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"LA TERRA CI NUTRE LA TECNOLOGIA CI GUIDA: COLTIVIAMO INSIEME IL FUTURO"

15 febbraio 2009

BANCA MONDIALE O COLPO DI STATO PERMANENTE


Intervista con Eric Toussaint presidente del CADTM Belgio (comitato per la cancellazione del debito dei paesi del terzo mondo) e autore del libro "Banco Mundial o el Golpe de Estado permanente" che spiega le politiche del Banco Mondiale nel suo contesto politico e geostrategico, svelando il suo lato intrinseco.

di Miguel Riera, 05.06.2007

Il tuo libro ha un titolo provocatorio: "Il colpo di stato permanente". Vuoi spiegare il motivo del titolo?
Ho voluto sottolineare che la Banca Mondiale ha sostenuto regimi dittatoriali o partecipato alla destabilizzazione dei regimi democratici. Per citare un esempio, ora, il libro spiega come la Banca Mondiale ha contribuito a destabilizzare il regime di João Goulart in Brasile nei primi anni sessanta, come ha fermato il prestito al governo di Salvador Allende in Cile, nei primi anni Settanta; come sospese l'assistenza al governo sandinista negli anni Ottanta.
La Banca mondiale, che sembra essere piuttosto uno strumento inefficace per lo sviluppo, com'è l'opinione della maggioranza degli esperti, è in realtà uno strumento di politica estera degli Stati Uniti e un ente direttamente coinvolto nella vita politica dei paesi membri mondo.
Parlo della vita politica dei cosiddetti paesi del Terzo Mondo, perché la Banca mondiale non intervenire nella vita economica e politica d'America, in Belgio o in Spagna ... E si può aggiungere un altro concetto: attraverso il ricatto del debito estero, la Banca Mondiale interviene nell'ambito di normali decisioni dei governi dei paesi indebitati.
Per continuare con gli esempi, dove nel 2005 l'attuale presidente dell' Ecuador, Rafael Correa è stato ministro delle Finanze, ha istituito una politica che è stata pronta ad utilizzare la maggior parte delle entrate derivanti dal petrolio per la spesa sociale, la Banca mondiale chiedeva la fine di questa politica, il ministro ha rifiutato di farlo sotto la pressione dei suoi colleghi, ed ha dovuto dimettersi. E 'stato un discorso al di fuori della Banca mondiale, in questo caso in collaborazione con il Fondo Monetario Internazionale, hanno raggiunto l'obiettivo delle dimissioni di un ministro.
 
Lei pensa che l'indifferenza della Banca mondiale per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani e la democrazia, esiste ancora oggi, che non è una storia del passato, ma il presente e il futuro, forse?
Sì, questa indifferenza, in pratica, esiste ancora. Vi è, tuttavia, un cambiamento importante rispetto questo discorso.
Ora la Banca Mondiale comprende la questione dei diritti umani nel suo intervento, anche nel vivo del suo ordine pubblico o di recuperare la sua politica di co-organizzazioni della cosiddetta società civile (ONG, ecc. Anche se in realtà Banca mondiale spende soltanto una frazione del suo denaro per sostenere i progetti delle ONG nel settore delle donne, della salute e dell'istruzione).
Presupposti per promuovere l'attuazione dei diritti umani. Ma, in generale, prosegue con una politica macroeconomica che comporta il mancato rispetto dei diritti umani, quali definiti nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1948 o in varie convenzioni e trattati internazionali, come il trattato sull'Unione economica e sociale e culturali del 1966.
La politica macroeconomica della Banca mondiale è più significativa nei paesi in via di privatizzazione, e la privatizzazione significa che le imprese con l' elemento strategico del debito dei paesi vengono acquistati da parte delle multinazionali del Nord, e, dall'altro lato comporta privatizzare la sanità, l'istruzione e altri tipi di servizi essenziali come le poste, le telecomunicazioni e la distribuzione di acqua ... Questo è evidentemente, come l'esperienza ci insegna, è totalmente in contrasto con l'attuazione dei diritti umani in tutto il mondo.
 
Che dire della democrazia, crede che la Banca mondiale continui a sostenere, o intende farlo in futuro, regimi dittatoriali in cui essi non rispettino le libertà politiche?
Che la Banca mondiale sostiene le dittature, è molto chiaro. Pakistan, per esempio, è un "client" nella terminologia della Banca mondiale, un "cliente più alto", è una dittatura militare, e sicuramente un alleato strategico degli Stati Uniti nella regione. Si potrebbe anche prendere il caso della Turchia, che non è una dittatura militare, ma vi è una chiara mancanza di rispetto per i diritti umani e dei diritti politici, come ad esempio per i curdi. La Turchia è un paese che è sempre stato "cliente" della Banca mondiale.
O in Africa, il Ciad, è un paese sotto la dittatura militare di Idriss Déby, la Banca Mondiale è lì perché c'è il petrolio e grandi imprese americane hanno interessi nella regione. E 'chiaro che la Banca mondiale è lì per aiutare la politica di investimento delle transnazionali del petrolio.
Il ruolo futuro della Banca dipenderà dalla strategia degli Stati Uniti. Alcuni analisti ritengono che, almeno in parte nell'Asia, la strategia americana è ancora una volta il sostegno diretto alle dittature.
 
Una seconda sezione del libro, "L'agenda nascosta del Consenso di Washington", suggerisce che esisteva fin dal principio, dal momento della costituzione della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale una riluttanza nascosta, un'intenzione di diventare un elemento di dominazione .
Parlando del "Consenso di Washington, intendo le politiche attuate a tutti i livelli dal 1989 e il 1990, quando il concetto è nato. E' quello che voglio dire nel sottotitolo. Pertanto, sottolineo che la parte nascosta di queste politiche prevede un pianeta dove conquistare tutte le economie ad ogni livello, la registrazione del sistema capitalista, e fornisce una consistente formula nel tipo di ricette che si sono imposti per questo scopo.
Ho spiegato nel mio libro, per esempio, che il tipo di politica attuata nel quadro di aggiustamento strutturale imposto dalla Banca Mondiale e FMI, è nato negli anni sessanta, ma con il Consenso di Washington sulle priorità, le misure di riforma sono state la privatizzazione, negli anni Novanta e fino al 2000 c' è stata una grande ondata di riconquista da parte delle grandi multinazionali, acquisendo il controllo delle risorse naturali dei cosiddetti paesi in via di sviluppo, e anche gran parte delle sue priorità strategiche sia a livello industriale che a livello di servizi. Questa distorsione è relativamente nuova ed è parte di una strategia coerente con l'intento di cui ho parlato.
 
Al di là della questione della privatizzazione e il desiderio di appropriarsi delle risorse dei paesi in via di sviluppo, si potrebbe precisare i contorni di ciò che il piano strutturale?
Sicuro. Ci sono due livelli di adeguamento strutturale.
Da un lato ha imposto misure di emergenza in generale, le misure di impatto sono così brutale dia svalutare la moneta di un paese in via di sviluppo con un brutale aumento dei tassi di interesse nazionale. Ad esempio, la moneta di paesi africani francofoni, i paesi con una moneta comune, il CFA è stato svalutato del 50% nel gennaio 1994. In Brasile la moneta, è stata svalutata del 44% nel 1999.
Tutte queste brutali svalutazioni, in teoria hanno l'obiettivo di accrescere la competitività nel mercato globale dei paesi indebitati per aumentare i loro proventi delle esportazioni e di garantire il pagamento del debito estero.
Aumentare il tasso di interesse nazionale per attirare capitali stranieri, ma in realtà porta a una recessione, perché un minore consumo a seguito di due cose: la svalutazione quindi l'aumento dei prezzi interni dei molti prodotti che sono importati, e perché le persone non hanno più accesso al credito in quanto il tasso di interesse nazionale è aumentato.
Le piccole-medie imprese, a volte anche ai grandi produttori nazionali non possono aumentare gli investimenti in quanto il tasso di interesse nazionale è troppo alto. Tutto questo porta ad una catena di fallimenti, come abbiamo visto in Asia del Sud-Est nel 1997-1998, fallimenti bancari e fallimenti di settori industriali e dei servizi.
Questi sono in genere le misure di emergenza che portano a un disastro: l'aumento della disoccupazione e recessione. Per esempio, tornando al sud-est asiatico, sei mesi dopo l'attuazione delle politiche del FMI e della Banca mondiale alla fine del '97 primi 98's, 23 milioni di persone sono rimaste senza lavoro.
 
