26 gennaio 2009

YES WE CANNOT

Dall'insediamento di Barak Obama alla casa bianca, tutti si sforzano di respirare un'aria di ottimismo e grande fiducia verso le strategie e i provvedimenti che adotterà il leader dell'ultimo impero rimasto.
Molti si chiedono quali saranno i rapporti con il vecchio continente in una fase così delicata per l'economia mondiale, si può prevedere tranquillamente che non saranno rose e fiori, né per gli europei e nè per l’Italia. La sensazione, è che Obama non abbia voglia di occuparsi di politica estera perchè i problemi economici che affliggono gli Usa, hanno sicuramente la priorità assoluta.
Questa situazione potrebbe di fatto lasciare campo libero al nuovo segretario di stato Hillary Clinton. Al di là della facciata di grande coesione e collaborazione del nuovo governo, all'insegna del cambiamento, abbiamo già visto durante la campagna elettorale quanto siano agguerriti tra loro.
Obama è il nuovo presidente che giustamente deve governare un grande paese e un grande impero travolto dai debiti, mentre per Hillary Clinton anche se è svanito il sogno di diventare presidente, non ha pesrso di certo la sua inclinazione a tenere le mani in pasta ad ogni costo, del resto lei ha molta più esperienza a livello politico, è stata lei a muovere i fili di Bill Clinton presidente, come si è detto e supposto molte volte. Di sicuro non è molto incline ad eseguire ordini.
La cosa più importante comunque non sono le loro lotte interne, ma come si porranno verso i paesi europei della Nato. Durante la campaga elettorale, Obama ha visitato Germania, Francia e Inghilterra affermando che "per gli americani l’Europa è una triade delle tre economie più prospere, e non possiamo aspettarci che in futuro Obama scopra improvvisamente di essersi scordato l’Italia reinserendola negli interlocutori privilegiati.
Obama ha dichiarato che le decisioni unilaterali non hanno più motivo di esistere e soprattutto le azioni di politica estera americane saranno concordate con gli alleati, o almeno con quelli ritenuti "importanti interlocutori", quindi l'Italia si ritroverà ancora, come in passato a seguire il suo padrone come un cagnolino con la cosa tra le gambe.
Obama ha già detto che la lotta al terrorismo dovrà vedere un maggiore impegno militare europeo in Afghanistan. Di certo non sarebbe giusto dare un aiuto maggiore allo sforzo militare, senza aver voce in capitolo sui tanti temi su cui la vecchia amministrazione non ha sempre dettato le regole. Sarebbe ora di trattare riguardo la presenza di basi Usa, l’imposizione di un sistema missilistico lungo il confine russo, gli equilibri di potere all’interno della NATO.
Se Obama manterrà le promesse (?) l'Europa conterà un pò di più su tante dispute con gli Usa che vanno avanti da tempo e su cui fin'ora hanno prepotentemente primeggiato e deciso per noi.
Anche l'Europa, ed in particolare l'Italia è alle prese con una recessione di queste proporzioni, la crisi e' diventata ''qualcosa di veramente globale" e con il nostro debito pubblico, oramai alle stelle, forse c'è da chiedersi "quanto possiamo trattare" e cosa.
L'unica cosa sicura è che fino a quando saranno le banche centrali a governare le nazioni, come sta succedendo, i capi di stato saranno dei semplici burattini, e il popolo dovrà subire l'arroganza dei grandi banchieri e rassegnarsi al fatto che solo gli interessi di pochi sono una priorità.
Intanto la recessione è arrivata e forse gli effetti devastanti che vedremo a breve nell'arco dell'anno, daranno a chi governa, la possibilità di acquisire ancora più potere, perchè la gente spaventata ed affamata, accetta qualsiasi soluzione.

25 gennaio 2009

DESERTEC: UNA NUOVA SPERANZA PER L'AMBIENTE?

1. Il Progetto DESERTEC
La fonte di energia di gran lunga più importante della terra sono i deserti nella fascia subtropicale. Il progetto Desertec pone tecnologia e deserti al servizio della sicurezza energetica, idrica e climatica. A tale scopo proponiamo una cooperazione tra Europa, Medio Oriente (the Middle-East) e Africa Settenrionale (North Africa) (EU-MENA) per la costruzione di centrali solari termodinamiche ed eoliche nei deserti della regione MENA. Questi impianti sono in grado di coprire il fabbisogno crescente di desalinizzazione dell’acqua marina e di produzione di elettricità in tali paesi e inoltre di generare corrente pulita che può essere trasportata in Europa mediante cavi a corrente continua ad alta tensione (HVDC High Voltage Direct Current) con perdite complessive limitate al 10-15%. Per paesi come l’Australia, la Cina, l’India e gli Stati Uniti la realizzazione del progetto DESERTEC sarebbe, per ovvie considerazioni geopolitiche, considerevolmente più semplice.

Tutte le tecnologie per la realizzazione del progetto DESERTEC sono già disponibili e, in parte, già operative da decenni. Dati satellitari telerilevati e diversi studi del Deutschen Zentrums für Luft- und Raumfahrt (DLR, l’Agenzia Spaziale Tedesca) confermano l’abbondante disponibilità di energia solare. Le condizioni dell’approvvigionamento energetico e la situazione climatica impongono la necessità di sviluppare senza indugi questo progetto, per la cui realizzazione non mancano che la volontà politica e le necessarie condizioni al contorno.

2. Il Network TREC
La Trans-Mediterranean Renewable Energy Cooperation (TREC) è stata fondata nel 2003 dal Club di Roma, l’ Hamburger Klimaschutz-Fonds e il Centro Nazionale Giordano per la Ricerca sull’Energia (NERC). TREC ha sviluppato e investigato, congiuntamente al DLR, il progetto DESERTEC. Compito del TREC è di tradurre ora in pratica questo progetto unitamente a rappresentanti della politica, dell’industria e del mondo finanziario. Per il rafforzamento di queste attività è attualmente in corso la creazione della Fondazione DESERTEC.

Una rete internazionale di scienziati, politici ed esperti nel settore delle energie rinnovabili e nel loro sviluppo costituisce il nucleo di TREC. I circa 60 membri, tra cui Sua Altezza Reale il Principe Hassan bin Talal di Giordania) svolgono, presso governi e investitori privati, un’azione di diffusione delle informazioni relative alle possibilità di utilizzazione congiunta dell’energia solare ed eolica e si fanno promotori di progetti concreti in tale settore. Network regionali s'impegnano per la diffusione di queste idee nei propri paesi.

3. Tre studi del DLR
TREC è stato fondato con la finalità di assicurare all’Europa e ai paesi della fascia del sole, rapidamente e a buon mercato, energia pulita mediante la cooperazione dei paesi dell’ EU-MENA. L’immissione dell’energia dal deserto nella rete europea, in aggiunta alle sorgenti europee di energia rinnovabile, è in grado di accelerare il processo di riduzione delle emissioni europee di CO2 e può contribuire alla sicurezza dell’approvvigionamento europeo di energia. Allo stesso tempo può assicurare, oltre al proprio approvvigionamento di energia elettrica, posti di lavoro, profitti, un miglioramento delle infrastrutture per i popoli del Medio Oriente e dell’Africa del Nord (MENA) e una fonte inesauribile di energia esente da emissioni di CO2 per la desalinizzazione.
TREC ha partecipato alla realizzazione di tre studi che hanno stimato il potenziale delle fonti rinnovabili nei paesi MENA, le necessità energetiche e idriche tra la data attuale e il 2050, nonché lo sviluppo di una rete elettrica che colleghi i paesi europei con quelli della sponda meridionale del Mediterraneo (Collegamento EU-MENA). Questi studi sono stati commissionati dal Ministero tedesco dell’Ambiente, della Protezione della Natura e della Sicurezza Nucleare (BMU) e sono stati svolti dal Centro tedesco di Ricerca Aerospaziale (DLR). Lo studio ‘MED-CSP’ è stato realizzato nel 2005, mentre lo studio ‘TRANS-CSP’ è stato completato nel 2006. Nel 2007 è stato altresì completato lo studio ‘AQUA-CSP’ sulle necessità, il potenziale e le conseguenze della desalinizzazione mediante energia solare nei paesi MENA.

Gli studi svolti dal Centro tedesco di Ricerca Aerospaziale (DLR) sulla base di dati satellitari telerilevati hanno dimostrato che centrali a energia solare termodinamica, disposte su meno del 0.3% dell’intera superficie dei deserti dell’area MENA, sarebbero in grado di generare elettricità e acqua potabile in quantità tale da coprire la domanda attuale dei paesi EU-MENA e della stessa Europa, nonché gli incrementi stimati di tale domanda nel futuro. La produzione di energia eolica è particolarmente conveniente nel Marocco e delle zone intorno al Mar Rosso, sarebbe possibile generare ulteriori forniture di energia. L’energia solare ed eolica così prodotta potrebbe essere distribuita nei paesi dell’area MENA e trasmessa in Europa attraverso linee di corrente continua ad alta tensione (High Voltage Direct Current, HVDC) con perdite limitate al 10-15%. Paesi come l’Algeria, l’Egitto, la Giordania, la Libia, il Marocco e la Tunisia hanno già dichiarato il loro interesse alla collaborazione in quest’ambito.

4. Le tecnologie
La tecnologia solare più efficiente per la produzione di energia è quella termodinamica a concentrazione (Concentrating Solar Thermal Power, CSP). In tale tecnologia è previsto l’uso di specchi per concentrare la luce solare e creare così del calore utilizzato per produrre il vapore necessario per il funzionamento delle turbine e dei generatori. Quantità di calore in eccesso rispetto alla domanda possono essere immagazzinate in serbatoi di sali fusi e utilizzate per azionare le turbine nelle ore notturne o in corrispondenza di un picco della domanda. Per garantire la continuità del servizio in caso di cielo coperto, è possibile alimentare le turbine anche con combustibili fossili o derivati dalle biomasse, senza bisogno quindi di costosi impianti di backup. Il calore residuo del processo di generazione dell’energia può essere utilizzato (in cogenerazione) per desalinizzare l’acqua marina e produrre termico di raffreddamento – sottoprodotti preziosi per il benessere delle popolazioni locali.

