Le frontiere nordiche del Venezuela sono quelle marittime dei Caraibi, che lo mettono in contatto con la NATO: Portorico appartiene agli Stati Uniti, e Aruba e Curazao stanno sotto la bandiera del Regno d’Olanda.
La Martinica e Guadalupe è “territorio d’oltremare” della Francia che Sarkozy ha ricondotto nell’alleanza militare atlantista (De Gaulle si sarà rivoltato parecchio nella sua tomba). Con Monserrat il contatto è con la Gran Bretagna. Aruba e Curazao stanno a un tiro di sputo dalle coste venezuelane e dai ricchi giacimenti del lago di Maracaibo.
Durante il fallito vertice di Copenhagen, Chàvez ha per la prima volta chiamato l’attenzione internazionale a posare il suo sguardo sul possedimento coloniale olandese di Aruba. L’isola non è più un esotico paradiso turistico ma anche il centro di una intenso sviluppo di infrastrutture militari aeroportuali degli Stati Uniti.
Le sue quiete acque spumose sono solcate da barche a vela e fuoribordo, però cominciano ad essere affiancati da corvette, guardacoste e navi militari della resuscitata IV Flotta degli Stati Uniti. Alcuni settori della popolazione dell’isola denunciano anche il transito di unità navali a propulsione nucleare.
Il concerto mediatico “occidentale” si affrettò ad usare le consuete tinte monocramatiche per far risaltare l’ennesima “stravaganza” del presidente del Venezuela. Sarà, però le autorità di Aruba si affrettarono a dire che la questione era stata chiarita e risolta. Caracas, però, ribadisce la sua denuncia, e sottolinea la aumentata frequenza del traffico militare nordamericano e la specificità delle tecnologie militari in arrivo –o transito- nell’isola. E’ bene ricordare che il Venezuela possiede un satellite, quindi il monitaraggio ha una certa attendibilità.
Le autorità olandesi stanno assecondando generosamente lo sforzo militare di Washington per ri-posizionarsi nel continente americano (FOLs). Sette basi concesse dalla Colombia, un numero imprecisato ceduto dal Panama del neoliberista Martinelli, completano l’operazione di avvicinamento operativo agli idrocarburi e l’accerchiamento del Venezuela.
Dagli Stati Uniti rispondono con sdegnati dinieghi, e rilanciano “pettegolezzi” volti ad alimentare il canovaccio-fantasy di imprecisate complicità venezuelane nel narcotraffico. Lascia increduli che la alleanza militare tra il primo produttore mondiale di cocaina ed il primo mercato di consumo sia tanto avara di risultati positivi, da dover sempre addossare la responsabilità ai….paesi confinanti (sic) o che hanno la disgrazia di trovarsi nelle rotte tra Colombia e Stati Uniti.
E’ un fatto, però, che il viceconsole degli USA James E. Hogan, il 24 settembre scorso, uscì dalla sua casa di Curazao e non vi fece più ritorno. Si elaborarono molte ipotesi e moventi che non hanno retto alla prova del tempo. Tra queste, spiccavano le denunce sul narcotraffico che investe Curazao con fuoribordo provenienenti –of corse- dalle vicine coste venezuelane.
Non è casuale, però, che poi viene a galla che il viceconsole era in realtà un quadro della DEA (Drug Enforcement Administration), già attivo in Africa come “addetto commerciale”. Perchè –e da chi- è stato ucciso?
Un altro omicidio eccellente è quello eseguito in Honduras contro il massimo responsabile della repressione del narcotraffico –generale Julián Arístides González- che viene assassinato in pieno regime post-golpe, alla vigilia dell’elezione presidenziale-farsa. Era stato incaricato dal deposto presidente Zelaya.
Cè del marcio nei lidi caraibici olandesi ed il tentativo di alzare un polverone per sviare l’attenzione dal connubio DEA-Pentagono, droga e basi militari, è reiterativo e scontato. Molti ricordano una operazione di smantellamento di un cartel di narcos a Curazao avvenuta nello scorso aprile. Si trattava di una base operativa per le rotte marine verso l’Olanda, Belgio e Danimarca.
Furono arrestate una quindicina di persone: diversi colombiani, surinamesi, gente di Aruba e Curazao, alcuni venezuelani. La DEA parlava solo di questi ultimi e chiamava in causa Cuba e il Venezuela come responsabili. Vennero arrestati anche 4 cittadini libanesi e la DEA ripiegò a sfruttare propagandisticamente questi ultimi. Chiamò in causa Hezbollah, sulla base di un’equazione meccanica che trasforma in guerriglieri sciiti qualsiasi cittadino del Libano, anche se cristiano-maronita.
Durante sei anni la DEA non riuscì a dimostrare nessun nesso -neppure indiretto- tra il governo di Caracas e le narcomafie colombiane, ma da quando venne espulsa dal Venezuela non desiste dal montare raffazzonate provocazioni, come quella malriuscita di Curazao. La chiamata di correo in narcotraffico è un teorema difficile da dimostrare, finora la ciambella rimane senza buco.
In America latina stanno avvenendo molte morti sospette tra i dirigenti della lotta al narcotraffico, soprattutto in Messico, dove la situazione è diventata esplosiva e Washington punta a marchiarlo come "Stato delinquente". Dappertutto si riscontra un intreccio perverso dove converge l’economia criminale delle narcomafie con l’operato della DEA. Unite, agiscono come testa d’ariete che sconquassa tessuto sociale ed istituzionalità nazionali, e legittima differenti livelli di intervenzionismo esterno.