E dopo lo shock?
Misure strutturali sono la spina dorsale dell'economia dei paesi in via di sviluppo l'apertura. Si tratta di eliminare o attenuare le barriere doganali e di consentire l'importazione senza tasse, che mette in concorrenza con i produttori locali per i produttori del mercato mondiale, in generale, il processo si conclude con il crollo di molti produttori locali. Ha inoltre eliminato gli ostacoli alla circolazione dei capitali.
La possibilità di togliere dal paese quei capitali, stranieri e nazionali, hanno come obiettivo aumentare gli investimenti esteri, ma in realtà quello che fa è consegnare il paese alla volontà del capitale estero, che può entrare e uscire quando vuole, anche organizzando attacchi speculativi contro lo stesso paese che lo accoglie (questo è ciò che ha fatto contro il Messico nel 1994-1995;contro i paesi asiatici, come ho appena menzionato,contro il Brasile, Argentina, Turchia, poco tempo fa contro la Thailandia).Ed inoltre permette ai capitalisti del sud di legalizzare la fuga di capitali.
Ora non si può parlare di fuga di capitali, è totalmente legale, possono liberamente mettere i loro capitali nei mercati finanziari del Nord. Anche se, come ho già detto, un particolare aspetto negativo è la privatizzazione delle imprese strategiche, sia che si tratti di imprese che operano sulle risorse naturali sia che esse appartengono al settore dei servizi. Ci sono tante pressioni per privatizzare la distribuzione dell'acqua, la produzione e distribuzione di energia elettrica, servizi postali, telecomunicazioni ...
Tutto deve essere privatizzato ... Questa è la politica della Banca Mondiale e FMI. Ciò implica anche la necessità che i poveri paghino per i servizi di base come l'istruzione e la sanità. Venti anni fa, in Africa, l'accesso ai servizi sanitari di base, era gratis. La nuova politica impone di esigere il pagamento di questi servizi sanitari. Le famiglie devono pagare un insegnante nella piccola scuola elementare nel villaggio. Questo è un elemento chiave della politica strutturale.
 
Che cosa succede circa la politica fiscale?
A livello di misure fiscali si spinge per rimuovere la tassazione progressiva per aumentare enormemente le imposte indirette come l'IVA. In Africa vi è un unico tasso di IVA del 19%, anche su l'acqua o l'elettricità.
Tali politiche, aumentano strutturalmente la subordinazione delle economie del sud al capitale del Nord, ma sono a favore degli enti locali, le classi capitaliste del Sud, aumentando le sue entrate. Di conseguenza, aumenta la disuguaglianza all'interno del Sud, ad esclusione di una parte ancora più grande della popolazione ai servizi di base.
 
Ciò significa che i piani della Banca mondiale e del FMI, invece di ridurre la povertà, effettivamente la fa crescere?
Effettivamente, possiamo dire che vi è un aumento della povertà nel Sud, nonostante le affermazioni contrarie della Banca mondiale.
 
Qual è l'impatto delle politiche della Banca mondiale (e FMI naturalmente, non possiamo ignorare questa istituzione), sul potenziale dell'autosufficienza alimentare dei paesi del sud?
La politica della Banca Mondiale dal suo inizio alla fine degli anni Quaranta, e in relazione alla sua presunta volontà di sviluppare il Sud, è stata diretta ad aumentare le loro esportazioni di materie prime e prodotti agricoli. Cosa signifa questo per l'Africa?
L'Africa fino agli inizi degli anni sessanta era autosufficiente nella produzione di cereali per nutrire la popolazione, ma l'Africa è ora un importatore netto di cereali.
In base alle raccomandazioni della Banca Mondiale e altre agenzie internazionali, l'Africa ha aumentato la propria produzione di prodotti agricoli, il tipo di caffè, tè, cacao, cotone, ecc. E la produzione di cereali è diminuita per il fatto che i cereali vengono prodotti meglio al nord con clima temperato, e che per il Sud potrebbe essere vantaggioso scambiare i loro prodotti con prodotti tropicali del nord, in particolare i cereali.
Il risultato è che intere regioni del Sud hanno ridotto la loro sovranità alimentare, vale a dire, non sono in grado di nutrire la propria popolazione, ma dipendono da grano delle importazioni e dalle esportazioni dei prodotti tropicali.
 
In questo contesto, ci sono alternative?
Certamente. La necessità di proporre soluzioni alternative è stato affermato dalle lotte delle masse... già negli anni Ottanta ci fu un' insurrezione contro i piani della Banca Mondiale nel 1984 nella Repubblica Dominicana, il 27 febbraio 1989, con la rivolta di Caracas contro il FMI.
Ci sono state molte proteste popolari contro la politica imposta dalla Banca mondiale e del FMI.
Pertanto, in particolare in America Latina sono stati governi democraticamente eletti che hanno attuato politiche indipendenti della Banca Mondiale e FMI, politiche che sono al di là della logica del capitalismo neoliberale. Mi riferisco all' elezione di Chavez nel 1998 e la sua recente rielezione, di Lula di Tabaré Vázquez in Uruguay, Evo Morales in Bolivia, Rafael Correa in Ecuador, Kirchner in Argentina, si può comprendere Ortega in Nicaragua .. .
 
Ora, quasi la maggioranza dei governi latino-americani hanno espresso un rifiuto della retorica delle politiche sostenute dalla Banca mondiale. Un vero e proprio cambiamento vorrei dire, ci sono paesi che effettivamente attuano politiche che divergono radicalmente dal FMI e dalla Banca mondiale sono in Venezuela, Bolivia e Ecuador, forse, è troppo presto per sapere. A causa del fatto che in Brasile, Uruguay, Cile e Argentina, la rottura con la politica del FMI e della Banca mondiale è molto leggera, in realtà non si può neppure parlare di un contrasto. Lula ha un alto tasso di interesse, non vi è alcun controllo sui movimenti di capitale, la BCE continua in piena autonomia la parte del governo e del legislatore, e ha attuato una politica di intervento nel quadro delle politiche raccomandate dalla Banca mondiale. Al contrario, in Venezuela e in Bolivia è un elemento centrale di una rottura con la politica della Banca Mondiale e FMI, che sono o rinazionalizzare statalizzare. Rinazionalizzazione delle risorse naturali, dalla Bolivia, Venezuela e CANTV rinazionalizzare il livello delle telecomunicazioni e l'annuncio di rinazionalizzazione il settore dell'energia elettrica, oltre a prendere il controllo delle imprese pubbliche che si è verificato nel periodo 2002-2003.

È l' inizio di una rottura con il quadro generale della politica della Banca mondiale. Vediamo che cosa succede al debito, perché il Venezuela continua a pagare il suo debito estero e per i trasferimenti dei suoi creditori con una notevole quantità di risorse. Vediamo se in futuro a questo livello anche in Venezuela, Bolivia ed Ecuador si proceda verso una politica più coerente con la sua guida.
 
Chavez, Evo Morales, Rafael Correa e Kirchner sono stati a favore della creazione di un regime comune di South Bank e hanno annunciato ufficialmente la creazione di tale banca, dopo un incontro tra Chávez e Kirchner. Che ruolo dovrebbe svolgere la banca?
I paesi del Sud del mondo sono in grado di lasciare la Banca mondiale e il FMI, riunisce in un sistema multilaterale di South Bank a sostegno di progetti nel quadro del XXI secolo, il socialismo. Vale a dire, i progetti che non hanno nulla a che fare con lo sviluppo capitalista delle loro economie, ma per il pubblico per lo sviluppo del settore, e anche a livello delle cooperative e comunità ... Si tratta di una possibilità, ma vi è altro, che una banca pubblica del Sud potenzia un corso di sviluppo capitalistico nazionale nel Sud, e che non è un'alternativa.
 
