avverrò a meno che il mondo non trovi un'alternativa al debito USA. In caso d'insolvenza il dollaro crollerà immediatamente, che è assolutamente inaccettabile, perché il 63% delle riserve mondiali sono mantenute in dollari. Il loro crollo scatenerà un crollo economico globale.
"Tecnicamente, l'insolvenza degli Stati Uniti può avvenire nel corso di tre o cinque anni, sebbene sia troppo presto per dire che potrà essere possibile. Gli USA possono stampare nuovi dollari per pagare con questi i loro debiti", ha affermato.

Nondimeno, i buoni del governo USA godono ancora del sostegno degli investitori e vengono ancora considerati un investimento sicuro.
Dmitry Abzalov ritiene che la situazione attuale con il debito nazionale USA possa terminare con una nuova guerra. La guerra distruggerà l'eccessiva liquidità e l'attuale debito.
"La guerra in Iraq iniziò per ritardare la crisi degli USA, che cominciò a fermentare nell'economia USA alla fine del 2000", ha affermato.
Da decenni, dalla Grande Depressione degli anni '30, gli americani tentano di sollevare la loro economia con l'aiuto delle azioni militari. Una guerra solleva l'industria della nazione, anche se una ripresa è fondata sugli ordinativi della difesa.

25 marzo 2009

FORUM MONDIALE DELL'ACQUA: TANTE PROMESSE, NESSUNA GARANZIA



Le organizzazioni civili criticano i risultati del Forum mondiale sull'Acqua.
I rappresentanti di organismi civili hanno richiesto più azioni e compromessi per difendere una risorsa che serve a tutti: l'acqua. Dicono che i documenti firmati in Istabul sono insufficienti.
Il Forum Mondiale sull'Acqua si è concluso domenica nella città di Istanbul con una grande quantità di proposte e di promesse per conservare le risorse di acqua nel nostro pianeta.

24 marzo 2009

CACCIA AGLI ORSI...IN PARLAMENTO

La Natura non serve. Meglio il cemento e le doppiette a sedici anni per sterminare i pochi animali selvatici in circolazione. La LIPU ha esaminato il disegno di legge Orsi e l'ha comparato alla legge di protezione della fauna esistente.
Franco Orsi del PDL
dovrebbe chiamarsi "Big Hunter" o "Il Figlio di Boss(ol)i". Dovremmo introdurre le ronde per vigilare sui parlamentari. Ogni giorno cercano di rendere la nostra vita più miserabile.

Riporto, tra le tante ricevute, una mail sul disegno di legge Orsi.

"Il disegno di legge del senatore Franco Orsi: una lista di orrori senza fine.
Dal Senato della Repubblica parte in questi giorni uno dei più gravi attacchi alla Natura, agli animali selvatici, ai parchi, alla nostra stessa sicurezza: un disegno di legge di totale liberalizzazione della caccia. E' firmato dal senatore Franco Orsi.
Animali usati come zimbelli, caccia nei parchi, riduzione delle aree protette, abbattimenti di orsi, lupi, cani e gatti vaganti e tante altre nefandezze.
La legge 157/1992, l’unica legge che tutela direttamente la fauna selvatica nel nostro Paese, sta per essere fatta a pezzi.

Ecco la lista degli orrori:

*Sparisce l’interesse della comunità nazionale e internazionale per la tutela della fauna.L’Italia ha un patrimonio indisponibile, che è quello degli animali selvatici, alla cui tutela non è più interessato!

*Scompare la definizione di specie superprotette. Animali come il Lupo, l’Orso, le aquile, i fenicotteri, i cigni, le cicogne e tanti altri, in Italia non godranno più delle particolari protezioni previste dalla normativa comunitaria e internazionale.

*Si apre la caccia lungo le rotte di migrazione. Un fatto che arrecherà grande disturbo e incentiverà il bracconaggio, in aree molto importanti per il delicatissimo viaggio e la sosta degli uccelli migratori.