Con la finalità di restaurare un egemonismo continentalein affanno, sulla base di metodi illegali, colpi di stato camuffati a posteriori con simulacri di elezioni, eliminazioni fisiche selettive, guerra civile strisciante. Le intenzioni degli Stati Uniti verso l’America indolatina permangono invariate: non sono affatto buone, come prima e più di prima (di Obama). La DEA sembra sempre più un comparto complementare, subordinato o interno al Pentagono.
Valutando la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico a Copenaghen - con più di 15.000 partecipanti da 192 paesi, e più di 100 capi di Stato, così come 100.000 manifestanti per strada- è importante chiedersi: come è possibile che l' inquinante peggiore del biossido di carbonio e altre emissioni tossiche nel pianeta non sia oggetto di nessuna discussione, proposte o restrizioni, durante la conferenza?
In ogni caso, il Pentagono è il più grande utilizzatore istituzionale di prodotti petroliferi e energetici. E, nonostante questo, il Pentagono è esente da ogni accordo climatico internazionale.
Le guerre del Pentagono in Iraq ed in Afghanistan; le sue operazioni segrete nel Pakistan; il suo equipaggiamento in oltre 1.000 basi statunitensi in tutto il mondo; le sue 6.000 installazioni negli USA; tutte le operazioni della NATO; le sue portaerei; aerei jet; sperimentazione; formazione e vendita di armi, non saranno prese in considerazione per quanto riguarda i limiti dei gas ad effetto serra degli USA o inclusi in alcun conteggio.
Il 17 febbraio, l’Energy Bulletin aveva dettagliato il consumo di petrolio del Pentagono solo per aerei, barche, veicoli terresti e installazioni che lo hanno reso il consumatore singolo di petrolio più grande del mondo. Fino ad allora, l’Armata degli USA aveva 295 navi da combattimento e ausiliarie e circa 4000 velivoli operativi. L’esercito degli USA aveva 28.000 veicoli blindati, 140.000 High-Mobility Multipurpose, più di 4.000 elicotteri da combattimento, varie centinaia di aerei di ala fissa ed una flotta di 187.493 veicoli. Fatta eccezione per 80 sottomarini e portaerei nucleari, che propagano inquinamento nucleare, tutti gli altri veicoli sono a petrolio.
Secondo il CIA World Factbook del 2006, solo 35 paesi (su 210 al mondo) consumano più petrolio, al giorno, del Pentagono.
Le forze armate degli USA usano ufficialmente 320.000 barili di petrolio al giorno.Tuttavia, questo totale non comprende il combustibile utilizzato dalle imprese appaltatrici o il combustibile consumato nelle strutture in affitto e privatizzate. Nè include l’enorme quantità di energia e di risorse utilizzate per produrre e mantenere il suo equipaggiamento di morte o le bombe, granate o missili che utilizza.
Steve Kretzmann, direttore dell’Oil Change International, informa che : “La guerra in Iraq ha prodotto almeno 141 tonnellate di biossido di carbonio (MMTCO2e) da marzo del 2003 a dicembre 2007….La guerra emette più del 60% di tutti i paesi. ...Queste informazioni non sono facilmente disponibili….perché le emissioni di militari all'estero sono esenti da obblighi di comunicazione nazionale, per la legge degli USA e della Convenzione quadro dell’ONU sui Cambiamenti Climatici (www.naomiklein.org, 10 dicembre). La maggior parte degli scienziati danno la colpa alle emissioni di biossido di carbonio per i gas ad effetto serra e al cambiamento climatico.
Bryan Farrell nel suo nuovo libro “The Green Zone: The Environmental Costs of Militarism”, dice che “il più grande attacco contro l’ ambiente, contro tutti noi nel globo, viene da un’agenzia…le Forze Armate degli USA”.
Come è riuscito il Pentagono ad essere esente dagli accordi climatici? Durante le negoziazioni degli Accordi di Kyoto, gli USA hanno chiesto (esigendo) come condizione per la loro firma che tutte le loro operazioni militari nel mondo e tutte le operazioni nelle quali partecipano con l’ONU e/o con la NATO fossero totalmente esenti dalle misure di riduzioni.Dopo aver ottenuto questa gigantesca concessione, il governo Bush rifiutò di firmare l’accordo.
In un articolo del 18 maggio del 1998, intitolato “National security and military policy issues involved in the Kyoto treaty” (Sicurezza nazionale e questioni politiche-militari coinvolte nel trattato di Kyoto) il direttore Jeffrey Salmon descrisse la posizione del Pentagono. Cita il documento annuale del 1997 al Congresso dell’allora segretario della Difesa William Cohen: “Il dipartimento della difesa raccomanda energicamente che gli USA insistano su una clausola di sicurezza nazionale nel protocollo sul cambiamento climatico che si sta negoziando”.
Secondo Salmon, questa disposizione nazionale per la sicurezza è stata avanzata in un progettoche specificava “esenzione militare totale dei limiti di emissioni di gas ad effetto serra. Il progetto comprende operazioni multilaterali come attività approvate dalla NATO e dall' ONU, ma include anche azioni legate ampiamente con la sicurezza nazionale, che sembrerebbe comprendere tutte le forme di azioni militari unilaterali e la formazione di tali azioni.”