Ciò che occorre è un Banco del Sud situato all'interno di questa rottura, una vera alternativa. L'attuale situazione economica e politica favorisce tale alternativa. Le condizioni dell 'America Latina sono molto più favorevoli che durante il decennio perduto della crisi del debito negli anni Ottanta. C'è un'opportunità economica e la volontà politica della maggioranza dei popoli dell'America Latina per una rottura radicale con il sistema capitalista. Il problema centrale è la questione della volontà politica. Evidentemente, Lula e Tabaré Vázquez, non hanno questa volontà politica, mentre Chavez, Morales e Kirchner, e probabilmente Correa, sono inclini a questa rottura.
 
In ogni caso, dato il forte deficit degli Stati Uniti e il loro impatto sul dollaro, che continuerà a diminuire, avrebbero bisogno di un luogo per le proprie riserve in una banca che non ha investito in obbligazioni degli Stati Uniti. Una Banca di Alba, in grado di finanziare progetti nel settore delle infrastrutture, l'industrializzazione, nel settore della trasformazione delle esportazioni, attento allo sviluppo del mercato interno. Una banca sarebbe uno strumento importante per lo sviluppo del socialismo nel XXI secolo.
 
Un'ultima domanda. Il tuo libro non si occupa esclusivamente di questioni economiche e politiche legate alla Banca Modiale, ma affronta anche questioni di natura politica. Non si tratta di un libro tecnico, nonostante la quantità di dati economici in esso contenuti.
Sicuramente è scritto da un punto di vista politico.
La parte economica è stata quasi sempre molto importante nel mio lavoro, anche se non ho mai smesso di prendere in considerazione le politiche e i fattori geostrategiche ma nel caso di questo libro circa la Banca mondiale si concentra sulla politica e geostrategia.
La Banca mondiale è un'istituzione principalmente economica, ma uno strumento di politica estera di grande potere, guidata dagli Stati Uniti. Questo libro si basa sul lavoro di ricerca svolto sulla base di una documentazione completa della Banca mondiale.
 
Ho letto più di 15.000 pagine di documenti, in modo che il lettore può trovare nel libro argomenti e fatti poco noti, ma le cui sorgenti si trovano nella stessa documentazione della Banca ...
Studiando in maniera critica nei confronti di tali documenti ho potuto portare alla luce le cose che non sono mai state scritte, come la Banca mondiale, nei primi anni Sessanta, costringendo i paesi africani ha raggiunto l'indipendenza assumersi il debito da parte della Gran Gran Bretagna, Francia e Belgio per sfruttare le risorse naturali dei paesi colonizzati, che è un debito odioso che non dovrebbe essere dovuto.
Essa dimostra inoltre l'importante impatto della rivoluzione cubana nel 1959-60 sulla politica degli Stati Uniti e la Banca mondiale, in America Latina a la vittoria della rivoluzione. Ci sono documenti che rivelano come la Banca mondiale ha preso in considerazione, e seriamente, il rischio di contagio rivoluzionario in America Latina.
 
Il libro dimostra chiaramente, per esempio, che nei suoi primi 17 anni di esistenza, la Banca mondiale non ha concesso neanche un prestito per le scuole o per l'approvvigionamento idrico e il trattamento dei rifiuti. E rivela la doppia morale della Banca mondiale a confronto delle dichiarazioni ufficiali delle istituzioni con le loro note interne.
Comunque, penso che non è esagerato dire che questo libro offre molte nuove analisi che non vi è alcun bisogno di citare in questo momento, ma il lettore può scoprirle da solo.
Miguel Riera 

13 febbraio 2009

GRUPPO BILDENBERG & MASSONERIA

Il Gruppo Bilderberg nasce nel 1952, ma viene ufficializzato due anni più tardi, a giugno del 1954, quando un ristretto gruppo di vip dell’epoca si riunisce all’hotel Bilderberg di Oosterbeek, in Olanda. Da quel momento le riunioni si sono svolte una o due volte all’anno, nel più totale riserbo. In occasione di una delle ultime, nella splendida e appartata resort di Sintra, in Portogallo, il settimanale locale News riportò una notizia secondo cui il Governo avrebbe ricevuto migliaia di dollari dal Gruppo per organizzare «un servizio militare compreso di elicotteri che si occupasse di garantire la privacy e la sicurezza dei partecipanti». Ma torniamo agli esordi. I primi incontri si sono svolti esclusivamente nei paesi europei, ma dall’inizio degli anni ’60 anche negli Usa. Tra i promotori - precisano alcuni studiosi della semi sconosciuta materia - occorre ricordare due nomi in particolare: sua maestà il principe Bernardo de Lippe, olandese, ex ufficiale delle SS, che ha guidato il gruppo per oltre un ventennio, fino a quando, nel 1976, è stato travolto dallo scandalo Lockheed; e Joseph Retinger, un faccendiere polacco al centro di una fittissima trama di rapporti con uomini che per anni hanno contato sullo scacchiere internazionale della politica e dell’economia.

«La loro ambizione era quella di costruire un’Europa Unita per arrivare a una profonda alleanza con gli Stati Uniti e quindi dar vita a un nuovo Ordine Mondiale, dove potenti organizzazioni sopranazionali avrebbero garantito più stabilità rispetto ai singoli governi nazionali. Fin dalla prima riunione vennero invitati banchieri, politici, universitari, funzionari internazionali degli Usa e dell’Europa occidentale, per un totale di un centinaio di personaggi circa».

Ecco cosa hanno scritto alcuni giornalisti investigativi inglesi nel magazine on line di Bbc News a pochi giorni dal meeting di Stresa. «Si tratta di una delle associazioni più controverse dei nostri tempi, da alcuni accusata di decidere i destini del mondo a porte chiuse. Nessuna parola di quanto viene detto nel corso degli incontri è mai trapelata. I giornalisti non vengono invitati e quando in qualche occasione vengono concessi alcuni minuti a qualche reporter, c’è l’obbligo di non far cenno ad alcun nome. I luoghi d’incontro sono tenuti segreti e il gruppo non ha un suo sito web. Secondo esperti di affari internazionali, il gruppo Bilderberg avrebbe ispirato alcuni tra i più clamorosi fatti degli ultimi anni, come ad esempio le azioni terroristiche di Osama bin Laden, la strage di Oklaoma City, e perfino la guerra nella ex Jugoslavia per far cadere Milosevic. Il più grosso problema è quello della segretezza. Quando tante e tali personalità del mondo si riuniscono, sarebbe più che normale avere informazioni su quanto sta succedendo».
Invece, tutto top secret. Scrive un giornalista inglese, Tony Gosling, in un giornale di Bristol: «Secondo alcune indiscrezioni che ho raccolto, il primo luogo nel quale si è parlato di invasione dell’Iraq da parte degli Usa, ben prima che ciò accadesse, è stato nel meeting 2002 dei Bilderberg». Di parere opposto un redattore del Financial Times, Martin Wolf, più volte invitato ai meeting: «L’idea che questi incontri non possano essere coperti dalla privacy è fondamentalmente totalitaria; non si tratta di un organismo esecutivo, nessuna decisione viene presa lì». Fa eco uno dei fondatori, anche lui inglese, lord Denis Healey: «Non c’è assolutamente niente sotto. E’ solo un posto per la discussione, non abbiamo mai cercato di raggiungere un consenso sui grandi temi. E’ il migliore gruppo internazionale che io abbia mai frequentato. Il livello confidenziale, senza alcun clamore all’esterno, consente alle persone di parlare in modo chiaro».