Le centrali a concentrazione sono da preferire a quelle più costosi fotovoltaiche in quanto sono in grado di produrre nell’arco di tutte le 24 ore. L’immissione nella rete europea di corrente fotovoltaica fluttuante dai paesi del MENA richiederebbe sistemi di pompaggio in Europa per l’immagazzinamento e quindi un maggiore quantità di linee elettriche a fronte di un numero minore di ore giornaliere d’uso.

Mediante l’uso di corrente continua ad alta tensione (HVDC), è possibile limitare le perdite di potenza legate alla trasmissione a circa 3% per 1000 km. L’intensa radiazione solare nei deserti dell’area MENA (pari al doppio di quella nell’Europa del Sud), supera ampiamente il 10-15% di perdite di trasmissione tra l’Europa e i paesi dell’area MENA. Ciò significa che le centrali solari nei deserti dell’area MENA sarebbero più economiche di quelle eventualmente costruite nell’Europa meridionale. Le fluttuazioni stagionali dell’insolazione sono inoltre sensibilmente minori nei paesi del MENA rispetto all’Europa. Benché in passato sia stato proposto l’idrogeno come vettore energetico, questa forma di trasmissione è molto meno efficiente delle linee HVDC. Le fluttuazioni stagionali dell’insolazione sono nell’area Mena sensibilmente minori che in Europa.

Le tecnologie necessarie per realizzare lo scenario DESERTEC sono già sviluppate e alcune di esse sono già impiegate da decenni. Le linee di trasmissione HVDC fino a 3 GW di capacità sono già state realizzate da ABB e Siemens da diversi anni. Nel luglio del 2007 la Siemens ha vinto una gara per la costruzione di un sistema HVDC di 5 GW System in Cina. In occasione del ‘World Energy Dialogue 2006’ di Hannover rappresentanti delle due compagnie hanno confermato che la costruzione delle linee previste dal progetto DESERTEC è, da un punto di vista tecnico, perfettamente fattibile.
Centrali solari a concentrazione solare sono già sfruttate commercialmente a Kramer Junction in California dal 1985. Altre centrali solari termodinamiche con una capacità totale di oltre 2000 MW sono già in fase di pianificazione, di costruzione o già operative. La Spagna ha creato adeguate condizioni normative, assicurando una remunerazione di circa 26 Eurocent per chilovattora immessa nella rete. Grazie alla più intensa insolazione, è possibile, nei paesi del MENA e negli USA, produrre eneregia già oggi in maniera ancora più vantaggiosa. Il DLR ha calcolato che se le centrali solari termodinamiche venissero costruite in numero elevato nei prossimi anni, il costo dell’energia solare scenderebbe a circa 4-5 EuroCent/kWh. Poiché i prezzi delle materie prime necessarie per la costruzione delle centrali solari cresce attualmente in misura inferiore a quello dei combustibili fossili, esse potrebbero diventare competitive prima del previsto. Attualmente le limitate capacità produttive limitano, in presenza di una crescente domanda internazionale, la riduzione dei prezzi.
5. Modalità di realizzazione del progetto DESERTEC
E’ già iniziata in Spagna e negli Stati Uniti la costruzione di nuove centrali a concentrazione solare (Andasol 1 & 2, Solar Tres, PS10, Nevada Solar One). Altre iniziative sono in corso in Algeria, Egitto e Marocco. Ulteriori impianti sono previsti in Giordania e in Libia. In Marocco è stata approvata una legge per l’immissione in rete dell’energia da fonti rinnovabili (in particolare dal vento). Sono iniziate discussioni a livello europeo per la costruzione di una Supergrid (Euro-Supergrid). Inoltre stanno prendendo forma i piani per la costruzione di parchi del vento offshore. L’Unione per il Mediterraneo intende realizzare un Piano Solare per il Mediterraneo e potrebbe costituire l’ambito in cui realizzare il progetto DSERTEC nella regione EU-MENA.

Per realizzare entro il 2050, in aggiunta alla copertura del fabbisogno dei paesi della regione MENA, una capacità di esportazione pari a 100 GW (la corrente generata da circa 100 centrali nucleari), sono necessai aiuti finanziari di avvio da parte statale per rendere attraente, nella fase iniziale, la costruzione di centrali e linee di trasmissione da parte di investitori pubblici e privati. Secondo le valutazioni del DLR, sarebbero sufficienti sovvenzioni statali dell’ordine di grandezza di qualche miliardi die Euro, perché lo sviluppo di centrali solari raggiunga un livello tale da essere competitivo senza ulteriori sovvenzioni entro il 2020. Alla luce dell’attuale dinamica dei prezzi di gas e petrolio e, conseguentemente, dell’elettricità, questo traguardo potrebbe essere raggiunto anche in una data anteriore.
Gli investimenti nella costruzione di centrali e linee elettriche non devono tuttavia essere necessariamente di carattere pubblico. Come è risultato evidente nella manifestazione "10,000 Solar GigaWatts" organizzata dal TREC alla Fiera di Hannover 2008 (documenti video su www.Energy1.tv ), anche banche e investitori privati a livello internazionale sono disponibili a finanziare queste opere, non appena siano state realizzate le necessarie premesse. Sono cioè necessarie e urgenti le assicurazioni di acquisto della corrente, così come, nel caso di alcuni paesi, di garanzie per il finanziamento delle immissioni della corrente in rete a prezzi opportuni per le energie rinnovabili (fino ad arrivare appunto alla cifra prevista di qualche miliardo di Euro). I paesi dell’Europa meridionale potrebbero ad esempio offrire le condizioni per l’immissione in rete previste dalla normativa tedesca (Erneuerbare Energien Einspeisegesetzes, EEG). Sarebbe altresì ipotizzabile, che le condizioni di immissione in rete siano finanziate da “Renewable Energy Credits”, sottoscritte da paesi europei per raggiungere (e possibilmente superare) gli obiettivi previsti dalle convenzioni sul clima. Naturalmente ciò non deve andare a scapito dello sviluppo delle energie rinnovabili in Europa, che costituiscono anche nello scenario TRANS-CSP 2050 una componente importante del mix energetico.
Circa l’opportunità che la produzione di energia da fonti rinnovabili debba servire al fabbisogno interno o, principalmente, all’esportazione, ciò dipenderà dalla scelta di ciascun paese: il fabbisogno interno del Marocco è tale da richiedere innanzi tutto un sistema di crediti per impianti eolici e solari. Tunisia e Algeria appaiono invece interessati all’esportazione.

Non appena i paesi dell’Europa meridionale cominciassero a importare corrente dalla regione del MENA, si avrebbero conseguenze anche per i paesi, come la Germania, che esportano attualmente energia verso l’Europa meridionale. Ci sarebbe così più energia disponibile per la stessa Germania, circostanza questa che ridurrebbe la spinta alla costruzione di centrali termiche a combustibili fossili e consentirebbe di disporre del tempo necessario allo sviluppo delle energie rinnovabili. Anche se gli stessi paesi dell’Europa centrale potrebbero importare corrente pulita dal sud utilizzando le linee esistenti, è tuttavia imperativa la costruzione di linee HVDC, in grado di limitare le perdite. Poiché la progettazione, l’approvazione e la costruzione di tali linee può richiedere molti anni, i relativi studi debbono iniziare al più presto.
Oltre a queste iniziative, TREC propone due progetti in grado di portare sollievo alle popolazioni interessate, di condurre alla risoluzione di conflitti politici e, allo stesso tempo, di contribuire alla riduzione dei costi di centrali a concentrazione solare. Entrambi i progetti sono tecnicamente fattibili, ma necessitano un sostegno economico e politico:

Gaza Solar Power & Water Project: Questo progetto prevede la costruzione di impianti a concentrazione solare (per complessivi 1 GW) per la produzione di elettricità e la desalinizzazione dell’acqua marina. Tali centrali, parte di un programma internazionale di aiuti per Gaza, potrebbero essere localizzate nella regione costiera del Sinai egiziano. Mediante un adeguato sistema di trasmissione idraulica ed elettrica, sarebbe così possibile rifornire 2-3 milioni di persone nella striscia di Gaza. Questo progetto potrebbe contribuire a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni e a diminuire le tensioni, riducendo i conflitti regionali per l’uso dell’acqua e porre le basi per un sano sviluppo economico. L’intero investimento ammonterebbe a circa 5 miliardi di Euro.

Sana'a Solar Water Project: Questo progetto prevede la costruzione di centrali elettriche per la desalinizzazione dell’acqua marina in prossimità del Mar Rosso e di condotte idriche per la capitale dello Yemen, Sana’a, che dovrà fronteggiare l’esaurimento delle riserve idriche della falda del sottosuolo entro quindici anni circa. Questo progetto eviterebbe un disastro umanitario, permettendo inoltre di salvare un’eredità culturale di significato mondiale.
Il trasferimento di 2 milioni di persone da Sana’a in nuovi insediamenti costerebbe circa 30 miliardi di Euro, molto di più quindi dei 5 miliardi di Euro necessari alla realizzazione di questo progetto alternativo: consentire agli abitanti di Sana’a di restare nella loro città, costruendo impianti solari e acquedotti per rifornirli di acqua.

Lo scenario TRANS-CSP della DLR indica una strada percorribile. I paesi della regione EU-MENA hanno congiuntamente un potenziale più che sufficiente per un passaggio completo alle energie rinnovabili sia nella produzione di elettricità, sia nel settore della mobilità.

Entro la metà del ventunesimo secolo i paesi dell’area potrebbero aver trasformato i loro deserti in fonti inesauribili di energia pulita. Vendendo parte di tale energia ai paesi europei, essi potrebbero contribuire alla riduzione delle emissioni europee di gas ad effetto serra fino ad un livello sostenibile. Nello scenario descritto nelle relazioni del DLR appare la concreta possibilità di ridurre del 70% le emissioni di CO2 riconducibili alla produzione di elettricità, rinunciando altresì all’opzione nucleare con la prospettiva di costi decrescenti per la produzione di elettricità nel lungo periodo.