Salmon ha citato anche al sottosegretario di Stato, Eduard Eizenstat, che diresse la delegazione degli USA a Kyoto. Eizenstat ha informato che “il Dipartimento della Difesa e i militari in divisa che sono stati insieme a me a Kyoto, hanno ottenuto tutte le richieste che avevano detto di volere. Cioè, autodifesa, mantenimento della pace, aiuto umanitario”.
Anche se gli Stati Uniti avevano già ricevuto queste garanzie durante le negoziazioni, il Congresso degli Stati Uniti approvò una clausola esplicita garantendo l’esenzione militare degli USA. L’Inter Press Service, ha riferito il 21 maggio 1998: “I legislatori degli Stati Uniti, nel loro più recente golpe conto gli sforzi internazionali per contenere il riscaldamento globale, hanno esentato oggi le operazioni militari degli USA dall’accordo di Kyoto che specifica gli impegni vincolanti per ridurre emissioni di “gas effetto serra”. La Camera dei Rappresentanti ha approvato un emendamento alla legge dell’autorizzazione militare che l’anno prossimo “proibisce la restrizione delle forze armate sotto il Protocollo di Kyoto”.
Attualmente, a Copenaghen, continuano a valere gli stessi accordi e linee direttive sui gas ad effetto serra- Ma, è estremamente difficile trovare la più minima menzione di questa omissione manifesta.
Secondo la giornalista e ambientalista, Johanna Peace, le attività militari continueranno ad essere esenti da un ordine esecutivo firmato dal presidente Barack Obama che prevede che le agenzie federali riducano le loro emissioni di gas d’effetto serra fino al 2020. Peace segnala che: “Le forze armate rappresentano un 80 % dei bisogni energetici del governo federale”. ( http://solveclimate.com/ , 1 settembre)
L’esclusione generale delle operazioni globali del Pentagono fanno sembrare le emissioni di anidride carbonica degli USA appaiono molto meno di quello che in realtà sono. Ma, anche senza contare il Pentagono, gli USA hanno le maggiori emissioni di biossido carbonio del mondo.
Più che emissioni
Oltre ad emettere biossido di carbonio, le operazioni militari degli USA liberano nell’aria, nell’acqua e nel suolo, altri materiali altamente tossici.
Armi statunitensi fatte con uranio impoverito hanno scaricato decine di migliaia di chili di microparticelle di rifiuti radioattivi altamente tossiche in tutto il Medio Oriente, Asia Centrale e Balcani.
Gli Stati Uniti vendono mine antiuomo e bombe a grappolo che sono una delle principali cause di esplosioni ritardate, di mutilazioni e di disabilità soprattutto dei contadini e le popolazioni rurali in Africa, Asia e America Latina. Ad esempio, Israele ha lanciato più di un milione di bombe a grappolo fornite dagli USA nel Libano durante l’invasione del 2006.
La guerra degli Stati Uniti in Vietnam lasciato vaste aree così contaminata con l'erbicida Agente Orange che attualmente, più di 35 anni dopo,la contaminazione da diossina è di 300 a 400 volte superiore rispetto ai livelli di “sicurezza”. Gravi malformazioni alla nascita e alti tassi di cancro derivanti dalla contaminazione ambientale stanno continuando in una terza generazione.
La guerra del 1991 degli USA in Iraq, seguita da 13 anni di crudeli sanzioni, l’invasione del 2003 e l’occupazione seguente, hanno trasformato la regione- che ha una storia di 5000 anni come granaio del Medio Oriente- in una catastrofe ambientale. La terra coltivabile e fertile dell’Iraqè diventata una landa desolata del deserto dove il minore dei venti causa una tempesta di sabbia. L’Iraq, che era esportatore di alimenti, adesso importa l’80% dei suoi alimenti. Il Ministro dell’Agricoltura irachena stima che il 90% della terra soffre una severa desertificazione.
Guerra ambientale negli USA
Inoltre, il dipartimento della difesa si è opposto sistematicamente ad ordini dell’Environmental Protection Agency (Agenzia Protezione Ambientale-EPA) di ripulire le basi statunitensi contaminate. (Washington Post, 30 giugno 2008). Le basi militari del Pentagono sono in testa alla lista dei siti più inquinati del Superfund, e gli inquinanti penetrano nelle falde acquifere di acqua potabile del suolo.
Il Pentagono si è anche opposto agli sforzi dell’EPA di stabilire nuovi standard di inquinamento per due prodotti chimici che si trovano ampiamente nei siti militari: perclorato, trovato nel propellente di razzi e missili; e tricloroetileno, uno sgrassante per parti di metallo.
Il tricloroetileno è l’inquinante d’acqua più diffuso nel paese ed è assorbito dalle falde acquifere in California, New York, Texas, Florida e altrove. Più di 1.000 siti militari negli USA sono contaminati con questa sostanza chimica. Le comunità più povere, in particolare comunità di gente di colore, sono le più colpite da questo avvelenamento.
I test statunitensi di armi nucleari nel sud-ovest e nelle isole del sud del Pacifico hanno contaminato con radiazioni milioni di ettari di terre ed acqua. Montagne di scorie radioattive e tossiche di uranio sono state abbandonate in terre indigene nel sud-ovest. Più di 1000 mine di uraniosono state abbandonate in riserve navajo in Arizona e New Mexico.