*Totale liberalizzazione dei richiami vivi! Sapete cosa sono i richiami vivi? Gli uccelli tenuti “prigionieri” in piccolissime gabbie per attirarne altri. Già oggi questa pessima pratica è consentita, seppure con limitazioni. Ma il senatore Orsi vuole liberalizzarla totalmente Sarà possibile detenerne e utilizzarne un numero illimitato. Spariranno gli anelli di riconoscimento per i richiami vivi. Sarà sufficiente un certificato. Uno per tutti! Tutte le specie di uccelli, cacciabili o non cacciabili, potranno essere usate come richiami vivi. Anche le peppole, i fringuelli, i pettirossi.

*700 mila imbalsamatori. I cacciatori diventeranno automaticamente tassidermisti, senza dover rispettare alcuna procedura. Animali uccisi e imbalsamati senza regole. Quanti bracconieri entreranno in azione per catturare illegalmente animali selvatici e imbalsamarli?

*Mortificata la ricerca scientifica. L’Autorità scientifica di riferimento per lo Stato (l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica , oggi ISPRA) rischia di essere completamente sostituta da istituti regionali. Gli istituti regionali rilasceranno pareri su materie di rilevanza nazionale e comunitaria. Potenziale impossibilità di effettuare studi, ricerche e individuazione di standard uniformi sul territorio nazionale.

*Si apre la caccia nei parchi a specie non cacciabili. Un’incredibile formulazione del Testo Orsi rende possibile la caccia in deroga (cioè la caccia alle specie non cacciabili) addirittura nei Parchi e nelle altre aree protette! Saranno punite le regioni che proteggono oltre il 30% del territorio regionale! Norma offensiva! Chi protegge "troppa" natura sarà punito. Come se creare parchi dove la gente e gli animali possano vivere e muoversi sereni, fosse un reato!

*Licenza di caccia a 16 anni. Invece che educare i ragazzi al rispetto, ecco a voi i fucili!

*Liberalizzato lo sterminio di lupi, orsi, cervi, cani e gatti vaganti eccetera! Un articolo incredibile, che dà a i sindaci poteri di autorizzare interventi di abbattimenti e eradicazione degli animali, in barba alle più elementari norme europee. Basterà che un singolo animale “dia fastidio”. Un vero e proprio Far West naturalistico.

*Leggi regionali per cacciare specie non cacciabili. Non sono bastate quattro procedure di infrazione dell’Unione europea, non sono bastate due sentenze della Corte Costituzionale. Il senatore Orsi regalerà a Veneto e Lombardia, ovvero agli ultrà della caccia, la possibilità di continuare a cacciare specie non cacciabili, e di farlo con leggi regionali. E le multe europee le pagheremo noi!

*Caccia con neve e ghiaccio. Si potrà cacciare anche in presenza di neve e ghiaccio, cioè in momenti di grandi difficoltà per gli animali a reperire cibo, rifugio, calore.

*Ritorno all’utilizzo degli uccelli come zimbelli! Puro medioevo! Le civette legate per zampe e ali e utilizzate come esca!

*Ridotta la vigilanza venatoria. Le guardie ecologiche e zoofile non potranno più svolgere vigilanza! Nel Paese con il tasso di bracconaggio tra i più alti d’Europa, cosa fa il Senatore Orsi? Riduce la vigilanza!

*Cancellato l’Ente Nazionale Protezione Animali dal Comitato tecnico nazionale. Le associazioni ambientaliste presenti nel Comitato sulla 157 saranno ridotte da quattro a tre. L’ENPA, storica associazione animalista italiana, viene del tutto estromessa

Diffondete questo documento, iscrivetevi alle liste in difesa degli animali selvatici che stanno nascendo sui blog.
Evitiamo che l’Italia precipiti in questa forma di barbarie. La natura è la nostra vita."
Testo disegno di legge Franco Orsi (PDL) confrontato con la legge esistente, dal sito della LIPU