Ed ecco cosa scrive un altro studioso di ordini paralleli e di gruppi e associazioni che agiscono sotto traccia, Giorgio Bongiovanni. «Bilderberg rappresenta uno dei più potenti gruppi di facciata degli Illuminati (una sorta di super Cupola mondiale, ndr). Malgrado le apparenti buone intenzioni, il vero obiettivo è stato quello di formare un’altra organizzazione di facciata che potesse attivamente contribuire al disegno degli Illuminati: la costituzione di un Nuovo Ordine Mondiale e di un Governo Mondiale entro il 2012. Sembra che le decisioni più importanti a livello politico, sociale, economico-finanziario per il mondo occidentale vengano in qualche modo ratificate dai Bilderberg».
«Il Gruppo - scrive ancora Bongiovanni - recluta politici, ministri, finanzieri, presidenti di multinazionali, magnate dell’informazione, reali, professori universitari, uomini di vari campi che con le loro decisioni possono influenzare il mondo. Tutti i membri aderiscono alle idee precedenti, ma non tutti sono al corrente della profonda verità ideologica di alcuni membri principali». I veri ‘conducator’- secondo questa analisi - i quali a loro volta fanno anche parte di altri segmenti strategici nell’organigramma degli Illuminati. Due in particolare: la Trilateral e la Commission of Foreign Relationship, nata nel 1921, la quale riunisce a sua volta tutti i personaggi che hanno fra le loro mani le leve del comando negli Usa. «Questi membri particolari - prosegue Bongiovanni - sono i più potenti e fanno parte di quello che viene definito il ‘cerchio interiore’. Quello ‘esteriore’, invece, è l’insieme degli uomini della finanza, della politica, e altro, che sono sedotti dalle idee di instaurare un governo mondiale che regolerà tutto a livello politico e economico: insomma, le ‘marionette’ utilizzate dal cerchio interiore perché i loro membri sanno che non possono cambiare il mondo da soli e hanno bisogno di collaboratori motivati e mossi anche dal desiderio di danaro e potere». Passiamo, per finire, alla Trilateral, vero e proprio luogo cult del Potere nascosto, in grado comunque di condizionare i destini del mondo. Ovviamente ‘sponsorizzato’ della star dell’imprenditoria multinazionale, come Coca Cola, Ibm, Pan American, Hewlett Packard, Fiat, Sony, Toyota, Mobil, Exxon, Dunlop, Texas Instruments, Mutsubishi, per citare solo le più importanti.

L’associazione nasce nel 1973, sotto la presidenza “democratica” di Jimmy Carter e del suo consigliere speciale per la sicurezza, Zbigniew Brzezinsky, il vero deux ex machina. A ispirare il progetto, le famiglie Rothschield e Rockfeller, i Paperoni d’America. Un progetto che ha irresistibilmente attratto i potenti del mondo, a cominciare proprio dai presidenti Usa, con un Bill Clinton in prima fila. Così descriveva Giovanni Agnelli la Trilateral: «Un gruppo di privati cittadini, studiosi, imprenditori, politici, sindacalisti delle tre aree del mondo industrializzato (Usa, Europa e Giappone, ndr) che si riuniscono per studiare e proporre soluzioni equilibrate a problemi di scottante attualità internazionale e di comune interesse». Il solito ritornello.
Di diverso avviso il giornalista Richard Falk, che già nel 1978 - quindi a pochissimi anni dalla nascita - scrive sulle colonne della Monthly Review di New York: «Le idee della Commissione Trilaterale possono essere sintetizzate come l’orientamento ideologico che incarna il punto di vista sopranazionale delle società multinazionali, che cercano di subordinare le politiche territoriali a fini economici non territoriali». E’ la filosofia delle grandi corporation, che stanno privatizzando le risorse di tutto il pianeta, a cominciare dai beni primari, come ad esempio l’acqua: non solo riescono a ricavare profitti stratosferici ma anche ad esercitare un controllo politico su tutti i Sud - e non solo - del mondo. La logica della globalizzazione. E i bracci operativi di questo turbocapitalismo sono proprio due strutture che dovrebbero invece garantire il contrario: ovvero la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale.
«Entrambi - scrive uno studioso, Mario Di Giovanni - sotto lo stretto controllo del ‘Sistema’ liberal della costa orientale americana. Agiscono a tutto campo nell’emisfero meridionale del pianeta, impegnate nella conduzione e ‘assistenza’ economica ai paesi in via di sviluppo». E proprio sull’acqua, la Banca Mondiale sta dando il meglio di sé: con la sua collegata IFC (Internazionale Finance Corporation) infatti sta mettendo le mani sulla gran parte delle privatizzazioni dei sistemi idrici di mezzo mondo, soprattutto quello africano e asiatico, condizionando la concessione dei fondi all’accettazione della privatizzazione, parziale o più spesso totale, del servizio. Del resto, è la stessa Banca a calcolare il business in almeno 1000 miliardi di dollari… Scrive ancora Di Giovanni: «Le decisioni assunte dai vertici della Trilateral riguarderanno sempre di più quanti uomini far morire, attraverso l’eutanasia o gli aborti, e quanti farne vivere, attraverso un’oculata distribuzione delle risorse alimentari. Decisioni che riguarderanno l’ingegneria genetica, per intervenire nella nuova ‘umanità’. In una parola, tutto ciò che definitivamente distrugga il ‘vecchio’ ordine sociale, cristiano, per la creazione di un nuovo ordine. Ma tutto questo senza particolari scossoni. Non vi sarà bisogno di dittature, visto che le democrazie laiche e progressiste, condotte da governi di ‘centrosinistra’, servono già così efficacemente allo scopo. Governi che riproducono - conclude - una formula già sperimentata lungo l’intero corso del ventesimo secolo e plasticamente rappresentata dal passato governo Prodi-D’Alema: l’alleanza fra la borghesia massonica e la sinistra, rivoluzionaria o meno».

Andrea Cinquegrani

Fonte: http://www.lavocedellevoci.it/

12 febbraio 2009

QUALCOSA DI SINISTRA...


Non basta l’ottimismo esasperato di Berlusconi ad esorcizzarla: la crisi internazionale è una minaccia reale alla stessa sopravvivenza di questo sistema economico così come lo conosciamo oggi.
Il Cavaliere continua a dire che passerà sull’Italia senza fare troppi danni, invece sarà uno tsunami devastante e dopo di esso nulla sarà più uguale a prima.
Il picco della crisi è ora previsto tra marzo e giugno prossimi, ma in questa vicenda già altre volte “gli esperti” hanno dimostrato di procedere a tentoni nelle loro previsioni ed in ogni caso nessuno può veramente sapere quanto dureranno gli effetti della marea devastatrice, visto che la crisi del 1929 si è ripercossa per tutti gli anni ‘30 e di fatto risolta dagli Usa solamente con... una guerra mondiale.
Un preoccupato grido di allerta è giunto ieri dal segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, che durante un'intervista a Il terzo anello, Faccia a faccia di Radio 3, ha invitato tutti a tenere i “nervi saldi”, perché il malessere è tanto e “può anche esplodere”. Il leader del più grande sindacato italiano ha accusato il governo di aver sottovalutato la crisi non dotandosi nemmeno di un'idea con cui affrontarla e mettendo sul tavolo una manovra che è “la più bassa in assoluto in tutto il mondo”. Anche sull'auto, secondo Epifani, il governo ha fatto poco e tardi. “Per mesi ha detto che non c'era bisogno di intervenire” e poi quando si sono mossi altri Paesi “ha fatto poco, solo una parte” ha osservato Epifani.
Il leader della Cgil ha in fondo fatto il suo mestiere, che da tempo sembra più essere quello di fiancheggiare il centrosinistra che non realmente rappresentare i lavoratori italiani, ma le sue preoccupazioni sono genuine. Il sindacato (ed in particolare la quadruplice) sa bennissimo che ormai non controlla più il malessere dei lavoratori italiani e che un inasprimento della crisi potrebbe generare una vera e propria rivolta sociale difficilmente controllabile nei suoi sviluppi che potrebbero sfociare in degenerazioni violente. Ha fatto bene Epifani, durante la stessa intervista, ad auspicare un più responsabile atteggiamento della polizia, invitandola a non caricare i lavoratori durante le manifestazioni o le occupazioni di fabbriche, ma farebbe bene a temere anche altre forme di disagio, perché la tolleranza, l’integgrazione degli immigrati ed il pensiero politicamente corretto non sono compatibili con la disoccupazione e la povertà degli italiani.
Soprattutto auspicheremmo dalla sinistra ricette economiche un po’ meno liberiste, altrimenti quando la crisi sarà passata troppe saranno le vittime innocenti lasciate sul campo. Epifani fa poi sempre il solito errore del suo sindacato, quello di mettere al centro della sua attenzione l’operaio della grande fabbrica del nord, cioè il metalmeccanico Fiat.
Per superare la crisi non servono aiuti pubblici per sostenere il consumo, quanto piuttosto investimenti per avviare grandi opere e provvedimenti per far sopravvivere la vera spina dorsale dell’economia italiana: le medie e piccole imprese e l’artigianato. Solo questo, insieme alle necessarie nazionalizzazioni delle imprese strategiche può farci guardare con ottimismo al futuro. Ma Epifani, da tempo, non dice più nulla veramente di sinistra.
Paolo Emiliani