In tutto il mondo, in vecchie basi ed altre ancora operative in Porto Rico, Filippine, Corea del Sud, Vietnam, Laos, Cambogia, Giappone, Nicaragua, Panama e la vecchia Jugoslavia, barili arrugginiti di prodotti chimici e solventi e milioni di proiettili sono criminosamente abbandonati dal Pentagono.
Il miglior modo per pulire drammaticamente l'ambiente è chiudere il Pentagono. Quello che serve per combattere il cambiamento climatico è un completo cambiamento del sistema.
Sara Flounders è co-direttore delL' International Action Center
di Alberto Müller Rojas Il generale Alberto Müller Rojas cha chiarito che non parla come portavoce del Partito Socialista Unito del Venezuela o del Presidente Chávez. Lo fa come referente nazionale. Per anni ha studiato le nuove dottrine di guerra.Ha scritto un documento che ha inviato a Miraflores ed il prossimo 10 dicembre darà, come ospite d’onore, una conferenza nella Forza Aerea. Müller afferma che il conflitto in Colombia non ha un carattere binazionale. Si tratta di una crisi tra l’impero, inteso come entità che si basa sul complesso militare industriale, che non è nordamericano ma transazionale, ed il potere costituente organizzato in tutti i paesi che si oppongono a questa forma di dominazione globale.
Di Nils Christie, Direttore dell'Istituto di Criminologia dell'Universita' di Oslo. Tra i suoi libri e saggi tradotti in Italia ricordiamo "Abolire le pene" (Gruppo Abele ed.) e "Il business penitenziario - la via occidentale al gulag" (Eleuthera ed.) intervista di Roberto Valencia Nils Christie ha trascorso tutta la sua vita denunciando le varie politiche carcerarie che "ormai nessuno crede servano per rieducare i prigionieri". Autore di vari libri, e' diventato insieme al Prof. Louk Hulsman e a pochi altri, un referente mondiale del movimento abolizionista.
Gli Stati Uniti sono il modello da evitare. Il paese "delle liberta'" ha allo stesso tempo la percentuale piu' alta di prigionieri giacche', secondo Christie, "la Giustizia e' diventata un business". L'Europa dovra' adesso decidere se seguire il modello nordamericano oppure optare per sistemi nei quali la prigione non abbia cosi' tanto peso.
In poche parole, cosa e' e cosa chiede l'abolizionismo?
“La bandiera segue il dollaro, i soldati la bandiera”, ha dichiarato l’ex maggior generale statunitense, Smedley D. Butler, nel suo libro “War is a Racket”. Nasceva la filosofia con la quale l’impero statunitense interveniva con la sua marina di guerra in quasi tutto il continente. Assicurava così l’incipiente espansione delle sue transnazionali in America Latina durante la prima metà del XX secolo.
"Perché il Primo Ministro Wen ci tiene a dire che il lavoro si relaziona con la dignità della persona?" Mi diceva un professore universitario dalla sua poltrona. “Questo non è un momento per parlare di dignità. Il diritto alla sopravvivenza è fondamentale. E la dignità è qualcosa che verrà naturalmente, quando sarà il momento”. Ma come si può parlare di diritto alla sopravvivenza senza dignità, mi chiedo. Stringere la cintura non è qualcosa di nuovo per i cinesi. Hanno rispondendo all' appello di consumare meno alimenti durante il “disastro naturale” del 1958-1961. I contadini, in particolare, hanno stretto la cintura in vista dell' industrializzazione socialista, per permettere il trasferimento della ricchezza verso le città attraverso ciò che è stato chiamato forbice dei prezzi. Ma, questa volta succede qualcosa di insolito. Economizzarono e risparmiarono per prestare denaro al paese più ricco del mondo, ed ottenere lavori mal pagati, stimolando i consumatori di quel paese. Grazie al fallimento finanziario, c’è un fatto che comincia a farsi chiaro nella testa di molti cinesi: La Cina è il maggiore creditore degli USA, e nonostante questo i cinesi continuano ad essere poveri.
L’esportazione, l’investimento e il consumo sono stati proclamati come i tre cavalli che portano il carro della crescita cinese. I cavalli erano già malati ed il carro consumato anche prima della crisi economica. Nonostante che le importazioni hanno fatto della Cina “la fabbrica del mondo”, si tratta di una fabbrica con stipendi magri, a scapito dei lavoratori e dell'ambiente. L’investimento ha creato strade, ferrovie e città brillanti, così come la gigantesca bolla immobiliare. Il prezzo medio delle case in relazione al reddito in Cina era di 1 a 15 nel 2007. La cifra è arrivata 1 a 23 in Beijing (Libro di Statistiche Annuali della Cina, 2008)- La maggior parte della popolazione sono osservatori che non possono condividere la prosperità delle città. Il contributo dei consumi rispetto al PIL non ha mai superato il 40%, mentre quello di India è al 60%. Le fabbriche stanno chiudendo. I migranti si muovono da e verso i popoli. Milioni di universitari sono preoccupati per i loro posti di lavoro, anche se questa non è una novità dato che i segni di problemi economici erano evidenti negli ultimi anni. Di fronte alla crisi finanziaria, quando le ombre si chiudono sull’economia cinese orientata all’estero, la domanda interna diventa fondamentale. Molti si affrettano a segnalare con orrore che il tasso di risparmio del paese è di circa il 50% più alto del mondo.