6. DOMANDE FREQUENTI
Si tratta di un nuovo sfruttamento dell’Africa da parte dell’ Europa? Quali vantaggi per la regione MENA?
E’ l’attuale situazione a costituire uno sfruttamento di gas e petrolio, mentre l’energia solare è praticamente illimitata non può quindi esserci uno sfruttamento.
La regione MENA raggiungerà entro il 2050 il livello dell’Europa e necessiterà urgentemente di Energie Rinnovabili (ER) per la produzione di elettricità e acqua potabile (come è messo in evidenza nello studio TRANS-CSP)
Sarà possibile il risparmio di combustibili fossili nella regione MENA, con il vantaggio di poterli vendere vantaggiosamente sul mercato mondiale.
Ci saranno ricavati dall’esportazione di corrente attraverso l’utilizzazione di potenziali ER non utilizzati
Creazione di posti di lavoro per forze lavoro specializzate (soprattutto nella costruzione dei collettori) destinate altrimenti all’emigrazione, Creazione di reddito, Nascita di un ceto medio.
Le conseguenze del cambiamento climatico causato dall’Europa investiranno innanzi tutto la regione MENA: è quindi corretto che l’Europa promuova l’introduzione di ER nella regione Mena
Il trasferimento tecnologico e la realizzazione di programmi di studio e di formazione per lo sviluppo di ER nella regione MENA sono esplicitamente previsti nell’ambito dell’Unione per il Mediterraneo.

Dipendenza dell’Europa da stati ed esposizione ad attentati terroristici
Il mix di energie per la produzione di elettricità dello scenario TRANS-CSP Szenarios in Europa nell’anno 2050 prevede: 65% energie rinnovabili proprie (ER), 17% importazione di elettricità di origine solare, 18% da centrali a combustibili fossili di backup e per i periodi di massimo carico Anche il guasto di tutti i cavi dalla regione MENA potrebbe essere compensato in attesa di ripararzioni tecniche o di soluzioni politiche.
Non sarà messa in opera un’unica centrale di grandissime dimensioni, bensì centinaia di centrali collegate in rete e alimentate da ER, distribuite su più continenti.
La possibilità di produrre idrogeno o caricare batterie mediante elettricità generata da energie rinnovabili, renderebbe il settore del trasporto più indipendente dai combustibili fossili in fase di esaurimento. Inoltre sarebbe possibile una maggiore utilizzazione delle biomasse nel trasporto, anziché nella produzione di elettricità.
L’energia solare è praticamente illimitata e all’aumentare delle sue applicazioni diviene più vantaggiosa (a differenza delle altre fonti) assenza di concorrenza e di conflitti per l’acquisizione di risorse regionali e presenti in quantità limitate, come petrolio, gas e uranio
Le scorte di petrolio, uranio e gas, possono essere vendute, dopo un’interruzione delle consegne a un prezzo più elevato L’interruzione delle esportazioni di elettricità genera, nel caso delle ER, mancati introiti in presenza di costi diretti per il mantenimento delle centrali e influenza negativamente i processi di desalinizzazione.
L’interruzione delle esportazioni di elettricità genera perdita di fiducia nei confronti del paese meno investimenti per il futuro minori ricavi dalle esportazioni e meno posti di lavoro.
Analogia con la UE: La dipendenza reciproca a differenza dell’autonomia genera pace e coesione.
Investitori pubblici e privati possono/debbono/vogliono partecipare alla costruzione e alla gestione di centrali e cavi
Il tempo stringe: Il cambiamento climatico e l’esplosione dei prezzi costituiscono una minaccia: centrali a ER diffuse e collegate in rete si integrano a livello internazionale.

Fonte: www.desertec.org

23 gennaio 2009

WWW.DICIAMOLATUTTA.TV



NADiRinforma presenta il nuovo appuntamento televisivo ideato e condotto dal cantautore bolognese Moreno Corelli: "Diciamola tutta" che prenderà avvio giovedì 29 gennaio 2009 alle ore 14:30 su Arcoiris Tv. La puntata zero si occuperà di autismo alla presenza di alcuni specialisti pronti a rispondere alle vostre domande, in quanto, come dice Moreno: "la trasmissione non la farò io, io ne sarò solo il moderatore, ma chi davvero condurrà sarà la gente da casa che attraverso e-mail (redazione@diciamolatutta.tv) ed sms (3661870355) porrà le domande agli esperti presenti in studio. Diciamola tutta non avrebbe motivo di esistere senza la partecipazione della gente".
Corelli intende, con il suo progetto televisivo, dare voce a tutti, in particolare a coloro che hanno sempre creduto di non potere o non sapere di essere parte. Chi lo desiderasse, previa richiesta, può partecipare alla registrazione della trasmissione presso gli studi televisi di Arcoiris Tv.
Produzione Arcoiris Bologna

Visita il sito: www.diciamolatutta.tv

22 gennaio 2009

UN APPELLO PER FERMARE L'UCCISIONE DI CIVILI INNOCENTI

Una scuola distrutta a Gaza, 19 gennaio 2009 ©AI


Da Amnesty International:

Data di pubblicazione dell'appello: 20.01.2009

Status dell'appello: attivo

AGGIORNAMENTO:

Il 17 gennaio 2009 una missione di ricerca di Amnesty International è entrata a Gaza attraverso i valico di Rafah, dove i cessate il fuoco dichiarati unilateralmente da Israele e Hamas non erano ancora rispettati.

Le forze israeliane erano ancora presenti in diverse zone della Striscia di Gaza e la mattina del 18 gennaio, missili lanciati dalle forze israeliane hanno ucciso l'undicenne Angham Rif'at al-Masri e ferito sua madre a Beit Hanoun, nel nord della Striscia di Gaza. Allo stesso tempo i gruppi armati palestinesi hanno sparato diversi razzi contro le città e i villaggi del sud di Israele, ferendo tre civili israeliani.

Colpi di artiglieria, disegnati per essere utilizzati in scenari bellici tradizionali, sono stati sparati in aree residenziali densamente abitate. I delegati di Amnesty International hanno trovato numerose abitazioni, moschee, scuole ed edifici amministrativi distrutti.

Le infrastrutture di Gaza, già debilitate dai precedenti attacchi e dagli anni di sanzioni, si trovano adesso in condizioni disperate. I black-out prolungati sono la norma, decine di migliaia di persone non hanno accesso all'acqua potabile e i liquidi di scolo si riversano all'aperto dai condotti fognari rotti.

I civili colpiti, durante le tre settimane di attacchi non hanno potuto fuggire dai bombardamenti, in un luogo sicuro. Le scuole, le strutture sanitarie e gli edifici delle Nazioni Unite sono stati ugualmente colpiti.

Sono state riscontrate prove evidenti e incontestabili dell'uso massiccio di fosforo bianco in aree densamente popolate di Gaza City e in altre zone del nord della Striscia di Gaza. Tra le zone più colpite dal fosforo bianco vi è la sede dell'Unrwa, l'agenzia dell'Onu per i rifugiati a Gaza City, attaccata dalle forze israeliane il 15 gennaio. Sempre quel giorno, ordigni impregnati di fosforo bianco hanno colpito anche l'ospedale al-Quds di Gaza City, provocando un incendio che ha costretto lo staff sanitario a evacuare i pazienti.

Preso atto delle accuse di violazioni del diritto internazionale da parte di entrambe le parti in conflitto, delle reciproche recriminazioni che potrebbero minare l'imparzialità di inchieste nazionali e del insufficiente numero di indagini condotte da Israele sulle violazioni commesse dalle sue forze, Amnesty International chiede a tutte le parti di acconsentire, e alla comunità internazionale di predisporre, una missione per l'accertamento dei fatti, immediata, esaustiva, indipendente e imparziale che conduca una indagine sulle gravi violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale commessi durante il conflitto, in accordo ai più severi standard internazionali che regolano tali indagini e di rendere pubblici i risultati.

21 gennaio 2009

CONTRO LA CRISI PIU' EUROPA?

Nell’unico Paese in cui i cittadini sono stati chiamati a pronunciarsi riguardo al Trattato di Lisbona, hanno prevalso i NO, così è stata decretata la bocciatura per l’Unione Europea delle banche per la seconda volta, come già accadde nel 2005 dopo il voto negativo di francesi ed olandesi riguardo sulla Costituzione.
In questa delicatissima fase della crisi economica europea e mondiale, ancora si vuole far credere ai cittadini...poco informati, che si esce dalla crisi con il Totalitarismo dell'UE. Il Trattato di Lisbona è la costituzione delle Banche, per le banche, in difesa dei propri interessi e delle multinazionali. Se estrerà in vigore nessun ciddadino europeo ne trarrà beneficio, non bisogna fidarsi delle belle parole dei nostri burocrati servi delle banche, la crisi economica è stata creata dalle banche e loro vogliono dare ancora più potere a queste.
Riporto quest'articolo tratto da El Pais dove ancora una volta si leggono le affermazioni e dichiarazioni propagandistiche sul Trattato di Lisbona da cui si può ben capirte come NON hanno in mano soluzioni alla crisi, ma solo una determinazione nel voler acquisire ancora più potere. Di seguito le dichiarazioni di Joaquin Almunia.
Alba kan.

Da EL PAIS:
Contro la crisi più Europa.
I resti dell'eredità ideologica della Thatcher e Reagan sono crollati. Si inizia un periodo di maggior ruolo del settore pubblico, nell'economia e di maggior regolamentazione del sistema finanziario.
La UE deve attuare questo unita.