1. Contattate i componenti della Commissione Territorio e Ambiente del Senato che devono discutere la legge Orsi.

2. Inviate una mail con la vostra opinione e/o suggerimenti sulla legge a Franco Orsi

Fonte:
www.olambientalista.it/ddlprocaccia.htm

disinformazione.it

23 marzo 2009

IL MONDO SOTTO SORVEGLIANZA (Jean- Claude Paye)

di Silvia Cattori

Le conseguenze delle legislazioni antiterrorismo sul semplice cittadino
Nel dicembre 2005, i media degli Stati Uniti hanno rivelato che la NSA, un’agenzia che ufficialmente ha compiti di spionaggio estero, aveva intercettato le conversazioni telefoniche di cittadini americani. Un anno dopo gli stessi media hanno rivelato che la NSA aveva schedato milioni di comunicazioni e che la CIA sorvegliava tutte le transazioni finanziarie internazionali.
In Europa, nell’indifferenza generale, una legislazione che impone la conservazione dei dati personali è già stata adottata dai parlamenti nazionali. Mentre negli Stati Uniti i media si sono mobilitati e le organizzazione per la difesa della libertà individuale hanno condotto una campagna contro queste norme, senza tuttavia riuscire a suscitare una mobilitazione popolare, in Francia e in Germania progetti di legge analoghi, che permettono alla polizia di introdursi nei computer delle persone sospettate di terrorismo, non hanno praticamente suscitato reazioni.
In questa intervista il sociologo belga Jean-Claude Paye dimostra come le leggi antiterrorismo svuotino di sostanza le normative nazionali ed europee in materia di protezione dei dati personali e rileva la portata delle disposizioni che legalizzano l’intrusione di programmi spia nei computer di privati cittadini.

22 marzo 2009

MADAGASCAR: UN GOLPE CONTRO UNA MULTINAZIONALE


Ricorda (vagamente) quel che successe in Bolivia contro le multinazionali dell'acqua, la situazione in Madagascar. E' che quando la svendita è troppa, è troppa.

La splendida isola africana era non solo un Eden in Terra, ma era anche ricchissima di risorse naturali e minerarie. Il Presidente Ravalomanana, quello cacciato a calci nel sedere, aveva pensato bene di avviare la consueta politica di privatizzazioni selvagge con il premuroso sostegno dei soliti compagni di merende: il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l'Unione Europea (che quando si tratta di andare a depredare gli altri è pochissimo statalista).

Così, mentre il popolo malgascio continuava a fare la fame come tradizione, ecco chi si appropriava dei suoi tesori: il petrolio finiva alla francese Total, la bauxite e l'allumina alla Rio Tinto che malgrado l'esotico nome è inglese, il titanio alla sudafricana Exxaro, il carbone alla Island Minerals australiana, e infine il nichel e il cobalto alla canadese Sherritt. Naturalmente, le estrazioni minerarie avvengono come sempre senza alcun rispetto del ricchissimo ambiente malgascio, devastando allegramente foreste e habitat di specie preziose e in via di estinzione.

Fin qui, tutto normale. Ma alla fine la shock economy esagera sempre: e quando lo scorso novembre il presidente tycoon (sull'Independent lo paragonano apertamente a Berlusconi!) ha deciso di cedere, gratuitamente, l'uso di metà del territorio coltivabile alla multinazionale coreana Daewoo per sfamare Seoul, la popolazione ha deciso di mettere un punto. Si trattava di 1,3 milioni di ettari che alimentavano quattro milioni di persone, e la Daewoo li riceveva in dono limitandosi a ricambiare con "infrastrutture". Si, immaginiamo le grandi opere in programma...

Come dice Grillo, che fu tra i primi a parlarne, un tempo si regalavano collanine di vetro ai colonizzati, oggi neanche quelle. Però, almeno, è stato trovato il coraggio di ribellarsi a tutto ciò e di rovesciare un simile corrotto governo. Si spera ora nel sol dell'avvenir, ma il nuovo leader è un ex dee-jay... non esattamente Salvador Allende.

Fonte: http://petrolio.blogosfere.it/

21 marzo 2009

NOAM CHOMSKY: INDEBOLENDO GAZA...