Fonte: Rinascita.info

11 febbraio 2009

IL RITORNO PERICOLOSO DEL PROTEZIONISMO


di Beatriz Amigot/Maria Garcia Mayo 11.02.2009

Mentre una metà del mondo mette in allarme contro i pericoli che comporta l’attentato al libero commercio, l’altra metà soccombe alla tentazione di proteggersi. Con la lezione più o meno impartita dalle conseguenze della Grande Depressione, i governanti di oggi, dibattono tra difendere il lavoro nazionale o prepararsi per competere meglio al di là degli aiuti oltre la frontiera. Al momento, hanno preso la strada in bilico e anche se non sono stati ristabiliti i vecchi dazi c’è un protezionismo latente mascherato da aiuti pubblici e del nazionalismo economico. L’urlo “comprate prodotti fatti in casa” riecheggia in tutto il pianeta.

Le muraglia rinascimentali di Lucca poco possono fare per salvaguardare questa città della Toscana dagli influssi esteri. Ma il suo sindaco si è impegnato e ha messo in moto la macchina normativa per vietare nel centro storico, ristoranti che non siano italiani. Nè kebabs, nè nè hamburger: hanno spazio solo piatti che abbiano il tocco della mamma. Questa misura ha come obiettivo il preservare la cultura e la tradizione culinaria della regione. Potrebbe sembrare un aneddoto ma non lo è. Riflette l’atteggiamento protezionista che in questo momento di crisi percorre tutto il mondo.

La caduta della domanda e la mancanza di liquidità stanno frenando il commercio mondiale tanto, che, secondo le ultime previsioni del FMI, cadrà un 2,8% nel 2009 (una cifra molto lontana all’aumento del 10,8% registrato nel 2005). Nel 2008, il rallentamento della crescita del commercio mondiale è stato il doppio rispetto alla riduzione dell'aumento della produzione. Le difficoltà ad avere finanziamenti hanno portato ad un aumento del volume dei crediti commerciali concessi per le transazioni internazionali. Ricordiamo che circa il 90% di queste transazioni internazionali richiedono questa "finanziazione” spiega Juan De Lucio, direttore del Servizio degli Studi del Consiglio Superiore della Camera di Commercio.

In questo contesto di paralisi, gli esperti coincidono nel fatto che risorge la tentazione di mettere barriere al libero interscambio di merce e servizi per preservare le quote di mercato, ma sono d’accordo che si tratta di una strategia preoccupante con risultati nefasti a lungo termine.

E' più allarmante, se possibile, quando il messaggio protezionista lo capeggiano gli Usa, cioè, il più grande compratore del mondo (a novembre il suo deficit commerciale di merce accumulato negli ultimi 12 mesi aumentava a 833.100 milioni di dollari).

Tutti gli occhi sono posti sul nuovo presidente Barack Obama. Lui ha mantenuto un atteggiamento ambiguo rispetto al commercio. Secondo uno studio del Centro degli Studi della Politica Commerciale nell’Istituto Cato di Washington, il senatore Obama aveva votato a favore del libero commercio soltanto in 4 delle 11 votazioni importanti relazionate con le barriere commerciali. Ad esempio, si è mostrato contro il Trattato del Libero Commercio e a favore dell’ammenda Schumer-Graham, che imponeva tariffe (dazi) del 27,5% agli articoli cinesi a meno che questo paese non rivalutasse la sua moneta. Un tema che deve essere risolto.

Ma allo stesso tempo ha appoggiato il commercio libero con Omàn e Perù, e in uno dei suoi libri, The Audacity of Hope(2006), difendeva i benefici che ha portato la sua espansione commerciale. Con questi precedenti, è da vedere quale sarà la sua politica commerciale.

Visto il carattere globalizzato dell’economia e dell’opposizione generalizzata alle barriere commerciali dopo l’esperienza della Grande Depressione, non sembra molto probabile che si produca una rinascita protezionista come quella avvenuta durante gli anni 30. Allora, gli Usa avevano approvato la relazione Smmot-Hawley che toccava circa 20.000 prodotti importati. Il risultato non poteva essere peggiore: il commercio internazionale si ridusse del 66% e rallentò l’uscita dalla crisi. E’ probabile che questa esperienza si torni a ripetere, ma questo non è un freno affinché il protezionismo raggiunga un alto livello di astuzia nel farsi strada. Adesso, l’accento non si mette tanto nel penalizzare i prodotti stranieri ma nel beneficiare dei propri.

Fonte:http://actualidad-economica.com/2009/02/12/proteccionismo.html

10 febbraio 2009

ISRAELE: STATO PATOLOGICO?

La creazione di Israele nel 1948 è stata accompagnata dalla pulizia etnica di oltre 750.000 palestinesi, più della metà della popolazione, cacciati dalle loro città e villaggi, con la forza o con la minaccia di massacri di civili, come il villaggio di Deir Yassin. Da allora, durante questi sessant' anni di storia, dai massacri di Sabra e Shatila nel 1982, alla carneficina che si svolge oggi a Gaza attraverso la distruzione del campo profughi di Jenin e la distruzione delle infrastrutture palestinesi West Bank nel 2002, ai massacri nel campo profughi Jabaliah nel 2005 e nel 2006, al massiccio bombardamento del Libano nel 2006 - Israele non ha smesso, con il pretesto della "difesa", di portare morte e devastazione ai vicini di casa, con tutto il suo fuoco aereo, la sua marina e i suoi carri armati.

8 febbraio 2009

NEOLIBERISMO, KEINESISMO E INTERVENTISMO


La crisi economica globale del sistema capitalistico, oggi in atto, deve indurre gli economisti teorici ad interrogarsi su quanto sta accadendo e a cercare di prevederne i prossimi sviluppi e gli esiti. Uno dei compiti storici della scienza economica è infatti la spiegazione e la previsione di quanto avviene nella realtà.

Un primo punto sembra sufficientemente chiaro. Si tratta di una crisi che ha avuto inizio nel mondo della finanza e che ha poi contagiato l’economia reale. E’ emersa la forte instabilità di un sistema di intermediazione finanziaria che anziché incoraggiare il risparmio delle famiglie e assicurare che esso affluisse senza ostacoli agli investimenti delle imprese e agli impieghi delle amministrazioni pubbliche, è stato utilizzato per finanziare pericolose operazioni speculative compiute sul mercato dei capitali e su quello dei cambi. Questo è avvenuto in un contesto di bassi livelli dei salari reali e in presenza di una politica dell’amministrazione repubblicana degli Stati Uniti che ha alimentato nei lavoratori una forma inedita e sottile di illusione monetaria, consentendo alle banche e ad altre istituzioni finanziarie di concedere loro ampio credito e mutui ipotecari a condizioni molto facili (i subprime mortgages a tassi variabili) per indurli ad acquistare di più e consumare di più, nonostante i bassi salari.