Joaquin Almunia 19/01/2009:
"L'anno 2009 sarà dominato dalla crisi. Ricordarlo ancora una volta non vuol trasformare la preoccupazione per ciò che ci attende in un atteggiamento pessimistico senza spazio per la speranza. In realtà, grazie alle decisioni prese nei mesi scorsi, presto la situazione può cominciare a migliorare. Il rischio del collasso finanziario è stato superato e già cominciano a migliorare alcuni indicatori nel mercato monetario. Adesso bisogna avere fiducia che i piani di sostegno al settore bancario, i ritagli degli interessi e le misure di stimolo fiscale, insieme alla discesa dei prezzi dell'energia, di altre materie prime e dell'inflazione aiutino a paliare gradualmente le conseguenze più acute della recessione. Ma non bisogna illudersi sulla grandezza del compito che ci aspetta: essendo realisti, bisogna essere consapevoli che una catastrofe come questa non potrà essere superata del tutto fino a che non siano sradicate le sue radici attraverso un insieme di riforme. Non sappiamo con rigore scientifico quando si raggiungerà nuovamente la velocità della nave a livello dell'attività economica, ma si che il futuro sarà condizionato dalla forma in cui si risponderà alla crisi. Da ciò che faremo da adesso non solo dipende il quando ma anche come se ne uscirà.
In una prospettiva a mezzo termine, non tutto sono domande e incertezze. Se qualcosa è certo a questo punto, è che ciò che rimaneva in piedi dell'eredità ideologica della Thatcher e Reagan, il loro sdegno verso i tentativi di correggere gli effetti indesiderati del laissez faire, in definitiva verso la politica, è crollata. Si inizia adesso un periodo caratterizzato per un ruolo più attivo del settore pubblico nell'economia e in modo particolare per una regolamentazione più abbondante e estensiva nel sistema finanziario.Questo dovrà essere più trasparente; la sua supervisione, più rigorosa, la coordinazione dei supervisori attraverso le frontiere, più efficaci; la gestione del rischio, più curata.
Anche se il trattamento più urgente della crisi si è centrato sui mercati finanziari, le soluzioni( devono includere una prospettiva più ampia: una cosa è correggere gli errori nella regolazione e supervisione del sistema finanziario e un'altra che ciò sia sufficiente per riuscire a recuperare l'economia in condizioni sostenibili. E questo per vari motivi. Da una parte, la pressione maggiore sulla regolamentazione dei mercati e entità finanziarie avrà come conseguenza almeno durante un periodo di tempo la diminuizione sostanziale del grado di forza di leva e un contributo più mite dalla crescita del PIL, il cui potenziale di fronte al futuro è inferiore adesso alla tendenza registrata nell' ultima decade. Dall'altra parte, le politiche macroeconomiche di ispirazione keynesiana in una prospettiva a medio termine. La politica monetaria è vicina all'esaurire la sua munizione convenzionale e le banche centali sanno che nel futuro non possono ripetere l'atteggiamento "tranquillo" che hanno mantenuto di fronte all'apparire di successive e continue bolle di sapone. Inoltre l' espansione monetaria, oggi così neccesaria, porrà rischi inflazionistici se si allunga eccessivamente. A sua volta, le finanze pubbliche stanno prendendo a loro carico un considerevole peso aggiuntivo, fin quando lo stimolo fiscale sia imprescindibile per sostenere la domanda, i governi saranno costretti a sviluppare strategie di consolidamento e sdebitamento che li collochi nuovamente in una posizione sostenibile.
Alla visione di queste restrizioni, la ricerca di motori alternativi per impulsare la crescita futura conduce verso delle politiche strutturali che dovranno giocare un ruolo rilevante come fattore per dinamicizzare e migliorare i livelli produttivi.
Dall'altra parte bisogna prestare attenzione a ciò che succede nell'offerta. Qualche pista marca l'innovatore potenziale dei settori energetici e medioambientali nella lotta contro il cambio climatico: altre aggiungono il bisogno di rinforzare politiche e strategie orizzontali; educazione qualitativa a ogni livello, aumento delle spese in I+D; finanziamento adeguato per nuove iniziative imprenditoriali; miglioramento della regolamentazione delle piccole imprese, più flessibilità nel funzionamento dei mercati dei beni, servizi e lavoro. Nella maggior parte dei casi, la sua efficacia aumenterà se si concepisce il suo disegno su scala europea, anche se non sempre si riescano a vedere le cose in questo modo dalla prospettiva degli Stati membri dell'UE, che spesso credono che i loro interessi siano difesi meglio attraverso iniziative individuali che sulla base di decisioni pensate e coordinate con i loro colleghi e con le istituzioni europee.
Cosa succederà adesso in relazione a alcune poliitche chiavi strutturali al momento di superare la crisi in modo sostenibile? La crisi del gas ha evidenziato ancora una volta il bisogno di avanzare verso una politica energetica comune. Le mancanze della rete integrata delle infrastrutture europee del gas e dell'elettricità richiedono ad alta voce una soluzione che, in un modo o in un altro, dovrà essere finanziata e sviluppata in modo coordinato a scala dell'UE. A sua volta, il ritardo accumulato dalla maggior parte dei paesi europeri di I+D può trasformarsi in endemico con conseguenze prevvedibili in termini di perdite competitive addizionali se non approfittano le economie di scala propria i progetti di dimensione comunitaria.
Il grande pacchetto di stimolo fiscale che viene ennunciato da parte della nuova Amministrazione americana si tradurrà, quasi sicuramente, nella moltiplicazione delle risorse disponibili in aiuto delle politiche dall'altra parte dell'Atlantico. Ma se l'Europa reagisce in modo dispersivo, avrà perso ancora una volta l'opportunità di raggiungere un posto tra i primi in termini di competenza e di dinamismo economico, come accade dalla seconda metà degli anni novanta. Inolte, l'UE neccesita di approfondire la costruzine di uno spazio economico integrato, nel quale le varie libertà che conformano il mercato interno libera la circolazione di persone, beni, servizi e capitali che facilitino il passo di risorse umane, finanziario e tecnologico da settori protetti dalla competenza verso settori competitivi, dalla casa verso l'industria e i servizi, da attività con un basso valore aggiunto verso settori di punta.
Ma l'EU è prima di tutto un progetto politico intorno a un insieme di valori, tra i quali include un modello sociale avanzato. Non può avere come unica divisa socioeconomica la più o meno intensità regolatoria in determinati settori o il funzionamento efficace dei mercati. Se si limita a questo, l'idea europea sarà sempre meno attraente per alcuni votanti stanchi in questo momento dalle loro aspettative lavorative o dalla sostentabilità del modello sociale. Il messaggio europeo deve essere compatibile flessibile e sicuro non solo nel mondo del lavoro. La modernizzazione dei settori non finanziari dell'economia non possono ignorare le preoccupazioni di coloro che soffrono direttamente dei cambiamenti e delle domande di coloro che richiedono più risorse per affrontarle con successo. L'economia europea deve essere aperta e conpetitiva, ma la liberalizzazione e la flessibilità devono essere accompagnate da politiche che "armino" i cittadini in modo che possano affrontare una situazione competitiva. E questa combinazione oggi non esiste nell' insieme delle politiche in mano alle istituzioni europee.
I cittadini intuiscono molto più chiaramente attraverso i suoi dirigenti che l'europa deve svolgere un ruolo molto più attivo in questo contesto. Non è questione di nuovi cambiamenti nel Trattato. Adesso che siamo quasi alla fine della ratifica del Trattato di Lisbona, bisognerebbe evitare di cadere in oscuri dibattici istituzionali. L'attivismo di Sarkozy con le sue luci ed ombre di iperprotagonismo e intergovernabilità è tornato a svegliare l'attenzione di quanto l'Europa può fare agendo unita. Credo che ci siano ragioni più che valide affinchè la proiezione dell'attuale strategia di Lisbona verso la crescita ed il lavoro oltre l'anno 201o si affronti da questa prospettiva, ambiziosa ma necessaria. Perchè ciò che è in gioco non è nient'altro che il futuro di ognuno dei nostri paesi, delle nostre economie, del nostro modello sociale, forse della democrazia così come la conosciamo.
Joaquin Almunia è commissario europeo degli affari economici e monetari.

20 gennaio 2009

UN INSULTO A 6 MILIONI DI MARTIRI



(commento alla lettera di Abrham B. Yehoshua, pubblicato dalla Stampa del 18/01/2009)

Abrham. B. Yehoshua. “Caro Gideon,
negli ultimi anni ... Quando ti pregai di spiegarmi perché Hamas continuava a spararci addosso anche dopo il nostro ritiro tu rispondesti che lo faceva perché voleva la riapertura dei valichi di frontiera..."

Hamas continua a sparare razzi anche e soprattutto perché Gaza è la più grande prigione a cielo aperto del mondo, definita nel 2007 dal sudafricano John Dugard, Special Rapporteur per i Diritti Umani in Palestina dell'ONU, "Apartheid... da sottoporre al giudizio della Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja". Perché nell'agosto del 2006 la Banca Mondiale dichiarava che "la povertà a Gaza colpisce i due terzi della popolazione", con povertà definita come un reddito di 2 dollari al giorno pro capite, che è il livello africano ufficialmente registrato. Perché appena dopo le regolari e democratiche elezioni del gennaio 2006 con Hamas vittoriosa, Israele inflisse 1 miliardo e 800 milioni di dollari di danni bombardando la rete elettrica di Gaza e lasciando più di un milione di civili senza acqua potabile. Perché nel 2007 l 'ex ministro inglese per lo Sviluppo Internazionale, Clare Short, dichiarò alla Camera dei Comuni di Londra "sono scioccata dalla chiara creazione da parte di Israele di un sistema di Apartheid, per cui i palestinesi sono rinchiusi in quattro Bantustan, circondati da un muro, e posti di blocco che ne controllano i movimenti dentro e fuori dai ghetti (sic)". Ecco perché. Perché sono 60 anni che Israele strazia i palestinesi con politiche sanguinarie, razziste e fin neonaziste.

A.B.Y. "Ti chiesi allora se ritenevi plausibile che Hamas potesse convincerci adottando un comportamento del genere o se, piuttosto, non avrebbe ottenuto il risultato contrario, e se fosse giusto riaprire le frontiere a chi proclamava apertamente di volerci sterminare."

Arafat riconobbe Israele nel 1993, agì fermamente per reprimere Hamas (come testimoniò Ami Ayalon, ex capo dei servizi segreti Shab'ak israeliani, nel 1998) e cosa ottenne? Barak, Clinton e poi Sharon lo distrussero. Hamas ha dichiarato ufficialmente nel luglio del 2006 con una lettera al Washington Post di riconoscere il diritto degli ebrei all'esistenza in Palestina fianco a fianco dei palestinesi. Nessun media italiano o europeo ha ripreso la notizia. Nessuno.

A.B.Y. "... I valichi, da allora, sono stati riaperti più volte, e richiusi dopo nuovi lanci di razzi. Sfortunatamente, però, non ti ho mai sentito proclamare con fermezza: adesso, gente di Gaza, dopo aver respinto giustamente l’occupazione israeliana, cessate il fuoco..."

Respinto l'occupazione? Sono in una gabbia che li affama, che li fa morire ai posti di blocco, che gli nega l'essenziale per vivere. Di nuovo Dugard: "A tutti gli effetti, a seguito del ritiro israeliano, Gaza è divenuta un territorio chiuso, imprigionato e ancora occupato".