Sameer Dossani intervista Noam Chomsky
Foreign Policy in Focus

DOSSANI: Il governo israeliano e molti personaggi politici ufficiali, in Israele e negli Stati Uniti, sostengono che l'attacco a Gaza vuole por termine al lancio di missili Qassam su Israele. Ma diversi osservatori sostengono che, se questo fosse il problema, Israele avrebbe fatto maggiori sforzi per rinnovare l'accordo di cessate il fuoco, scaduto a dicembre, che aveva quasi fermato il lancio di missili. Secondo lei, quali sono I veri motivi delle attuali azioni israeliane?

CHOMSKY: Questo è un tema che risale fino alle origini del sionismo. Ed è assai razionale: “Ritardiamo negoziati e diplomazia quanto più possibile, e nel frattempo 'costruiamo fatti sul terreno'. Così Israele crea le basi che un qualche accordo alla fine ratificherà; ma più creano, più costruiscono, migliore sarà per loro l'accordo. Lo scopo è di portar via qualunque cosa abbia valore in quella che una volta era la Palestina, e di scardinare quel che resta della popolazione originaria..
Penso che uno dei motivi per cui negli Stati Uniti questo ha il sostegno popolare è che ricorda molto bene la storia americana. Come si sono costituiti gli USA? La tematica è simile.

20 marzo 2009

IL NUOVO ORDINE MONDIALE DI OGM...


Nessuna barriera in Europa per l'importazione di cibo OGM, al cloro e quant'altro dagli USA.

Una risoluzione del Parlamento europeo del 28 maggio 2008, nascosta dai media ( servi del potere) nazionali, attua una legittimazione del progetto di creazione di un grande mercato transatlantico per il 2015.
Prevede l'eliminazione delle barriere al commercio, d'ordine doganale, tecnico o regolamentare, come pure la liberalizzazione degli appalti pubblici, della proprietà intellettuale e degli investimenti.
L'accordo prevede un'armonizzazione progressiva delle regolamentazioni e soprattutto il riconoscimento reciproco delle norme in vigore dei due lati dell'Atlantico.
Nei fatti, è il Diritto statunitense che sarà applicato.
Questo significa libera importazione di sostanze OGM (Monsanto,Unilever ringraziano), polli al cloro, carni stracariche di ormoni e cibi extravitaminici fino ad ora vietati in UE.

L' accordo sul libero mercato (o libero avvelenamento) è passato grazie ad una organizzazione ONG, la Transatlantic Policy Network composta da una lunga serie di aziende, banche , multinazionali e organizzazioni come ad esempio ASPEN ITALIA (Luigi Abete, Giuliano Amato, Lucia Annunziata, Alberto Bombassei, Francesco Caltagirone, Giuseppe Cattaneo, Fedele Confalonieri, Francesco Cossiga, Maurizio Costa, Gianni De Michelis, Umberto Eco, John Elkann, Pietro Ferrero, Jean-Paul Fitoussi, Franco Frattini, Cesare Geronzi, Piero Gnudi, Gian Maria Gros-Pietro, Enrico Letta, Gianni Letta, Emma Marcegaglia, Francesco Micheli, Paolo Mieli, Mario Monti, Tommaso Padoa Schioppa, Corrado Passera, Riccardo Perissich, Angelo Maria Petroni, Mario Pirani, Roberto Poli, Ennio Presutti, Romano Prodi, Gianfelice Rocca, Cesare Romiti, Paolo Savona, Carlo Scognamiglio, Domenico Siniscalco, Lucio Stanca, Robert K. Steel, Giulio Tremonti, Giuliano Urbani, Giacomo Vaciago).

