Si poteva un tempo accusare Andreotti di mancanza di qualità morali ma non certo di qualità intellettuali e di ingegno. Purtroppo il triste trio Gentiloni Alfano Minniti impegnati nella questione libica difettano di qualsiasi qualità (non va trascurato ovviamente Renzi con il suo staff, per non parlare della collaborazione di Napolitano con Sarkozy per favorire gli interessi imperiali della Francia a discapito di quelli italiani). Offrire aiuti medicinali e umanitari al governo di Tobruk e alla stesso tempo aprire l’ambasciata a Tripoli presso l’imposto governo patrocinato dall’Onu di Fajez Serraj, governo evanescente che non comanda neanche a Tripoli, mentre navi da guerra italiane cariche di soldati e di armi entrano nelle acque territoriali libiche, dimostrano tutta l’idiozia politica dei “nostri” “leader”.
Il governo di Tobruk di Al Thani ha infatti risposto sdegnosamente, attraverso il generale dell’esercito Khalifa Haftar ” Rifiutiamo qualsiasi aiuto dall’Italia prima che le sue navi da guerra e le truppe italiane abbiano lasciato Tripoli e Misurata”. L’ambasciata italiana a Tripoli? “Una nuova forma di occupazione”.
Non sappiamo quanti siano stati i morti in Libia in seguito al brutale intervento NATO nel 2011. Alcune fonti parlano di circa trentamila morti, altre danno cifre maggiori. Intanto, la stima della Croce Rossa è di circa 120.000 morti, ma non vi è dubbio che la guerra iniziata dalla NATO ha distrutto il paese e gettato i suoi sei milioni di abitanti in un incubo terribile.
Il prossimo marzo segnerà i sei anni dall'inizio del macello: da navi e aerei, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna hanno lanciato un diluvio di bombe e missili da crociera. Hanno giustificato la guerra e le uccisioni con la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che parlava esclusivamente dell'utilizzo di "misure necessarie" a proteggere la popolazione civile "sotto minaccia" e che autorizzava una zona di esclusione aerea, ma nessuna invasione del paese. Non c'era l'autorizzazione ad avviare l'intervento militare, né tanto meno quella di un attacco per rovesciare il governo del paese. Cina e Russia, così come India e Germania, si astennero dal voto in Consiglio di Sicurezza e, successivamente, dinanzi all'imposizione della guerra, sia Mosca che Pechino hanno denunciato la forzatura interpretativa che Washington, i suoi alleati europei e la NATO avevano fatto della risoluzione del Consiglio. Il Sudafrica, che pure aveva votato a favore della risoluzione, ha denunciato l'uso eccessivo dell'accordo per forzare un "cambiamento di regime e l'occupazione militare del paese".
Paolo Gentiloni l’ha spuntata: il ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale sostituisce l’amico fraterno Renzi alla Presidenza del consiglio. Da quando circolava con sempre più insistenza il suo nome, un ricordo sfocato mi è tornato alla mente. Correva l’autunno 1983 e a Roma si era conclusa da poco una delle più grandi manifestazioni per la pace della storia italiana. Un milione di persone per dire No ai missili nucleari Nato-Usa in Sicilia. Poi i sit-in di fronte al Parlamento duramente repressi dalle forze dell’ordine.
Con alcuni dei componenti del Comitato XXIV ottobre ci si vede a cena in un signorile appartamento del centro. Tra gli ospiti, schivo e austero, c’era il giornalista Gentiloni, una breve e invidiata esperienza nel movimento studentesco di Mario Capanna, in procinto di assumere la direzione de La nuova ecologia, il periodico di Legambiente ideato con Chicco Testa ed Ermete Realacci che, non vorrei sbagliare, quella sera erano con noi pacifisti e antinucleari. Le evoluzioni o involuzioni del trio legambientalista sono note: Testa volò alla presidenza del Cda di Enel che contribuì a privatizzare; Realacci è oggi presidente della Commissione ambiente della Camera dei deputati, anch’egli in quota Giglio-Renzi, mentre il nobile di origini Gentiloni è incoronato Capo di governo.