Una situazione di questo tipo non può durare indefinitamente. Quando le banche cominciano a incontrare delle difficoltà nel rientro dei capitali prestati e vengono a trovarsi a corto di liquidità per l’insolvenza dei debitori, il flusso del finanziamento bancario alle imprese di produzione tende necessariamente ad interrompersi. Per allontanare nel tempo questa evenienza, le banche hanno fatto ricorso a strumenti innovativi di ingegneria finanziaria allo scopo di attuare una strategia finanziaria tutt’altro che nuova: quella della Ponzi finance, efficacemente descritta da Hyman Minsky. Hanno infatti cercato di trasformare i crediti in sofferenza in fonti di nuove rendite finanziarie, facendo ricorso a operazioni di cartolarizzazione (securitization) e successiva inclusione dei crediti frazionati in prodotti finanziari derivati, con l’intento di arrivare a disperdere il rischio individuale.

In tali condizioni, chi comprende come stanno andando le cose e dispone di liquidità non la investirà più, ma la tratterrà, ripromettendosi di farne uso in seguito, quando la crisi avrà prodotto i suoi effetti più devastanti, per acquistare le attività patrimoniali superstiti a prezzi stracciati. Viene in essere cioè una situazione abbastanza simile a una trappola della liquidità, ma in presenza di tassi di interesse non ancora ridotti al minimo. Tale situazione non può tuttavia durare a lungo. Essa è destinata a cambiare non appena sul mercato dei capitali i tassi scendono ulteriormente e diventa possibile compiere operazioni vantaggiose di acquisto di capitale azionario, anche finanziandole a credito. Ossia creando degli appositi consorzi finanziari che si indebitano per acquistare imprese (è il cosiddetto leverage buyout) e che possono conteggiare il debito come un costo detraibile dalle tasse, scaricandone l’onere sulle società acquistate (che non di rado vengono poi abbandonate al loro destino di bad companies).

Questo contribuisce ad aumentare la scarsità di liquido e tende a determinare una crisi del mercato interbancario. Per l’eccessivo livello dell’indebitamento, le banche non si fidano più l’una dell’altra e non si prestano denaro tra loro. La crisi è aggravata dal fatto che nel frattempo si diffondono voci allarmanti sull’esito di investimenti troppo rischiosi effettuati dalle banche e i risparmiatori tendono di conseguenza a ritirare i loro depositi e a compiere spostamenti di capitali dai titoli privati a quelli pubblici, ritenuti più solidi, anche se non del tutto sicuri in una situazione di rischio sistemico.

Ne risulta appunto una sorta di trappola anomala della liquidità, che penalizza chi ha bisogno di prestiti per motivi non speculativi. E quindi danneggia in primo luogo le imprese, che possono essere costrette dapprima a ridurre e poi addirittura a cessare la loro attività. A questo punto la crisi diventa generale e coinvolge l’economia reale, a ulteriore dimostrazione della non neutralità della moneta. E attraverso nuovi meccanismi di trasmissione degli impulsi monetari e finanziari sulle variabili reali, che meriterebbero di essere ulteriormente indagati, la crisi si scarica per intero sui lavoratori e sulle loro famiglie.

Le principali cause della fragilità strutturale del sistema finanziario possono a questo punto facilmente individuarsi. Sono la tendenza a un eccessivo ricorso al finanziamento esterno da parte delle imprese; la diffusa pratica bancaria consistente nell’utilizzare credito a breve termine, continuamente rinnovato, per finanziare impieghi di capitale a medio e lungo termine; la facilità con cui vengono realizzate operazioni finanziarie e creditizie ad alto rischio; la scarsa trasparenza di molte operazioni finanziarie, che alimenta la possibilità di compiere vere e proprie frodi nel trasferimento dei rischi. Frodi che sono messe in atto dagli intermediari finanziari ai danni dei risparmiatori e vengono non di rado avallate da compiacenti agenzie di valutazione (rating companies), che, male interpretando le proprie funzioni, mettono in grado alcune società di indebitarsi per somme molto superiori al loro effettivo valore di mercato.

In breve, la crisi ha evidenziato la mancanza nel sistema capitalistico attuale di validi meccanismi di autoregolazione del mercato. In questo senso, si può certamente parlare di fallimento del neoliberismo e di riconosciuta necessità di ricorrere ad interventi pubblici per salvare banche e aziende in difficoltà, anziché lasciare che il mercato penalizzi l’insuccesso delle iniziative economiche meno efficienti. Al vecchio paradigma dell’efficienza allocativa del mercato oggi credono ancora solo pochi epigoni della Mont-Pélerin Society, della scuola di economia di Chicago e della London School of Economics. Quelli che hanno sempre insistito nel presentare il neoliberismo come antitesi al Keynesismo e al dirigismo economico degli anni ’30; e che hanno ispirato il programma economico conservatore di Margaret Thatcher in Gran Bretagna e quello di Ronald Reagan negli USA, l’uno e l’altro favorevoli alla deregolamentazione, alle privatizzazioni e a un contenimento della dinamica salariale e della spesa pubblica per finalità sociali.

E’ un duro colpo per il neoliberismo, un indirizzo di pensiero che ha cercato di affossare le conquiste dello Stato sociale e ha inquinato il quadro teorico con la supply side economics e la ‘critica di Lucas’ all’efficacia della politica economica. Dopo la dissoluzione dei regimi economici dei paesi del cosiddetto ‘socialismo reale’ il neoliberismo ha creduto di avere ormai partita vinta e si è apprestato a seppellire definitivamente l’interventismo statale di tipo keynesiano. Ma oggi il neoliberismo subisce una dura lezione dalla storia. Perfino i più tenaci assertori di questo indirizzo di pensiero, posti di fronte alla drammatica alternativa tra aiutare Wall Street a uscire dalla crisi, sovvenzionando un sistema capitalistico dimostratosi largamente corrotto, o lasciare che esso precipitasse nel caos finanziario più assoluto, sono stati indotti a invocare un intervento straordinario dello Stato nella sfera economica per salvare dal fallimento grandi banche ed imprese. Con l’intenzione di addossare al Tesoro, ossia ai contribuenti, l’onere dell’acquisto dei crediti inesigibili. Senza quindi arrivare a delle vere e proprie nazionalizzazioni.

Ma non è stata, a ben guardare, una vittoria del keynesismo. L’odierna crisi globale ha semplicemente mostrato la necessità della politica economica, riaprendo in un certo senso il confronto teorico tra liberismo e keynesismo. Ma l’aumento della spesa pubblica, che oggi da tante parti si invoca, non riguarda la spesa sociale in istruzione, sanità, pensioni e sussidi di disoccupazione. Riguarda il sostegno di banche e società finanziarie in difficoltà e il salvataggio di grandi imprese industriali. Un salvataggio che ci si propone di realizzare continuando a comprimere i salari reali e le pensioni. E’ quindi un sostegno non alla domanda, ma all’offerta.

Tutto questo ha ben poco di keynesiano. E può accrescere il divario tra l’offerta e la domanda, anziché aiutare a superare le difficoltà di realizzo della produzione sul mercato. Difficoltà dovute alla maldistribuzione del reddito e tipiche di un sistema in cui il capitale non riesce a porsi fini diversi da quello del proprio continuo accrescimento. Tali difficoltà oggi non presentano più carattere esclusivamente ciclico, ma tendono ad assumere carattere strutturale. Segno che il capitalismo resta un problema (il problema di fondo) e che il problema tende ad aggravarsi.


Duccio Cavalieri 19 Gennaio 2009
Fonte: www.economiaepolitica.it

7 febbraio 2009

NEL CALDERONE DI CALDEROLI...