Ma non dicono che i conti di risparmio delle famiglie rappresentano appena un 30 o 40 % del totale, mentre il resto appartiene al governo e alle aziende di proprietà dello Stato. In altre parole, la domanda di consumo insufficiente ha la sua origine dalla caduta persistente della percentuale delle entrate nazionali disponibili in mano delle famiglie (He& Cao, 2007). La ricchezza si concentra nello Stato, non nelle persone, e lo Stato usa i suoi risparmi per reinvestirli. E’ cosi che si arriva ad un PIL di due cifre. Questo mostra inoltre che la domanda interna è stata sempre spinta dall’investimento più che dal consumo. E’ vero che i cinesi tendono al risparmio e non al consumo, ma quello che succede non si può spiegare semplicemente per la “virtù tradizionale” del popolo cinese. In un paese dove lo Stato non trasferisce i benefici della crescita e non c’è una rete di sicurezza sociale, stringere la cintura sembra essere una misura ragionevole nonostante i tassi d’interesse “di fatto” negativi.
Per questo la maggior parte dei cinesi stianno semplicemente sopravvivendo, come lavoratori che producono “Made in Cina”, come osservatori che vedono le loro case dare spazio a strade e a condomini irraggiungibili, e come creditori che sono obbligati a risparmiare a nome proprio e pagare per conto di altri. E adesso gli si chiede di essere consumatori. Forse la formula di 4 bilioni di RBM più il tasso di crescita dell’8% più i 10 settori industriali, di mano d’opera a basso costo trasformerà i cinesi in orgogliosi consumatori? La composizione dei 4 bilioni è la seguente: 38 % infrastruttura, 25% ricostruzione post-disastro, 10% costruzione per la vita urbana (cioè case popolari e riforme delle case) 9% progetti di costruzione per gli insediamenti rurali (acqua potabile, elettricità, strade) 9% miglioramento tecnologico, 4% educazione, salute e cultura e 5% protezione dell' ambiente. Ovviamente si continua col vecchio schema: convertire tutte le città in cantieri edili. Forse la differenza è che i villaggi possono avere l'aspettativa di avere le loro opere di costruzione. Oltre al rischio di esacerbare le contraddizioni esistenti strutturali dell'economia, anche se la formula funziona per stimolare l’economia, quale utilità avrebbe un tasso di crescita dell’8% senza che si risolva adeguatamente lo squilibrio tra l’investimento ed il consumo, senza che si abbandoni il PIL come l’unico grande indicatore di sviluppo, e senza che la popolazione sia considerata come esseri umani che godono di salute e di educazione di qualità? Come si può sperare che le persone consumino senza sentirsi sicure nello spendere?
In tempi di crisi è comprensibile a mantenere i tassi di investimento elevati per attutire gli effetti e stabilizzare la società. Ma cosa si fa dopo due anni quando si sono spesi i 4 bilioni? Incoraggiare la domanda interna non è un nuovo slogan. Era stata presentata nel decimo Orientamento Quinquennale prima nel 2005. Ma semplicemente è stata la domanda d’investimento e non la domanda delle famiglie quella che è cresciuta. Se percaso, questa crisi offre una possibilità, è che lo sviluppo con tassi di crescita elevati e gli investimenti e costi elevati, non può e non deve continuare. A lungo termine si deve scommettere sul ridare ricchezza alla gente e così si potrebbe stimolare il consumo delle famiglie.
La Cina è un paese dove la metà della popolazione rurale non può accedere a servizi sanitari e quasi il 70% delle persone non hanno la pensione. E’ la terza economia del mondo, ma la spesa in educazione non raggiunge ancora il 4% del PIL- il livello medio dei paesi in via di sviluppo. La spesa pubblica sanitaria è intorno al 4% del PIL, senza assistenza sanitaria universale. Il sistema di sicurezza sociale (cioè, pensioni, assicurazione contro la disoccupazione, assicurazione contro gli infortuni del lavoro, ecc.) è quasi inesistente. La Cina ha sorpreso il mondo con la sua efficienza, ma è la giustizia quello che il paese dovrebbe cercare. Se la Cina ha il coraggio di dire alla sua gente che il paese è riuscito a venire fuori velocemente dalle ombre della crisi, deve avere anche il coraggio di ridistribuire la ricchezza, aumentare la spesa pubblica in salute ed educazione, sviluppare sistemi di welfare e dare facoltà al suo popolo perché siano cittadini attivi e non lavoratori, osservatori, consumatori o creditori passivi.