Dopo l’esito del Brexit, la maggior parte degli analisti a livello internazionale si sono chiesti quali saranno le conseguenze sui mercati, sulle monete, sulle economie. Ma a noi pare molto più importante capire cosa significa in termini politici la decisione dell’elettorato britannico. Un dato fondamentale del referendum è la sua polarizzazione “di classe”.
Capita poche volte di poter definire così chiaramente un fatto: eppure in questo caso chi ha votato maggioritariamente per l’uscita da quel mostro in cui si è trasformata l’Unione Europea – che era nata, almeno a parole, come un progetto sociale e politico progressista - è stato il proletariato delle metropoli inglesi, quello delle zone più povere del paese, i lavoratori impoveriti dai tagli sociali, dalla scomparsa dei diritti del lavoro. Se nella Londra capitale, quella della “l’intellettualità” delle università, del mondo finanziario e industriale dove si gridava al disastro nel caso di un’uscita, ha vinto il SI, nelle zone operaie di East Midlands, nel North West, nel South West, nello Yorkshire, nell’Humber e in Galles ha vinto il NO. La località dove più ha trionfato il Brexit è stata il West Midlands, zona tradizionalmente laburista, dove l’UKIP (il partito nazionalista e razzista) non ha rappresentanza e dove non esiste un’immigrazione significativa.
Tutti, giustamente, esprimono il loro orrore per l'attentato svoltosi a Nizza durante i festeggiamenti del 14 luglio e che è costato 84 morti e oltre 100 feriti. Altrettanto giustamente l'esecrazione degli attentatori, che si sono accaniti indiscriminatamente su una folla inerme, è universale e completa.
Sarebbe, però, il caso che, almeno in certi settori che si suppongono critici, si cerchi di andare oltre l'orrore allo scopo di capire razionalmente la situazione in atto. Alberto Negri del Sole24ore, a caldo subito dopo gli attentati, diceva su Rai3 che i terroristi hanno portato in Europa e in Francia la guerra che da anni si svolge lungo la sponda sud del Mediterraneo.
Ciò che sarebbe bene aggiungere al ragionamento di Negri è che gli attentati terroristici in Europa rappresentano un assaggio, per quanto gli effetti siano drammatici e dolorosi per noi, di quella guerra che l'Europa occidentale e gli Usa hanno esportato in Iraq, Libia, Siria, che è costata centinaia di migliaia di vittime civili, comprese donne e bambini, e che ora ritorna indietro come in un effetto boomerang. Dunque, ritorna al centro d'origine quella guerra che è stata esportata da quello stesso centro ricco e avanzato negli ultimi quindici anni e che si pensava rimanesse relegata a centinaia se non migliaia di chilometri dai nostri confini, nella arretrata e povera periferia mediorientale e africana.
«Di fronte alle sfide senza precedenti provenienti da Est e da Sud, è giunta l'ora di dare nuovo impeto e nuova sostanza alla partnership strategica Nato-Ue»: così esordisce la Dichiarazione congiunta firmata l'8 luglio, al Summit Nato di Varsavia, dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker.
Una cambiale in bianco per la guerra, che i rappresentanti dell'Unione europea hanno messo in mano agli Stati uniti. Sono infatti gli Usa che detengono il comando della Nato – di cui fanno parte 22 dei 28 paesi dell'Unione europea (21 su 27 una volta uscita dalla Ue la Gran Bretagna) – e le imprimono la loro strategia.
Enunciata appieno nel comunicato approvato il 9 luglio dal Summit: un documento in 139 punti – concordato da Washington quasi esclusivamente con Berlino, Parigi e Londra – che gli altri capi di stato e di governo, compreso il premier Renzi, hanno sottoscritto a occhi chiusi.
Qualche giorno fa, il Wall Street Journal ha rivelato come da circa un mese governo italiano abbia autorizzato il decollo di droni armati statunitensi dalla base di Sigonella, in Sicilia, per permettere operazioni militari in Nord Africa. Fino al mese scorso infatti, questi droni sembravano utilizzati solo per sorveglianza aerea. I commenti di queste ore parlano del conseguente intervento in Libia auspicato dagli Usa e dissimulato dal Governo italiano: una decisione che non è un preludio di un intervento militare, secondo il ministro Gentiloni. Ne abbiamo parlato con Antonio Mazzeo, giornalista ed esperto di geopolitica militare.