A.B.Y. "Talvolta penso, con rammarico, che forse tu non provi pena per la morte dei bambini di Gaza o di Israele, ma solo per la tua coscienza. Se infatti ti stesse a cuore il loro destino giustificheresti l’attuale operazione militare, intrapresa non per sradicare Hamas da Gaza ma per far capire ai suoi seguaci (e malauguratamente, al momento, è questo l’unico modo per farglielo capire) che è ora di smetterla di sparare razzi su Israele, di immagazzinare armi in vista di una fantomatica e utopica guerra che spazzi via lo Stato ebraico e di mettere in pericolo il futuro dei loro figli in un’impresa assurda e irrealizzabile..."

Questo è il razzismo di questi assassini vestiti da colombe. Vogliono 'educare' gli 'untermenschen' arabi a frustate, "fargli capire", come usava ‘far capire' nei campi di cotone della Louisiana 200 anni fa o nel ghetto di Varsavia, pochi decenni fa. 'Fargli capire' le cose ammazzando i loro bambini? Le loro donne? Questo si chiama massacro, è un crimine contro l'umanità che viola le Convenzioni di Ginevra e i Principi di Norimberga. Questo Abrham B. Yehoshua è un mostro, e lui e i suoi colleghi non hanno appreso alcunché dal nazismo, anzi, hanno solo appreso come replicarlo.

"Oggi, per la prima volta dopo secoli di dominio ottomano, britannico, egiziano, giordano e israeliano, una parte del popolo palestinese ha ottenuto una prima, e spero non ultima, occasione per esercitare un governo pieno e indipendente su una porzione del suo territorio."

Su una porzione del suo territorio... Non c'è limite all'abominio intellettuale di questo scrittore. Gli 'untermenschen' arabi devono essere grati di poter fare la fame su un fazzoletto di terra privo di ogni sbocco economico/commerciale e che è una frazione di quel 22% delle loro terre che gli è rimasto dopo che Israele gli ha rubato il 78% a forza di massacri e pulizia etnica.

"Se intraprendesse opere di ricostruzione e di sviluppo sociale, anche secondo i principi della religione islamica, dimostrerebbe al mondo intero, e soprattutto a noi, di essere disposto a vivere in pace con chi lo circonda, libero ma responsabile delle proprie azioni..."

Come aver detto agli etiopi nel 1984: "Se imparaste a coltivare la terra invece che chiedere l'elemosina all'ONU...".
Questo Abrham B. Yehoshua è, lo ribadisco e me ne assumo la responsabilità, un mostro. Lo è in forma più disgustosa di Sharon, di Olmert, della Livni, poiché traveste la sua perfidia disumana da 'colomba'.
L'ipocrisia della tragedia israelo-palestinese è arrivata a livelli biblici di disgusto. E ricordo, per tornare in Italia, la posizione dei nostri intellettuali di sinistra, ‘colombe’ anch’essi, come esplicitata sul sito http://www.sinistraperisraele.it/home.asp?idtesto=185&idkunta=185, dove campeggia una commemorazione di Uri Grossman, figlio dell’altra ‘colomba’ israeliana di chiara fama, David Grossman, ucciso durante l’invasione israeliana del Libano del 2006. La morte di un figlio è sempre una tragedia immane, e quella morte lo è nel suo aspetto privato. Non oserei profferire parola su questo.
Ma vi è un aspetto pubblico di essa, che stride e che fa ribollire la coscienza: Uri Grossman era un soldato di un esercito invasore, criminale di guerra, oppressore da 60 anni di un intero popolo, e che in Libano ha massacrato oltre 1000 esseri umani innocenti, dopo averne massacrati 19.000 in identiche circostanze nel 1982 e molti altri nel 1978. Uri Grossman era una pedina di una impresa criminale, ma venne commemorato su tutti i media italiani, e ancora lo è sul sito dei nostri ‘intellettuali colombe’.
Dove sono le commemorazioni della montagna di Abdel, Baher, Fuad, Adnan, la cui vita spezzata a due anni, a tredici anni, a trent’anni, e senza aver mai indossato la divisa di un esercito criminale di guerra, ha lasciato il medesimo strazio e il medesimo buio di vivere di “papà, mamma, Yonatan e Ruti” Grossman? Dove sono? Dove?

"Far capire"... "malauguratamente è l'unico modo". Queste parole, Abrham B. Yehoshua, questi 'intellettuali' traditori, la difesa del sionismo e delle condotte militari di Israele dal 1948, sono un insulto a sei milioni di martiri ebrei dell'Olocausto nazista. Lo scrivo, lo dico e mi chiamo Paolo Barnard.
Paolo Barnard

19 gennaio 2009

I MISTERI DI VIA D'AMELIO



Nei giorni in cui le dichiarazioni di nuovi pentiti potrebbero portare ad una revisione del processo della strage di via D'Amelio, la prima puntata della nuova stagione di Reality , ripercorre il caso Borsellino.
Al vaglio della procura di Palermo sono infatti in questi giorni le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco del capoluogo siciliano, che avrebbe reso noto di una trattativa tra lo Stato e la mafia, di cui il padre si sarebbe fatto mediatore.
L'inchiesta di Silvia Resta parte proprio dal giallo del primo luglio del '92, giorno in cui il giudice Borsellino si sarebbe recato al Viminale dall'allora ministro dell'interno Nicola Mancino. Per la prima volta davanti alle telecamere, un faccia a faccia a distanza tra Salvatore Borsellino, fratello del giudice, e Nicola Mancino, che nega di essere mai stato a conoscenza di una negoziazione con Cosa Nostra e ribadisce: "Quel giorno ho stretto tante mani: non ricordo Borsellino, ma non escludo di poterlo aver incontrato."

VEDERE, IMMAGINARE, SENTIRE IL DOLORE ALTRUI.

Un milione e mezzo di palestinesi patiscono l’assedio nel ghetto di Gaza, nel frattempo, i politici di Israele proclamano la loro indifferenza rispetto alle sofferenze degli assediati. Questo può solo produrre più violenza.

“Nuociamo solamente agli altri quando siamo incapaci di immaginarli” ho letto in qualche libro, non so se di Todorov o di Carlos Fuentes.
La frase si riferiva a gesta lontane, come la Conquista spagnola dell’America o le guerre coloniali europee del XIX secolo, quando le crudeltà di quelle guerre, patite da popoli “inferiori”, si rivestivano con un’aura di altruismo ed eroicità: missione evangelizzatrice o apporto delle luci della civilizzazione alla loro barbarie e arretratezza.
Già Sharon formulò così un programma d’azione: “I Palestinesi devono soffrire molto di più”.

Mi torna alla memoria la frase di Marek Halter: “Ho paura per Israele e Israele mi fa paura”.
Le cose oggi sono diverse. Che si tratti di guerre d’aggressione o di guerre di presunta difesa o anche di guerre preventive, le immagini del male che queste causano ci arrivano direttamente a domicilio. In casa nostra assistiamo alle atrocità dei bombardamenti, alla morte quasi in diretta di donne e bambini, al martellamento continuo di popolazioni terrorizzate. La vista spaventosa di rovine, cadaveri, disperazione dei simili alle vittime può tuttavia essere catturata senza che immaginiamo i sentimenti di impotenza, rabbia o dolore altrui, senza metterci nei panni di coloro che soffrono.
Il rifiuto volontario o indotto del riconoscimento del male che causiamo è spesso prodotto dell’ansia, dell’orrore verso il nostro passato, di paure ancestrali della sua reiterazione nel futuro. Uccidiamo per paura, presi in una spirale di angoscia, sfiducia e impulsi aggressivi dalla quale è difficile scappare. A causa di questo lasciamo che la forza della ragione lasci il passo alla ragione della forza. Non ci sentiamo colpevoli del male che infliggiamo in funzione di quello che potrebbe abbattersi sulle nostre teste. La logica del timore/ castigo/ timore non ha fine, ma l’angoscia e la fiducia cieca nelle propria forza sono cattive consigliere.
Scrivo ciò a proposito di Gaza. Era necessaria tale esibizione di prepotenza militare per porre fine al lancio di missili artigianali a Sderot e ad altre località israeliane vicine alla striscia? L’assedio terra, mare e aria ad un milione e mezzo di persone affamate e che gridano vendetta porta ad una risoluzione del problema di sicurezza di Israele o, più presumibilmente, lo aggrava? Era l’unica opzione a disposizione dopo il mini colpo di stato di Hamas contro la screditata Autorità Palestinese, come ripetono ogni giorno i portavoce militari e governativi dello Stato ebreo? La comunità internazionale, eccezion fatta per i falconi di Bush, pensa il contrario.

Annientare, annientare e annientare non garantisce il futuro di Israele: lo rinchiude in una mentalità assediata che a lungo termine gioca contro di lui. Seminare l’odio e la brama di vendetta rinforzano, invece, Hamas, Hezbollah e i loro mentori iraniani e siriani. Non è contraddittorio addurre la legittima difesa dello Stato giudeo contro “i lupi” che lo circondano (utilizzo la terminologia di un noto analista nordamericano) e fomentare allo stesso tempo la proliferazione infinita di questi “lupi” con una politica di asfissia e distruzione di tutte le infrastrutture civili della striscia, compreso scuole, moschee, edifici amministrativi e centri di accoglienza per rifugiati delle Nazioni Unite?

Non basta vedere il danno crudele nei notiziari televisivi per mettersi nei panni del male inflitto al prossimo: a questi centinaia di migliaia di giovani della striscia, indignati per la patetica incapacità di Abbàs e la complicità nella sua disgrazia di presunti paesi fratelli, come l’Egitto di Mubarak. Qualunque osservatore straniero verificherà l’effetto inverso della ferocia che trasforma questo ghetto infame in un autentico inferno: -dalla frase di un professore, laico, riprodotta in uno dei miei servizi su Gaza del decennio passato- “ guardi i giovani dei campi. Vivono pigiati, senza lavoro, distrazioni, possibilità di emigrare né di formare una famiglia. A poco a poco sentono che muoiono essendo vivi ed il loro cuore si trasforma in bomba. E un giorno, senza avvertire nessuno, correranno con un’arma qualsiasi ad un’operazione terrorista suicida. Non gli importa morire perché già si sentono morti”- fino a quella raccolta dal corrispondente di questo giornale lo scorso giorno 5 – “ la gente appoggia più che mai Hamas perché è arrivato un punto in cui la vita e la morte son quasi lo stesso”- i fatti confermano che il Piombo Indurito non risolve niente: dilata e complica inutilmente la già complessa e ardua risoluzione del conflitto. Confesso la mia perplessità davanti ad uno sproposito come quello che, dopo la terribile frase di Sharon- “i palestinesi devono soffrire molto di più”, formulata sette anni fa a modello di programma d’azione-, un intellettuale come Abraham Yehoshua l’accetti oggi a suo modo quando, in queste stesse pagine, affermava senza vergogna che “ la capacità di sofferenza dei palestinesi è molto più grande”. Si basa su una diagnosi scientifica, su uno psicometro in grado di misurare il dolore proprio e altrui? O non sarà piuttosto riflesso di questa incapacità di immaginare la sofferenza altrui, che siano giudei, indo americani, neri o palestinesi? Un’opportuna lettura di Todorov ci toglierebbe dai dubbi.