Quando parlavo con il professore che distingueva tra il diritto alla sopravvivenza e la dignità, tre persone mi sono venute in mente. Le ho conosciute nella zona rurale di Sicuani, nella regione sud occidentale della Cina. La prima, un uomo che era un lavoratore migrante dalla città. E’ tornato a casa sua per aiutare i suoi genitori con un’iniziativa di fattoria organica iniziata tre anni fa con la speranza di cambiare per una vita “sana, verde e armoniosa”. Non sa quanto altro tempo potranno restare lì, poichè ci sono voci che il suo paese si trasformerà in una zona di “sviluppo”, e nessuno sa esattamente cosa significa. Il secondo, un lavoratore in una fabbrica di cemento, che fa turni diversi ogni giorno, e negli intervalli aiuta sua moglie con un banchetto di alimentari nel centro. La sua fabbrica non è solo inquinante, ma si è anche appropriata delle terre dei suoi compagni contadini per ampliarsi, che ha sollevato le proteste degli abitanti del villaggio. “Io non ho partecipato in nessuna protesta”, mi disse sorridendo. Il terzo, l’ho conosciuto in un cantiere. Quando gli ho chiesto cosa stava facendo mi rispose: “faccio crescere la domanda interna”. Guadagna 40 RMB (circa 6 $) al giorno. Più tardi ho imparato che il lavoro in questione era stato previsto nel 2007, prima del pacchetto stimolo, ma in quei giorni tutta la costruzione era vista come uno “stimolo alla domanda”, nonostante che questo sia stato il settore principale di investimento dper anni. Riconoscere il diritto alla “sopravvivenza” non deve essere la scusa per spremere fino all’ultima goccia di sudore dei lavoratori cinesi. Siamo esseri umani. Se mi dessero il privilegio di aggiungere note a piè delle risposte del Primo Ministro Wen, direi che il lavoro si relaziona con la dignità dell’essere umano,la dignità che consente alle persone di scegliere il lavoro autonomo e consumare i prodotti delle loro terre,la dignità di rifiutarsi di lavorare come mano d’opera a basso costo in una fabbrica che inquina l’aria che respiriamo, e la dignità di sapere per cosa lavoriamo. Questo dipende da quale tipo di economia la Cina stimola e a quale tipo di sviluppo sta andando il paese.
Tu Wenwen è ricercatrice di Focus on the Global South. Ha realizzato questa ricerca di campo in Cina durante gli ultimi due mesi.
di Noam Chomsky In These Times
A novembre c’è stato l’anniversario di due grandi avvenimenti del 1989: “il più importante anno nella storia mondiale dal 1945”, come lo storico britannico Timothy Garton Ash lo ha descritto.
Quell' anno “tutto cambiò”, scrive Garton Ash. Le riforme in Russia di Mikhail Gorbaciov e la sua “ impressionante rinuncia all’uso della violenza”, hanno condotto alla caduta del muro di Berlino il 9 novembre e alla liberazione dell’Europa dell’Est della tirannia russa.
Gli elogi sono meritati, i successi memorabili. Ma le prospettive alternative possono essere rivelatrici.
Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha dato tale prospettiva- non intenzionalmente- quando ci ha esortato tutti ad “usare l’inestimabile dono della libertà per finire coi muri dei nostri tempi”.
Un modo per seguire i suoi buoni consigli sarebbe quello di smantellare l’enorme muro di Berlino, che ridimensionato in scala e lunghezza di Berlino, adesso serpeggia in territorio palestinese violando la legge internazionale.
ATTENZIONE: L’ “UOMO E LA BESTIA” GIRANO LIBERI PER IL PIANETA.
Primo presupposto logico: Si può prendere sul serio un presidente imperiale (comandante del maggior arsenale nucleare e della più potente forza di occupazione militare del mondo) che accetta un Premio Nobel della Pace? Secondo presupposto logico: A partire dall’accettazione e di legittimare Obama “Nobel per la Pace” Si può avere fiducia della salute mentale di presidenti, leader mondiali e autorità del sistema capitalista eretto come “civiltà unica? Terzo presupposto logico: Se Obama, “l’Uomo e la Bestia” imperiale (metà democratico pacifista e metà imperialista genocida), riceve il massimo premio del pacifismo, quale categoria psichiatrica si può applicare alla stampa internazionale che diffonde la notizia senza nessuna analisi e alle masse planetarie che la consumano come un “fatto naturale”? Quarto presupposto logico: A partire dall’accettazione mondiale passiva della “schizofrenia Obama” Si può inferire che il sistema capitalista ha toccato una fase (decadente) di Apocalisse mentale?
di Manuel Freytas.
Il generale Juan Domingo Peròn, tre volte presidente costituzionale dell’Argentina, soleva dire che gli imperi, come i pesci, “marciscono dalla testa”.
I segnali sono molteplici: Elezioni “libere e democratiche” in paesi occupati militarmente, i supermilionari organizzano fondazioni per “combattere la povertà”, le corporazioni e banche capitaliste capeggiano campagne mondiali per la “solidarietà”, le superpotenze (con gli USA in testa) alzano le bandiere della “democrazia e dei diritti umani”, presidenti di “sinistra” che guidano Stati capitalisti, potenze criminali (come gli USA e Israele) che massacrano militarmente popolazioni civili in nome della “pace”, sono solo esempi di una tendenza di sdoppiamento (tra il dire e il fare) livellata ed accettata da tutto il pianeta.
E la ciliegina sulla torta: “Il presidente statunitense Barack Obama, ha accettato il Premio Nobel della Pace in una cerimonia ad Oslo, capitale della Norvegia, quando ancora riecheggiano nel mondo i tamburi della guerra in Afghanistan che solo nove giorni fa ha fatto suonare”, segnala la catena BBC.
“Ma l’atto di difendere la pace e giustificare la guerra si presenta come delicato per Obama quando diversi sondaggi d’opinione riflettono dubbi crescenti sui suoi meriti per ricevere lo stesso premio che prima hanno ricevuto persone come Nelson Mandela o la Madre Teresa di Calcutta”, sottolinea la catena.
Lo stile “soave e misurato” della BBC (una catena televisiva imperiale) omette di dire apertamente ciò che è ovvio: Il sistema capitalista e le sue istituzioni non hanno limiti per l’esercizio dell’assurdo e del doppio senso.