Nel dettaglio della Transatlantic Policy Network fanno parte:
• ABB (Asea Brown Boveri, il colosso elvetico-svedese dell'elettricità);
• Deutsche Bank
• Pechiney
• Accenture, una costola della Arthur Andersen, prudenzialmente con base nel paradiso fiscale delle Bermuda, che agisce come agenzia di lobby: a questo scopo spendendo nel 2006 oltre 4 milioni di dollari per convincere gli eurocrati.
• Dow Chemical, la più grande multinazionale chimica, produttrice del napalm, che nel 2007 ha speso in lobbying 2,3 milioni di dollari.
• Pfizer International, la farmaceutica, detentrice di brevetti miliardari come il Viagra e Zoloft.
• AOL Time Warner, il più grosso provider di accesso a Internet, e la più grande agenzia dell'industria dello spettacolo-
• EDS o Electronic Data Systems, la più grossa multinazionale di elettronica e telecomunicazioni, anche militari.
• Philips BASF
• Ford Motor Company SAP
• Bertelsmann AG , la grande editrice tedecsa (giornali, riviste, radio, libri).
• AG General Electric SAS
• Boeing
• Honeywell
• Siemens AG
• BP
• IBM- Unilever BT
Merck
• United Technologies Corporation, holding multinazionale che possiede famose industrie dell'armamento, da Sikorsky (elicotteri) a Pratt & Whitney (motori daereo)
• Caterpillar
• Michelin- UPS- Coca-Cola
• Microsoft
• Xerox
• Daimler Chrysler
Nestlé
ISTITUZIONI :
• Aspen Institute - Berlin
• Aspen Institute - Italy
• The Atlantic Council of the United States- Brookings Institution
• Carnegie Endowment for International Peace
• Centre for European Policy Studies (CEPS)
• Congressional Economic Leadership Institute (CELI)
• Council on Foreign Relations
• Center for Strategic and International Studies (CSIS)
• European Policy Centre (EPC)
• The European Round Table of Industrialists (ERT)
• European-American Business Council
• EC Committee of the American Chamber (Brussels)
• European Institute (Washington)
• German Marshall Fund of the United States
• Institut Francais des Relations Internationales (IFRI)
• Trans European Policy Studies Association TEPSA)
• UNICE
• U.S. Chamber of Commerce
• US Council on Competitiveness.

IL PONTE DELLA MAFIA


di Umberto Santino

Durante la campagna per le elezioni politiche e regionali del 13 e 14 aprile 2008 il fantasma del Ponte sullo Stretto di Messina è tornato a materializzarsi assumendo un ruolo centrale sia nei programmi di Berlusconi che in quelli di Lombardo, candidato alla presidenza della Regione siciliana dopo le dimissioni di Cuffaro. Con il trionfo di entrambi si parla di affrettare i tempi per la posa della prima pietra. Ci sono già le date: nel 2010 dovrebbero iniziare i lavori, e dovrebbero essere ultimati nel 2016. Rischiano così di essere spazzate via tutte le osservazioni che sono state mosse alla costruzione della megaopera: il Ponte è inutile, è dannoso, si inserisce in un'area tra le più sismiche del pianeta, è una voragine di soldi che potrebbero essere spesi per promuovere un reale sviluppo della Sicilia e della Calabria.

Il Ponte vogliono farlo, sia Berlusconi che Lombardo, perché sarebbe qualcosa come le piramidi per i faraoni, un monumento con cui consegnarsi alla storia. E, tenendo conto di come sono fatti tali personaggi, l'immagine delle piramidi sembra fatta su misura per loro. Ma è un'immagine che può andare benissimo non solo per la grandiosità del progetto ma soprattutto perché esso è una summa ancora più grande di interessi. Sul ruolo che la mafia, le mafie, potrebbero avere nella costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina sono apparsi in questi ultimi anni articoli, resoconti di ricerche e di inchieste, considerazioni all'interno delle relazioni della Direzione investigativa antimafia. Eppure il quadro che emerge da gran parte di queste prese di posizione può considerarsi inadeguato. Poiché inadeguata è l'idea di mafia che sta alle loro spalle. Una mafia che al più potrebbe esercitare la vecchia pratica dell'estorsione-protezione, rispolverata da analisi di successo, nonostante la loro evidente infondatezza o parzialità; potrebbe accaparrarsi subappalti, fornire materiali, reclutare manodopera, lucrare in mille modi ma comunque limitarsi a un ruolo parassitario-predatorio. Questo libro, sulla base di una documentazione rigorosa, dà un'immagine diversa, poiché parte da un'idea di mafia molto più complessa. Non solo e non tanto la cosiddetta "mafia imprenditrice" di cui si è parlato a partire dagli anni '80, in base a un'analisi frettolosa e superficiale, ma una mafia finanziaria, forte di un'accumulazione illegale sviluppatasi esponenzialmente e quindi in grado di giocare un ruolo da protagonista e non da parente povero dei grandi gruppi imprenditoriali.