L’annientamento di Gaza non risponde ad una strategia ben meditata: si fonda invece su una politica opportunista di rendimento elettorale di fronte alle prossime elezioni parlamentari, a costo di far svanire le ultime illusioni di coloro che, da Oslo a Annapolis, hanno creduto nella possibilità di una soluzione dialogata, sebbene smentita anno dopo anno, sul campo, nei Territori Occupati: estensione senza freno della colonizzazione, umiliazioni giornaliere degli abitanti di Gerusalemme Est e della Cisgiordania, miseria e asfissia di Gaza, soprattutto dopo il trionfo elettorale di Hamas, giudicato come movimento terrorista dal Nordamerica e da un’Unione Europea tragicamente disunita e incapace di svolgere il ruolo di mediatore credibile che le circostanze consigliano.
Il gioco di separare il presunto Stato palestinese in due entità e frammentare il territorio cisgiordano in bantustan impensabili pregiudica soprattutto lo screditato Governo di Mahmud Abbàs. Giacché l’estremismo di una parte alimenta quello dell’altra e, con la scusa di non dialogare con i terroristi- ovviando il fatto che sono stati eletti democraticamente- l’unico “Stato democratico” della regione viola giornalmente le risoluzioni dell’ONU e disprezza olimpicamente la disapprovazione quasi unanime dell’opinione pubblica internazionale.
Mi tornano alla memoria la frase di qualcuno così poco sospettoso della parzialità anti israeliana come Marek Alter dopo la sua visita ai Territori Occupati- “ho paura per Israele e Israele mi fa paura”- e le riflessioni del mio amico Jean Daniel sul paradosso storico che Israele- creato dai padri del movimento sionista con lo scopo di costituire uno Stato come gli altri- agisce dal 1967 come uno Stato diverso dagli altri, nella misura in cui si pone deliberatamente al margine della comunità internazionale che ha riconosciuto la sua esistenza 60 anni fa.

La mancanza di immaginazione rispetto al dolore dei palestinesi – la capacità etica e, in fin dei conti, umana di mettersi al loro posto- li rinchiude in un vicolo cieco: colpire sempre e sempre più duramente i nemici, tanto quelli che si rifiutano di accettare la realtà con la sua infausta retorica e insostenibili bravate- quelle di “buttare i giudei a mare”- quanto quelli che aspirano alla pace e ad un orizzonte condivisi attraverso il ritorno alla così chiamata linea verde, secondo la risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Ascolto, con speranza e sollievo, la voce dei suoi intellettuali dissidenti, di quegli uomini e donne decisi a prendere le distanze dall’unanimità clamorosa che indicano i sondaggi sul successo effimero della devastatrice operazione militare nella striscia. Sono i dissidenti laici dell’uno e dell’altro schieramento coloro che difendono il ritorno alla ragione. Il loro ancora chimerico anelo di pace si basa sulla speranza di raggiungere un giorno un accordo concreto e giusto. Semplici esseri umani vengono, immaginano e sentono il male che infliggono agli altri e che non vogliono per sé stessi. Sulla linea esemplare di Edward Said, strappato con la forza alla sua infanzia palestinese, si rifiutano di mettere radici, come gli alberi nel terreno dell’oppressione. Vogliono essere il vento e l’acqua, come tutte le cose che scorrono nella costante mutevolezza del fiume di Eraclito. Che un giorno, più presto che tardi, la storia dia loro ragione!!
Juan Goytisolo.

Fonte: EL PAIS

18 gennaio 2009

GUERRA DI RELIGIONE O DI GAS?


In un articolo intitolato “Guerra e gas naturale. L’invasione di Israele e i giacimenti di gas naturale al largo di Gaza”, Michel Chossudowsky propone un’interessante analisi che porta a leggere l’attuale invasione di Gaza come il culmine - pianificato con gelido cinismo - di un logorante braccio di ferro per ottenere il controllo delle riserve di gas naturale scoperte di recente al largo di Gaza, e quindi di proprietà palestinese.
La cosa paradossale è che a questo punto i palestinesi appaiono come un semplice disturbo aggiuntivo, la cui rimozione non sia il fine ultimo della crociata sionista, ma un mezzo per raggiungere li vero obiettivo, il totale controllo di quello che viene chiamato il "corridoio energetico levantino", nel bacino orientale del Mediterraneo.

Chossudowsky inizia dicendo che “l'invasione militare da parte dell'esercito israeliano della striscia di Gaza è direttamente correlata al controllo e al possesso delle riserve strategiche sottomarine di Gaza. Questa e una guerra di conquista. Ci sono grandi riserve di gas al largo di Gaza”.
Poi Chossudowsky spiega che “il British Gas Group” (BG) e la consociata greca Consolidated Contractors International Company (CCC), di proprietà delle famiglie libanesi Sabbagh e Koury, avevano ottenuto nel 1999 dall’Autorità Palestinese i diritti di sfruttamento per 25 anni dei fondali di Gaza. Questi accordi riservavano all’Autorità Palestinese il 10 % dei proventi complessivi.

L'accordo prevedeva la costruzione di un gasdotto per sfruttare i nuovi giacimenti, che sono contigui a quelli già esistenti, di proprietà di Israele.

La questione della sovranità territoriale sui fondali con riserve di gas
– prosegue Chossudowsky - è cruciale. Da un punto di vista legale...
... queste riserve appartengono alla Palestina, ma la morte di Arafat e il crollo dell'Autorità Palestinese hanno permesso ad Israele di stabilire un controllo de facto sulle riserve sottomarine di Gaza.

Il gruppo BG tratta direttamente con il governo di Tel Aviv, aggirando il governo di Hamas per tutto quel che riguarda i diritti di sfruttamento dei nuovi giacimenti.

L'elezione del primo ministro Ariel Sharon ha rappresentato, nel 2001, una svolta cruciale in questa vicenda.
Il diritto di sovranità sui giacimenti fu infatti contestato di fronte alla Corte Suprema di Israele, mentre Sharon dichiarava che Israele non avrebbe mai comperato gas dalla Palestina, affermando che le riserve al largo di Gaza appartengono a Israele. "

Provate a pensare a cosa succederebbe nel mondo se, ad esempio, l’Italia contestasse davanti alla propria Corte Costituzionale il diritto della Francia di sfruttare i suoi giacimenti al largo di Marsiglia, dicendo che sono nostri.
Nel 2003 Sharon pose il veto ad un accordo che avrebbe permesso alla BG di fornire a Israele il gas proveniente da Gaza.

La vittoria di Hamas nel 2006 portò alla disfatta dell'Autorità Palestinese, che restò confinata in Cisgiordania, sotto il governo-fantoccio di Mahmoud Abbas.
Nel 2006 la BG stava per firmare un accordo per spedire il gas all'Egitto, ma pare che il primo ministro inglese Tony Blair sia intervenuto a favore di Israele per sabotarlo."

Di fatto, sappiamo che quell’accordo non fu mai firmato.

"Nel maggio del 2007 prosegue Chossudowsky - il governo israeliano approvò la proposta del primo ministro Ehud Olmert di acquistare gas dalla autorità palestinese. Sul tavolo c'era un contratto da 4 miliardi di dollari, con utili nell’ordine di due miliardi, dei quali uno sarebbe andato ai palestinesi."
Sembrava una soluzione onorevole per tutti.

"Tel Aviv però non aveva nessuna intenzione di dividere gli utili con la Palestina. Una squadra di negoziatori fu messa in piedi dal governo di Israele per stilare invece un accordo diretto col gruppo BG, aggirando sia il governo di Hamas che l’Autorità Palestinese. "Le autorità della difesa israeliana – si giustificò allora il governo - vogliono che i palestinesi siano pagati in beni e servizi, ma insistono che il governo controllato da Hamas non debba ricevere soldi”.
Siamo quindi alle comiche: il Primo Ministro chiede un accordo, il Governo lo firma, ma la Difesa si oppone, accampando motivi di sicurezza che evidentemente nè il Primo Ministro nè il Governo avevano preso in considerazione. D'altronde, non è che siano abituati a vivere nella paranoia, da quelle parti.
“Lo scopo ultimo – conferma infatti Chossudowsky - era quello di nullificare il contratto iniziale del 1999, firmato dal gruppo BG con l'autorità Palestinese di Arafat.”
Ma il balletto non è finito, e le vere vittime della danza ipnotica continuano a ballare ignare del proprio destino: “Il nuovo accordo proposto alla BG nel 2007 prevedeva un gasdotto sotterraneo che portasse il gas direttamente allo snodo costiero israeliano di Askelon, trasferendo di fatto ad Israele il controllo delle vendite del gas naturale di Gaza.
Sembrava fatta, finalmente. Noi pompiamo - pensarono gli inglesi - loro vendono, e i palestinesi tornano a coltivare i cedri.
Ma l'accordo, che avrebbe comunque portato qualche soldo nelle tasche dei palestinesi, fallì per l’intransigenza del capo del Mossad, che “per motivi di sicurezza” riteneva necessario precludere ai palestinesi qualunque introito monetario derivante dalle vendite del gas.

A quel punto la BG si ritirò dalle trattative, e nel dicembre 2007 chiuse i suoi uffici a Tel Aviv."

A Israele non restava che invadere, e prendersi con la forza quello che l’intransigenza altrui le impediva di ottenere con regolare contratto.