Questa notizia è strettamente legata alla questione libica?
Partecipando (come ormai d’obbligo) all’incontro dei ministri della difesa Ue il 5 febbraio ad Amsterdam, il segretario della Nato Jens Stoltenberg ha lodato «il piano degli Stati uniti di accrescere sostanzialmente la loro presenza militare in Europa, quadruplicando i finanziamenti a tale scopo».
Gli Usa possono così «mantenere più truppe nella parte orientale dell’Alleanza, preposizionarvi armamenti pesanti, effettuarvi più esercitazioni e costruirvi più infrastrutture». In tal modo, secondo Stoltenberg, «si rafforza la cooperazione Ue-Nato». Ben altro lo scopo. Subito dopo la fine della guerra fredda, nel 1992, Washington sottolineava la «fondamentale importanza di preservare la Nato quale canale della influenza e partecipazione statunitensi negli affari europei, impedendo la creazione di dispositivi unicamente europei che minerebbero la struttura di comando dell’Alleanza», ossia il comando Usa. Missione compiuta: 22 dei 28 paesi della Ue, con oltre il 90% della popolazione dell’Unione, fanno oggi parte della Nato sempre sotto comando Usa, riconosciuta dalla Ue quale «fondamento della difesa collettiva».
«Il 2016 si annuncia molto complicato a livello internazionale, con tensioni diffuse anche vicino a casa nostra. L'Italia c'è e farà la sua parte, con la professionalità delle proprie donne e dei propri uomini e insieme all'impegno degli alleati»: così Matteo Renzi ha comunicato agli iscritti del Pd la prossima guerra a cui parteciperà l'Italia, quella in Libia, cinque anni dopo la prima.
Il piano è in atto: forze speciali Sas - riporta «The Daily Mirror» - sono già in Libia per preparare l'arrivo di circa 1000 soldati britannici. L'operazione - «concordata da Stati uniti, Gran Bretagna, Francia e Italia» - coinvolgerà circa 6000 soldati e marine statunitensi ed europei con l'obiettivo di «bloccare circa 5000 estremisti islamici, che si sono impadroniti di una dozzina dei maggiori campi petroliferi e, dal caposaldo Isis di Sirte, si preparano ad avanzare fino alla raffineria di Marsa al Brega, la maggiore del Nordafrica».
Sulla base delle informazioni trovate nelle lettere di Hillary Clinton declassificate il 31 dicembre, la vera ragione dell'intervento in Libia è l'oro che avrebbe impedito i piani di Nicolas Sarkozy ha in programma di espandere la sua influenza nella regione.
La corrispondenza dell'ex Segretario di Stato americano Hillary Clinton ha mostrato che nel 2011, Gheddafi aveva 143 tonnellate d'oro e 143 tonnellate di argento con cui avrebbe voluto creare una nuova moneta unica per l'Africa e fornire ai paesi francofoni africani un'alternativa al "franco CFA."
"L'oro era stato raccolto prima della rivolta in corso e doveva essere utilizzato per la creazione di una moneta panafricana di base sul dinaro libico", si legge nella mail dell'ex segretario di stato.
In totale, il valore di tali riserve era pari a circa 7 miliardi.
In questi giorni tutti i media condannano unanimemente il massacro di Pariri, esortano all’unità dell’Occidente e ad intensificare l’azione militare contro l’ISIS. Ma … non bisognava risolvere il problema del terrorismo? Non sarà magari il momento di riflettere sulle responsabilità dell’Occidente nell’aumento del terrorismo?
E’ chiaro, il massacro di Parigi può solo causare orrore e lutto. Ma… perché delle persone così giovani possono agire in modo così atroce? Il municipio di Courcouronne, il ghetto da cui viene il kamikaze identificato Ismail Mostafa, è anche il luogo di origine di Assata Diakité, una delle vittime.
Tre riflessioni…
La primaè che le relazioni fra mondo arabo e Occidente hanno una storia pesante. Iniziano quando, nel 1916, durante la 1° Guerra Mondiale, Francia, Gran Bretagna, Russia e Italia fecero un accordo per dividere tutto l’Impero Ottomano.