La stampa ha parlato di personaggi come l'anziano ingegnere Zappia, ma scorrendo le pagine di questo libro si incontrano gruppi e figure che non lasciano dubbi sulla loro natura e sulle loro intenzioni. In primo luogo la mafia siculo-canadese, dagli storici Caruana e Cuntrera a Vito Rizzuto, poi i signori del petrolio, tutti personaggi indicati con nomi e cognomi e sulle cui disponibilità finanziarie non si possono nutrire dubbi. E questo campionario non è il frutto di una sorta di chiamata di correo general-generica ma poggia sulla base di relazioni ricostruite con puntigliosa precisione attraverso una documentazione che privilegia le fonti giudiziarie, anche se non definitive. La fonte più significativa è l'inchiesta Brooklyn, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma, al cui centro è un'operazione orchestrata dalla mafia siculo-canadese per investire 5 miliardi di euro provenienti dal traffico di droga. Giuseppe Zappia e la sua cordata nel 2004 sono stati esclusi dalla gara preliminare per il general contractor e l'ingegnoso professionista si è affrettato a indicare una fonte finanziaria insospettabile: una società in mano alla famiglia reale dell'Arabia Saudita che prenderebbe i soldi dal business del petrolio. Il quadro che emerge dall'inchiesta è uno spaccato significativo del capitalismo reale contemporaneo, in cui l'accumulazione illegale convive con quella legale, accomunate da processi di finanziarizzazione speculativa per cui diventa sempre più difficile distinguere i due flussi. È una prospettiva indicata da tempo da chi scrive, per anni in sostanziale isolamento, e che a lungo andare si è presentata come la più adeguata per capire l'evoluzione dei fenomeni criminali e la permeabilità del contesto economico, politico e istituzionale.

Il quadro si amplia ulteriormente se si considerano le vicende belliche recenti e in corso, che hanno fatto degli ultimi anni una micidiale mistura di violenze che consegnano un tragico testimone al nuovo millennio. Se il Novecento è stato il secolo, tutt'altro che breve per chi l'ha vissuto, che ha visto rivoluzioni abortite e totalitarismi tra i più feroci, ma pure tra i più legittimati dal consenso delle folle, della storia dell'umanità, il Duemila nasce all'insegna della contrapposizione tra guerra e terrorismo, entrambi elevati a religione identitaria, in un duello barbarico che impropriamente si definisce "scontro di civiltà" mentre sarebbe più congruo parlare di morte delle civiltà. Cosa c'entra tutto questo con il Ponte? Nelle pagine del libro troviamo vecchi e nuovi personaggi, alcuni notissimi, altri meno, che all'interno del mondo finanziario si incontrano e danno vita a un carosello che sembra fatto per confondere le acque ma in cui tutto sommato è possibile seguire il filo degli interessi e ricostruire il gioco delle parti. I dignitari arabi chiamati in causa da Zappia sarebbero personaggi che direttamente o indirettamente sono legati agli strateghi del terrorismo internazionale. Qualche esempio: risulta che il Saudi Binladin Group opera congiuntamente con Goldman & Sachs che ha una partecipazione del 2,84 % in Impregilo, la società che si è assicurata la costruzione del Ponte, mentre un altro gruppo, l'ABN Amro, sempre in collegamento con la società della Famiglia Bin Laden, ha il 3%. Si dirà: i familiari di Osama non sono direttamente coinvolti nel terrorismo islamico, ma i movimenti islamisti radicali che si ispirano al wahhabismo contribuiscono a costruire e diffondere un credo identitario che costituisce il contesto ospitale per scelte che portano in quella direzione. E gli affari sono affari per tutti, anche se ci si trova ad operare in schieramenti contrapposti. Al di là di credi religiosi, di fedi politiche, il business è una sorta di dio unico di un monoteismo devotamente praticato da chi ha capitali da investire e interessi da far valere.