Se l' ONU e la Banca Mondiale (istituzioni sotto lo storico controllo imperiale) sono i leader della “guerra contro la povertà” Perché ad Obama non può essere assegnato il Premio Nobel per la Pace?
Non a caso i grandi inventori e propulsori del modello del “doppio discorso” su scala globale sono gli USA, la prima potenza del sistema capitalista dominante, che parla come paladino mondiale della “democrazia” e dei “diritti umani”, ma in realtà gestisce il potere imperiale con l'esercito e il più potente arsenale nucleare del pianeta, cinque flotte con capacità nucleare solcano le acque di tutto il mondo e quasi mille basi militari distribuite in tutti i punti strategici del mondo.
Sotto questo ombrello di dominio egemonico geo-politico-militare-nucleare, i capi di turno dello Stato USA edificano i loro discorsi pubblici sulla base dell’imposizione dei “regimi democratici” e la “governance in pace” monitorati da Washington, come è chiaramente indicato nei Documenti di Stato.
Gli USA, che dopo l’11 settembre 2001 conquistarono a ferro e fuoco l’Iraq e l’Afghanistan (dove le forze occupanti hanno già assassinato centinaia di migliaia di persone, principalmente civili) imposero simultaneamente in entrambi i paesi, occupati dalle loro forze militari il “regime democratico” con elezioni periodiche dove i conquistati votano governi controllati dagli invasori.
Sotto l’ombrello dello Stato USA, la “realtà internazionale” si costruisce sui parametri stabiliti dal “doppio discorso” capitalista, orientato a nascondere la realtà del dominio imperiale e la depredazione planetaria realizzata dalle banche e dalle aziende del sistema capitalista transazionale.
Nazioni imperiali, come le principali potenze europee (che hanno fondato i loro imperi in base all’occupazione militare, la sottomissione dei popoli e la schiavitù) si ergono come icone universali della “democrazia” e dei “diritti umani” ed impongono le regole della virtù “civilizzante” al resto dei paesi della periferia sottosviluppata.
Allo stesso modo, le banche e transnazionali capitaliste (che hanno accumulato i loro attivi aziendali sulla base dello sfruttamento storico di paesi e dalla depredazione sistematica delle risorse naturali e dell' ambiente) finanziano ONG e diverse organizzazioni mondiali per “lottare contro la distruzione dell' ambiente”.
Organizzazioni internazionali del sistema capitalista, come la Banca Mondiale o l’ FMI (ricorrentemente usate come gendarmi e supervisori del macro-furto finanziario attraverso il debito dei paesi più deboli) sono disegnate a loro volta come portattrici internazionali dell’“etica solidale” e della lotta strutturale alla povertà nel mondo.
C’è da sorprendersi del Premio Nobel a Obama?
Per nulla: Obama esegue solo quello che il suo creatore, l’Impero USA, ha imposto come norma di dominio accettata da tutto il sistema: Parlare con la pace, agire con i missili.
In questa linea, Obama è arrivato ad Oslo per ricevere il “Nobel per la Pace” sorvegliato da un imponente macchina militare che comprende forze militari convenzionali e unità di dispiegamento nucleare.
Pazzia, strategia o doppio senso?
Tutto insieme: Il Sistema Capitalista è una sintesi (come Obama). Di giorno democrazia e diritti umani, di notte sterminio massivo del surplus di popolazione. In un momento le identità si confondono: Il Sistema compra la sua stessa alienazione, ed il “doppio discorso” (l’”Uomo e la Bestia”) acquistano l’identità di “normalità accettata” dalle maggioranze mondiali.
Fate attenzione: L’”Uomo e la Bestia” girano liberi per il pianeta, ma nessuno li vede.
L’umanità, programmata dallo stesso sistema, non sa più neanche chi è.
La paura di un collasso finanziario europeo rafforza il dollaro e sgonfia l’euro
Questo giovedì l’euro continuava a perdere posizioni rispetto al dollaro di fronte al timore generale che alcuni paesi dell’eurozona possano cadere in un’insolvenza dei pagamenti prodotta dal deficit della caduta delle entrate. Ma l’incertezza sulla cancellazione degli impegni sul debito non è l’unico fattore che dà un impulso al dollaro: La moneta statunitense beneficia anche del timore che il riscatto statale delle banche e aziende crei una ricaduta della crisi finanziaria.
Come è stato già dimostrato dalla storia e dalla realtà, il dollaro USA è il rifugio “sicuro” del capitalismo finanziario speculativo transnazionale (statale e privato) in epoca di cataclismi.
Dopo il collasso di Dubai, gli speculatori internazionali su vasta scala si sono rifugiati nei mercati europei, nel dollaro in mezzo a timori che questa condotta possa trasformarsi in una tendenza generalizzata a livello mondiale, secondo il Wall Street Journal.
L’euro, che fino a qualche settimana fa faceva la sua una scalata spiazzando il dollaro, è sceso negli ultimi 15 giorni e potrebbe continuare a cadere con forza di fronte ad una fuga in massa degli speculatori verso l’acquisto di attivi più “sicuri” in moneta statunitense.
La situazione torna a ripetersi con il debito regionale che cresce e si propaga per tutta l’eurozona, con epicentro in Grecia, mentre crescono i timori degli speculatori ad un’insolvenza di pagamento generalizzata e ad un crollo a catena delle economie più deboli che vede in testa alla Spagna.