Il 22 dicembre scorso, il ministro Calderoli, ha dato il via ad una "semplificazione" legislativa, con un decreto che ha portato al taglio di oltre 29.000 leggi, dal 1861 al 1947 leggi ormai superate e non più utillizzate, molte risalenti al ventennio fascista. "Sono un chirurgo, per quindici anni ho tagliato moltissimo ma mai come in questo mese, e con quanta soddisfazione" ha detto il ministro, aggiungendo che molte di queste leggi sono "doppioni inutili e dannosi", bisognerebbe chiedere al ministro per chi sono dannose ed inutili le leggi contro l'evasione fiscale che ha eliminato.
Durante la "potatura" della Costituzione, preso dalla foga di tagliare il ministro ha tagliato un pò troppo. Nel calderone di Calderoli, cioè il decreto 200 definito anche il decreto taglia-leggi è finito anche l'articolo 4 del decreto legislativo 288 del 14 settembre 1944, che aveva lo scopo di difendere i cittadini dall'abuso dei pubblici ufficiali.
Nel codice penale infatti alcuni articoli puniscono l'oltraggio, la resistenza o la minaccia al pubblico ufficiale, ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o a un magistrato in udienza. Però grazie all'articolo citato i cittadini sono esentati da sanzioni quando il pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio o pubblico impiegato, abbia causato la reazione del cittadino eccedendo con atti arbitrari, al limite delle sue attribuzioni.
Si spera che la norma venga al più presto ripristinata e che la smania di obbedienza e ordine che agita le mosse del nuovo esecutivo a partire dai soldati per le strade di Napoli, alle tenute antisommossa contro i cortei studenteschi, alle farneticazioni del ministro Maroni sulle schedature del DNA, non si trasformi nell'ennesima arma di questa velata dittatura, contro i cittadini, sempre nella stessa direzione: verso uno stato di polizia!

6 febbraio 2009

TRATTATO DI LISBONA: L'Obbedienza Non E' Una Virtù



Cosa ci dobbiamo aspettare da un SISTEMA TOTALITARIO che non è più emanazione della sovranità polopare?

Partecipazione a missioni di guerra.
Militarizzazione dei territori.
Istituzione dell'Europolice.
Esercito globale Nato.
Uccisioni legittime per fini di "ordine pubblico".
Potenziamento dei sistemi di sorveglianaza.
SI al verichip.
SI al nucleare.
SI agli OGM.
SI alla clonazione umana.
Utilizzo di tecnologie per il controllo climatico.
Espropriazioni per pubblica utilità.
Centralizzazione della BCE.
Controllo totale dei mercati e del debito pubblico.
Liberalizzazione dei salari.
Privatizzazione di tutti i servizi.

L'EUTANASIA DEI CERVELLI

Le parole e le opinioni sul caso di Eluana Englaro oramai si sprecano, sia nel mondo politico che sulla stampa, non c'è giorno in cui non se ne parli, ed è proprio per questo che il dolore di una famiglia è diventato "un caso".
La politica si affretta a fare una legge, perchè nelle 300.000 leggi del nostro codice non c'è nulla in merito.
In questo susseguirsi di opinioni articoli e proposte se ne sentono di tutti i colori:
"Bisogna a tutti i costi fermare il boia": Gabriella Carlucci, ex soubrette ora in politica nelle file del Pdl.
"E' iniziato l'omicidio di Eluana, che rischia di avvenire impunemente e senza turbare convenzioni e erogazioni di pubblico denaro", afferma Maurizio Gasparri.
"Si fermino, hanno ancora il tempo per riflettere e valutare le conseguenze della loro azione" dice Enrico La Loggia, vicepresidente del gruppo del Pdl della Camera.
"Sarà la prima condanna a morte dopo il 1948", commenta il sottosegretario dell'Interno Alfredo Mantovano.
"Quando c'è una sentenza questa deve essere rispettata e applicata, perché altrimenti non regge più tutto il sistema sociale", è l'opinione di Gaetano Pecorella (...si ..proprio lui: l'avvocato del diavolo!).
"E' 'inconcepibile pensare di uccidere una persona in questo modo" tuona il Vaticano!
Io credo che se c'è qualcosa di "inconcepibile" è che le leggi esistenti in Italia non vengano rispettate e che proprio i condannati che risiedono in Parlamento vogliono legiferare su questioni che riguardano i sentimenti e il dolore di famiglie che si trovano nelle stesse condizioni della famiglia Englaro.
E' inconcepibile che si continui a torturare ed offendere questo padre, senza avere rispetto per il suo dolore; ha perso una figlia da 17 anni, sospendere l'alimentazione e l'idratazione artificiale, vuol dire rispettare la volontà di Eluana.
Se il Vaticano, come questi politici fuorilegge e i loro giornalisti-zerbini, si preoccupassero di chi "vuole vivere" allo stesso modo come s'interessano di chi "vuole morire", ci sarebbero di sicuro meno sofferenze e meno affamati nel mondo.
Lasciate in pace Eluana e la sua famiglia.

5 febbraio 2009

OGNUNO PER SE E DIO PER TUTTI

Mentre la crisi economica e l'aumento degli scioperi danno l'ultima spinta all' UE, per indurire le pene contro gli imprenditori che fanno contratti di lavoro a immigranti senza documenti, finiscono gli scioperi in Gran Bretagna iniziati una settimana fa. Con l'accordo raggiunto ieri tra i sindacati e la Total, saranno assegnati 102 posti di lavoro per un periodo minimo di 9 settimane, ad operai britannici, mentre i 195 operai italiani e portoghesiassunti dalla Irem, continueranno a lavorare normalmente. I sindacati britannici cantano vittoria e sottolineano che era doveroso proteggere l'occupazione locale, quindi niente protesta anti-italiana e xenofoba.
Dopo l'infelice slogan di Gordon Brown "British jobs for British workers" si è acceso il dibattito sul protezionismo in tempi di crisi.
Obama che aveva annunciato la clausola "compra americano", dopo le proteste di Canada ed UE, è costretto a fare un passo indietro specificando che l'applicazione sarà "nel rispetto degli obblighi che derivano agli Stati Uniti dagli accordi internazionali sul commercio".
Il protezionismo è nell'aria, ma non bisogna sbandierarlo troppo...perchè la globalizzazione ha dato regole precise a cui non si può sfuggire.
E' bello vedere che i grandi promotori della globalizzazione siano ora rimasti impigliati nella rete diabolica che ha creato ricchezza per pochi e affamato miliardi di persone.
Sarà ineressante ora, vedere come si libereranno.

In Italia si cominciano a vedere i primi scontri in piazza con la polizia, a causa della crisi e forse ora si comprende meglio l'invio dell'esercito nelle strade, prima molti pensavano fosse per la "sicurezza dei cittadini", altri si chiedeveno semplicemente il perchè, ma ora potranno capire tutti cosa si prospetta in questo anno di recessione.
Stamane un migliaio di operai della Fiat di Pomigliano D'Arco (NA), hanno occupato l'asse mediano, una strada a scorrimento veloce molto trafficata nei pressi dello svincolo dell'area industriale. La polizia in assetto antisommossa ha impedito l'ingresso nella sede autostradale dell'A1 nei pressi dello svincolo di Acerra-Afragola, ma tra scontri e tensione molti operai sono riusciti ad accedere all'autostrada, passando per i campi. La polizia ha portato via alcuni manifestanti. Lo stabilimento Fiat di Pomigliano conta 5000 operai in cassa integrazione, che sfortuna...e pensare che il governo aveva detassato gli straordinari!
Gli operai sono in cassa integrazione da sei mesi, vogliono capire quale sarà il loro futuro, perchè non vedono nessun "piano produttivo" per loro. Senza prospettive concrete saranno costretti a manifestare ancora e in modo più incisivo.
E questa è "un'onda" che si propagherà in tutto il paese.