Chossoudowsky infatti sottolinea che “il progetto d'invasione della striscia di Gaza, chiamato operazione Piombo Fuso, fu messo in moto nel giugno 2008, ma diverse fonti militari hanno rivelato che l’esercito fosse stato allertato già sei mesi prima”. Ovvero, dal momento in cui era “definitivamente” fallita la trattativa con la BG.

Tanto definitivo fu quel fallimento, che mentre Israele lustrava i cannoni qualcuno contattava segretamente il gruppo BG, “per riaprire le importanti trattative sullo sfruttamento del gas al largo di Gaza. Di fatto sappiamo – scrive Chossudowsky - che fossero in corso trattative fra BG e Israele nell'ottobre del 2008, due o tre mesi prima dell'inizio dei bombardamenti, avvenuto il 27 dicembre”.

Chossudowsky non sa dire a che punto siano oggi le trattative, ma sembra chiaro che Israele abbia previsto fin dall’inizio di mettere gli inglesi di fronte al fatto compiuto, obbligandoli a quel punto ad accettare le loro condizioni, pur di vedere qualche dollaro sgorgare finalmente dai loro prezzolati giacimenti.

Chossudowsky acclude una cartina che aiuta a comprendere meglio la lungimirante strategia di Israele, nella cruciale redistribuzione delle risorse energetiche attualmente in corso.
Perchè di questo si tratta, e di null’altro. Chi controlla l’energia, domani controllerà il mondo.
Nel frattempo appare evidente come i reali proprietari dei giacimenti rappresentino poco più di
un disturbo temporaneo nel grande quadro strategico di Israele. Se non camminassero e piangessero come tutti gli altri, il problema non sarebbe nemmeno mai sorto.

Talmente determinata appare Israele nell’aver perseguito questa strategia, che sembra non essersi fermata nemmeno di fronte ai propri padrini e alleati, quegli inglesi senza i quali oggi Israele sarebbe solo il nome di una antica tribù sperduta nel deserto.

Ma evidentemente non è questo il tempo di rendere i favori. Ora è necessario accaparrarsi al più presto tutte le risorse ancora disponibili, prima che inizi il grande Armageddon.

Massimo Mazzucco da luogocomune.net

17 gennaio 2009

IL SILENZIO RENDE COMPLICI



In tutto il mondo si susseguono appelli per la pace affinchè finiscano al più presto gli scontri a Gaza.
Tra gli appelli dei politici e quelli delle Nazioni Unite, molto simili nella loro ipocrisia, pubblichiamo questo comunicato di Adrian Salbuchi rivolto alle comunità ebraiche in Argentina, sperando che venga ascoltato da tutte le comunità ebraiche del mondo, perchè il genocidio subito dagli ebrei non può essere un movente per le barbarie sioniste che si stanno perpetrando in questi giorni nella striscia di Gaza dove gli unici a pagare il prezzo di questo orrore sono i civili palestinesi.
Come ha scritto Norman G. Finkelstein:
«Ma se gli israeliani non vogliono essere accusati di essere come i nazisti, devono semplicemente smettere di comportarsi come i nazisti»

Comunicato di Stampa N°60-9 gennaio del 2009.

Il silenzio è complicità.
Nel nostro comunicato stampa n° 59 del 30/12/08 IL MSRA (Movimento per la Seconda Repubblica Argentina, abbiamo fatto un richiamo a tutta la comunità ebraica del nostro paese affinchè prendesse una posizione inequivocabile di fronte alla barbaria genocida che sta portando avanti il governo terrorista dello Stato di Israele contro il popolo palestinese a Gaza.
Nel gigantesco Auschwitz nel M.O.amministrato dallo Stato Terrorista Israeliano,che è la striscia di Gaza, in due settimane hanno assasinato quasi 800 palestinesi,altri quasi 400 sono feriti,di cui la maggior parte donne,bambini e anziani. Le bestie israeliane sono arrivate al colmo sparando contro veicoli dell'Onu che trasportavano aiuti umanitari.

Questi sono crimini di lesa umanità! Quanti altri assassini realizzeranno gli israeliani mentre l'ipocrita "comunità internazionale" si frotta i vestiti e avanza a passo di tartaruga?

Sappiamo molto bene che le organizzazioni Amia, Daia e Osa appoggiano queste misure criminose e con ciò stanno compiendo un atto di apologia del delitti.
Seguendo l'esempio dignitoso del Venezuela, il governo di Kirshner, dovrebbere espellere l'ambasciatore israeliano e sospendere i rapporti diplomatici con lo Stato Terrorista di Israele.Certamente non lo faranno, in quanto i Kirshner sono funzionali al sionismo e si sottopongono (e con loro l'intero paese) agli interessi sionistici internazionali e dello stato di Israele.
Per questo, una volta ancora, facciamo una richiesta a tutta la comunità ebraica in Argentina, facendo appello al suo senso di giustizia, equità e rispetto per i diritti umani di Tutti gli uomini, affinchè condanni apertamente, pubblicamente e vigorosamente questo nuovo episodio di genocidio compiuto dallo stato terrorista di israele contro la popolazione palestinese nel suo paese, invaso dalle forze militari di occupazione israeliana da oltre 70 anni.

Ogni argentino, dovrebbe comprendere che il silenzio è complicità con gli assasini.
Noi abbiamo già sofferto il terrorismo di stato e molti compagni e fratelli hanno sofferto la violazione dei loro diritti umani, in parte, dovuto al silenzio complice e codardo della maggioranza. Per questo, noi argentini abbiamo una responsabilità storica speciale e singolare di far sentire la voce di allarme e non tollerare passivamente genocidi di questo tipo Mai Più e in Nessun Luogo.

Sappiamo molto bene che la comunità ebraica argentina non è rappresentata onestamente dall'Amia(Associazione Mutuale Israeliana Argentina) nè dalla Daia (Delegazione di associazioni israeliane in Argentina) nè dalla Osa (Organizzazione Sionistica in Argentina), che si porpongono di "esaltare i vincoli con lo stato di Israele, rettificando la sua guida di centro spirituale della vita ebraica" (http://www.daia.org.ar/01QuiSom.html).
Da ciò il nostro richiamo ai settori moderati e sani della comunità ebraica affinchè eliminino e censurino gli assasini che in questo preciso momento porta avanti lo stato di Israele a Gaza e che le potentissime forze mondiali (globali) sionistiche e pro-sionistiche pretendono di giustificare invocando di farlo "in nome di tutti gli ebrei del mondo"
Gli ebrei argentini pacifici non devono permettere que questo si faccia "in loro nome", non devono accettare buonisticamente di rimanere legati e macchiati dal terrorismo israeliano.
Il silenzio della comunità ebraica oggi li trasformerebbe implicitamente in complici di questo vero olocausto che si svolge in Palestina sotto il comando militare israeliano. Argentini:in questi momenti trascendentali, osserviamo molto attentamente chi fa cosa....
Movimento per la Seconda Repubblica Argentina (MSRA)
Adrian Salbuchi.

16 gennaio 2009

FINE DEGLI STATI UNITI, INIZIO DEL GOVERNO MONDIALE

L'anno 2009 ha segnato l'inizio di quelli che saranno i quattro anni più drammatici della storia umana.
A partire da aprile-giugno 2009, la crisi economica potrebbe portare a una drammatica guerra sociale-civile negli Stati Uniti, che potrebbe portare alla divisione territoriale della nazione. Tale è la visione di Igor Panarin, Dott. di Scienze Politiche e Direttore del Dipartimento degli affari internazionali presso l'Accademia diplomatica del Ministero degli Affari Esteri della Russia, previsione fatta nel 1998. A quel tempo, le previsioni Panarin non sembravano essere realistiche, dal momento che gli Stati Uniti un decennio fa sembravano imbattibili: una superpotenza mondiale. Oggi, tuttavia, le stime del Dr. Panarin sembrano avvicinarsi a una realtà possibile.
Un paio di settimane fa, il sito russo Izvestia ha introdotto una versione aggiornata di questi eventi, attraverso una intervista televisiva, dove gli esperti hanno condiviso con Panarin le loro opinioni su temi come ad esempio, il motivo per cui negli Stati Uniti il crollo dell'economia e finanza è inevitabile, anche con Obama, e il motivo per cui ora è meglio per la Russia restare amica della Cina. Riportiamo alcune parti del colloquio:

Domanda: Sig. Panarin, dove ha avuto l'idea di una "rottura" degli Stati Uniti nel 1998 quando il paese prosperava ed era il leader mondiale incondizionato?

Risposta: Nel settembre 1998, c'è stata in Austria, una conferenza internazionale sulla guerra Informativa. In quel momento ho presentato i risultati della mia ricerca analitica. Tra i circa 400 partecipanti, 150 americani avevano cominciato a gridare nel pubblico, quando ho parlato nella mia presentazione del prossimo US frattura. Tuttavia, le mie argomentazioni erano ben fondate. A quel tempo era ovvio per me che le finanze e l'economia potevano essere le principali forze distruttive che incombevano sugli Stati Uniti. Il dollaro non era sostenuto da niente. Il debito estero del paese è cresciuto come una valanga, nonostante il fatto che non vi era alcun debito nei primi anni Ottanta. Nel 1998, quando ho fatto le mie previsioni, il debito era salito a $ 2.000.000.000.000 (due trilioni di dollari). Ora supera 11 miliardi di dollari ... Questa è una finanza a piramide può solo portare ad un collasso.

Domanda: Crollo, quindi dell'intera economia degli Stati Uniti?

Risposta: Si ricorda che ora è in pieno collasso. Tre delle cinque più grandi e più antiche banche di Wall Street hanno cessato di esistere in seguito alla crisi finanziaria, e altre due sono in pericolo. Le loro perdite sono le più grandi nella storia. Ora si parla di sostituire il sistema di regolamentazione del mondo e gli Stati Uniti non sarebbero più "IL" regolatore globale.

Domanda: Quale paese dovrebbe sostituire gli Stati Uniti, allora?