Si potevano prevedere gli attacchi di Parigi? Qualcuno li aveva per la verità previsti.Dichiarazione del Presidente Bashar al-Assad fatta nel Giugno del 2013, in una intervista al giornale tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung: “….se gli europei consegneranno le armi ai terroristi , il cortile d’Europa si trasformerà in un terreno propizio al terrorismo e l’Europa ne pagherà il prezzo”.
Questa dichiarazione, che al giorno d’oggi appare come una premonizione, era stata sbeffeggiata e derisa dai giornali occidentali ed in particolare in Italia dai giornali della borghesia benpensante del “pensiero unico” (il Corriere della Sera e Repubblica). Vedi: Siria: Assad minaccia l’Europa.
Lo stesso aveva predetto il leader libico Gheddafi, prima di essere barbaramente assassinato dai sicari dei servizi della NATO inviati appositamente per eliminarlo per nascondere le prove del finanziamento da lui fatto all’allora presidente francese Nicolas Sarkozy : “L’Occidente deve scegliere tra me o il caos del terrorismo”. Vedi: Gheddafi e quella profezia inascoltata.
L'imperialismo USA e i suoi alleati hanno imparato una dura lezione dall'esperienza negativa in Vietnam. Il crescente coinvolgimento di truppe statunitensi, arrivate a quasi mezzo milione nella fase acuta del conflitto con l'arruolamento forzato (coscrizione obbligatoria) e la chiamata alle armi di quasi tre milioni di soldati nel corso di tutta la guerra e con oltre 200.000 vittime, ha dimostrato di essere una politica destabilizzante, una sfida impegnativa al mantenimento del consenso.
Gli strateghi militari hanno riconosciuto che quando non si è in grado di generare un ampio consenso alla guerra o a garantirne una breve e decisiva durata, l'avventura bellica rischia di generare una reazione di instabilità politica. Di conseguenza, si è optato per lo sviluppo di un esercito di volontari e di una cultura di guerra per legittimarne l'utilizzo.
Ma l'imperialismo ha tratto una conclusione ancora più importante. Quando l'imperialismo ha combattuto un nemico che difende la sua terra d'origine, i costi sono abitualmente troppo grandi per essere tollerati dal pubblico statunitense. Certamente l'impegno nella guerra mondiale antifascista del 1939-1945 ha goduto di un sostegno popolare incrollabile. Ma le forze Usa non hanno combattuto sul suolo giapponese e solo per breve periodo in una Germania al collasso.
Nel novembre 1989, al suono delle fanfare di tutto l’Occidente ‘democratico’, cadeva il “Muro” per antonomasia, quello di Berlino. Sono passati 26 anni e, nel mondo, di muri ne sono stati eretti più di una ventina: muri di filo spinato, di cemento, di sabbia e pietra, contornati da fossati, elettrificati, guardati a vista da soldati che sparano…
I più conosciuti sono quelli tra Stati Uniti e Messico (dove le “schiene bagnate” centro-americane cercano di entrare nella terra promessa del dollaro), quello tra Israele e Cisgiordania, la barriera di Ceuta e Melilla in Marocco: Ma ve ne sono altri meno noti, come quello recente tra Bulgaria e Turchia eretto per fermare i profughi siriani, quello tra l’Oman e gli Emirati Arabi, quello tra lo Yemen e l’Arabia Saudita, quello tra la Tailandia e la Malaysia e via dicendo. Ogni anno migliaia di persone perdono la vita per oltrepassare questi muri.
Il
recente 70° anniversario della liberazione di Auschwitz ci ha
ricordato quale grande crimine sia il fascismo, la cui iconografia
nazista è radicata nelle nostre coscienze. Il fascismo è conservato come
storia, come tremolanti riprese di camicie nere che marciano al passo
dell'oca, la loro criminalità terribile e chiara. Eppure, nelle stesse
società liberali le cui belligeranti élite ci impongono di non
dimenticare mai, del crescente pericolo di un moderno tipo di fascismo
non si parla, perché è il loro fascismo.
"Iniziare una guerra di aggressione...", dissero nel 1946 i
giudici del tribunale di Norimberga, "non è soltanto un crimine
internazionale, ma è il crimine internazionale supremo, che differisce
dagli altri crimini di guerra solo in quanto contiene in sé l'accumulo
di tutti i mali".