Le grandi opere sono uno dei terreni principali in cui si cementano i blocchi sociali e si formano e consolidano le borghesie mafiose. Non è una novità. Tra le grandi opere spicca per la sua emblematica esemplarità l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, un vero e proprio crocevia in cui si incontrano tutti: grandi imprese, famiglie mafiose, storiche ed emergenti, politici e amministratori di varia estrazione, ormai tutti, o quasi tutti, accomunati dal credo del business a portata di mano. E anche in questi casi non si tratta solo di pagare pizzi, "rispettare" competenze territoriali, ma di cointeressenze, proficue per tutti. Più che di accoppiamenti forzati si deve parlare di matrimoni consensuali. Tutto questo si consuma in un contesto, come quello in cui viviamo, in cui l'illegalità è una risorsa, la sua legalizzazione è un programma, l'impunità è una bandiera e uno status symbol. E il consenso non manca. Un'opera come il Ponte, nonostante le voci contrarie, coniuga perfettamente interessi mirati e diffusi. Fa da collante per una formazione sociale che ha radici storiche e ottime prospettive di futuro. Il libro di Mazzeo delinea questo percorso e rilancia l'allarme. Come tale si inserisce in un dibattito che ha conosciuto momenti significativi ma che da qualche tempo si è assopito. Ed è assente, o quasi, proprio ora che ci si prepara alla liturgia della prima pietra. Quel che mi sembra vada sottolineato è che non si tratta di sposare una visione secondo cui qualsiasi opera, grande o piccola che sia, vada esorcizzata, in nome di un fondamentalismo ambientale che vuole, riuscendoci o meno, sbarrare il passo a qualsiasi intervento umano su una natura che da millenni è ben lontana dall'essere incontaminata.

L'ambientalismo non può essere ridotto a una sequela di no, ma dovrebbe essere capace di porsi come alternativa, praticabile e concreta. Ed è proprio questa alternativa che, dopo il crollo delle grandi narrazioni, è venuta a mancare, anche se non mancano proposte credibili. Ma è il quadro generale che non c'è. E non vuol dire neppure bloccare i lavori non appena si sente odore di mafia. Un'opera pubblica, piccola o grande che sia, se è utile, se è necessaria, va fatta e se la mafia cerca di metterci le mani bisogna fare di tutto per tagliargliele. Se c'è la volontà di farlo, è possibile: dovrebbe essere chiaro che non esiste nessuna Piovra, inconoscibile e imbattibile. Ci sono mafie, con uomini in carne e ossa, che è possibile individuare, combattere e sconfiggere. Non certo inviando eserciti, che servono soltanto a simulare un controllo del territorio meramente simbolico e spettacolare. Le mafie si sconfiggono solo se si spezzano i legami che le hanno fatto e le fanno forti. E l'inchiesta in corso di svolgimento sugli interessi mafiosi legati al Ponte può andare a segno solo se non è un fatto isolato, frutto di un atto pilatesco che delega ancora una volta ad alcuni magistrati quello che dovrebbe essere l'impegno di uno schieramento più ampio. C'è da chiedersi se il cantiere per costruire un ponte culturale, sociale e politico, lanciato verso un futuro diverso, sia aperto e operante o faccia parte di un desiderio destinato a rimanere tale.