Risposta: Ci sono due paesi che possono rivendicare questo ruolo: la Cina con la sua enorme riserva e la Russia come paese che potrebbe svolgere il ruolo di regolatore del territorio.
Un evento davvero eccezionale ha avuto luogo durante il vertice del gruppo di G20 fatto a Washington. I partecipanti hanno proposto una nuova architettura finanziaria internazionale, che avrà un ruolo chiave presso il FMI (Fondo Monetario Internazionale).
Ma il Fondo monetario internazionale ha bisogno di fondi, i partecipanti hanno chiesto a Cina e Giappone di fornire questi fondi. Oggi, le riserve d'oro della Cina superano i $ 2 miliardi di euro e la Cina è il più grande creditore degli Stati Uniti, che oggi può esercitare forti pressioni sulle politiche del FMI. Per tutto questo, non credo sia un caso che il leader cinese Hu Jintao si è incontrato con altri due leader al vertice: il presidente russo Dmitri Mevdelev e il leader del Regno Unito Gordon Brown. Ora ci sono piani per condurre una nuova riunione del G20 in Inghilterra, e il ricongiungimento con la Russia come paese che propone i principi per la ricostruzione del sistema finanziario mondiale è inserito in una chiara visione del processo di riforma cinese.

Lo scheletro che mantiene la coesione e l'unità degli Stati Uniti è fragile
 
Domanda: Abbiamo le idee chiare nei confronti dei leader del mondo, ma al ritorno negli Stati Uniti, cosa vi fa pensare che il paese avrebbe una frattura territorialmente?

Risposta: Ci sono diverse ragioni. In primo luogo, i problemi finanziari negli Stati Uniti sono destinati a crescere. Aziende come General Motors e Ford sono sull'orlo del collasso, il che significa che interi villaggi resteranno disoccupati. I governatori di Stati membri UE Nortemericana si chiedono con sempre maggiore veemenza che il governo nazionale invii loro denaro. I reclami crescono. Finora sono stati limitati a causa delle elezioni presidenziali e la speranza che Barack Obama può fare un miracolo. Ma nella primavera del 2009, sarà diventato chiaro che il miracolo Obama non accadrà. Il secondo fattore riguarda la vulnerabilità del regime politico negli Stati Uniti. Non vi è alcun diritto uniforme per tutto il territorio nazionale di questo paese. Nemmeno per il traffico uniformemente a tutta la nazione. Lo scheletro che tiene gli Stati Uniti è di fragile unità e coesione. Anche le forze armate USA in Iraq hanno un elevato numero di membri che non sono cittadini statunitensi, ma sono lì per combattere, perché sono stati messi in cambio di cittadini statunitensi. Infine, la frattura dell'elite negli Stati Uniti è diventata qualcosa di particolarmente evidente nella crisi attuale.

Domanda: Come sarebbe fratturato il paese?. Ovviamente, il Messico si trova nel sud, ma che cosa vede?

Risposta: Credo che ci saranno sei parti in totale. La prima riguarderà la costa del Pacifico. Sono in grado di farvi un esempio: il 53% della popolazione di San Francisco è di origine cinese.
Il governatore di Stato di Washington, era di etnia cinese, la capitale di Seattle è conosciuta come la porta della Cina in materia di immigrazione verso gli Stati Uniti. La seconda parte, sarebbe sicuramente il sud del Messico. In alcune zone, il castigliano ed è diventata una delle lingue ufficiali. Poi lo Stato del Texas sta apertamente lottando per la l' indipendenza. La costa atlantica è completamente di diversa mentalità etnica rispetto al resto del paese.
Si potrebbe anche spezzare in due parti. E ci sarebbero due depressioni centrali; ricordi che i cinque Stati membri in cui risiedono le tribù indiane hanno annunciato la loro richiesta di indipendenza. Al momento, è stato percepito come uno scherzo - o una sorta di politica spettacolo - ma resta il fatto ed è una realtà che non può essere ignorata. Il Canada, a sua volta, sta esercitando una forte influenza al nord.

Domanda: Che cosa succederà allora al dollaro?

Risposta: Nel 2006, c'è stato un accordo segreto tra il Canada, il Messico e gli Stati Uniti per preparare l'attuazione del programma "Amero", come nuova moneta della regione. Ciò potrebbe significare la sostituzione del dollaro. Allo stesso tempo, essi potrebbero "congelare" i dollari con cui gli Stati Uniti hanno letteralmente invaso il mondo. Può essere usato come un pretesto, per esempio, che "molti gruppi terroristici hanno forgiato i biglietti, e quindi la necessità di verificare l'autenticità di uno".

Domanda: Che cosa possiamo dire circa il divario che si è verificato all'interno della leadership americana detta élite?. E 'i democratici contro i repubblicani?

Risposta: No. Non è così. Ci sono due gruppi tra i protagonisti. Il primo potrebbe essere descritto come quello mondialeo addirittura trotzkyistas. Leon Trotzky aveva già messo questa idea, all'inizio del secolo scorso: non è necessario per la Russia, ma avevano bisogno di una rivoluzione. La Russia sovietica è stata percepita come una semplice trotzkyistas di base da cui partire per esercitare il controllo su tutto il mondo. Il secondo gruppo è costituito da stataliste che desiderano la prosperità per il loro paese. Siamo in grado di trovare i rappresentanti di questi due "clan" all'interno del Partito Repubblicano e nelle file del Partito Democratico. Ad esempio, il voto è avvenuto dopo poche settimane dal piano anti-crisi del Segretario del Tesoro Henry Paulson, che è stato proposto dal repubblicano Bush, tuttavia, i primi a respingerlo al Congresso erano proprio repubblicani stessi.

Quest'intervista condotta da Izvestia il 25-nov-08 ed è stata ampiamente ripresa in Occidente dalla CNN, Bloomberg, The Guardian e The Telegraph di Londra, FoxNews, e altri.

15 gennaio 2009

C'E' CRISI PER TE!



Il Beige Book della Federal Reserve registra un deterioramento del quadro economico in tutti i distretti degli Stati Uniti. Le condizioni dell'economia americana sono ulteriormente peggiorate.
Citigroup vendera' le attivita' di investment banking a JP Morgan a a Wall Street temono per lo stato di salute della principale banca americana che non riesce a trovare compratori per le attivita' di credito al consumo.
La forte flessione (-2,7%) delle vendite al dettaglio in America a dicembre a completato il quadro negativo e il flusso di vendite sui mercati azionari ha assunto la fisionomia di un fiume in piena.
I crolli del comparto bancario e la forte flessione dei consumi negli Stati Uniti affondano i mercati azionari, le borse europee bruciano quasi 210 miliardi di euro.
La Deutsche Bank annuncia che il quarto trimestre del 2008 si chiudera' con un rosso da quasi 5 miliardi di euro e l'8% della banca sarà rilevato dalla Deutsche Postbank, nell'ambito dell'operazione di aumento di capitale.
Tra i bancari i maggiori ribassi. Deutsche Postbank ha accusato un crollo del 18,70%, e se mpre a Francoforte Commerzbank accusa un tonfo del 10,40% e DEutsche Bank di oltre il 9%.
A Londra le cose sono andate anche peggio per i bancari.
Barclays cede il 15%, Hbos -11%, Hsbc -10%, Lloyds -9,60%, Old Mutual -13% ma la peggiore performance e' stata di Royal Bank of Scotland con un crollo del 17%.
Anche a Parigi i bancari guidano la list dei ribassi. Soc Gen accusa un calo del 10,50%, Dexia -9,75%, Bnp Paribas -7,90% e Credit Agricole -7,35%. Sempre a Parigi tra le blue chip maglia nera Axa con un tonfo dell'11%.
Profondo rosso anche a Wall Street. A meta' seduta il Dow Jones accusa uno scivolone del 3% e il Nasdaq sulla stessa linea con Citigroup che sprofonda con un -15,50%.
Complessivamente Wall Street perde quasi 370 miliardi di dollari capitalizzazione.

Fonte: ASCA

13 gennaio 2009

CNN: E' STATO ISRAELE A ROMPERE LA TREGUA



I media occidentali ripetono incessantemente che «Hamas ha rotto la tregua» durata sei mesi lanciando i primi razzi su Israele. La quale giustifica il mostruoso attacco a Gaza con la necessità di difendersi.

Questa versione è stata ripetuta, ovviamente, anche da CNN. Fino al 6 gennaio. Quando il giornalista Rich Sanchez, dopo aver sentito il deputato palestinese Mustafa Barghouti che sosteneva che era stato Israele a infrangere la tregua, ha promesso agli ascoltatori che avrebbe fatto una ricerca con la redazione internazionale del network, per appurare i fatti.

Ed effettivamente, Rick Sanchez ha detto in trasmissione: Israele ha violato per prima i termini della tregua, e precisamente il 4 novembre, con un attacco dentro il territorio di Gaza che ha ucciso 6 palestinesi (6).
fuocopuro

GAZA (2002): IL MASSACRO DI JENIN



Questo è un film fatto di grandi assenze: Bakri ha potuto infatti raggiungere Jenin solo a massacro avvenuto, il 26 aprile 2002, giorno in cui l'Esercito ha lasciato il campo. Ci è rimasto cinque giorni, ritornando solo un'altra volta per alcune rifiniture fotografiche. Ma è stato sufficiente: scheggia su scheggia si ricostruisce una storia, un'unità fatta di rovine. E di dolore. È questo che il suo autore vuole sviscerare in tutte le sue infinite variazioni. Ne risulta dunque un film sulla sofferenza umana: "su un'anima ferita, un cuore spezzato, un albero sradicato, una casa demolita, un fiore spezzato.".
È un dolore così forte, che non ha quasi bisogno di parole. Il primo, sorprendente testimone è un muto. Ma nessuno meglio di lui sarebbe capace di mimare efficacemente gli eventi, a cui ha assistito. I fatti sono talmente enormi che, appunto, non serve una dialettica particolare. Quindici secondi serratissimi racchiudono tutto: gli agguati, gli scontri, le barricare, le esecuzioni. Al primo piano, che puzza di morte e ha perso l'uso del linguaggio, si contrappone un secondo piano più vitale. La città continua a respirare: i vagiti, i canti, i rumori, le ombre raccontano di una comunità che è stata colpita al cuore, ma non è umanamente degradata. Ricomincia sempre da capo. E, soprattutto, non si arrende.
RESISTERE, NONOSTANTE TUTTO


Gentili lettori, questa è la prima parte di 6, del documentario sul massacro di Jenin del 2002 a Gaza. Invitiamo a vedere tutto il film.

«Ma se gli israeliani non vogliono essere accusati di essere come i nazisti, devono semplicemente smettere di comportarsi come i nazisti»

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