Se i nazisti non avessero invaso l'Europa, Auschwitz e l'Olocausto
non sarebbero accaduti. Se gli Stati Uniti ed i loro vassalli non
avessero iniziato la loro guerra di aggressione in Iraq nel 2003, quasi
un milione di persone oggi sarebbero vive, e lo Stato islamico, o
ISIS, non ci avrebbe in balìa delle sue atrocità. Essi sono la progenie
del fascismo moderno, svezzato dalle bombe, dai bagni di sangue e
dalle menzogne, che sono il teatro surreale conosciuto col nome di
informazione. Leggi tutto...
Perchè tolleriamo la minaccia di un’altra guerra mondiale in nostro nome? Perchè permettiamo menzogne che giustifichino questo rischio? La portata del nostro indottrinamento, scrisse Harold Pinter, è un “brillante, persino arguto, atto di ipnosi di immenso successo”, come se la verità “non fosse mai accaduta nemmeno mentre stava accadendo”. Ogni anno lo storico statunitense William Blum pubblica il suo “Riassunto aggiornato della politica estera degli USA”, il quale mostra come, dal 1945, essi abbiano provato a rovesciare più di 50 governi, molti dei quali democraticamente eletti, abbiano massicciamente interferito nelle elezioni di 30 paesi, abbiano bombardato la popolazione civile di 30 paesi, abbiano fatto uso di armi chimiche e biologiche e abbiano attentato alla vita di leader stranieri.
In molti casi il Regno Unito ne è stato complice. Il grado di sofferenza umana causato, per non parlare dei crimini perpetrati, è ben poco conosciuto in occidente, malgrado la presenza del sistema di comunicazioni più avanzato del mondo e del giornalismo nominalmente più libero. Il fatto che la maggior parte delle vittime del terrorismo – il “nostro” terrorismo – sia musulmana non può essere detto.
In una sua interessante analisi, il giornalista Pete Papaherakles dell'American Free Press mette in evidenza come, dietro alle tensioni nel Vicino Oriente, vi sia il tentativo dei Rothschild di mettere le mani sulla Banca Centrale dell'Iran. È interessante notare come, a differenza dell'Italia e degli altri Paesi dell'Unione Europea dove i grandi mass media sono fortemente omologati e controllati dal "sistema", soprattutto quando si parla di questioni economiche, negli Stati Uniti riescano spesso a trovare spazio sui giornali analisi indipendenti ed obiettive sulla politica estera e sull'economia. In questo contesto merita di essere posto in risalto un recente articolo del giornalista Pete Papaherakles della American Free Press, che denuncia come, dietro alle crescenti tensioni nel Vicino Oriente e all'ostilità nei confronti dell'Iran vi sia la longa mano dei Rothschild, leader indiscussi del potere bancario e finanziario internazionale. Questa ambizione, del resto mai smentita dai grandi burattinai della finanza mondiale, appare ovvia ed evidente se si considera - come rileva Papaherakles - che l'Iran è al momento uno dei soli tre Paesi rimasti al mondo la cui banca centrale non sia sotto il controllo, diretto o indiretto, dei Rotschild. Prima dell'11 Settembre 2001, esistevano infatti nel mondo sette Paesi con questa caratteristica: Afghanistan, Cuba, Irak, Iran, Korea del Nord, Libia e Sudan. In realtà questi Paesi erano otto, perché il giornalista dell'American Free Press ha dimenticato, mi auguro per semplice distrazione, di inserire nell'elenco la Siria. E cosa sia successo a partire dallo scatenamento, da parte della presidenza di John Walker Bush, della cosiddetta "guerra al terrorismo" è sotto gli occhi di tutti.