RAPPRESENTATI PER "GRAZIA DIVINA"

E così hanno varato la nuova “grande riforma”. Anni e anni di lacrime, sudore e sangue - di stangate e di svendite del patrimonio pubblico - sono dunque serviti a qualcosa: finalmente, d’ora in poi, in Italia qualunque rappresentanza del popolo sarà frutto di grazia divina.
Il lavoro è stato ostico, è stato duro. Ma, passo dopo passo, grazie ad un tetragono sforzo congiunto, la destra-sinistra liberaldemocratica è riuscita a chiudere il cerchio.
Sono riusciti a ristrutturare anche le modalità d’ingresso nel “cimitero degli elefanti”. Anche il Parlamento europeo diventa una “riserva di caccia alle prebende ed agli stipendi d’oro” del tutto riservata al bipartito veltrusconiano.
A rappresentare il popolo italiano saranno dunque soltanto “gli eletti”, ma liberaldemocratici. Nessun neo-comunista, neofascista, liberale, repubblicano, monarchico, ecologista, radicale, sarà accettato nel convivio.
Una misura di “razionalizzazione”, dicono loro. Misura tirannica, di rapina delle idee e della volontà dei cittadini, diciamo noi.
L’Italia è tornata quella voluta dagli inglesi nell’Ottocento. Una fedele colonia governata da oligarchie destra-sinistra elette per il loro potere clientelare o di denaro.
E dire che, sconfitto il fascismo, al popolo italiano era rimasta comunque una cassaforte sicura, lo Stato.
Pieno di debiti, sì, ma anche capace di un’amministrazione che, a volte bene e altre male, cercava comunque di temperare l’utile economico dei partiti messi al governo della colonia-Italia dagli anglo-americani con iniziative di benessere diffuso.
Sono stati, quelli, i tempi del grande programma di edilizia pubblica diffusa, di direzione statale delle aziende strategiche, dai trasporti all’energia, alle telecomunicazioni, di incentivi alla prosperità economica delle famiglie e di tutela del lavoro.
Quello Stato non c’è proprio più. Ora c’è un’oligarchia che fa i propri interessi e, al massimo, elemosina una “card sociale” al popolo bue.
Chissà se, batti e ribatti, tolta un po’ di libertà qui e un po’ di libertà là, gli italiani, quelli sopravvissuti alla crisi sociale - immigrazione, precarietà del lavoro, sradicamento culturale - e a quella economica, coltivata dal modello di vita usuraio e consumistico imposto alla nostra colonia, la finiranno una buona volta di votare per una ristretta cerchia di signori il cui unico obiettivo è imbonire il popolo e arraffare le sinecure e le prebende connesse ai posti di sub-governo disponibili...
Chissà se, rialzando la testa dall’ennesima bastonata, gli italiani utilizzeranno mai quell’istituto democratico del non voto, dell’astensione di massa, provocando il crollo della pseudo-democrazia che ci governa...
Chissà.

Ugo Gaudenzi da: Rinascita
(titolo originale: sedotti e bidonati)

4 febbraio 2009

La Condanna Del Capitalismo



“C’erano banchieri che continuamente dicevano a Brasile, Ecuador, Venezuela, Paraguay, Uruguay e Argentina come dovevamo gestire i nostri soldi. Tutti quei banchieri adesso hanno chiuso la bocca. Così è intervenuto il presidente del Brasile, Inacio Lula da Silva, davanti alle oltre diecimila persone riunite in un centro congressi di Belem, sul Rio delle Amazzoni, in occasione del World Social Forum. “Erano quelli – ha continuato - che valutavano il rischio investimenti nei nostri Paesi, che valutavano se stavamo lavorando bene o male. Tutti quei banchieri adesso hanno chiuso la bocca, perché sono falliti per le cattive speculazioni”. A parlare insieme a Lula c’erano anche i presidenti di Venezuela (Hugo Chávez), Bolivia (Evo Morales), Ecuador (Rafael Correa) e Paraguay (Fernando Lugo). Ben cinque capi di Stato riuniti per questo Social Forum dal sapore latinoamericano. Un evento storico per un Forum che è nato “dal basso” e che vuole rappresentare una risposta al Forum economico di Davos. E se in Svizzera, dove quest’anno i grandi banchieri non si sono presentati, regna il pessimismo, a Belem la crisi economica è vista come l’ultimo fallimento della globalizzazione. “Il mondo più avanzato – ha insistito Lula - ci diceva quello che dovevamo fare, loro sembravano infallibili e noi incompetenti. Ci hanno venduto il concetto che lo Stato non poteva nulla e che il mercato avrebbe garantito lo sviluppo dei nostri Paesi. Oggi questo mercato è crollato per la mancanza di responsabilità e di controllo”, ha aggiunto il leader brasiliano, criticando duramente “l’irresponsabilita degli yuppies di Wall Street”. Tutti e cinque i presidenti presenti a Belem hanno avuto rapporti tesi con gli Usa e l’amministrazione Bush. In particolare Chávez, che ha sottolineato le responsabilità dell’“Impero” e del capitalismo americano, sottolineando la necessità di “passare all’offensiva”. Dello stesso avviso Morales, secondo cui “se i popoli del mondo non saranno capaci di seppellire il capitalismo, sarà il capitalismo a seppellire il pianeta”.
“Il vecchio socialismo – ha detto l’ecuadoriano Correa - è entrato in crisi perché non ha mai cercato di superare le vecchie basi del capitalismo e cioè il consumismo, lo sviluppo ad ogni costo, l’impostazione bellica. Il nuovo socialismo – ha aggiunto - vuole superare questi limiti”. Correa, secondo cui a Davos si stanno studiando soluzioni “nate morte”, ha affermato che a Belem è riunito “un altro mondo, che vuole porre fine all’ingiustizia del debito estero”, e ha poi spiegato come il suo Paese abbia deciso di “resistere al neoliberismo rompendo con questo modello di sviluppo”, sottolineando la necessità di una “nuova architettura regionale” per i Paesi dell’America Latina.
Ferdinando Calda

Fonte: Rinascita

3 febbraio 2009

CAPITALISMO BUONO?

Da Davos, Giulio Tremonti dice che per superare la crisi ci vogliono più regole, che la finanza internazionale va riportata dall'anarchia all'ordine. Questa tesi è sostenuta tipicamente da quanti credono che vi sia un capitalismo europeo "buono" (il modello renano di cui si parlava una volta) e un capitalismo americano "cattivo". L'economia sociale di mercato contro l'economia di mercato e basta.

Ma è una tesi effettivamente fondata? La risposta migliore l'ha data lo stesso Giulio Tremonti, nella sua lezione magistrale alla Cattolica del 19 novembre scorso.

Rispondendo a distanza a quanti sostenevano che l' "evoluzione degenerativa del capitalismo" fosse "dovuta alla deregulation", Tremonti notava che "in parte è stato così e in effetti nel ’95, ’97, ’99 e nel 2000, in America vengono formalizzati quattro provvedimenti legislativi assolutamente orientati nel senso della deregulation finanziaria. Ma non è così vero in assoluto. L’Europa è un’area fortemente regolamentata, eppure è un’area su cui c’è l’impatto della crisi".

Se i regolatori hanno avuto un impatto sulla crisi, è stato semmai in senso negativo. Sono loro che hanno fissato limiti folli alla leva finanziaria causando di fatto il fallimento di tutti i grandi istituti di credito. Sono loro che hanno protetto e creato istituti di credito "too big to fail", creando azzardo morale. Sono loro che hanno sguinzagliato i propri seguci all'inseguimento dei Madoff di questo mondo, senza riuscire neppure a capire che avevano sotto gli occhi uno schema Ponzi.

E noi dovremmo affidarci di più, a professionisti con questo track record? Tremonti dice giustamente, dei manager che hanno trascinato i loro istituti in questo disastro: a casa o in galera. Perché dovremmo "graziare" gli scrittori di regole?

Alberto Mingardi www.loccidentale.it

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