Titolo originale: IL PONTE E LE MAFIE: UNO SPACCATO DI CAPITALISMO REALE

Fonte: http://www.imgpress.it/

19 marzo 2009

UE: CAMBIALE ISLANDESE PER ELUDERE I "NO" REFERENDARI


di Maurizio De Santis

Quindi ci siamo. Olli Rehn, commissario preposto all'allargamento dell'Unione europea, s'è detto pronto ad organizzare una procedura d'adesione rapida, per l'isola attraversata da una crisi economica e finanziaria senza precedenti.
La notizia è stata annunciata dal portavoce del commissario, la sig.ra Krisztina Nagy.
La situazione particolare dell' Islanda, fino a poco fa acclamata per il suo miracolo economico, membro dello Spazio economico europeo, sarebbe facilitata dal fatto che una grande parte della sua legislazione è già armonizzata con quella UE.
Va tuttavia detto che, a livello politico, non è affatto detto che l'Islanda chieda di raggiungere l'Unione europea. Difatti, non bastasse il disastro economico e finanziario, il panorama politico del paese è alquanto sconfortante. Dopo le dimissioni del primo ministro, l’intero arco costituzionale si è trovato diviso sul paventato progetto di adesione.
Ricordo che le maggiori perplessità degli islandesi erano di carattere squisitamente economico, per lo più legate al timore di vedersi imporre quote di pesca troppo restrittive da parte dell’Ue.
Ma tali riserve appaiono oggi piuttosto anacronistiche.
Nel frattempo, infatti, la corona è crollata a seguito del fallimento del sistema finanziario del paese. Già lo scorso mese di ottobre, La banca centrale islandese aveva alzato intanto il costo del denaro di 6 punti percentuali, portandolo al vertiginoso livello del 18%, il più alto in Europa
E pensare che, come già accennato, nel 2007, l'Islanda era stata classificata quale nazione più sviluppata nell'Indice di Sviluppo Umano dell'ONU.
I recenti fatti ci dimostrano che la straordinaria ricchezza islandese era stata costruita sul nulla della bolla mondiale del credito.
Lo scoppio di questa bolla e la conseguente contrazione del credito, hanno generato una vera e propria catastrofe finanziaria che ha posto la parola “fine” alla fiaba islandese.
Forse, quattro cifre potrebbero aiutare a comprendere la situazione che l’UE andrebbe a caricarsi sul già oberato groppone: il collasso delle banche islandesi, maturato tra settembre ed ottobre dell'anno scorso, ha generato l'incredibile debito di 14 miliardi di Euro. Cifra che, rapportata all’Italia farebbe sorridere, ma commisurata ad una popolazione di 320.000 abitanti (diciamo mezza Firenze) assume una sfumatura differente. In pratica equivale a sei volte il PIL annuale islandese!
Il debito estero (quello appostato in partite da corrispondere nel breve periodo), ammonta a 15 volte il valore posseduto dalla Banca Centrale Islandese in valute estere alla fine del 2007, o in altri termini, al 200% del PIL.
Ora, è evidente che l'isola dovrebbe riequilibrare il proprio sistema finanziario e stabilizzare la valuta prima del di sperare di soddisfare i criteri d' adozione della moneta europea.
La questione dovrebbe in tutti i casi occupare i dibattiti in occasione della campagna per le elezioni previste in maggio prossimo.
Ma, per modificare la costituzione in Islanda, occorre sciogliere il Parlamento ed indire, contestualmente, nuove elezioni. Queste elezioni, che dovrebbero avere luogo in aprile, permetterebbero al popolo islandese di esprimersi non soltanto su un nuovo governo, ma anche sul desiderio, o no, di entrare nell’Ue.
Complicato, ma non impercorribile.
I vari rovesci referendari di Bruxelles, in termini di accettazione della Costituzione, hanno indotto la corrente europeista ad accettare di buon grado la “cambiale” islandese. Soprattutto quando si è intuito che questo invito potesse risultare politicamente vantaggioso.
Difatti, mentre la procedura di adesione all'UE della Croazia si è impantanata, Bruxelles ha iniziato a caldeggiare l'adesione dell'Islanda.
Perché?
Perché la candidatura del paese artico permetterebbe a Bruxelles di modificare il Trattato di Lisbona, in attesa di ottenere un risultato positiva al secondo referendum irlandese, previsto per ottobre.
Quindi, nonostante il fatto che l'economia dell'Islanda sia stata danneggiata da un tracollo finanziario di proporzioni bibliche, l'UE non annovera il paese artico nel club dei paesi poveri.
D’altronde, per Olli Rehn tutto è chiarissimo: Si. Il paese attraversa un periodo difficile, ma possiede molte ricchezze naturali ed è, senza dubbio, un paese di cultura spiccatamente europea, con una base democratica molto solida.
Olli Rehn dev’essere stato discepolo del sublime Dalai Lama. Proprio quello che disse: “dobbiamo imparare bene le regole, in modo da infrangerle nel modo giusto”.

Fonte: http://www.giustiziagiusta.info/
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