Fra
due mesi andrà in scena al Teatro Piccolo di Milano un dramma del celebre
drammaturgo norvegese Henrik Ibsen “I pilastri della società” che tratta alcune
tematiche cruciali per la società di ogni tempo. “I piliastri della società
dovrebbero essere la verità e la libertà, ma” così espone Lavia, regista e
attore dell’allestimento “non c’è verità senza libertà e non c’è libertà senza
verità.” Gli effetti dell’elusione di questi postulati sono devastanti:
l’ipocrisia, la corruzione morale e materiale, l’individualismo e l’egoismo
sfrenati, la bramosia di potere e di
ricchezza, l’imbroglio e, in definitiva la stessa disgregazione sociale, per
non parlare della mancanza di democrazia e della più elementare cognizione dei
diritti del cittadino. Ebbene è proprio questa la fotografia della nostra
piccola e decadente Italia repubblicana e contemporanea, senza tralasciare che
il resto del mondo non se la passa poi tanto bene... Restringendo il dettaglio
e guardando con attenzione ci si accorge che la verità e la libertà non sono
proprio di casa nel nostro paese con le note conseguenze che sono sotto gli
occhi di tutti...
Di HS
Alla
Corte d’Assise di Palermo si sta celebrando il famoso processo sulla cosiddetta
trattativa “Stato – Mafia” che dovrebbe quanto meno illuminare su alcuni
retroscena di quanto avvenne agli albori della disgraziata Seconda Repubblica. Alla
sbarra il consueto campionario delle più torbide vicende italiche e sicule:
oltre a mafiosi e rampolli di mafiosi di un certo calibro, ufficiali dei
carabineri presumibilmente “felloni”, ministri non troppo fedeli al proprio
mandato, politici e parlamentari riconducibili ai due schieramenti che hanno
preteso e pretendono di egemonizzare la vita civile e politica del paese senza
pagare lo scotto dei propri, reiterati “errori” – od “orrori”, a seconda dei
punti di vista – compiacendo i reali “poteri forti” interni ed internazionali
che condizionano ed orientano la rotta della nave “Italia”.
Il presidente della Bolivia, Evo Morales, da New York ha concesso un'intervista a Eva Golinger, presentatrice del programma di RT 'Detrás de la Noticia', in cui ha commentato le questioni discusse alla 68ª Assemblea generale delle Nazioni Unite.Durante il suo discorso alle Nazioni Unite, il leader boliviano ha criticato la politica degli Stati Uniti e ha proposto la creazione di un "Tribunale dei popoli" per giudicare il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, per "crimini contro l'umanità".
Naturalmente, la gente comune non vuole la guerra; né in Russia, né in Inghilterra, né in America, né in Germania.Questo è chiaro.Alla fine, però, è il leader di un Paese a determinare la politica ed è sempre abbastanza semplice costringere la gente a seguirlo, che ci sia una democrazia, una dittatura fascista, un Parlamento o una dittatura comunista.Che abbiano voce o meno, le persone possono sempre essere portate a seguire i propri leader.E’ semplice. Tutto quello che bisogna fare è dire loro che sono sotto attacco e denunciare i pacifisti per la mancanza di patriottismo, per esporre la nazione al pericolo. Funziona allo stesso modo in ogni Paese.Hermann Wilhelm Göering, Presidente del Reichstag tedesco
Nel gennaio 2011
nell’Africa settentrionale e nel Medio Oriente hanno cominciato a
diffondersi a tappeto delle ribellioni “spontanee” e “locali” che
sarebbero poi esplose nella cosiddetta Primavera Araba. Questo è
quello che ci hanno fatto credere.Ci sono voluti diversi mesi perché la verità venisse a galla, e cioè che
dietro le sollevazioni popolari e libere si celava la lunga mano
uksraeliana (Inghilterra, Usa e Israele).Il New York Times ad aprile dello stesso anno ha dovuto
intitolare: “Gruppi americani hanno favorito la diffusione della
Primavera Araba”.
Chi sono questi
gruppi e qual è il loro gioco?
Tanto per citarne qualcuno: “Otpor!” in Serbia e in altri paesi, il
“Movimento Giovanile 6 aprile” in Egitto, il “Centro per i Diritti
Umani” del Bahrain, il “Fronte Nazionale per la Salvezza della Libia”,
“Donne sotto assedio” in Siria, “Golos” in Russia, la “Fratellanza
Musulmana”, ecc. Questi gruppi hanno ricevuto, finanziamenti dal
National Democratic Institute (NDI), dalFreedom House di Washington e addestramento
dall’intelligence statunitense (CIA) e britannica (MI5).