In generale, l’ombra di una insolvenza dei pagamenti generalizzata (a causa del deficit e delle basse entrate fiscali) fa temere una rinascita della crisi finanziaria, e continua a favorire il sorpasso del dollaro sull’euro, nonostante che la Federal Reserve degli USA ha deciso questo martedì di mantenere i tassi d’interesse, vicino allo zero, ribadendo che rimarranno a questo livello per qualche tempo.
Il dollaro è salito giovedì ai suoi massimi livelli in tre mesi di fronte ad un paniere di monete, favorito da un tono più “ottimista” della Riserva Federale statunitense, mentre l’euro cadeva colpito da nuove preoccupazioni sui problemi fiscali della Grecia e l’incertezza finanziaria nell’eurozona.
L'euro è sceso a Giovedi per la quarta sessione consecutivaieri, dopo l'adesione S & P e Fitch che hanno deciso di tagliare il rating del debito della Grecia, il paese dell'Unione europea con il più alto deficit di bilancio.
In un mercato con poco volume prima delle feste di fine anno, l’euro è affondato al suo livello minore contro il dollaro dall' inizio di settembre, dopo aver superato la forte barriera di 1,4500 dollari e generando ordini di vendita per sospenderne le perdite ben al di sotto 1,4400.
Le preoccupazioni degli speculatori sull’insolvenza di alcuni paesi della zona euro hanno preso forza dopo che mercoledì la Grecia ha subito il suo secondo declassamento creditizio in una settimana.
Gli esperti e le pubblicazioni specializzate considerano che il declassamento delle economie più deboli dell’eurozona imbarazza e guida il crollo dell'euro.
“L’euro sta soffrendo come risultato dei problemi del debito vincolato ai paesi della periferia della zona euro, che potrebbero rappresentare una gravissima tensione regionale, mentre la sterlina è sotto pressione a causa di un’economia povera” ha commentato Steve Barrow, stratega del cambio della Standard Bank. Barrow ha pronosticato che l’euro potrebbe scendere ai 1,42 o 1,41 dollari.
L’euro sarebbe sceso di due centesimi rispetto al dollaro alla chiusura di New York, mercoledì, a 1,4330 dollari, secondo i dati della Reuters, il suo livello minore da settembre.
Il dollaro forte, a sua volta, porta ad ulteriore debolezza del petrolio e materie prime sul mercato, la cui quotazione è pesata anche mercoledì sul calo delle scorte negli USA. “Se il dollaro si mantiene forte, il petrolio potrebbe continuare a scendere”, segnala l’agenzia Bloomberg.
L’indice del dollaro, che misura le sue prestazioni di fronte ad altre sei valute di riferimento, è salito fino ai 77,823, la sua quotazione più alta da settembre, dando agli investitori la fiducia che il dollaro ha già rotto il trend al ribasso che ha avuto inizio nel mese di marzo.
Secondo le stime degli esperti, l’economia greca, il centro (insieme alla Spagna) del caos finanziario che minaccia la zona dell’euro e fa si che gli speculatori cerchino rifugio nel dollaro, è sull'orlo del precipizio.
Si calcola che la scalata del dollaro di fronte all’euro continuerà ad intensificarsi guidata da nuovi ribassi della quotazione delle agenzie di rating per la Grecia ed il Portogallo, e di fronte al timore di una caduta a catena delle economie più deboli dell’eurozona, tra le quali si trova quella spagnola.
Martedì l’agenzia Fitch ha ribassato ancora di più il rating della Grecia ad un livello di “BBB+” per i suoi dubbi su come far fronte ai propri obblighi finanziari, essendo il primo paese dell' eurozona che si avvicina al livello di “buono spazzatura”. Allo stesso modo, il Portogallo ha recentemente subito un taglio che Standard & Poor’s annota questo paese ad un “A+”.
Standard &Poor’s ha anche ribassato il rating della Grecia da un grado di “BBB+” a “A-”, dato che è poco probabile che le misure di austerità annunciate dal primo ministro George Papandreou , questa settimana, producano una riduzione “sostenibile” del debito pubblico.
Secondo alcuni analisti europei, la Spagna e l'Italia potrebbero essere i prossimi a sperimentare tagli ai loro livelli di qualifica del debito dato che continuano con un outlook negativo. Mercoledì, Standard &Poor’s ha pubblicato un documento nel quale prevede un nuovo ribasso della qualifica del debito spagnolo “se non ci sono misure più aggressive per far fronte allo squilibrio fiscale”.
La Spagna è la quarta maggiore economia dell’eurozona, e quasi una quinta parte della popolazione è senza lavoro. La sua economia sta sfiorando la deflazione e, contro ciò che succede nell’eurozona, potrebbe restringersi ancora di più.
Sebbene altri paesi della periferia dell’Europa, come l’Irlanda e la Grecia, appaiano al centro dei timori per l’insolvenza dei pagamenti, l’economia spagnola è cinque volte superiore a quella di questi paesi e, quindi, i suoi problemi sono anche molto maggiori.
Per molti esperti, tra cui il Financial Times, la Spagna segna il centro dell’ “incertezza” e nuove cadute di rating della sua economia potrebbero innescare un collasso finanziario incatenato dei paesi che si mantengono nella “linea rossa” per affrontare l' insolvenza dei loro debiti pubblici.